Intervista di Agostino Bagnato

Telefono al professor Franco Ferrarotti per salutarlo. E’ sempre cordiale, affabile, inesauribile nelle lucide argomentazioni e nella passione affabulatoria. Un grande maestro, come sempre. Gli chiedo come sta vivendo questa fase così particolare della sua lunghissima esistenza e della laboriosità inesauribile. Mi risponde che si trova ancora isolato nella sua abitazione romana, come milioni di italiani, ma spera che tutto possa finire presto. I segnali di ritorno alla normalità sono incoraggianti, ma è presto per dichiarare che Covid 19 è stato sconfitto. Sarà un percorso e doloroso che imporra al mondo intero l’amara convivenza con il virus. Ma non bisogna perdere la voglia di fare. E a riprova di questa sua ferrea convinzione, mi ricorda che l’editore Marietti presenterà l’opera omnia comprendente tutti gli scritti di Franco Ferrarotti e si attende la fine del lockdown per la presentazione al pubblico dei numerosi volumi già stampati. Mi congratulo per questa iniziativa che ha grande valore culturale e che premia il lungo magistero di un grande intellettuale di venuto nel tempo un punto di riferimento per la cultura italiana e non solo. chi meglio di lui può testimoniare il dramma che sta vivendo il mondo intero a causa della pandemia e gli chiedo pertanto la disponibilità di una intervista sugli scenari che ha aperto il dilagare del virus Covid 19. Subito mi risponde di essere pronto, prontissimo. Lo ringrazio con voce tremante per l’emozione e la gioia.

Franco Ferrarotti non ha bisogno di presentazione. E’ il più importante intellettuale italiano e uno dei più grandi sociologi del mondo. Pertanto, cominciamo!

Professor Ferrarotti, come si uscirà dalla pandemia? Il Pianeta si trova investito da un fenomeno inedito, non classificabile secondo i canoni tradizionali. Lei ritiene che la comunità internazionale e le istituzioni pubbliche, a ogni livello, abbiano la consapevolezza dell’assoluta novità?

In primo luogo non c’è soltanto la novità. L’insorgere del virus misterioso ha colto tutti di sorpresa, a cominciare dalla comunità scientifica. La ci sono aspetti e conseguenze della pandemia che non possono essere sottovalutati. Mi riferisco al dolore per i tanti morti, alla sofferenza per la clausura, al distanziamento sociale che costituisce una mutilazioni del bisogno più elementare dell’uomo di esprimere i propri sentimenti, dall’affetto all’amore, dall’abbracciarsi e salutarsi con una stretta di mano. Ma bisogna imparare dal dolore, sapendone cogliere gli aspetti nascosti. Questa emergenza trova un punto di verità proprio nel dolore. Non ci è stato possibile rendere l’estremo saluto ai nostri cari e questa frattura nella consuetudine e nel vissuto è una ferita grave. Se viene meno il rispetto per i morti si va verso l’imbarbarimento. Il culto dei morti è un aspetto fondamentale della civiltà umana, perché ha originato la sedentarietà e quindi la cultura della convivenza e della stessa comunità. Questo è un aspetto che non è stato sottolineato abbastanza: la sedentarietà è all’origine dell’uomo così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi diecimila anni.

Può essere più esplicito nel tracciare questo percorso di civiltà?

I morti venivano venerati nel gruppo di appartenenza dalle popolazioni nomadi. In un primo tempo si è custodito il corpo anche negli spostamenti, ma la decomposizione della materia ha originato e resa necessaria la sepoltura e talvolta l’incenerimento. Si tratta di due pratiche che sono andate di pari passi nella civiltà del Mediterraneo. I morti venivano onorati con l’erezione di primitivi monumenti funebri divenuti vere strutture architettoniche con il passare de tempo. Egizi, greci, etruschi e popolazioni italiche hanno esercitato il culto degli antenati, lasciando testimonianze di grande importanza artistica. Gli dei Lari dei Latini e poi dei Romani testimoniano questo rispetto profondo per i morti. Per non lasciare i resti incustoditi dei propri antenati e padri, l’uomo è diventato sedentario, ha costruito villaggi e città. Senza questa sensibilità ancestrale la civiltà occidentale sarebbe stata profondamente diversa.

Lei sostiene che si tratta di argomentazioni non sufficientemente approfondite nella stessa cultura occidentale, a cominciare dagli antropologi?

La velocità degli scambi e la molteplicità delle informazioni di cui si nutre la civiltà contemporanea non lasciano spazio ad analisi che richiedono studio e confronto. In questo caso si tratta di tornare proprio alle origini della civiltà umana. Ma sarà necessario farlo!

Quali saranno le conseguenze della pandemia sul piano sociale? Lei ha parlato recentemente di aumento delle disuguaglianze. La pandemia, che ha sconvolto l’assetto produttivo con l’imposizione di lunghe sospensioni delle attività manifatturiere e di servizio, non dovrebbe essere l’occasione per progettare politiche che riducano le ingiustizie economico-sociali? Più che attraverso la redistribuzione della ricchezza, non sarebbe più opportuno passare a politiche di partecipazione alla produzione della ricchezza? Come potrà avvenire un simile cambiamento? E’ sufficiente affermare il principio delle opportunità garantite per tutti e chi i mezzi per iniziare come potrà fare?

Le conseguenze ci sono già e sono visibili. In questo senso il virus ha avuto un effetto verità sulla società contemporanea, mettendo in luce in modo ancora più evidente le sue contraddizioni. A partire dalla ineguaglianza tra gruppi sociali. La parola d’ordine “Stare a casa!” è la conseguenza necessaria della lotta per contenere il virus, nella speranza di poterlo sconfiggere definitivamente, ma ci sono milioni di persone che la casa non ce l’hanno. E’ sotto gli occhi di tutti lo stato di degrado delle città grandi e piccole dell’Occidente, con schiere di emarginati e di diseredati che vivono per strada. L’altro aspetto da tenere presente è la struttura della società attuale, così come si è venuta configurando negli ultimi decenni, che non consente di poter sopportare a lungo l’isolamento domiciliare. Per esempio, coloro che compongono il ceto medio e la piccola borghesia che sono la parte preponderante della popolazione, hanno una propria abitazione con un solo bagno, appena sufficiente per la normalità. Oggi si trova profondamente a disagio a stare richiusa in casa e condividere servizi essenziali tra più persone. Questa emergenza sanitaria ha fatto emergere una sorta di povertà dignitosa, che non si vergogna di se stessa. Ma è pur sempre una sofferenza vivere in condizioni di grave difficoltà. Nessuno ha pensato a questo. Ecco come emergono le profonde disparità sociali!

Il lockdown e l’isolamento sociale hanno conseguenze sulla coscienza individuale? Come sarà passibile superare questa frattura tra passato e presente e come dovrebbe essere messa a frutto per costruire il futuro?

«Il futuro ha un cuore antico», perché vivere nell’immediato senza interesse per l’antefatto rappresenta la vera difficoltà per affrontare il futuro. Nei grandi cambiamenti innovativi, come quelli che stiamo subendo in questi ultimi decenni, l’esperienza e la competenza contano sempre meno, sono viste come un ostacolo nella propria vita. Ecco perché si guarda ai vecchi come ad un peso sociale e li si considera un ostacolo, un impedimento e quindi finiscono per essere assimilati tra gli scarti della società. No, non deve essere così!. Gli anziani e in vecchi sono i custodi della memoria e quindi rappresentano la coscienza collettiva di un popolo e di una società.

La socialità a distanza imposta dalle attuali drammatiche circostanze ha conseguenze che non sono state ancora approfondite sufficientemente. A mio parere, occorrerebbe fare ulteriori analisi sulle conseguenze di restare a casa. Questo vale ancora maggiormente per i popoli del Mediterraneo, per i quali più che la limitazione di movimento conta l’articolazione del vivere sprattutto all’aperto, in una relazione molto stretta con l’ambiente e la natura. Tornare a casa vuol dire trovare la famiglia, l’ambiente delle proprie origini, la comunità degli affetti. Inoltre, la famiglia è un formidabile ammortizzatore delle tensioni sociali. Ecco perché i giovani non si sono ribellati alle imposizioni del governo: la propria casa, la famiglia, gli affetti costituiscono un collante fondamentale della tenuta sociale di un popolo e di una nazione. Io credo che sarà importante nei prossimi mesi discutere proprio del ruolo della famiglia nelle trasformazioni che la società subirà inevitabilmente. Si parla di familismo amorale a proposito degli assetti proprietari di tanta imprenditorialità; è vero, ma ci sono elementi che non vanno distrutti in questa eredità intergenerazionale, purché non diventi omertà.

La crisi del sistema di sviluppo potrà essere superata con atteggiamenti strategici oppure sarà necessario un cambiamento radicale? Dalla Repubblica dei Filosofi di Platone al Leviatano di Thomas Hobbes, dagli Animal spirits di Adam Smith all’economia sociale e poi alla società degli uguali di Karl Marx. Quale percorso sarà necessario intraprendere per evitare un pericoloso ritorno al potere autoritario o peggio alla dissoluzione delle strutture statuali liberali?

Domanda importantissima. Non esiste il potere giustificativo di se stesso. Il potere, oggi, non essendo più autorevole, tende a diventare autoritario. Il perno del potere deve essere l’autorevolezza che si ottiene con la conoscenza e la competenza che si fanno esperienza. Noi abbiamo l’autorevolezza dell’eterno ieri. Inoltre, l’autorevolezza è fondamentale per governare i processi economici ed il mercato. L’insorgere di crisi cicliche tendono a mettere in discussione il mercato come regolatore dei rapporti di scambio. Ma bisogna ricordare che il mercato è legittimo come forza di negoziazione; tuttavia va tenuto presente che non può essere una divinità né una sommatoria di regole tra la domanda e l’offerta. Non ci dà l’equilibrio tra i due fattori in modo automatico, ma questo equilibrio deve essere trovato da chi governa, dotato di autorevolezza e poteri effettivi. Il profitto è la leva del progresso economico, ma non va mai massimizzato. L’economia di mercato non deve tracimare perché bisogna guardare agli interessi generali che si ritrovano nell’equilibrio dell’ecosistema. Il concetto di equilibrio deve essere affermato come condizione di giustizia e di civiltà. L’equilibrio tra questi due fattori, profitto e interessi generali, costituisce l’indice più sicuro per l’impresa.

Io ho avuto la fortuna di compiere una straordinaria esperienza con Adriano Olivetti. Da una piccola fabbrica in provincia, questo geniale imprenditore dalla mente visionaria ha saputo costruire una impresa profondamente innovativa, facendola diventare un esempio globale, puntando sugli interessi generali della realtà circostante e sull’equilibrio dell’ecosistema. Di conseguenza, iI concetto di equilibrio nel mercato dovrà sorreggere sempre più le leggi del profitto. La lezione di Adriano Olivetti è stata proprio questa e resta ancora valida, perché l’equilibrio del sistema è l’indice più sicuro dell’impresa. Da questo equilibrio discendono le relazioni con il territorio, l’ambiente circostante e tra le parti sociali. In poche parole è ancora valida l’idea di comunità che si crea attorno all’impresa, dove gli interessi degli uni si intersecano con quelli degli altri, creando quel reticolo di rapporti che produce un modello sociale e anche cultura. La concezione delle grandi corporate, senza patria e senza anima, amministrate da CEO, Chief Executive Officer, anonimi e lontani dalla gente, è invece devastante. E’ questo che ha provocato l’accelerazione della crisi del sistema economico-finanziario attuale.

Prof. Ferrarotti, lei ha ancora fiducia nella capacità dell’uomo contemporaneo di pensare in grande? O le crisi del tempo attuale lo spingono all’egoismo e all’isolamento, aumentandone l’aggressività?

Il virus sta facendo capire cosa sia in realtà la globalizzazione. Sta facendo comprendere l’importanza della famiglia umana. Il virus colpisce tutti, anche le popolazioni apparentemente più isolate e quindi sta facendo scoprire la fondamentale importanza della famiglia umana, ridicolizzando sovranismi e nazionalismi. Un tempo esisteva lo Stato-nazione, come conseguenza del divenire della storia. In questo senso è stata una grande invenzione, perché ha dato identità e forza creatrice a interi popoli. Oggi non ha più senso, perché non ce la fa più come singola entità statuale, così come non basta più per restare in piedi. Questo modello è in crisi irreparabile perché burocratico e poi perché di fronte a duecento società multinazionali che detengono il mercato mondiale, non riesce a controllarne le azioni e le ricadute sul proprio territorio e sui cittadini che lo abitano e lo compongono.

In questo tormentato percorso per reinventare se stessi, che ruolo possono avere l’arte e la cultura in generale? Ho riletto Tucidide e Lucrezio che descrivono la peste di Atene nel 430 a. C. e ho trovato una straordinaria analogia con situazione di stupore e di angoscia per la sorpresa con cui il morbo era comparso e soprattutto per l’impotenza con cui affrontarlo. Boccaccio e Manzoni sono sulla stessa lunghezza d’onda. E poi gli allucinati dipinti di Hieronimus Bosch e di Pieter Brughel. Oggi la mobilitazione di tanti artisti ha fatto parlare di un Nuovo Rinascimento possibile. E’ così?

Bisogna affermare certamente quello che abbiamo, ma gli stimoli non bastano più. Bisogna tornare alla concentrazione per trovare forza inventiva. L’arte ha quindi una grande importanza. La necessità di concentrazione è fondamentale per la creatività umana e oggi, di fronte all’intelligenza artificiale, ancora più necessaria per dominare il potere invasivo della tecnologia. La macchina tende a sovrastare ogni nostra conoscenza e a sostituirsi alla stessa creatività. Non è possibile accettare che un computer dipinga al posto dell’uomo pittore, anche se l’impulso viene da quest’ultimo. Il potere di contemplazione mette l’uomo in relazione con il tempo eterno. In questo senso l’arte è contemplazione e relazione con l’universo.

E le religioni, il sentimento del sacro, il rispetto per la tradizione e il vissuto?

Si tratta di un tema straordinariamente attuale. Non si può aspettare per vedere cosa succederà nel prossimo futuro, per cui la conoscenza ed il rispetto per il vissuto sono condizioni imprescindibili di qualsiasi progetto di società. Non si può pensare al futuro senza tenere conto dell’antefatto e del vissuto. In questo senso le grandi narrazioni trascendentali hanno una straordinaria importanza perché fanno parte della capacità dell’uomo di entrare in relazione con l’universo.

Si può uscire in avanti soltanto facendo leva su tutte le risorse, mi pare di capire. In questo senso, la sospensione tragica che impone il Covid 19 è un’occasione che non deve essere sprecata.

Bisogna pensare ad uno sviluppo sostenibile e non ad una espansione caotica come è avvenuto nel recente passato. Questo virus sconosciuto dà il senso del limite dell’uomo. Nello stesso tempo, le scelte adottate per combatterlo impongono la solitudine. Ecco, la solitudine deve essere considerata un privilegio. Lavorare in solitudine vuol dire essere se stessi, come ricordava Leonardo da Vinci. Oggi, la quantità enorme di bisogni da soddisfare distrugge l’uomo, ne corrode la sua più intima natura, non lascia spazio alla riflessione e alla meditazione. Bisogna saper fare tesoro di questo privilegio che deriva dalla solitudine imposta e viverla come un’opportunità per riscoprire gli orizzonti più autentici dell’essere contemporaneo.

 

Grazie

Roma, 4 maggio 2020

 

 

 

 

 

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