Il prossimo 29 ottobre 2015, a Roma, presso il Salone Borromini della storica Biblioteca Vallicelliana, si terrà un incontro internazionale dedicato alla Grecia, nel corso del quale studiosi di economia, storia, filosofi, storici dell’arte e musicisti presenteranno il proprio punto di vista sul tema GRECIA. IL DEBITO CULTURALE DELL’EUROPA E DELL’OCCIDENTE. Pubblichiamo la traccia della relazione sull’indipendenza della nazione ellenica

 

IL RISORGIMENTO GRECO E LA CULTURA EUROPEA

Agostino Bagnato 

« τῶν ἐν Θερμοπύλαις θανόντων
εὐκλεὴς μέν ἁ τύχα, καλός δ'ὁ πότμος,
βωμὸς δ'ὁ τάφος, πρὸ γόων δὲ μνᾶστις, ὁ δ'οἶκτος ἔπαινος·
ἐτάφιον δὲ τοιοῦτον οὔτ'εὐρὼς
οὔθ'ὁ πανδαμάτωρ ἀμαυρώσει χρόνος.
ἀνδρῶν ἀγαθῶν ὅδε σηκὸς οἰκέταν εὐδοξίαν
Ἑλλάδος εἵλετο· μαρτυρεῖ δὲ καὶ Λεωνίδας,
Σπάρτας βασιλεύς, ἀρετᾶς μέγαν λελοιπὼς
κόσμον ἀέναόν τε κλέος. »[1]

 

 

Σιμωνίδης

 

PARTE PRIMA

PREMESSA

I primi moti risorgimentali italiani furono un fallimento: impreparazione, fretta, approssimazione, scarso o nessun legame con la popolazione da parte dei patrioti che avevano creato le prime società segrete della Carboneria. Non altrettanto quelli greci, iniziati nello stesso periodo. L’organizzazione denominata «Φiλική Eταιρεία», Filike Etaireía, fondata nel 1814 e vagamente ispirata società segrete italiane, inglesi e francesi direttamente discendenti dalla Massoneria, nella Grecia sottoposta da secoli alla dominazione ottomana, aveva obiettivi patriottici e nazionalisti. In poco tempo riuscì ad avere una diffusa presenza nei territori occupati e ad esercitare una rilevante influenza sulla popolazione, anche per il sostegno del clero ortodosso. Il merito era della grande capacità dei greci di operare nel campo dei commerci marittimi e di essere presenti con proprie imprese commerciali in moltissimi paesi europei, dai quali avevano assorbito culture ed esperienze.

Il villaggio di Ambelakia sulle falde del monte Olimpo in Tessaglia, è giustamente famoso perché tra il 1770 e il 1811 ospitò un centro di produzione e di vendita dell’anilina, sostanza indispensabile per la tintura delle stoffe. Il villaggio era organizzato come una comunità di produzione, al pari delle seterie di San Leucio, tanto che si parla di Ambelakia come del primo esempio di cooperativa moderna, antecedente a quella fondata nel 1844 dai Probi pionieri di Rochdale in Inghilterra.

Gli sconvolgimenti napoleonici avevano lasciato tracce profonde tra le coscienze in tutti i paesi e i Greci avevano imparato che la libertà di commercio che i Turchi assicuravano da sempre, non poteva andare lontano nel tempo senza l’indipendenza e libertà della Patria. La Grecia libera e indipendente avrebbe garantito ai commercianti, ai marinai, agli agricoltori, ai professionisti di decidere del proprio destino. Non si trattava di una matura coscienza politica, ancora in via di formazione anche nelle coscienze più evolute dell’Europa occidentale, ma i rappresentanti della ricca borghesia commerciale greca avevano consapevolezza dei vantaggi che si sarebbero acquisiti liberandosi dalla sudditanza della Sublime Porta. I contatti con la Serenissima Repubblica di Venezia, che risalivano all’estinto Impero bizantino, erano molti stretti. Anche Ravenna, erede dell’antico Esarcato, con le sue memorie protocristiane, esercitava un’attrattiva notevole.

I traffici marittimi sull’Adriatico vedevano i Greci in prima fila. Armatori, marinai, pescatori assorbivano le nuove idee riguardanti la concezione dell’uomo moderno nella società post-napoleonica, il libero commercio e soprattutto il diritto dei popoli e delle nazioni di essere liberi e indipendenti da dominazioni antiche e recenti. Erano le idee dell’Illuminismo da una parte, del progresso economico e sociale dall’altra. Ma soprattutto erano i propositi della cultura romantica, i cui esponenti esercitavano una notevole influenza nella società europea. I Greci più progrediti sentivano il bisogno di stare al passo con i tempi e di superare oramai forme operative corsare e piratesche, tipiche della storia del Levante.

Da dove cominciare? Non era una scelta semplice decidere come compiere il primo passo. Alcune figure di greci fanarioti, abitanti del quartiere Fanar a Istanbul, dove si trovava anche la sede del patriarca ortodosso, erano molto influenti nella società del tempo. Ma lo erano ancora di più alcuni militari che avevano combattuto nell’esercito zarista contro Napoleone, a cominciare dal generale Alexandros Ypsilanti. Così come era famoso Theodoros Kolokotronis, strana figura di patriota, marinaio e pirata insieme, la cui flotta spadroneggiava nell’Egeo. Lo erano moltissimi mercanti sparsi per tutta Europa. E ancora intellettuali e uomini di cultura. E poi c’era un donna, tale Laskarina Bubulina, detta «Megali Kira», che possedeva una sua flotta di navigazione commerciale, i cui sentimenti patriottici erano noti. Mandò Mavroghenus, un’altra donna coraggiosa ed energica,  godeva la fiducia della popolazione. Alexandros Mavrokordatos e Theodoros Negri avevano una vasta cultura storica e giuridica, mantenendo rapporti con i principali centri commerciali, finanziari e culturali europei. Il diplomatico Yoannis Kapodistrias aveva svolto una intensa attività in Europa e godeva soprattutto della piena fiducia dello zar e nello stesso tempo aveva stretti rapporti con le comunità greche nelle principali città europee.

Alla Grecia guardavano con simpatia la Francia, l’Inghilterra, la Russia, tanti patrioti e intellettuali italiani. Non mancavano alcuni tedeschi che nutrivano sentimenti di amicizia per il popolo greco, erede dell’Ellade classica da cui è nata la civiltà occidentale, a cominciare da Johann Wolfgang Goethe, Johann Christoph Friedrich Schiller e Friedrich Hölderlin.

Mancava la scintilla. I Greci che risiedevano in Europa svolgevano una intensa campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e raccoglievano anche fondi per sostenere una eventuale insurrezione popolare che avrebbe richiesto l’acquisto di armi, munizioni e vettovagliamento. Il compito di raccogliere sottoscrizioni spettava ai membri della Filike Etaireia.

Il Peloponneso era il cuore della cospirazione e della trama insurrezionale. Molte isole dell’Egeo erano in grado di intervenire in una eventuale sommossa, sostenendo lo scontro navale con la potente flotta turca, alleata con quella egiziana al comando dell’albanese Mehmet Pascia che si era impadronito della terra dei faraoni con un’abile colpo militare. L’isola di Corfù era un centro di raccolta di molti esuli europei, tra cui numerosi italiani. Attilio ed Emilio Bandiera partiranno proprio da Corfù per l’avventura in Calabria nel 1844, finita tragicamente nel vallone di Rovito, anche per la delazione del catanzarese De Nobili, anch’egli a Corfù per sfuggire alla giustizia borbonica ordinaria. Le isole già possedimenti veneziani come Zante, la Zacinto di Ugo Foscolo, ospitavano a loro volta piccoli centri di cospirazione.

Ma era l’Egeo il crogiolo della rivolta.

LA RIVOLTA DEL 1770

Il primo moto insurrezionale si verificò nel 1770, al tempo della V° guerra russo-turca. La flotta russa del Baltico, al comando del conte Aleksej Grigor’evič Orlov (1737-1807), nel mese di febbraio di quell’anno, giunse nell’Egeo dopo avere disceso il mare del Nord e l’oceano Atlantico, entrando nel Mediterraneo. La flotta raggiunse il porto di Mani, nella parte meridionale del Peloponneso. La sola presenza delle navi russe spinse i capi villaggio a sollevarsi contro la dominazione ottomana. Circa 50 soldati russi restarono con i manioti per dare sostegno allo scontro con i turchi, mentre la flotta di diresse all’assedio di Koroni. Ma il dissidio tra Orlov e Yoannis Mavromichalis, detto ‘O Skilos, il cane, rese difficile l’impresa. Questi prese parte alla battaglia di Rizomylo, in Messenia, ma nonostante il suo comportamento abile e coraggioso, fu catturato dai turchi, torturato e ucciso.

L’isola di Creta si sollevò a sua volta sotto la guida di Yoannis Vlakhos (1722-1771), detto Daskalogiannis, ridando speranza di vittoria finale. I rivoltosi ottennero un importante successo nella battaglia navale di Çeşme. Ma la scarsa preparazione della rivolta, le incomprensioni con i russi, l’insufficiente adesione della popolazione fecero fallire il tentativo, nonostante numerosi atti di eroismo da parte degli insorti. Il trattato di Küçük Kaynarka del 21 luglio 1774 tra Russia e Turchia prevedeva l’indipendenza del Khanato di Crimea, ma nessuna misura a favore della Grecia.

La penisola che rappresentava i territori dell’antica Tauride, nel 1785 veniva annessa all’impero zarista, in seguito alle conquiste del principe Grigorij Aleksandrovič Potëmkin (1739-1791).

Quelle vicende, tuttavia, dimostravano che la Sublime Porta non era invincibile. Occorreva un’adeguata preparazione militare, il sostegno pieno della popolazione, non soltanto di quella abitante la Morea, il Peloponneso, le isole dell’Egeo e dello Ionio, ma soprattutto dei territori settentrionali che costituivano la parte più consistente della Grecia sottoposta alla dominazione ottomana e dove si trovavano le vestigia di Atene, Tebe, Salonicco, i monasteri del Monte Athos.

Intanto, la rivoluzione e l’indipendenza americana, con la conseguente creazione degli Stati Uniti d’America riverberavano anche sulle coscienze dei greci più attenti e colti, nuove idee e programmi su come organizzare il governo di una nazione.

La successiva rivoluzione francese dimostrava come fosse possibile abolire le strutture dell’ancien regime e creare forme di governo rappresentative di tutto il popolo, abolendo privilegi feudali e di casta, dichiarando che tutti gli uomini nascono liberi.

La bufera napoleonica testimoniava che una ferrea volontà di vittoria e una potente organizzazione militare potevano ottenere risultati impensabili, riuscendo a conquistare popoli e regni gloriosi, sconvolgendo la geografia dell’intero continente europeo. La Grecia aveva dato i natali e formato Alessandro, il più grande genio politico-militare dell’antichità, la cui azione aveva prodotto risultati inimmaginabili e duraturi nel tempo sul piano culturale e artistico.

Erano segni che i tempi stavano decisamente cambiando. Potevano cominciare a mutare anche per la Grecia.

NASCITA DELLA FILIKE ETAIREIA

Dalla fallita esperienza della rivolta nel 1770, gli intelligenti e abili patrioti greci compresero che bisognava creare una rete di associazioni e di comitati, sul modello della Massoneria. Non era un mistero che in Inghilterra, Francia, Germania, Italia e finanche nella lontana Russia, sorgessero società segrete i cui membri giuravano di essere fedeli alla libertà della persona umana e delle idee, di lottare per il progresso economico e sociale, di sostenere la fratellanza tra i popoli e le nazioni. Tutto ciò, nelle diverse sfumature programmatiche e organizzative, significava il superamento dell’assolutismo monarchico, la conquista della Costituzione come legge fondamentale dello Stato, sul modello della Magna Cartha inglese.  Nel caso della Grecia, le idee massoniche presero una connotazione patriottica e nazionalista, in quanto l’obiettivo fondamentale era l’indipendenza della nazione greca dalla dominazione ottomana. I territori identificabili e identificati come greci corrispondevano ai sei sangiaccati costituiti dalla Sublime Porta dopo la conquista di Nauplia nel 1540 e il consolidamento del potere nel 1560.

I mercanti delle isole Ionie presero contatti con i massoni di Livorno, Marsiglia, Parigi, Trieste, Venezia, spingendosi fino ad Odessa, fondata di recente da Caterina II, dove esisteva una solida comunità di navigatori greci.

La Chiesa ortodossa sosteneva apertamente il movimento patriottico. In discussione non era tanto la fede cristiana che gli ottomani non vietavano, ma l’identificazione della religione ortodossa con la nazione greca. Il sentimento religioso è stato sempre un potente motore di aggregazione e anche nel caso greco ha avuto un ruolo molto importante.

Anche gli artisti, gli intellettuali e gli omini di cultura si mobilitarono a favore della causa nazionale. Il poeta della Tessaglia Regas Fereos (1757-1798) compose un canto di rivolta sul modello della Marsigliese, le cui prime parole sono un proclama di rivolta.

 

 «Δεύτε παίδες των Έλλήνων» (Orsù, figli dell’Ellade!).

 

Non si limitò a comporre versi, ma si pose a capo di un gruppo di rivoltosi in esilio. Napoleone aveva acceso la speranza di molti greci, non tanto per un intervento militare liberatore, quanto nel suscitare entusiasmo e fiducia nella vittoria finale. Ma il destino di Regas Fereos è stato tragico: fu giustiziato dai turchi ai quali fu consegnato dagli austriaci che lo avevano catturato nei pressi di Venezia nel 1797, dove si era recato nella speranza d’incontrare Napoleone Bonaparte. Intendeva perorare la causa del suo paese con il giovane console francese che aveva liberato l’Italia settentrionale dai Savoia e dagli austriaci. Ma l’eroe di Arcole aveva consegnato i territori della Serenissima Repubblica all’Austria con il trattato di Campoformio. In futuro, per la Grecia Napoleone non avrebbe fatto assolutamente nulla. Le Province illiriche, incorporate nell’Impero francese, si limitarono ai territori ex veneziani dell’Istria e della Dalmazia, senza intaccare i confini della Sublime Porta.

Regas Fereos è il primo eroe nazionale della Grecia moderna.

La svolta avviene il 14 settembre 1814. A Odessa, il conte Yoannis Kapodistrias, influenzato dalle idee della rivoluzione americana e francese, oltre che dai tanti militari e nobili zaristi con cui era in contatto, fondò la prima associazione carbonara, sul modello francese e italiano, ma anche della società segrete russe. Al suo fianco ci sono i principali protagonisti del Risorgimento greco: Nikolaos Skophas, Athanasios Tsakalos, Emmanuel Xanthos, Alexandros Mavrokordatos. Si chiamò «Φιλιxή Έταιρεία», Filiki Etaireía,  Società degli Amici. Il conte Yoannis Kapodistrias rifiutò l’incarico di presidente della società. Al suo posto fu provvisoriamente nominato Alexandros Ypsilanti.

Il programma patriottico della società Filiki Etaireía, accanto a quello dei Filomusi, Amici delle Muse, nonostante le prime difficoltà iniziali, si diffuse rapidamente nel Peloponneso e anche nella parte continentale, sia per l’adesione di moltissimi mercanti, intellettuali e professionisti, sia per il sostegno della Chiesa ortodossa.

La società segreta svolse un ruolo fondamentale. Il giuramento di adesione è un autentico atto di fede. «Io Giuro, in nome della Verità e della Giustizia, chiamando a testimone l'Essere supremo, di difendere, fino al sacrificio della vita e alla sopportazione delle peggiori sofferenze, il segreto che mi sarà rivelato e giuro di rispondere con la verità a tutte le domande che mi saranno poste.» Nel quartiere Kolonaki di Atene esiste ancora oggi una lapide che riporta il testo del giuramento.

LA RIVOLTA DEL 1821

L’occasione dell’insurrezione si verificò il 7 marzo 1821 con la proclamazione dell’indipendenza della Moldavia, l’antica Bessarabia dei Romani, da parte del generale  Alexandros Ypsilanti (1792-1828)  e la marcia su Bucarest, perché nell’Epiro si era ribellato Ali Pascià. L’obiettivo era l’occupazione della Valacchia e dell’intera area meridionale dei Balcani. Si ripeteva così il tentativo che nel 1806 aveva visto protagonista il padre di Alexandros, Konstanthinos Ypsilanti (1760-1816), al servizio dello zar Alessandro I, che si era ribellato al sultano, aveva occupato Bucarest alla testa di 30.000 soldati russi e si apprestava a marciare sulle terre meridionali dei Balcani. La pace di Tilsit del 1807 tra Napoleone e la Russia prevedeva la restituzione all’impero ottomano della Valacchia e della Moldavia. Così le conquiste militari si conclusero nel nulla e per l’obiettivo dell’indipendenza greca, che era lo scopo principale dell’operazione di Ypsilanti, non se ne fece nulla.

Il 3 aprile 1821 la rivolta investiva il Peloponneso e si estendeva rapidamente nell’Egeo. Nel frattempo Theodoros Kolokotronis, con la sua formidabile flotta, sbaragliava i Turchi a Baltetsi, liberando le coste del Peloponneso. I rivoltosi erano pronti a sferrare l’attacco alla terraferma, puntando su Atene. Ma qui iniziarono le difficoltà, a causa della resistenza turca e della impreparazione dei patrioti greci. Il 25 marzo, giorno della Pasqua ortodossa, l’arcivescovo di Patrasso, Germanos, lancia un appello alla rivolta dal convento di Aghia Lavra. Ma il 10 aprile il patriarca ecumenico Grigorios viene impiccato dai Turchi a Istanbul sulla porta della cattedrale ortodossa, proprio nel cuore del quartiere Fanar.

Il 9 aprile il Consiglio di Massenia, formato dalle società segrete, rivolgeva un appello a tutte le nazioni civili d’Europa perché prestassero aiuto alla causa greca. Nelle principali città francesi, inglesi e dell’Italia settentrionale nacquero comitati di sostegno alla rivolta greca. Molti si prepararono a partire per l’Egeo con l’intento di dare un segno concreto di solidarietà.

Ma non era semplice trovare una soluzione positiva alle giuste rivendicazioni greche. I territori della Grecia erano parte integrante dell’Impero ottomano, in virtù dell’occupazione di Maometto II nel  1458, di Solimano il Magnifico nel 1560 e delle successive vicende fino alla caduta di Creta nel 1669. Quelle conquiste territoriali erano riconosciute dalle potenze continentali europee. Il Congresso di Vienna del 1815 le aveva confermate. Nessuno voleva alterare lo status quo, anche se lo zar Alessandro I era favorevole alla causa greca.

Il 1 gennaio 1822, 13 gennaio per il calendario greco, i 59  rappresentanti dei principali territori greci si riunirono a Epidauro, dando vita a una sorta di Assemblea Nazionale, e approvarono il testo della Costituzione delle Grecia libera e indipendente. Sembrava di essere tornati all’Areopago ateniese! Il testo di quel fondamentale documento fu redatto dal fanariota Alexandros Mavrokordatos e Theodoros Negri con la collaborazione di due italiani. Erano due professionisti di Ravenna che mantenevano contatti molto stretti con le società segrete greche: l’avvocato Vincenzo Gallina (Ravenna 1795-Aleppo 1842), responsabile del Consiglio Supremo della Carboneria della Romagna e Pietro Gamba, amico di George Byron e testimone della morte del poeta inglese a Missolungi. La «legge organica di Epidauro», come fu chiamata, fu l’atto più importante della prima fase del Risorgimento greco.

Presidente della futura Grecia libera e indipendente fu eletto Alexandros Mavrokordatos, il quale decise di sciogliere le società segrete, proprio per dare forma definita alla nazione. Occorreva provvedere ai simboli del nuovo potere e si cominciò dalla bandiera. Quale vessillo bisognava adottare? L’araba fenice che risorge dalle ceneri era una suggestione potentissima. Ma si decise di adottare la bandiera con la croce bianca su fondo blu quale emblema dell’unità della nuova nazione ellenica. La croce era chiaro richiamo al ruolo decisivo che la Chiesa ortodossa aveva svolto nella lotta di liberazione condotta fino a quel momento e per il richiamo alle radici cristiane della nazione e del popolo; le nove strisce bianche che si sarebbero aggiunte rispondevano alle sillabe del motto dello stato ellenico:  «Έλευθερία ή θάνατος», Eleuteria e Tanatos, Libertà o Morte. Nel 1978 è stata adottata ufficialmente la seconda versione.

E’ la bandiera che ancora oggi, con le nove strisce orizzontali sull’intera superficie e la collocazione della croce nella parte superiore,   sventola sul Partenone e sul Parlamento in piazza Syntagma ad Atene.

Si può vedere il vessillo originario con la croce bianca su fondo blu nel grande dipinto che Theodoros Vryzakis (1814-1878) dipinse nel 1855 per celebrare l’assedio di Missolungi nel 1827, custodito nella Galleria Nazionale di Atena. Dipinto ancora più significativo, perché l’autore è morto durante la guerra per la conquista della Tessaglia.

Quell’evento sollevò entusiasmo in Europa. Il filosofo inglese Jeremy Bentham sostenne apertamente la causa costituzionale greca, sollecitando le potenze della Santa Alleanza a prendere una decisione positiva.

Ma i Turchi passarono rapidamente al contrattacco, di fronte alla incertezza di Francia, Inghilterra e Russia su cosa fare. L’esercito ottomano, forte di circa 30.000 uomini, occupò il Peloponneso, trovando forte resistenza. Ci furono episodi di eroismo e di crudeltà reciproche: popolazioni massacrate senza motivo e città rase al suolo. Simbolo di questa violenza divenne l’eccidio di circa 20.000 abitanti dell’isola di Scio. Il pittore Eugene Délacroix nel 1824 ha rappresentato la tragedia con un dipinto rimasto memorabile. Quell’opera destò grandissima impressione sui francesi e divenne il simbolo della resistenza e della lotta del popolo greco per l’indipendenza e nello stesso tempo era un atto di accusa contro l’indifferenza apparente delle potenze continentali, preoccupate di danneggiare i propri interessi commerciali con la Sublime Porta e di alterare gli equilibri strategici nati dal compromesso post-napoleonico a Vienna e rinnovato a Verna nel 1822.

La Grecia occidentale era intanto assediata e a Missolungi si svolsero episodi di eroica resistenza. La città riuscì a respingere l’assedio a costo di grandi sacrifici. Ma nel frattempo si verificò il primo drammatico contrasto tra i protagonisti della rivolta, ovvero tra Mavrokordatos che governava la parte settentrionale della Grecia ed era stato proclamato presidente della risorta nazione ad Epidauro e Kolokotronis che controllava il Peloponneso e non accettava le decisioni. L’indisciplina è stata sempre una caratteristica delle popolazioni mediterranee, secondo la tradizione consolidata e la letteratura dominante.

Dionisios Solomos, nato a Zante nel 1798 e morto nel 1857, amico di Ugo Foscolo, con il quale condivise l’esilio dalla Grecia, è considerato il più importante poeta greco moderno. Scrisse il celebre «Iμνος εις την Έλευθερίαν»,  Inno alla Libertà, che nel 1823 fu musicato da Nikolas Mantzaros (1795-1872), rappresentando la base dell’attuale inno greco. Mantzaros è considerato il padre della musica greca moderna. Visse a lungo in Italia, dove strinse amicizia con Nicola Zingarelli, Niccolò Tommaseo e Paolo Costa.

 

        «Σε γνωρίςω από την κόψη,

        του σπαθιού την τρομερή,

        Σε γνωρίςω από την όψη,

        που με βια μετράει τη γη.

        Απ’τα κόκαλα βγαλμένη

        τον Ελλήνων τα ιερά,

        και σαν πρώτα ανδρειωμένμ,

xαίρε ω  xαίρε Ελευθεριά!»

 

(Ti riconosco dal taglio

Terribile della spada,

ti riconosco dall’espressione

che contempla la terra con vigore.

Risollevati dalle ossa

Sacre dei Greci,

e valorosa come prima,

Ave, ave, Libertà!)

 

L’INDIPENDENZA GRECA

La Russia pensava che la soluzione più opportuna era dare vita a tre province autonome, sotto protettorato russo. In questo modo si sarebbero attenuati i contrasti tra i protagonisti della rivolta.

La Francia riteneva più opportuno tutelare i propri interessi dando vita ad un regno indipendente da affidare al duca d’Orleans.

L’Inghilterra, timorosa che l’asse franco-russo potesse danneggiare la sua supremazia navale nel Mediterraneo, a sua volta, propose la costituzione di un regno totalmente indipendente.

Lo stallo durò circa due anni, fino a quando la conferenza internazionale, tenutasi a Pietroburgo tra il febbraio e l’aprile del 1825, segnò la svolta decisiva. L’offensiva turca nell’Egeo minacciava seriamente gli equilibri nel Mediterraneo orientale. Era soprattutto la Russia che temeva una ripresa dell’offensiva ottomana in tutta l’area, con conseguenze sulle sponde del Mar Nero, dove la dominazione zarista si veniva consolidando. Le pressioni dello zar Nicola I, appena salito al trono, per portare soccorso ai fratelli ortodossi greci, si concluse con il trattato di Londra del 6 luglio 1827.

L’Assemblea Nazionale Greca, riunita a Nauplia, elesse Kybernetes, presidente della Grecia indipendente, proprio Yoannis Kapodistrias. Le sue iniziative di cambiamento e rinnovamento non furono accettate da molti componenti la stessa Assemblea. In particolare non furono accolte le proposte per una timida riforma agraria che aveva lo scpo di modernizzare le strutture produttive. Il principe Petros Mavromichalis (1765-1848), uno dei più importanti proprietari terrieri, si pose alla testa dell’opposizione e fu arrestato; il fratello Konstantinos e il figlio Georgios assassinarono Kapodistrias il 9 ottobre 1831 proprio a Nauplia, nella chiesa di S. Spiridone. Il maniota Petros Mavromichalis è una figura molto importante nel Risorgimento greco: a capo delle sue truppe, il 23 marzo 1821 entrò a Kalamata, dando inizio alla guerra d’indipendenza. E’ celebrato nel Peloponneso e in tutta la Grecia come eroe nazionale.

Ma la Turchia non accettò quelle conclusioni e scatenò una ulteriore controffensiva che costrinse Francia e Inghilterra a intervenire militarmente a sostegno della Grecia. Nello stesso tempo la Russia studiava una conclusione del conflitto direttamente con la Turchia. Questa strategia diplomatica portava al tratta di Adrianopoli che imponeva alla Sublime Porta di accettare il trattato di Londra. Il protocollo successivo del 22 marzo 1829 stabiliva che il futuro stato ellenico avrebbe compreso la Morea ovvero il Peloponneso, la Grecia continentale fino a Volos, l’Eubea e le Cicladi. Restavano escluse la Tessaglia, le Meteore e parte della Macedonia. La monarchia sarebbe stata la forma di governo su cui tutti si dichiararono d’accordo. La Grecia aveva finalmente ottenuto la sua indipendenza. 

IL REGNO DI OTTONE I

Ma chi doveva essere il re?

La Russia, che aveva sostenuto la candidatura di Yoannis Kapodistrias, si trovò isolata. Non era facile trovare una soluzione condivisa. Infatti il conte, definito dai suoi avversari «Prefetto dello zar», era ucciso nel 1831. A quel punto, le potenze in causa decisero che il primo re di Grecia sarebbe stato uno straniero, una personalità al di sopra dei conflitti locali, superando l’antagonismo tra fanarioti e manioti. Si scelse un giovane tedesco, il principe Otto von Wittelsbach, figlio di Luigi I di Baviera, appena diciottenne. Salì al trono con il titolo di Ὄθων, Βασιλεὺς τῆς Ἑλλάδος (Othon, Basileus tes Ellados), Ottone re dei Greci. Cattolico, non abbracciò il rito ortodosso, anche se la tradizione voleva che la sua famiglia discendesse dagli imperatori bizantini appartenenti alla dinastia Comneno e Laskaris.

Il giovane sovrano giunse ad Atene con 3.500 soldati bavaresi al seguito, sorta di Guardia nazionale, e con un consiglio di reggenza composto da tre persone, tra cui il conte Joseph Ludwig von Armansperg.

La Turchia pretese come risarcimento per la perdita dei territori nell’Egeo la somma di 40 milioni di piastre.

Il regno di Ottone I mosse i primi passi in mezzo a molte difficoltà. La povertà e l’arretratezza della Grecia, la concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani di poche famiglie, il commercio marittimo gestito da potenti famiglie con radicamento nei principali paesi europei, la ricchezza della chiesa ortodossa, rappresentavano oggettive difficoltà. Inoltre, pesavano le divisioni interne al movimento indipendentista sulle future alleanze strategiche della nuova Grecia: le forze tradizionaliste guardavano con fiducia alla Russia, non soltanto per i legami religiosi; quelle nate con la primigenia borghesia di matrice mercantile e professionale spingevano per legami più stretti con Francia, Inghilterra e paesi germanici. Sono aspetti che si troveranno nella storia della Grecia fino ai nostri giorni.


Ottone riuscì ad avviare il rinnovamento della struttura dello stato dalle ceneri dei Sangiaccati e dei Beg ottomani, a riaprire l’Accademia di Atene che Platone aveva fondato nel 387 a.C. col nome di «
Ἑκαδήμεια», Akademeia, e che era stata chiusa dall’imperatore Giustiniano nel 529. E’ stato formato il primo governo della storia greca. Primo ministro fu nominato Spiridon Trikoupis (1788-1873),  importante patriota di Missolungi con una lunga esperienza in Francia e Inghilterra, divenuto celebre per avere svolto l’orazione funebre nella cattedrale di Missolungi in onore di Lor Byron nel 1824; ministro delle finanze fu nominato Alexandros Mavrokordatos.

La gestione del potere era tuttavia troppo accentrata nelle mani del re che veniva accusato di usare metodi teutonici, a fronte della libertà di pensiero e di movimento dei fantasiosi e spericolati greci. Le pressioni per una nuova Costituzione che consentisse alla nazione di esprimere la propria volontà politica divennero molto forti. Nel 1844 fu così adottata la nuova Costituzione della Grecia che prevedeva la monarchia parlamentare, sul modello inglese e francese, il rito cristiano greco-ortodosso come religione di stato. Ma non cessarono le turbolenze interne, i conflitti legati al ruolo di Francia, Inghilterra, Russia nel Mediterraneo e nei Balcani. Il giovane sovrano non fu in grado di governare la conflittualità interna da un lato e la collocazione della Grecia nello scacchiere  internazionale, fino a che fu costretto a lasciare il trono. Nella sostanza fu destituito dal Parlamento nel 1862.


Come dare continuità alla giovane monarchia greca? Il consesso delle case regnanti portò alla designazione del diciassettenne Wilhelm Georg von Schleswig-Holsteien, filgio del re di Danimarca, che prese il nome di Giorgio I. Si trattò di una scelta riuscita, perché il giovane sovrano manifestò subito doti positive nel governare, essendo soprattutto capace di circondarsi di persone abili e preparate, anche se turbolente e rissose, come nel carattere dei Greci. Il sovrano avviò l’attuazione di un vasto programma di modernizzazione e di trasformazione del paese. Furono potenziate le strutture marittime e portuali, la viabilità stradale e quella ferroviaria, l’organizzazione scolastica e sanitaria.

La costruzione della ferrovia che collega Salonicco con Volos e Atene, iniziata nel 1882, è legato al none dell’ingegnere siciliano Evaristo De Chirico. Proprio a Volos è nato il figlio Giorgio, uno dei più importanti pittori italiani del Novecento.

Re Giorgio  riuscì a portare avanti un vasto programma di allargamento territoriale verso nord, proprio nell’intento di completare il processo risorgimentale greco.  Nel 1878 fu annessa la Tessaglia e le isole Ionie, parte della Macedonia e della Tracia.

I Greci continuavano tuttavia a emigrare in maniera massiccia verso le Americhe e l’Europa, a riprova che la situazione economica e sociale, nonstante i passi in avanti compiuti, restava pesante.

Re Giorgio fu assassinato nel 1913 proprio a Salonicco, quella Thessaloniki che aveva conquistato con tanto ardimento. La data dice tutto: è la viglia della prima guerra mondiale. La morte danzava con le sue ali d’acciaio su bicchieri di cristallo, come avrebbe scritto Joseph Roth qualche anno dopo. Da che parte doveva schierarsi la Grecia?


Il successore, il figlio Konstantinos (1868-1923), sposato con la sorella del kaiser Wilhelm II, spingeva per scendere in guerra a fianco della Triplice Alleanza; il primo ministro, il cretese Eleftherios Venizelos (1864-1923) propendeva per schierarsi con la Triplice Intesa.

Ma questa è storia dell’ultimo secolo. Le tragedie non sono state risparmiate al popolo greco. E sono tragedie pesantissime, dall’incendio di Smirne e della diaspora dall’Asia minore alla Seconda guerra mondiale, alla guerra civile e alla dittatura dei colonnelli.

Anche l’Italia ha pagato un tragico prezzo per la follia di occupare militarmente la Grecia a fianco dei nazisti. L’eccidio di Cefalonia, perpetrato dalla Wermacht subito dopo l’8 settembre 1943, è costato la vita a circa 2.000 soldati italiani, è una pagina tra le più amare della recente storia italiana.

Oggi la Grecia è nuovamente nell’occhio del ciclone, per motivi economico-finanziari. Ma non è la docile fanciulla Europa, figlia del fenicio Agenore, glorioso re di Tiro, che si è vendicata di quel proditorio rapimento. La Grecia è in Occidente, quell’Erebo dove tramonta il sole, da cui prende il nome la bella principessa che ha fatto impazzire Zeus. E noi tutti siamo in vita perché respiriamo ancora lo spirito magico che soffia ancora dalle vette dell’Olimpo e dall’areopago di Atene e dagli ulivi del giardino di Platone

 

 PARTE SECONDA

 

‘Oν οí θεοí φíλοϋσιν άποθνήσχει νέος[2]

 

LA RISCOPERTA DELLE GRECIA

La caduta di Costantinopoli sotto i colpi dei cannoni di Maometto II il 24 agosto 1453, richiamò l’attenzione dell’Europa cristiana sul tragico destino degli ultimi discendenti di Giustiniano e di Leone Isaurico. Alcuni studiosi non accettarono di sottomettersi alla Sublime Porta e presero la strada per Roma. Rinacque così l’interesse per lo studio del greco e dei grandi maestri classici, noti lungo tutto il Medioevo nelle versioni latine che ne avevano fatto i Romani e successivamente gli scriptoria abbaziali. Aristotele era stato tradotto dall’arabo Averroè di Cordova, «Averrois, che il gran commento feo»[3], di cui parla Dante. Nelle principali università lo studio del greco si diffuse rapidamente. Umanisti come Basilios Bessarion (1403-1472) e Konstantinos Laskaris (1434-1501) furono punti di riferimento importanti. La stampa con caratteri mobili aumentò la possibilità di conoscenza e diffusione della lingua greca e degli autori più importanti. Aldo Manunzio (1449-1515) si distinse a Venezia con la sua bottega per la pubblicazione di moltissime opere in greco.

Le opere filosofiche furono quasi tutte stampate e diffuse in ogni angolo dell’Europa. Gli studi universitari ripresero con rinnovato vigore, essendo disponibili i testi originali commentati da dotti glossatori. Anche la rinascita della filosofia platonica per merito di importanti studiosi e umanisti europei  contribuì ad accrescere l’interesse per la Grecia, la sua straordinaria storia e l’immensa cultura. Tutto ciò rappresentava una eredità irrinunciabile per l’umanità e per il futuro dell’uomo. Se ne fece interprete anche Giovan Battista Vico (1668-1744), consapevole del continuo ritorno nell’evoluzione del pensiero delle radici antiche.

L’architettura rinascimentale assunse l’esperienza greca come fonte irrinunciabile d’ispirazione. Così, Andrea Palladio (1508-1580) tracciò i nuovi canoni del classicismo che si riflessero nelle forme del neoclassicismo e si diffusero per tutta Europa. Visitare Parigi, Londra, Berlino, Monaco di Baviera, Pietroburgo, tante città italiane  e le ville lungo il fiume Brenta è un ritorno costante e impareggiabile alla scuola greca. Così come osservare una scultura di Antonio Canova (1770-1844), Bertel Thorvaldsen (1770-1844) e Etienne Maurice Falconet (1716-1791) è ritornare con la mente alla grande arte ellenica.  

Poesia, narrativa, teatro e opera musicale non potevano prescindere dal mondo antico, ma a partire dal Settecento non era soltanto la Grecia arcadica di derivazione mitologica, popolata di dei, ninfe, pastori, ma soprattutto quella storica, eroica, civile. Non erano soltanto i trecento caduti delle Termopili ad accendere la fantasia o la figura di Odisseo (si pensi all’Ulisse dantesco!), ma personaggi come Agamennone, Ettore, Oreste, accanto a figure femminili come Antigone, Medea, Fedra, Elettra, Clitennestra, Cassandra.

I grandi poeti post-rinascimentali hanno guardato al  mondo greco come fonte inesauribile d‘ispirazione. William Shakespeare (1564-1616), Jean Racine (1639-1699), Pierre Corneille (1606-1684), Vittorio Alfieri (1749-1803), Kleist, Hölderlin hanno dedicato opere fondamentali ai protagonisti della storia greca antica. Non era mancato Goethe che aveva canato la figura di Ifigenia e poi Percy Bissye Shelley (1792-1822) che aveva esaltato il titanismo di Prometeo.

Il teatro musicale aveva attinto a piene mani dalla storia greca, cominciando da Jacopo Peri, Giulio Caccini e Claudio Monteverdi (1567-1643) con la favola di Orfeo ed Euridice, ripresa anche dal russo Evstignej Fomin (1761-1800) e Christoph Willibald Gluck (1714-1787); quest’ultimo affrontò il tema di Ifigenia in due opere che sono ancora oggi rappresentate. Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) portò in scena il mito di Idomeneo re di Creta. Ludwig van Beethoven (1770-1827) esaltò la titanica  ribellione di Prometeo, in un contesto temporale che vedeva in quella figura il simbolo dell’uomo in lotta per la libertà del sapere e il progresso nel fare, affrontato da poeti, scrittori e pittori. Luigi Cherubini trattò a tinte fortemente drammatiche il tema di Medea, facendone una eroina della passione amorosa e civile; quel personaggio troverà nella seconda metà del Novecento una memorabile interprete greca, quella Maria Kalagheropoulou, divenuta immortale con il nome di Maria Callas (1923-1977).

Quanti rimandi si potrebbero fare per testimoniare l’immenso debito che l’Europa moderna e contemporanea debbono alla cultura greca. Ma la sua origine ha motivazioni culturali più remote, legate alla riscoperta della cultura classica, in particolare di quella greca. Uno dei principali protagonisti di questa riscoperta è lo storico dell’arte Johann Joachim Winkelmann (1717-1768) i cui studi sul mondo antico influenzarono profondamente la cultura del Settecento e aprirono le porta al neoclassicismo. Friedrich August Wolf (1759-1824) nel 1795 inaugurò i corsi di studi omerici con i “Prolegomena ad Homerum”. Jean-Jacques Barthélemy con il romanzo Viaggio del giovane Anacarsi in Grecia del 1788 aprì la strada ai viaggi immaginari, unendo il gusto dell’avventura e dell’esotismo con la rivisitazione di luoghi legati alla storia e alla cultura antica.

Su tutti si erge la figura di Johann Wolfang Goethe 1749-1832). La sua sterminata opera letteraria è una costante testimonianza della profonda conoscenza del mondo greco antico. Tragedie come Ifigenia e poemi come Prometeo sono tra i vertici della poesia romantica. La Grecia di Goethe non è fatta di rovine e di nostalgia, ma è ricca di passioni e ribolle di contemporaneità. La seconda parte del suo poema Faust contiene un ritratto di Elena di Troia ricca di interpretazioni ancora oggi di grande fascino.

 

        Bedecke deinen Himmel, Zeus,

Mit wolkendunst,

Und übe, dem Knaben gleich,

Der Disteln köpft

An Eichen dich und Bergeshön;

Must mir meine Erde

Doch lassen stehn

Und meine Hütte, die du nicht gebaut,

und meinen Herd,

um diessen Glut

du mich beneidest.[4]

 

Lo stesso Johann Christoph Friedrich Schiller (1759-1805) ha trovato il suo mondo più appropriato in figure mitiche, come Cassadra.

 

        Mir erscheint der Lenz vergebens,

        Der die Erde festlich schmucht:

        Wer erfrente sich des Lebens,

        Der in seine Tiefen blickt![5]

 

E infine August von Platen-Hallermünde (1796-1835), uno dei più amati poeti romantici tedeschi, fa rivivere la morte di Filemone, la favola ripresa da Ovidio.

       

        Und schlaft del Schlaf,

        von dem der Mensch niemals erwacht

        Bald ward Athen zur Beute Mazedoniern.[6]

 

In Italia la tradizione degli studi sulla Grecia si rafforza con Vincenzo Monti e soprattutto con Ugo Foscolo, Ippolito Pindemonte, Giacomo Leopardi. E’ soprattutto Ugo Foscolo che, essendo nato a Zante, la cui madre greca Diamantina Spatis gli trasmette anche nell’esilio veneziano l’amore per la terra d’origine, tesse lodi immortali a quel mondo che è consapevole di non rivedere mai più. La nostalgia si trasforma in furore patriottico per il destino della nuova Italia. I sepolcri e soprattutto Le Grazie ricamano rimandi di elevata potenza lirica al lontano alla Grecia nella cui gloria passata e nell’eroismo dei suoi figli migliori trova la forza per affrontare il presente e il futuro.

Ugo Foscolo (1778-1827) aveva lasciato l’Italia quando scoppiò la rivolta greca e dall’autunno del 1816 viveva in Inghilterra. Le sue condizioni economiche erano molto precarie, dovendo vivere grazie a collaborazioni letterarie. Nel 1818 aveva iniziato a tradurre l’Iliade,

quasi una sfida a Vincenzo Monti che aveva definito spregiativamente «… cavaliero,/gran traduttor de’ traduttor d’Omero». Nel 1822 era impegnato a spendere l’eredità della figlia Floriana nella costruzione del Digamma cottage, ma nel 1824 va incontro all’arresto per debiti, dopo essersi nascosto per un certo tempo. Come poteva pensare alla Grecia? Infatti, non risulta che il poeta abbia fatto nulla tra gli esuli italiani per sostenere la causa della rivolta. Eppure, a leggere i suoi versi il cuore si accende.

       

        Salve, Zacinto! All’antenoree prode,

        De’ santi Lari Idei ultimo albergo

        E de’ miei padri, darò i carmi e l’ossa,

        E a te il pensier: ché pienamente a queste

        Dee non favella chi la patria oblia.

        Sacra città è Zacinto. Eran suoi templi,

        Era ne’ colli suoi l’ombra de’ boschi

        Sacri al tripudio di Diana e al coro,

        Pria che Nettuno al reo Laomedonte

Munisse Ilio di torri inclite in guerra.

Bella è Zacinto. A lei versan tesori

L’angliche navi; a lei dall’alto manda

I più vitali rai l’eterno sole;

Candide nubi a lei Giove concede,

E selve ampie d’ulivi, e liberali

I colli di Lieo: rosea salute

Prometton l’aure, da’ spontanei fiori

Alimentate, e da’ perpetui cedri.[7]

 

Quando iniziò la composizione del poema Le Grazie, rimasto incompiuto, Foscolo si trovava a Firenze e le vicende greche erano  ancora lontane e neanche preannunciate. Ma proprio nel 1822, a Londra, pubblicò alcuni brani del poema, facendoli passare come traduzioni di poeti greci classici. Abitudine consolidata in lui, avendo inserito molti anni prima nel carme La chioma di Berenice circa sessanta versi dedicati alle Grazie, con l’espediente della traduzione dal greco. Ma su tutta la poesia di Foscolo, il carme intitolato I sepolcri, supera ogni altra prova.

 

        Felice te che il regno ampio de’ venti,

        Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!

E se il piloto ti drizzò l’antenna

Oltre l’isole egee, d’antichi fatti

Certo udisti suonar dell’Ellesponto

I liti, e la marea mugghiar portando

Alle prode retèe l’armi d’Achille

Sovra l’ossa d’Aiace: a’ generosi

Giusta di glorie dispensiera è morte;

Né senno astuto, né favor di regi

All’Itaco le spoglie ardue serbava,

Ché alla poppa raminga le ritolse

L’onda incitata dagl’inferni Dei.[8]

 

E prima ancora, per esaltare il valore dei sepolcri eretti agli eroi di Maratona, aveva elevato un canto che ha significato e valore immortali. Si tratta di un esempio inimitabile di poesia civile che ha reso giustamente celebre il poeta in Italia, i cui versi ancora oggi gli studenti imparano a memoria.

 

                        … Ah sì da quella

        Religiosa pace un Nume parla:

        E nutria contra a’ Persi in Maratona,

        ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi,

        La virtù greca e l’ira. Il navigante

Che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,

Vedea per l’ampia oscurità scintille

Balenar d’elmi e di cozzanti brandi,

Fumar le pire igneo vapor, corrusche

D’armi ferree vedea larve guerriere

Cercar la pugna; e all’orror de’ notturni

Silenzi si spandea lungo ne’ campi

Di falangi un tumulto e un suon di tube,

E un incalzar di cavalli accorrenti,

Scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,

E pianto, ed inni, e delle Parche il canto.[9]

 

Tornano alla mente i versi di Simonide, a cui tutti i poeti romantici si erano rifatti per celebrare il valore delle sepolture, a cominciare dagli inglesi del XVIII secolo.

 

        Βωμός δ’ό ταφος.[10]

 

Il culto delle tombe era stato riacceso dal decreto di Napoleone di vietare le sepolture all’interno delle mura urbane. Da qui la reazione polemica di Ugo Foscolo con la composizione dei Sepolcri, pubblicati a Brescia nel 1807 dall’editore Bettola.

Qualche anno dopo anche Giacomo Leopardi affrontò il tema dell’eroismo dei Greci alla Termopili, con l’intento di esortare per gli Italiani a combattere per la propria patria. Ma era un contesto differente, in quanto il poeta lamentava che gli Italiani combattevano e morivano per lo straniero Napoleone: «Morian per le rutene / squallide piagge, ahi d’altra morte degni, / gl’itali prodi; e lor fea l’aere e il cielo / e gli uomini e le belve immensa guerra»[11], ovvero nella steppe della Russia durante la campagna militare del 1812. Era l’anno 1818 e a Recanati non giungeva nessuna avvisaglia delle futura tempesta greca. Tuttavia, il giovane Giacomo aveva sentito l’esempio di Leonida come un incitamento per gli Italiani addormentati, scarsamente dotati di amore patrio. E nell’ode All’Italia aveva tessuto l’elogio per i caduti in Maratona, al pari di come aveva fatto Simonide di Ceo (556 ca. – 468), praticamente 2.300 anni prima.

 

        Oh venturose e care e benedette

        l’antiche età, che a morte

        per la patria correan le genti a squadre;

        e voi sempre onorate e gloriose,

        o tessaliche strette,

dove la Persia e il fato assai men forte

fu di poch’alme franche e generose!

Io credo che le piante e i sassi e l’onda

e le montagne vostre al passeggere

con indistinta voce

narrin siccome tutta quella sponda

coprìr le invitte schiere

de’ corpi ch’alla Grecia eran devoti.[12]

 

E proprio a Simonide ricorre Leopardi per esaltare il valore dei caduti alle Termopili, immaginando che il vate salga sulla collina per esaltare di fronte all’Ellade la morte eroica nella lotta contro i Persiani comandati da Serse.

       

        Beatissimi voi,

        ch’offriste il petto alle nemiche lance

per amor di costei ch’al Sol vi diede;

voi che la Grecia cole, e il mondo ammira.

Nell’armi e ne’ perigli

Qual tanto amor le giovanette menti,

qual nell’acerbo fato amor vi trasse?

Come sì lieta, o figli,

l’ora estrema vi parve, onde ridenti

correste al passo lacrimoso e duro?

Parea ch’a danza e non a morte andasse

ciascun de’ vostri, o a splendido convito:

ma v’attendea lo scuro

Tartaro, e l’onda morta;

né le spose vi foro o i figli accanto

quando su l’aspro lito

senza baci moriste e senza pianto.[13]

 

Ancora una volta il ricorso a Simonide è d’obbligo, quando richiama il senso della morte che non rende estinte le vite dei caduti nella memoria dei posteri.

 

        Ούδέ τεθνάσι θανόντες.[14]

 

Si consideri che anche Pietro Giordani aveva fatto ricorso a Simonide per esaltare l’eroismo dei caduti alle Termopili, traducendo proprio le versione di Diodoro Siculo.

 

De’ morti alle Termopile gloriosa è la fortuna, bello il fine, altare la tomba, lode la sventura. La funeral vesta di que’ valorosi non sarà consumata né discolorata mai dal tempo che vince ogni cosa. Le loro sepoltura contiene la gloria degli abitanti di Grecia. N’è testimonio Leonida, re di Sparta, che lasciò gran bellezza di virtù e fama perenne.

 

Nel 1821 Leopardi compone un canto per le nozze della sorella Paolina. E’ ancora una volta l’occasione per ricorrere alla storia greca, questa volta guardando alla tradizione di Sparta, per tessere l’elogio delle donne, madri e spose di valorosi lacedemoni.

 

        Qual de’ vetusti eroi

        tra le memorie e il grido

        crescean di Sparta i figli il greco nome;

finché la sposa giovinetta il fido

brando cingeva al caro lato, e poi

spandea le negre chiome

sul corpo esangue e nudo

quando e’ reddia nel conservato scudo.[15]

 

La Grecia ha dunque un peso formidabile nella formazione della cultura romantica. Quando la fiamma della rinascita si accende sulle rovine dell’Ellade e tra le chiese ortodosse officiate dai sacerdoti vestiti di nero, i più intrepidi europei non possono restare a guardare. Partono, come si è visto. E qualcuno non tornerà. Molti sono rimasti a casa o nell’esilio forzato, per i motivi più svariati. Ma gli esempi che la storia ci ha tramandato sono sufficienti per dimostrare come la Grecia ha scosso le coscienze e contribuito a rafforzare la coscienza politica dell’Europa liberale e democratica.

       

Questo è il quadro culturale, tracciato per grandi linee generali, in cui si accende la passione tra gli intellettuali, gli uomini di cultura e gli artisti per la rinascita della Grecia. Quando si sparge la notizia della rivolta contro gli Ottomani i cuori dei più intrepidi s’infiammano. Il sentimento e lo spirito romantico, che avevano pur sempre le loro radici nella cultura classica, fanno il resto.

 

I FILOELLENI

La solidarietà con i Greci in lotta non si manifestò soltanto con la presenza tra gli insorti. In Europa la campagna di sostegno alla causa greca si manifestò con modalità e forme organizzative diverse. Non ci si limitò alla costituzione di comitati per la raccolta di fondi tra la popolazione dei rispettivi paesi. Scrittori, poeti, musicisti, pittori lanciarono appelli ai governi dei propri paesi perché si schierassero a fianco del popolo ellenico. Nacquero ovunque i comitati di solidarietà che furono noti con il nome di Filoelleni. Fu il primo movimento di solidarietà nato in Europa, che aprirà la strada alla Giovine Europa di Giuseppe Mazzini molti anni dopo.


Il poeta inglese George Byron, accorso generosamente dall’Italia dove si trovava, aveva avviato una vastissima campagna in Inghilterra a favore della causa greca. Era divenuto il punto di riferimento degli insorti greci, a cominciare da Mavrokordatos, ma anche delle autorità inglesi che guardavano con attenzione a quanto accadeva nell’Egeo.  

In Francia le vicende greche erano seguite con molta simpatia dai circoli liberali, dagli artisti e dagli uomini di cultura che avevano incontrato lo splendore della Grecia antica nel corso dei loro studi e qualche volta dei loro viaggi. François de Chateaubriand scrisse numerosi articoli a sostegno della causa ellenica; Claude Fauriel (1772-1844) e soprattutto Benjamin Constant (1767-1830) che pronunciò infiammati discorsi all’Assemblea Nazionale. Il generale Charles Nicolas Fabvier (1782-1855) nel 1823 fu incaricato dal governo francese di recarsi in Grecia con un gruppo di volontari e di rafforzare le fortificazioni di Navarino.

In Inghilterra, importanti uomini di governo come Cochrane e Church sposarono la causa greca, anche se dovettero tenere conto della cautela con cui si muoveva la Gran Bretagna nello scacchiere dell’Egeo e dello Ionio.

Dall’Italia partirono i piemontese conte Santorre di Santarosa e Giacinto Provana di Collegno che si unirono agli altri patrioti che si trovavano già in Grecia. La rivista “Antologia”, pubblicata a Firenze, manifestò in numerose occasioni il sentimento di solidarietà degli uomini di cultura di ispirazione liberale, a fianco della rivolta greca.


Questo movimento di opinione favorevole sul piano politico e di simpatia sul terreno culturale, aveva anche motivazioni di carattere più generale, compreso quelle religiose in alcuni casi. I Greci ortodossi guardavano più a Mosca, la terza Roma dopo la caduta di Costantinopoli, che in Occidente, ma i rappresentanti della ricca borghesia commerciale e delle professioni economico-industriali sentivano che il futuro era il continente europeo, quelle terre che portavano il nome della figlia del re di Tiro rapita dal callido Zeus. Liberarsi dai Turchi non voleva dire sottomettersi alla potenza dello zar, nel nome della fratellanza ortodossa.

Per questo, la rivolta greca fu vissuta con sentimenti differenti ne vari paesi europei, ma sempre con spirito di solidarietà e di aperto sostegno.

Oggi è ancora aperta la discussione su quali furono le cause che favorirono la rivolta greca. Su tutte ci sono lo spirito e l’esempio della Rivoluzione americana e soprattutto di quella francese. Ma è stato Napoleone Bonaparte che dimostrato che si possono condizionare e anche abbattere regni e imperi secolari. Quanto accaduto nel decennio 1802-1812 era significativo. Soltanto la Spagna e la Russia erano riusciti a resistere all’impeto della Grande Armée, anche se i costi in termini di vite umane erano stati altissimi. Ma era la cultura romantica che spingeva molti europei a sostenere la causa greca. Non c’era in discussione l’indipendenza del popolo  della nazione ellenica soltanto. Quei sentimenti non erano ancora diffusi nella coscienza degli europei. Tra i patrioti di ascendenza liberale erano presenti gli aspetti delle libertà individuali sanciti dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. A ciò si legava la libertà di associazione e quindi della libera circolazione delle persone e delle merci. Il tema della libertà di navigazione e di commerciare era molto sentito e in greci, su questo piano, avevano una lunga esperienza alle spalle. In definitiva, libertà di pensiero e di fede si univa con libertà di intraprendere, produrre e commerciare. Era il positivismo che si univa inconsapevolmente al romanticismo. L’idea del popolo nazione che caratterizzerà i decenni successivi della storia d’Europa non erano ancora prevalenti.


Ma come si è visto erano fortissimi gli aspetti dell’eredità rappresentata dalla Grecia classica. Eredità ideale politica,  culturale, artistica ed estetica: sicuramente il mondo di Omero, Pericle, Sofocle, Aristotele, Epicuro, Plotino, Pitagora, Erodoto e Platone non sarebbe potuto rinascere e tornare a speldere. Ma dalle sue ceneri il cui era stato ridotto da latini, barbari e ottomani sarebbe potuta rinascere la Grecia moderna, esempio forse ancora per le genti del Mediterraneo e dell’Occidente.

Per questo accorsero in tanti. E fu un moto che sorprese l’Europa.

 

GEORGE BYRON

Il poeta inglese aveva dedicato il suo poema Childe Harold’s Pilgrimage alla Grecia. I tempi dell’insurrezione erano ancora lontani.

 

        Oh, thou! In Hellas deem’d of heav’nly birth,

        Muse! form’d or fabled at the minstrel’s will!

        Since sham’d full oft by later lyres on earth,

        Mine dares not call the from thy sacred hill:

        Yet there I’ve wander’d by thy vaunted rill;

        Yes! Sigh’d o’er Delphi’s long-deserted shrine,

        Where, save that feeble fountain, all is still;

        Nor mote my shell awake the weary Nine

        To grace so plane a tale – this lowly lay of mine.[16] 

 

Egli sentiva il rapporto con la Grecia come una missione, al pari di quello con l’Italia. Dall’Italia, infatti, partì per prestare soccorso agli insorti, accompagnato da fedeli compagni. Missolungi era la sua meta e nella città di fronte alle sponde del Peloponneso trovò alloggio. Nel suo poema aveva elevato la protesta per la spoliazione inglese del Partenone e di altri reperti classici.

       

Ciechi gli occhi che non versano

        Lacrime vedendo, o Grecia amata,

le tue sacre membra razziate da profane

mani inglesi, che hanno ferito

ancora una volta il tuo petto dolente,

e rapito i tuoi dei, dei che odiano

l’abominevole nordico clima d’Inghilterra.

 

Così come nell’altro poema dedicato alla figura di Don Juan aveva esaltato la bellezza selvaggia della Grecia, i costumi degli abitanti e soprattutto delle giovani donne.

 

        But beef is rare within these oxless isles;

        Goat’s flesh there is, no doubt, and kid and mutton,

        And when a holiday upon them smiles,

        A joint upon their barbarous spits they put on.

        But this occurs but seldom, between whiles,

        For some of these are rocks with scarce a hut on;

        Others are fair and fertile, among which

        This, though not large, was one of the most rich.[17]

 

Il poema celebra l’amore secondo natura, che acquista un alone ideale. La protagonista femminile è Haidée, una giovane “selvaggia” figlia di un pirata e orfana di madre. La ragazza trova sulla spiaggia, come una novella Nausicaa sull’isola dei Feaci, il naufrago Juan, riporta in vita l’eroe gettato dalle onde del mare Egeo sulle sponde della sua isola, finisce con innamorarsi dello straniero e gli dona i tesori incorrotti della sua anima e del suo corpo, fondendosi con lui nel regno di una solitudine sublime a due, nel grembo dell’universo. E’ il ritrovato Eden biblico, il Paradiso terrestre dei cristiani. La bellezza di Haidée è figlia di quella selvatica isola, ma porta dentro di sé la gloria e lo splendore del passato.

Lord Byron accorre a salvare dalla scimitarra turca quella memorabile fanciulla e lo fa con l’ardimento e la passione che portano a sfidare il colera e la morte. Missolungi sarà la sua tomba.

Ma l’appuntamento fatale è ancora lontano. Nella grotta dove viene trasportato regna l’incanto della bellezza selvaggia di Haidée.

 

        Her brow was overhung with coins of gold,

        That sparkled o’er the auburn of her hair,

        Her clustering hair, whose longer locks were rolled

        In braids behind, and though her stature were

        Even of the eghest for a female mould,

They nearly reached her heel. And in her air

There was a something which bespoke command,

As one who was a lady in the land.[18]

 

Il gusto dell’esotismo prende certamente la mano al poeta, ma non c’è dubbio che la circostanza di trovarsi di fronte a una principessa, novella Nausicaa appunto, crea un’atmosfera che esalta la fantasia e accende il cuore. Come non restare stregati da tanto fascino?

 

        Her hair, I said, was auburn, but her heyes

        Were black as death, thei lashes the same hue,

        Of downcast length, in whose silk shadow lies

Deepest attraction, for when to the view

Forth from its raven fringe the full glance flies,

Ne’er with such force the swiftest arrow flew.

‘Tis as the snake lat coiled, who pours his length

And hurls at once his venom and his strength.[19]

Non è certamente veleno che sprizza nel sangue di Juan/Byron, ma una calda passione per tutto ciò che appartiene a quel mondo, al mare, alle rocce, alla vegetazione. E’ il sentimento romantico dell’epoca che diventa passione civile. E per conquistare il pieno possesso di quello slancio, il poeta è pronto a tutto.

 

And then she had recourse to nods and signs

And smiles and sparkles of the speaking eye,

And read (the only book she could) the lines

Of his fair face and found, by sympathy,

The answer eloquent, where the soul shines

And  darts in one quick glance a long reply;

And thus in every look she saw exprest

A world of words, and things at which she guessed.[20]

 

Giunto a Missolungi, Byron si rende conto del compito eroico che lo attende, ma anche della situazione disperata in cui si trova la città, sia per le condizioni oggettive determinate sulla popolazione dall’assedio, sia per l’indisciplina e l’inaffidabilità di molti difensori. Eppure la città resiste disperatamente. Ma il colera che infuria miete più vittime dei cannoni di Ibrahim Pascià, l’egiziano al servizio della Sublime Porta da cui la terra dei faraoni si è da poco riscattata.

Il 18 aprile 1824 muore circondato dai suoi fedeli amici, tra cui l’italiano Pietro Gamba. Le sue ultime parole sono state: «Ora voglio dormire!»

 

SANTORRE DI SANTA ROSA


Sorte differente è toccata all’italiano Santorre Annibale Derossi, conte di Pomerolo, signore di Santa Rosa (1783-1825). Nato in una famiglia di militari, entrò giovanissimo nell’esercito regio piemontese, combattè a Mondovì come granatiere nel 1796 contro l’Armée d’Italie di Napoleone Bonaparte. Studiò all’Università di Torino, dove venne a contatto con elementi legati alla massoneria. Eletto sindaco di Savignano nel 1807, carica che tenne fino al 1814, entrò nell’amministrazione francese delle province sabaude. Dopo il ritorno dei Savoia, nel 1816 entrò nel ministero della guerra come ispettore delle giovani leve militari. Nel 1820 si accostò alla Carboneria, perorando un programma che vedeva Vittoria Emanuele I porsi a capo di un esercito per liberare l’Italia dalla dominazione straniera, creando così le basi per un regno unitario. Il re reagì a queste proposte inasprendo il regime assolutistico e le persecuzioni contro i dissidenti. Santorre pensò di poter trovare sostegno alle proprie idee appoggiandosi al giovane Carlo Alberto, erede al trono, che attestava sentimenti progressisti.

Si giunge al 1820. Le insurrezioni in Spagna, Portogallo e Regno di Napoli trovarono Santorre impegnato a sostenere la causa dei rivoltosi. Intanto, aspettava il momento giusto per agire in Piemonte. Questo venne nel 1821, quando la congiura politico-miltare portò alla elezione di Carlo Felice a re di Piemonte e alla nomina di Carlo Alberto a reggente, essendo il sovrano lontano da Torino. Fu proclamata la Costituzione e nominato un governo provvisorio, nel quale Santorre fu designato ministro della guerra. Ma Carlo Felice, sopraggiunto in patria, rifiutò l’elezione, sfiduciò Carlo Alberto, abolì la Costituzione e sciolse il governo provvisorio.


Santorre Annibale Derossi si rifugiò prima in Svizzera, unitamente ad altri patrioti, e poi in Francia. A Parigi cercò di sopravvivere, anche grazie all’aiuto del filosofo Victor Cousin che lo ospitò ad Auteil per farlo sfuggire alla gendarmeria. Ma dopo qualche tempo fu riconosciuto dalle forze dell’ordine; per evitare di essere catturato e consegnato alle autorità piemontesi, nell’ottobre del 1822 fu costretto a fuggire in Inghilterra. A Londra conobbe i poeti Giovanni Berchet e Ugo Foscolo. Ma fu l’aiuto disinteressato di Giacinto di Collegno, un patriota piemontese ugualmente esule, che gli consentì di superare le più gravi difficoltà. Ma non poteva durare a lungo quello stato di precarietà. Nacque così l’idea di recarsi in Grecia e di unirsi ai rivoltosi, mettendo a disposizione la sua esperienza militare e politica. I due amici si recarono a Nottingham per imbarcarsi verso la Grecia. L’aiuto di Sarah Austin, una dama di sentimenti liberali, facilitò l’imbarco. Santorre Annibale si recò subito a Nauplia, pensando di ottenere qualche incarico di prestigio, ma le negative referenze inglesi lo avevano preceduto. Così fu accolto freddamente e quasi evitato dalle autorità greche.


Nella primavera del 1825 si recò a Patrasso per prendere parte alla battaglia contro Ibrahim Pascià e dopo la vittoria dei rivoltosi, si diresse a Navarino, nell’Egeo. La piccola isola di Sfacteria, di fronte a Navarino, resisteva all’assedio della flotta di Mehmet Alì, che il 5 maggio aveva sferrato l’attacco decisivo. Il 7 maggio furono inviati circa cento soldati in soccorso dei mille greci impegnati nell’assedio. Il francese Antoine Grasset consigliò Santorre Annibale di lasciare l’isola, approfittando delle tante barche ancorate, ma l’italiano rifiutò. La mattina dell’8 maggio fu sferrato un attacco violento e Santorre Annibale fu ucciso da un soldato maltese. Qualcuno raccontò che ad aggredirlo era stato un marinaio egiziano.

Il giorno successivo Giacinto Collegno si recò a Sfacteria in cerca del suo amico, ma il corpo non è stato mai ritrovato.

La notizia destò qualche sensazione tra i patrioti europei, ma Santorre Annibale Derossi non aveva vasta celebrità e fu quindi dimenticato rapidamente. Non fu dimenticata la battaglia di Navarino, la cui conclusione fu molto importante per le sorti della guerra. Un dipinto di Ambroise Louis Garneray, di qualche anno dopo, rappresenta efficacemente lo scontro tra le navi turco-egiziane e i difensori sui bastioni dell’isola.

A Savignano, paese natale di Santorre di Santa Rosa,  è stato eretto un monumento soltanto nel 1868, opera dello scultore romano Giuseppe Luchetti Rossi.


 

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[1]« Dei morti alle Termopili / gloriosa la sorte, / bella la fine,/  la tomba un'ara, invece di pianti,/ il ricordo, il compianto è lode./ Un tal sudario/ né ruggine
né il tempo mangiatutto oscurerà. / Questo sacello d'eroi valorosi / come abitatrice la gloria
d'Ellade si prese. / Ne fa fede anche Leonida, / il re di Sparta, / che ha lasciato di virtù / grande
ornamento e imperitura gloria.» Simonide di Ceo

[2] Menandro, «Muore giovane chi agli dei è caro».

[3] DANTE ALIGHIERI, Inferno IV, 134

[4] JOHANN WOLFGANG GOETHE, Prometheus, in Antologia della poesia tedesca, a cura di Roberto Fertonani, Mondadori, Milano 1991. «Vela il tuo cielo, Zeus, / con vapore di nubi, / esercitati, / simile al bambino / che decapita cardi, / con le querce e le vette dei monti; / ma la mia terra, / e la mia capanna che non costruisti, / e il mio focolare, / per la mia vampa / mi porti invidia».

[5] JOHANN CHRISTOPH FRIEDRICH SCHILLER, Kassandra, in op. cit., p.   « Vana mi è la primavera / che la terra a festa adorna; / chi della vita più si rallegra, / se il suo sguardo la penetra a fondo».

[6] AUGUST VON PLATEN-HALLERMÜNDE, Philemons Tod, in op. cit., p.   «E dorme il sonno di cui l’uomo mai si svegliò. / Subito dopo Atene fu preda dei Macedoni»,

[7] UGO FOSCOLO, Le Grazie, vv. 48-65,  in «Poesie», a cura di Guido Bezzola, Rizzoli, Milano 1976-1988, pp. 125-126.

[8] U. Foscolo, I sepolcri, vv. 213-225,  in op. cit., pp. 98-99

[9] Ibidem, vv. 197-212, pp. 97-98

[10] SIMONIDE DI CEO, R. 18«La vostra tomba è un’ara». E’ nota anche a versione B 24: »Ara vi sia la tomba».

[11] GIACOMO LEOPARDI, “Sopra il monumento di Dante”, in Canti, a cura di Lucio Felici, Rizzoli, Milano 2014, vv. 139-140.

[12] G. LEOPARDI, “All’Italia”, op. cit., vv. 62-73, pp. 6-7

[13] G. LEOPARDI, “All’Italia”, in op. cit., vv. 84-100, p. 8

[14] SIMONIDE DI CEO, «Né, pur essendo morti, sono morti», da Diodoro Siculo (XI, 11, 6).

[15] G. LEOPARDI, “Nelle nozze della sorella Paolina”,in op. cit., vv. 68-75, p. 35

[16] GEORGE BYRON, “Il pellegrinaggio del giovane Aroldo”, in Opere scelte, a cura di Tommaso Kameny, Mondadori, Milano 1993. «O tu in Ellade creduta di nascita divina,/Musa! Favolosamente configurata dalla volontà del cantore!/Molto spesso deturpata dalla più recente poesia in terra,/la mia cetra richiamarti non osa dal tuo sacro collo:/eppure io vagai lungo il tuo celebrato ruscello;/sì! Ti rimpiansi sull’altare di Delfi da tempo deserto,/dove, a parte quella fievole fonte, tutto tace;/né per gratificare la mia lira desto le Nove esauste/per adornare una storia così ordinaria, questo modesto poema».

[17] GEORGE BYRON, Don Juan, canto II, 154, vv.1225-1232, in Opere, cit., p. 392.  «Ma la carne di manzo è rara su queste isole prive di bovini; / di carne di capra ve n’è, e di capretto e di montone. / E quando una festività sparge su di loro il suo sorriso, / su loro spiedi barbareschi infilano bocconcini di carne. / Ma ciò avviene solo raramente, e a distanza di tempo, / poiché alcune di queste isole sono tutta roccia con su qualche capanna; / altre sono belle e fertili, tra le quali la presente, / anche se non grande, era una delle più opulente».

[18]  Ibidem, II, 116, 921-928, p. 381. «La sua fronte di monete d’oro adorna, / irraggiava i suoi capelli d’un castano ramato, / i suoi capelli raccolti, le cui ciocche più lunghe / scendevano in trecce, e per quanto la sua statura / fosse per una taglia femminile rilevante, / quasi le giungevano ai calcagni. E nel suo sembiante / vie era qualcosa della fierezza di chi comanda, / come conviene a una Signora di quella landa».

[19] Ibidem, II, 117, 929-936, p. 381-382. «I suoi capelli, come dissi, erano d’una castano ramato, / ma i suoi occhi erano neri come la morte, le sue ciglia / del medesimo colore, alla cui serica ombra s’incontra / la malia più profonda, poiché non c’è strale, / per quanto rapido, che abbia la potenza fatale / del so sguardo quando dalla frangia corvina affiora. / E’ come il serpente che, prima in cerchi avvolto, si raddrizza / d’un subito e con tutta la sua forza il suo veleno sprizza».

[20] Ibidem, II, 162, 1289-1296, p. 398. «E allora fece ricorso a cenni e a segni / e a sorrisi e lampi, esprimendosi con gli occhi, / e lesse (unico libro a disposizione) i lineamenti / del suo bel volto e trovò, per affinità, / risposte eloquenti là dove l’anima risplende / e in una occhiata rapida lancia una lunga risposta; / e così in ogni sguardo ella trovò l’espressione / di un mondo di parole e di cose di cui congetturare l’accezione». 

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