di Agostino Gennaro
Spilinga Storia, Usi e Costumi.
Situata in luogo poco accessibile, si poteva (l’imperfetto è d’obbligo vista l’impossibilità di visitarla ora) raggiungere seguendo la strada provinciale Spilinga- Vibo Valentia.
A circa due chilometri dall'abitato di Spilinga, si giunge in un pittoresco angolo ove sull’argine sinistro si ergono gli imponenti archi dell’ acquedotto rurale che richiama nella forma gli antichi acqedotti romani. Sull’argine destro sorge un tempietto dedicato a S. Maria delle Grazie. Attraversato un arco dell’acquedotto, ci si addentra nella fitta vegetazione del sottobosco di un grande castagneto, detto "voscu a Scala" che domina tutto il declivio dell'intera collina, fornendo, oltre che dell'allora prezioso frutto, una grande quantità di legname sin da tempi antichi.
L'acquedotto ripreso con due tipi di luce
Dopo un non molto lungo ma intricato percorso, ecco, si apre sotto il costone della collina una profonda fenditura, ove al centro si staglia netta la Grotta delle Fate, come fosse la facciata di una abitazione incavata nella roccia. Raggiungere l'accesso non è stata facile. Il dirupo, infatti, sprofonda a picco per una diecina di metri, sia nella parte alta sia in quella delle due fiancate. Scende mo più giù verso il fondo della valle, ove il dislivello andava scemando e risalimmo fino all’ingresso.
La scena è incantevole: di fronte, immersa nel verde, si staglia una parete rocciosa larga circa otto metri e alta dieci, su cui spiccano due aperture. Una all’altezza di circa 4 m. dal suolo, quasi a ogiva, di discrete dimensioni, la finestra, come7 descritta nei racconti di coloro che prima di noi l’avevano visitata. Sotto di essa si staglia netto l’accesso largo circa m. 4 e alto tre all’orifizio, poi va incuneandosi sia come altezza sia come larghezza fino a ridursi, alla profondità di circa sei metri, a un semplice passaggio che ci ha appena permesso di accedere al piano superiore. La grotta era attraversata da un piccolo corso d’acqua proveniente da un orifizio non praticabile e, date le dimensioni, non ci fu possibile seguirne il percorso. Detto ruscello, col passare degli anni, aveva insabbiato il pavimento della grotta, per cui non ci fu possibile constatare la presenza di stalagmiti, mentre la volta presentava un gran numero di tronchi di stalattiti, rotti per curiosità, per ignoranza, o per rendere più facile l’accesso. Giunti al piano rialzato, la scena era incantevole, illuminate dalla grande finestra, si stagliavano nette e luccicanti stalattiti di varia forma e misura e gruppi di stalagmiti. Cercammo di individuare ciò che la fantasia popolare ci aveva tramandato; si trattava di oggetti o animali trasformati in pietre dalle fate che abitavano tali grotte. Si potevano intravedere, ad esempio, un cesto di uova, una chioccia con i pulcini, salsicce, soppressate ecc. Ecco perché le era stato assegnato il nome di Grotta delle Fate. In realtà tale credenza fu per secoli alimentata dai banditi per impedire a quei poveri ingenui di curiosare. I contadini, però, non erano così sprovveduti; piuttosto essi, conoscendo la malvagità di quei brutti ceffi, preferivano fingersi tonti. I portavoce dei banditi, per sviare gli eventuali richiami di invocazioni d’aiuto e di squarcianti grida di dolore delle loro vittime, narravono racconti raccapriccianti, con dovizia di particolari, delle scene alle quali loro stessi avevano assistito, attribuendo alle fate quelle terribili crudeltà nei confronti di chiunque si fosse avvicinato.
Qualche anno dopo sono ritornato con quattro amici (Totò Tromby, Cesare e Antonio, Griji, e Ciccio, Nandolo) che volevano constatare di persona ciò che si narrava, ma il ruscello aveva ormai completamente insabbiato lo stretto passaggio della stanza inferiore della grotta, per cui l'antico accesso era reso impossibile. Con l’aiuto di due robusti tronchi siamo riusciti a raggiungere l’apertura superiore. Entrammo e, con immenso piacere, ho potuto constatare che, forse proprio a causa della difficoltà d’accesso, stalattiti e stalagmiti conservavano il loro splendido aspetto e non vi erano stati perpetrati altri atti di vandalismo.
Un magico tramonto, tipico della zona. Nitido si erge il cono dello Stromboli fumante
Si narra che anticamente questa grotta, rifugio di tanti banditi che hanno infestato la terra di Aramoni prima e i petti del Poro poi, oltre ad essere ben nascosta e di difficile accesso, attraversava tutta la collina di Colarizzi e sbucava nel canalone detto “discesa della grotta di Favo”, in località Zinnà. Se sia storia o leggenda, non c’è dato modo di provarlo, ma una cosa è certa, che dei banditi, dopo i colpi inflitti ai miseri passanti, non si trovava traccia, sia da una parte sia dall’altra della collina.
Oggi, con nostro rammarico, tale grotta non è più visitabile perché durante i lavori per la realizzazione degli invasi, a cura del Consorzio di Bonifica Montana del Poro, in località Colarizzi, l’intera scarpata è stata coperta e riempita con una notevole quantità di terreno di riporto.
Inutile dire che il danno è notevole, non solo perché è stato definitivamente precluso l’accesso, ma ancor di più, perché era l’unica Grotta ricca di stalattiti e stalagmiti del Poro e di una gran parte del territorio Calabrese.
Mi spiace ma non ho foto di questa meravigliosa grotta.
1 agosto 2024 - foto di Agostino Gennaro
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