di Agostino Bagnato

Gli antichi si dilettavano
a cantar la natura:
fiumi, montagne, nebbia,
fiori, neve, vento, luna.
Bisogna armare d’acciaio
i canti del nostro tempo.
Anche i poeti imparino
a combattere.

Ho Chin Minh

Poesie dal carcere, 1942-43

 

L’Italia e Milano sono lontanissime dal Vietnam. Eppure visitando il centro storico della città lombarda ed entrando nel cortile dell’antica Osteria della Pesa, al numero 10 di via Pasubio, ad un certo punto, si fissano gli occhi sopra una targa in marmo che recita testualmente: «Questa casa fu frequentata dal Presidente Ho Chi Minh durante la sua missione internazionale negli anni ’30 in difesa della libertà dei popoli. Nel centenario della nascita 1890-1990».

Com’è stato possibile che nel periodo della dittatura fascista l’Italia ospitasse un rivoluzionario comunista della statura di Nguyen Tat Nanh, vero nome del grande combattente vietnamita? Era esattamente il 1934 e Ho Chi Minh giunse clandestinamente a Milano, proveniente dalla Francia dove si trovava il centro della cospirazione anticoloniale da parte dei patrioti vietnamiti. Ho Chi Minh aveva vagato in numerosi paesi occidentali e negli Stati Uniti, dopo essere stato lungamente a Mosca come rappresentante dei comunisti indocinesi nell’Internazionale comunista, dove conobbe anche Palmiro Togliatti. In Italia era stato una prima volta per pochi giorni negli anni Venti. Giunto in Italia per la seconda, fissò la propria sede a Milano, probabilmente perché doveva incontrare alcuni compatrioti. Prese alloggio in una casa di ringhiera tra viale Pasubio e via Morandi, proprio a ridosso del ristorante denominato “Osteria della Pesa”, esistente dal 1880, dove trovò occupazione come cuoco. Conosceva bene il mestiere di pasticciere perché a Parigi aveva lavorato alle dipendenze del celebre Auguste Escoffier, a quel tempo considerato il re dei cuochi ed ancora oggi, nell’epoca dei master chef, ricordato come il vero maestro dell’arte culinaria. Il rivoluzionario vietnamita sapeva, dunque, il fatto suo e nessuno nutrì sospetti sulla sua identità.

Non fece più ritorno in Italia. Il Vietnam era stato occupato dai giapponesi e i combattenti vietnamiti erano impegnati nella lotta per liberare il proprio Paese dalla dominazione nipponica e successivamente per scacciare i colonialisti francesi. Potevano contare sulla solidarietà dei cinesi e dei sovietici, a loro volta impegnati su diversi fronti, ma sapevano che dovevano fare affidamento principalmente sulle proprie forze. Ho Chi Minh era intanto diventato una leggenda vivente, al pari di Mao tse Dong, in tutta l’Asia.

In Italia, pochi sapevano dove si trovasse il Vietnam. L’attenzione era concentrata sull’India dominata dalla Gran Bretagna e scossa dalla predicazione e dalla lotta non violenta di Mahatma Gandhi, mentre negli altri paesi del continente si addensava la protesta anticoloniale. La seconda guerra mondiale avrebbe portato molti asiatici a combattere nell’esercito inglese e a sbarcare anche in Europa, ma nel dopoguerra la rivolta sarebbe diventata lotta di popolo in numerosi territori, sotto la guida dei comunisti locali. Dopo la sconfitta dei giapponesi e la conclusione vittoriosa della guerra contro il Kuomintang e il generale Chang Kai Shek al termine del 1949, l’attenzione del mondo e dell’Italia si concentrò sulla guerra di Corea, durata ben tre anni, conclusasi con un cessate il fuoco ancora oggi in vigore, da cui nacquero la Corea del Nord e quella del Sud. Del Vietnam non parlava quasi nessuno. Soltanto chi si occupava stabilmente dei problemi geopolitici del sud-est asiatico sapeva della guerra anticoloniale nell’impero dell’Indocina. Era una guerra cruenta condotta dai combattenti vietnamiti, in grande maggioranza contadini, guidati dal giovanissimo generale Vo Nguyen Giap che avrebbe portato alla vittoria nella battaglia di Dien Bien Phu nel 1954 contro l’esercito francese. L’impero indocinese si dissolse e da quel momento la situazione divenne incandescente per gli appetiti imperialistici che si scatenarono sulle spoglie del colonialismo francese. Il nome di Ho Chi Min Minh e dello stesso Giap si sarebbero impressi nella memoria di milioni di persone in tutto il mondo, diventando simboli della lotta anticoloniale e per l’indipendenza nazionale. 

QUADRO STORICO

Ricordate, la tempesta è una buona opportunità
Per il pino e per l cipresso per mostrare
la loro forza e la loro stabilità.

Ho Chi Minh

da La Saggezza

 

Ma come si era arrivati a quella situazione? L’Indocina comprendeva i territori di Vietnam, Laos e Cambogia, accomunati da un unico sovrano che governava l’Impero indocinese, assoggettato alla Francia sul piano coloniale, in base alla spartizione delle zone d’influenza.

Marco Polo e Rustichello da Pisa nel diario di viaggio in Cina, noto nel mondo con il titolo Il milione, scritto tra il 1295 e il 1298, non parlano del Vietnam, anche se descrivono gli immensi territori lungo i fiumi che sfociano nell’oceano Pacifico. Lo stesso si può dire del Mappamondo di Fra’ Mauro, il monaco camaldolese che nel 1450 ha tracciato il planisfero del mondo conosciuto, anche se il vago profilo della penisola indocinese è delineato. Eppure si tratta di una civiltà antichissima. Il territorio che va tra il fiume Rosso a nord e il delta del Mekong a sud, era sotto la dominazione cinese da molti secoli, per cui i viaggiatori veneziani potevano conoscerle quelle terre di riflesso.

Le prime tracce della civilizzazione risalgono al Terzo Millennio a.C., al tempo della dinastia Hong Bang, durata fino al 257 a.C., allorquando la nuova dinastia Thuc sopraggiunse, durata fino al 207 d.C., soppiantata dalla signoria Trieu. Il Vietnam ha il suo centro d’origine nella pianura del Tonchino irrigata dalle acqua del fiume Rosso. Si tratta di una grande conca a forma di anfiteatro rivolta verso il mare, ovvero verso l’oceano Pacifico. La Cocincina è l’altra immensa area che origina il territorio vietnamita. Il termine deriva dall’unione delle parole Viet e Nam, che potrebbero tradursi in «Terra verso il sud», proprio per le caratteristiche fornite dal Tonchino e dalla Cocincina. La conquista cinese risale al 221 a.C., al tempo del regno di An Lac, dominazione durata pressoché ininterrottamente fino al 938 quando l’imperatore Ngo Quyan sconfisse i cinesi e fondò lo stato detto di Dai-Co-Viet. Nel 1225 iniziò l’impero, ma ebbe breve durata e alla fine del XIII secolo l’intero territorio cadde sotto l’impero mongolo. Probabilmente Marco Polo non riuscì ad attraversare quelle immense vallate paludose proprio per l’occupazione mongola. Nel 1471 il Vietnam, riuscito a liberarsi dalla dominazione dei discendenti di Gengis Kahn, sconfisse i regni vicini e conquistò il territorio di Annan.

Tra il 1700 e il 1760 ha inizio la storia del Vietnam moderno. Nel 1789, Nguyen Anh, il più intraprendente dei sovrani dell’epoca, riesce ad unificare l’intero paese, appoggiato da ufficiali francesi presenti sul territorio asiatico in rappresentanza di Luigi XVI. Inizia così la crescente influenza francese nell’intera area, dovendo fare i conti con la presenza olandese, spagnola, portoghese, inglese. Tra il 1858 e il 1883 la Francia riesce a istituire sull’intera Indocina un dominio coloniale, conclusosi con la fine dell’indipendenza del Vietnam nel cruciale anno 1883. L’Impero indocinese, entrato in urto con la forte egemonia nipponica in tutta l’area, provoca ben presto l’aggressione militare da parte delle forze armate del Sol levante e l’invasione dell’intera area. Inizia una feroce lotta di resistenza organizzata e guidata dal Partito Comunista dell’Indocina alla cui testa c’è proprio il prestigioso Ho Chi Min. La guerra si conclude con la vittoria vietnamita sul Giappone, al pari di quella cinese guidata da Mao Tse Dong. Ma se in Cina si scatena la guerra civile tra i comunisti e le forze nazionaliste del Kuomintang, in Vietnam si accende la lotta anticoloniale contro la dominazione francese. Infatti Ho Chi Minh dichiara l’indipendenza del Vietnam e schiera l’armata popolare dei Vietminh a difesa della giovanissima Repubblica. La Francia oppone una feroce resistenza, ma l’esercito di contadini e studenti di Vo Nguyen Giap ha la meglio nella storica battaglia di Dien Bien Phu che si combatte tra il 13 marzo e il 7 maggio del 1954. La Francia aveva scatenato l’offensiva denominata Castor contro il Vietnam indipendente, ponendo al comando il generale Raoul Salan e successivamente il generale Henri Navarre. Tra i soldati un giovanissimo Alain Delon che diventerà celebre dieci anni dopo come attore a fianco di Burt Lancaster e Claudia Cardinale ne film Il Gattopardo di Luchino Visconti. Raoul Salan si porrà alla testa dei coloni francesi in Algeria, contrari all’indipendenza sostenuta da Charles De Gaulle, creando l’organizzazione militare terroristica nota come OAS. Sarà una delle pagine più vergognose della Francia moderna.

All’inizio degli anni Ottanta la scrittrice francese Margherite Duras pubblica il romanzo L’amant che diverrà celebre in tutto il mondo. E’ ambientato proprio in una cittadina del Vietnam meridionale, dove la stessa Duras visse da bambina, figlia di coloni francesi. E’ la storia ‘amore tra la giovanissima ragazza e il fascinoso figlio di un industriale cinese, le cui torbide atmosfere attrassero l’attenzione del regista Jean Jacques Annaud che ne ricavò un film di grande successo. Il tema del Vietnam ritornò sotto i riflettori, mentre la popolazione stremata dalla lunga guerra aveva avviato con successo la ricostruzione e si avviava sulla strada di un rapido sviluppo economico.

Dopo la vittoria di Dien Bien Phu, il nome del Vietnam, di Ho Chi Minh, Vo Nuyen Giap e dei soldati Vietminh diventano popolarissimi nel mondo, prendendo il posto delle notizie che continuano a giungere dalla Corea divisa in due dal 38° parallelo.

La conferenza di Ginevra sull’assetto dell’area indocinese stabilisce la provvisoria divisione del Vietnam in due territori: quello settentrionale con capitale Hanoi egemonizzato dalle forze popolari comuniste affidato alla guida di Ho Chi Minh; quello meridionale con capitale Saigon abitato da una popolazione influenzata dalla cultura francese e dal cattolicesimo affidato a Ngo Dinh Diem. L’intesa riguardava anche lo svolgimento di elezioni e la riunificazione del paese entro il 1956, prevedendo Hanoi come capitale. Ma Ngo Dinh Diem attuò un colpo di stato sotto la protezione militare degli Stati Uniti che si erano rapidamente sostituiti alla Francia nel controllo del delta del Mekong.

La guerra che ne seguì è una delle pagine più martoriate della seconda metà del Novecento. Gli Stati Uniti, preoccupati dell’influenza cinese crescente in tutta l’area sud orientale, scatenarono la loro potenza militare contro i guerriglieri, chiamati Vietcong con intento spregiativo, ovvero “Comunisti del Vietnam”, contribuendo così a fare di questo nome la bandiera della lotta per la libertà e l’indipendenza contro la dominazione imperialista, al pari della figura leggendaria di Ernesto Che Guevara. In tutto il mondo la mobilitazione della forze democratiche a fianco dei combattenti vietnamiti raggiunse momenti di grande pathos e partecipazione popolare. I più importanti artisti in ogni parte del pianete misero a disposizione il proprio talento per diffondere le ragioni degli eroici contadini che nelle risaie e nella giungla del delta del Mekong sfidavano e morivano sotto le bombe al napalm sganciate dai micidiali arei B52 e avvelenati dai defolianti e dalle armi chimiche che la follia americana impiegò, provocando la dura protesta degli stessi giovani USA contro quella che definirono “Dirty war”.

ENNIO CALABRIA, Ritratto di Ho Chi Minh, 1967, olio su tela. Dono dell’artista al presidente Ho Chi Minh

Nacque la “Generazione del Vietnam”, uno dei fenomeni culturali, politici e sociali più importanti del secondo Novecento. Non c’è stata città che non abbia ospitato manifestazioni, cortei, meeting, concerti. In occasione della visita di Richard Nixon a Roma all’inizio del 1972, un gruppo di artisti guidato da Ennio Calabria, tra cui erano presenti Franco Ferrari, Salvatore Provino, Franco Mulas, occuparono di notte i ponti di Roma sul Tevere installando dei manichini a grandezza naturale con il volto del presidente americano. Poi gettarono i manichini nel fiume, lasciandoli a faccia in giù. All’alba i passanti denunciarono la presenza nel fiume di numerosi cadaveri e la polizia, con l’ausilio dei Vigili del Fuoco, si prodigò a recuperali. Quando si occorsero della beffa, lo stupore si trasformò in indignazione contro gli americani: il messaggio di protesta degli artisti era stato così forte che tutti si erano sentiti coinvolti nella protesta. Ennio Calabria dipingerà un ritratto di Ho Chi Minh che Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, porterà con sé nella storica visita ad Hanoi nella seconda metà degli anni Settanta, facendone dono alla Repubblica Popolare del Vietnam. Il pittore e regista cinematografico Gianfranco Baruchello fu dichiarato «persona non gradita» dalle autorità americane per avere preso parte alle numerose proteste a New York organizzate dagli stessi artisti americani. Fu costretto a lasciare gli Stati Uniti e a tornare in Italia.

 

Ennio Calabria, Giap, 1968

Il cinema americano si divise su due fronti: quello della protesta contro la “sporca guerra” guidato tra gli altri da Marlon Brando, Jane Fonda e Robert Redford e quello patriottico incentrato sulle vecchie glorie di Hollywood a cominciare da John Wayne. Successivamente saranno prodotti alcuni film che rimangono nella storia del cinema, come Apocalypse now e The Hunter (Il cacciatore) sulla devastanti conseguenze della guerra sulle coscienze degli americani. Ma fu la musica il grande centro di aggregazione giovanile, con Bob Dylan, Joan Baez e Patti Smith a polarizzare l’impegno di milioni di studenti e di giovani in tutta l’America. Lo stesso accadeva in Europa, coinvolgendo anche musicisti di caratura internazionale come Luigi Nono, Giacomo Manzoni, Claudio Abbado, Maurizio Pollini, Salvatore Accardo, Severino Gazzelloni. L’Italia antifascista e progressista si strinse miracolosamente attorno alla causa vietnamita, sentendo che si trattava di una battaglia di civiltà e di libertà contro la barbarie e l’asservimento. Anche molti vescovi cattolici si unirono alla protesta, non condividendo la lontananza della curia vaticana dalla questione coloniale in generale e di quella vietnamita in particolare. La Chiesa cattolica era impegnata in un diatriba sulla teologia della liberazione che si era aperta dopo il concilio Vaticano II e che rischiava di spaccare e separare parte del mondo latino-americano dal potere di Roma. Quei fermenti sono stati molto importanti per il successivo dibattito all’interno della Chiesa cattolica e per lo stesso dialogo inter religioso che si sarebbe sviluppato negli anni successivi e che è tuttora in corso nel mondo cristiano.

Ennio Calabria, Una vespaio, 1967

Tornando alla guerra sul campo, bisogna ricordare che i Vietcong potevano contare sull’aiuto militare cinese e sovietico e sulla neutralità di Cambogia e Laos, ai cui confini si era formato il celebre “Sentiero di Ho Chi Minh”, corridoio che consentiva il transito di armi e uomini per rafforzare il fronte patriottico vietnamita. A nulla valsero i terrificanti bombardamenti americani sull’intera area per fermare il passaggio degli aiuti. Migliaia di chilometri di gallerie sotterranee rimaste lungamente segrete consentirono di rifornire i combattenti nelle risaie e nella giungla, attirando nello stesso tempo i soldati americani e i componenti l’esercito del Vietnam del sud in trappole mortali, con sistemi che risalivano alla più lontana esperienza militare medievale.

Ennio Calabria, Ispirato al Vietnam, 1966

I più importanti fotografi di tutto il mondo ritrassero gli orrori della guerra in immagini che sconvolsero l’umanità. Celeberrima la foto della bambina nuda che corre sul sentiero aggredito dal napalm. Recentemente è apparsa una signora vietnamita che è stata riconosciuta nella bambina scampata alla morte, commuovendo il mondo abituato agli sconvolgimenti delle guerre attuali nel Medio oriente e del terrorismo devastante nelle citta occidentali.

Ma la protesta internazionale e soprattutto l’indignazione crescente nella società americana, accanto ai successi militari dei vietcong, costrinsero il governo USA a trovare una via di fuga dal Vietnam del sud. Il merito di avere costruito una politica di superamento della guerra va sicuramente a Henry Kissinger, segretario di Stato dell’amministrazione Nixon che il 29 marzo 1973 riuscì a stabilire le linee del ritiro dalla parte meridionale del Vietnam, nonostante le resistenze del corrotto governo di Ngo Dinh Diem. Nel frattempo, le proteste internazionale aumentavano e le manifestazioni contro l’America s’intensificavano. Ma oramai il sentiero era tracciato e non si poteva più tornare indietro. Le armate vietcong s’ingrossavano sempre più di combattenti e la pressione su Saigon era fortissima. Il 30 aprile 1975 i primi soldati liberatori entrarono in Saigon, costringendo i dipendenti dell’ambasciata americana a mettersi in salvo sugli ultimi elicotteri disponibili. Resta memorabile la foto dell’ambasciatore Usa che arrotola la bandiera a stelle e strisce e, tenendola stretta sotto il braccio, corre verso l’ultimo elicottero. Era quello il simbolo più evidente del fallimento dell’avventura del colonialismo americano nel sud est asiatico.

Ennio Calabria, Lontano dal Vietnam, 1972

 

Dopo qualche giorno Saigon fu ribattezzata con il nome Città di Ho Chi Minh, in onore del grande condottiero politico che aveva saputo portare il Paese all’indipendenza e alla vittoria finale sulla più grande potenza politico-militare del mondo. Non aveva fatto in tempo a godere quella grande felicità, circondato dal suo popolo. Era scomparso ad Hanoi il 2 settembre 1969.

 

PROFILO DI HO CHI MINH

Scrivete in modo tale da poter essere
facilmente compresi dai giovani e dagli anziani,
dagli uomini e dalle donne, così come dai bambini.

Ho Chi Minh

 

Registrato con il nome di Nguyen Sinh Chung, è nato il 19 maggio 1890 nel villaggio di Nghe An, nel Nord di quello che era l’Impero indocinese sotto il controllo della Francia. Il padre era un funzionario della corte di Annan, studioso di Confucio e del confucianesimo. La famiglia si trasferì a Kim Lien, ma il padre non visse giorni tranquilli, perché fu accusato di abuso di potere e nel 1910 venne arrestato anche per attività anticolonialista. A quel tempo il rivoluzionario Phan Dai Chan, svolgeva una intensa campagna ispirata ai principi del nazionalismo che influenzarono molti giovani vietnamiti. Andavano maturando le condizioni per il crollo dello stesso impero cinese che, dopo molti secoli dominati dalle varie dinastie e ricco di una cultura ineguagliabile, non era più in grado do reggere l’urto della modernizzazione. L’assenza di una borghesia imprenditoriale ostacolava il processo democratico della transizione, sicché la rottura era destinata a realizzarsi per via rivoluzionaria, in Cina come altrove. Sun Ya Tzen avrebbe portato la Cina alla confusa e contrastata modernità, sfociata prima nel Kuomintang e dopo la liberazione dall’occupazione giapponese, alla costruzione della Repubblica Popolare Cinese sotto la guida di Mao Tse Dong. Lo stesso sarebbe avvenuto nell’Impero indocinese ad opera di rivoluzionari di formazione nazionalista che, con il passare del tempo si rendevano conto dei pericoli del neocolonialismo e imboccavano la strada della conquista del potere attraverso l’intervento delle popolazioni rurali.  

Ennio Calabria, Sentinella vietnamita, 1967 

Il figlio del funzionario della corte imperiale, consapevole dell’impossibilità di mutare la condizione del popolo attraverso le via democratica, si accostò alle idee rivoluzionarie. Nello stesso tempo era fortemente attratto dalla storia e dalla cultura francese, di cui assorbiva gli echi all’interno della famiglia e negli stessi ambienti locali. Francesi erano le scuole e la maggior parte degli insegnanti, come erano francesi i dirigenti e i funzionari di grado più alto della pubblica amministrazione. Il giovane Nguyen Sinh Chung decise di recarsi a Parigi per trovare lavoro e studiare, unitamente a molti altri connazionali. Il soggiorno francese fu molto importante per la sua formazione umana e intellettuale, sia per i rapporti instaurati con molti lavoratori ed esuli vietnamiti e di altri territori asiatici, sia per la frequentazione degli ambienti politici, culturali e artistici francesi. E’ questo il periodo in cui conosce il celebre pasticciere Auguste Escoffier, di cui diventa uno stretto collaboratore. Nel 1911 si recò negli Stati Uniti e dopo il ritorno in Europa dopo la conclusione della Prima Guerra Mondiale, a partire dal 1919 si fermò a Londra dove lavorò ancora una volta come cuoco. Ma l’ambiente inglese gli va stretto e decide di tornare in Francia, entrando in contatto con le organizzazioni rivoluzionarie anticolonialiste.

Intanto la situazione all’interno del Vietnam era profondamente mutata. A partire dal 1917 furono organizzate grandi manifestazioni anticoloniali, ispirate dallo stesso imperatore Day Tan, consapevole del fatto che l’unica strada per salvare il regno e la dinastia restava quella dell’indipendenza totale dalla Francia. Gli avvenimenti rivoluzionari che si erano verificati in Russia, che avevano provocato la caduta del regime zarista e la successiva Rivoluzione d’ottobre guidata dai bolscevichi, esercitarono una grandissima influenza sui gruppi anticoloniali in Asia e le stesse forze nazionaliste guardavano con attenzione ai circoli rivoluzionari d’ispirazione comunista.    

Nguyen Sinh Chung si iscrisse al Partito Socialista Francese e chiese di prendere parte alla conferenza di Versailles nel 1919 che avrebbe stabilito le condizioni della pace dopo la sconfitta della Germania e della Turchia. La Russia era uscita dal conflitto in seguito alla Rivoluzione d’ottobre e l’armistizio separato di Brest Litovsk. Ma la richiesta fu ignorata, anche per il suo carattere incongruo e provocatorio. A quel punto si schierò con la Terza Internazionale fondata da Vladimir Il’ič Lenin e aderì al Partito Comunista Francese che era stato da poco fondato da Marcel Cachin. Fu la svolta decisiva della sua vita e un passaggio storico per il futuro del Vietnam.

Nel 1923 si recò a Mosca e su richiesta della sezione asiatica del Komintern, fu inviato a Canton per collaborare con il Partito Comunista Cinese. Tornato in Russia dopo la fine della guerra civile cinese, fissò la propria dimora in Crimea. Ma i differenti centri rivoluzionari vietnamiti operanti in Europa richiedevano un coordinamento autorevole e si pensò proprio a Nguyen Sinh Chung per svolgere questa missione. Verso la fine degli anni Venti partì nuovamente per l’Europa, mentre nel 1929 a Hong Kong veniva fondato il Partito Comunista del Vietnam, (Veit Nam Cong Son Dang). Ma i dirigenti del Komintern si resero ben presto conto che era necessario un fronte più ampio per combattere contro il colonialismo francese, coinvolgendo gli altri territori in un fronte comune. Fu così deciso di costituire il Partito Comunista Indocinese, facendo fronte comune tra Vietnam, Laos e Cambogia. Ho Chi Minh, rientrato provvisoriamente nel proprio paese, fu arrestato e soltanto nel 1933 riacquistò la libertà. Tornò in Europa, peregrinando in diversi paesi e nel 1934 si trasferì per qualche tempo a Milano, lavorando come cuoco nel ristorante Osteria della Pesa.

Il soggiorno italiano non lasciò molta traccia nella personalità del futuro presidente del Vietnam, anche perché riprese dopo poco tempo la via del ritorno in Russia, da dove si recò in Cina dove Mao tse Dong aveva iniziato la Lunga Marcia in seguito al massacro di Shangai dei comunisti. Riuscì a unirsi ai combattenti maoisti e ad entrare in contatto con lo stesso Mao, di cui divenne uno collaboratore. Decise di cambiare nome, adottando quello di Ho Chi Minh, ovvero «Colui che porta la luce», secondo il costume e la tradizione dei dirigenti e dei combattenti rivoluzionari in ogni parte del mondo. Quel nome di battaglia non lo abbandonerà mai più ed entrerà nella storia del Vietnam, dell’Asia e del mondo, divenendo una delle bandiere più importanti della lotta anticoloniale e antimperialista. L’esperienza cinese fu decisiva per la sua formazione militare, non tanto come comandante di uomini armati, quanto come teorico, stratega e organizzatore del movimento popolare di liberazione che, oltre alla lotta armata, prevedeva una intensa e costante iniziativa politica e di relazioni diplomatiche.

Nel 1941 fece ritorno in Vietnam per organizzare la lotta contro i giapponesi che avevano occupato la Cina e la stesso territorio vietnamita.

Ennio Calabria, Vietnam in occidentale, 1973

Nacque il movimento popolare di liberazione al quale fu posto il nome di Viet Minh, abbreviazione di Viet Nam Doc Iap Dong minh Hoi, tradotto con la sigla "Lega per l'Indipendenza del Vietnam". Si trattava di un'organizzazione politico-militare che mescolava nazionalismo e comunismo. A differenza dei movimenti comunisti europei e occidentali, fondati sul ruolo strategico della classe operaia e sulla dittatura del proletariato adottata nella Russia bolscevica, che Ho Chi Minh aveva imparato a conoscere nelle sue peregrinazioni, il movimento vietnamita faceva tesoro dell’esperienza maoista che basava la sua forza sul ruolo delle masse contadine e del mondo rurale. Il proletariato urbano era piccola parte del movimento politico-militare asiatico, in quanto la stragrande maggioranza della popolazione era dedita all’agricoltura e viveva nelle sterminate campagne. Di conseguenza, era sulla storica aspirazione delle masse contadine all’emancipazione e alla conquista della terra, rompendo le gabbie del feudalesimo asiatico, che bisognava fare leva per mobilitare il popolo contro i gli invasori prima e contro i grandi proprietari latifondisti e gli eredi dei mandarini e dei dignitari delle corti imperiali.

Il movimento creato si estese rapidamente ed in poco tempo riuscì a creare una mobilitazione antigiapponese di vaste proporzioni. Il prestigio di Ho Chi Minh andava aumentando e nel 1942 fu invitato a partecipare ad un incontro con i dirigenti del Partito Comunista Cinese all’interno del territorio controllato dal Kuomintang. Venne arrestato e imprigionato per circa due anni, ma riuscì a ottenere la libertà per prendere parte alla lotta antigiapponese, fronte comune in quel periodo di nazionalisti e comunisti nell’area occupata dal Sol Levante.

Nella lotta armata contro i giapponesi si distinse un giovanissimo ufficiale di nome Vo Ngyen Giap, a cui fu affidato ben presto il comando generale dell’Esercito di Liberazione del Vietnam, creato come struttura militare del Viet Minh. Ho Chi Minh divenne il capo politico del movimento e guidò la lotta contro il Giappone e il locale governo imperiale fantoccio di Bac Dai. Il 2 settembre 1945, poco dopo la tragedia di Hiroshima e Nagasaki e il conseguente crollo dell’esercito nipponico, Ho Chi Minh dichiarò l’indipendenza del proprio paese, indicando il nome del nuovo stato come Repubblica Democratica del Vietnam. L’imperatore Bac Dai rassegnò le dimissioni e Ho Chin Min fu eletto presidente del Vietnam da parte della Lega, ovvero dei Viet Minh.

Nella vicina Cina proseguiva intano la guerra civile che opponeva Mao tse Dong e i comunisti da una parte e Chang Kai Shek e i nazionalisti del Kuomintang dall’altra, conclusasi con la vittoria schiacciante del primo che, nel 1949 entrava in Pechino, proclamando la Repubblica Popolare Cinese. Ho Chi Minh e il Vietnam potevano contare a questo punto sul sostegno politico ed economico del grande paese vicino e della più lontana Unione Sovietica per la ricostruzione dell’intero territorio compreso tra il Tonchino e la Cocincina. In effetti, l’indipendenza del Vietnam non si poteva considerare totalmente acquisita, perché la Francia rivendicò i propri diritti coloniali, rifacendosi al protettorato di fine Ottocento. Iniziò un nuovo conflitto armato che si concluse nella storica battaglia di Dien Bin Phu, nel 1954.

Il resto è noto. Ancora una volta il senso politico e la grande capacità d’iniziativa di Ho Chi Minh riuscirono ad avere la meglio. Fino al momento della morte, avvenuta nel 1969 ad Hanoi. Il mausoleo che il popolo gli ha dedicato è la più alta attestazione di affetto e di riconoscenza per la sua opera rivoluzionaria.

La situazione vietnamita s’intrecciò con la rivoluzione dei garofani in Portogallo e la conseguente fine del colonialismo portoghese. Il Mozambico, l’Angola, la Namibia e la Guinea Bissau ottenevano così l’indipendenza e si apriva un capitolo completamente nuovo per l’Africa. Ma la splendida vittoria del Vietnam contro la più grande potenza economica e militare del mondo, qualche anno dopo, sarebbe stata offuscata dalle terribili vicende della Cambogia. Il colpo di stato di Long Nol contro Norodom Sianhouk e l’ascesa al potere di Pol Pot alla testa dei Khmer rossi porterà ad una delle pagine più tragiche della storia dell’Indocina, con lo sterminio di circa due milioni di oppositori da parte del regime sanguinario di Pol Pot, nel nome usurpato del comunismo.

I rapporti tra il Vietnam e la Cambogia non sono mai stati di grande serenità. Di conseguenza, la lotta per l’indipendenza condotta da Ho Chi Minh non poteva non avere riflessi sulle relazioni tra i due paesi. Il principe Norodom Sihanouk non era stato ancora incoronato re, fu sempre molto abile nel tenere lontano il suo paese dal conflitto, riuscendo a dichiarare la neutralità e ad far riconoscere la Kampukea come Stato non allineato. Ma la sua politica si scontrò con la prepotenza americana, che, avendo bisogno disperato di una base militare per condurre meglio le operazioni contro i vietcong, mentre Sihanouk era in visita a Mosca, lo fecero destituire da Nol Nol. La reazione dei paesi occidentali fu molto tiepida, ma in Italia si svolsero numerose manifestazioni di protesta, anche perché Norodom Sihanouk godeva di molte simpatie per la bonomia del carattere e per la neutralità che nascondeva una aperta simpatia per i vietcong.

Altro aspetto da tenere presente è quello riguardante i rapporti tra il Vietnam e la Cina. A tutti gli effetti, nel corso della storia millenaria dell’intera zona, il Vietnam è stato lungamente tributario del Celeste Impero. I segni delle dominazioni feudali non si cancellano facilmente e affiorano nelle circostanze più imprevedibili. Ho Chi Minh è stato sempre molto attento a non far dipendere il successo della lotta per l’indipendenza dalla Cina, anche per evitare il rischio di una sottomissione psicologica oltre che politica. L’aiuto militare ed economico venivano principalmente dall’Unione Sovietica e in quegli anni rapporti tra Russia e Cina e tra i due rispettivi partiti, erano molto tesi per precise divisioni ideologiche. La ragione era dottrinaria, legata all’interpretazione del marxismo-leninismo, ma dietro vi era la lotta senza quartiere per i controllo del movimento comunista internazionale e della lotta di liberazione in tanti paesi del mondo.  

Il Vietnam è stato costretto ad occupare militarmente la Kampukea per porre fine al massacro, denunciando al mondo la catastrofe sanguinaria perpetrata. Norodom Sihnouk tornerà nella capitale Phnom Penh, restandovi ancora a lungo, tra alterne vicende.

I VIETCONG E L’ITALIA

Tutto cambia, è la legge,
la ruota gira, gira,
dopo la pioggia il sereno.
In un attimo
il mondo cambia l’umida veste,
splende su diecimila
tappeti splendidi.
Dole il sole,
leggera la presenza del coro dei passeri.
Uomini e bestie
Si sentono come nuovi.
E la natura
Dopo il dolore
La gioia.

Ho Chi Minh

Dopo l’esplosione atomica di Hiroshima e Nagasaki e la prosecuzione degli esperimenti nucleari da parte americana e sovietica, nell’opinione pubblica mondiale andava crescendo la paura di un conflitto militare tra le grandi potenze che avrebbe comportato l’impiego di armi sempre più distruttive. La divisione del mondo in due blocchi contrapposti, la nascita della NATO e del Patto di Varsavia, la guerra di Corea e le tensioni seguite al colpo di stato in Grecia e in Cecoslovacchia da parte dei comunisti, accanto alle crisi ricorrenti nell’Asia minore e alla nascita della stato di Israele, aumentarono la paura nella guerra e spinsero molte forze politiche democratiche a impegnarsi sul fronte pacifista, traendo spunto anche dall’esempio di Mahatma Gandhi. Non era sufficiente l’iniziativa parlamentare e dei governi, occorreva coinvolgere masse sempre più estese di cittadini di ogni ceto sociale e fede religiosa, verso i quali era necessario svolgere un’operazione di sensibilizzazione e di coinvolgimento.

Nacque così il movimento per la pace che si espresse in modi molti differenti, da paese a paese. L’Unione Sovietica inizialmente egemonizzò il movimento sul piano internazionale, facendo leva sulla presenza dei partiti comunisti locali e sul rapporto con il fronte sindacale, organizzando il Festival mondiale della Pace nelle varie nazioni. Uomini di cultura, intellettuali, artisti, dirigenti politici di varia estrazione presero parte ai raduni annuali. Pablo Picasso disegnò la celebre Colomba della Pace che divenne il simbolo delle aspirazioni dei popoli di ogni continente per un futuro libero da guerre. Nello stesso tempo si sviluppò la consapevolezza di un disarmo generalizzato, in particolare sul piano atomico.

In Italia, il movimento per la pace e per il disarmo si andò chiaramente delineando dopo l’adesione al Patto Atlantico. Non soltanto le forze social-comuniste furono impegnate nella organizzazione di comitati e manifestazioni in ogni parte del Paese, ma anche larghi strati del mondo cattolico guardavano con attenzione e con simpatia alla lotta contro la guerra, preoccupati delle minacce che pesavano sull’umanità. Non era tanto in discussione la collocazione atlantica, ovvero il rispetto degli accordi di Jalta che vedevano l’Italia nell’area occidentale, quanto il riarmo che impegnava le strutture militari e la stretta dipendenza dagli Stati Uniti. La paura del comunismo e la scomunica dei comunisti da parte di Pio XII pesavano ancora sulle coscienze di milioni di cattolici. Tuttavia, figure importanti di uomini di fede come don Andrea Gaggero, padre Ernesto Balducci, don Lorenzo Milani e molti altri, accanto a dirigenti politici come Giorgio La Pira e Giuseppe Dossetti, aprirono la strada all’impegno militante dei cattolici sul fronte della pace.

Dopo la scomparsa di papa Pacelli, il magistero di Giovanni XXIII e lo spirito conciliare che ne seguì favorirono l’impegno dei cattolici sul fronte del pacifismo e della non violenza, passando dalla predicazione evangelica alle iniziative politiche e sociali. Contemporaneamente si manifestò l’impegno di molti sacerdoti sul fronte sindacale, fenomeno noto come preti-operai, altra manifestazione di apertura della Chiesa alla modernità, nel segno della dottrina sociale dettata nel 1891 da Leone XIII con l’enciclica Rerum Novarum.

In questo crogiolo di fermenti e di slanci ideali un contributo importante fu offerto dalla lotta dell’eroico popolo vietnamita, prima contro il colonialismo francese e in seguito contro le mire imperialistiche americane. La vittoria di Mao Tse Dong in Cina e la creazione della Repubblica Popolare Cinese, le rivoluzioni anticoloniali in tutto il mondo, la stessa battaglia dei neri d’America contro la segregazione aprivano le porte alla speranza di un mondo migliore. Poi fu l’orrore delle rivelazioni dei crimini di Stalin e la repressione della rivolta ungherese, ma il movimento favorevole all’impegno unitario non venne meno in Italia.

La figura probabilmente più importante del pacifismo italiano è quella di Aldo Capitini, intellettuale umbro di grande levatura morale, che il 24 settembre 1961 organizzò la Marcia della Pace svoltasi tra Perugia e Assisi, divenuta un appuntamento annuale fisso del pacifismo e dell’obiezione di coscienza. In quella occasione fu presentata la bandiera multicolore a strisce orizzontali, nota come bandiera arcobaleno, divenuta il vessillo della pace in tutto il mondo. La manifestazione attuale è soltanto la pallida rappresentazione di quello che è stato il grande movimento ideale per la pace tra i popoli e l’internazionalismo, sia per le mutate condizioni socio-politiche del Paese, sia per il prevalere del carattere antagonistico di gruppi lontani da quella matrice popolare.

Altro grande storico appuntamento è stata la Marcia della Pace organizzata dal sociologo Danilo Dolci tra Milano e Roma e conclusasi nella capitale della Repubblica il 25 novembre 1967. Partiti dal capoluogo lombardo, migliaia di manifestanti attraversarono città, borghi e villaggi rurali coinvolgendo milioni di persone lungo il percorso sui temi della pace e dello sviluppo economico, nel nome della fratellanza dei popoli. Fu il momento probabilmente più alto della mobilitazione di massa sul tema del pacifismo e della solidarietà.

Al centro di tutte le manifestazioni c’era l’opposizione alla guerra nel Vietnam. A parte la grande simpatia e l’ammirazione che il coraggio dei piccoli vietnamiti suscitavano tra i lavoratori, i giovani e nell’opinione pubblica in generale, in Italia cresceva l’indignazione per la terribile guerra distruttiva condotta con armi sempre più potenti. «Oggi al Vietnam, domani a chi toccherà?» si chiedevano tutti. Ma per questo atteggiamento positivo, non può essere dimenticato il contributo importante che hanno offerto gli stessi dirigenti vietnamiti con la loro politica.       

Una delle principali iniziative di Ho Chi Minh fu di stabilire relazioni molto strette con tutti i paesi democratici, con i partiti politici di formazione popolare e con il movimento dei lavoratori a ogni livello. Principali interlocutori divennero le forze socialiste e comuniste in Europa, oltre al movimento sindacale e alle organizzazioni di lavoratori di ogni genere. Il Partito Comunista Italiano e la Cgil furono i primi a schierarsi decisamene a fianco del Vietnam in lotta contro i francesi e poi contro gli americani. Ma i vietnamiti non potevano ignorare il ruolo del Vaticano nel mondo, anche per la presenza cattolica nella parte meridionale del paese; di conseguenza, stabilirono contatti con la Santa Sede, preceduti dall’attività di Giorgio La Pira. Paolo VI fu molto cauto nell’apertura di credenziali verso Hanoi, perché il tabù comunista era ancora molto forte, ma numerosi vescovi si schierarono a fianco di quanti manifestavano per la cessazione del massacro perpetrato dagli americani e per la pace.

All’inizio degli anni Settanta il Vietnam inviò in Europa la signora Nguyen Thi Binh a prendere contatti con i governi locali e con i movimenti di protesta e di solidarietà con il popolo vietnamita. Chi scrive ha avuto modo d’incontrare la signora Thi Binh a Firenze, nel corso del 1971, durante la manifestazione indetta dall’Alleanza dei Contadini, organizzazione di piccoli agricoltori e di coltivatori diretti, in segno di solidarietà e per la pace. Nel teatro Apollo gremito di agricoltori si presentò una donna ancora giovane, vestita con grande semplicità, che parlando in francese, ha illustrato le ragioni del popolo vietnamita e ringraziato il movimento democratico italiano per il sostegno alla causa della pace. Ma quello che più sorprese i presenti fu la fermezza con cui la militante Vietcong rifiutò la proposta che in quei mesi terribili di combattimenti e di distruzioni a causa delle bombe sganciate a tappeto dai B52 sui villaggi e nella giungla, era stata avanzata da parte di molte organizzazioni di inviare volontari a combattere a fianco dell’esercito di liberazione. «Noi combattiamo per la nostra indipendenza e dobbiamo ottenere la vittoria finale facendo affidamento sulle nostre forze, perché il popolo vietnamita è unito e la sua unità è invincibile». Quella affermazione era anche una risposta agli attacchi che da più parti venivano rivolti al Partito Comunista Italiano perché non aveva indetto una mobilitazione per organizzare volontari armati da fare partire per il Vietnam. La posizione di Luigi Longo e poi di Enrico Berlinguer è stata sempre ferma e decisa: non si poteva costruire un fronte armato, contrario alla Costituzione della Repubblica Italiana e soprattutto violando gli accordi internazionali, legittimando così l’aggressione americana. Era stato Ho Chi Minh che aveva fissato i principi dell’internazionalismo politico: solidarietà ma nessuna ingerenza.

Pablo Picasso, Colomba della Pace

A Roma, qualche anno prima in Piazza Navona, nel corso di una manifestazione basata sulle testimonianze di un gruppo di osservatori e di giornalisti che aveva visitato il Vietnam e si era incontrato ad Hanoi anche con Ho Chi Minh, Antonello Trombadori aveva provato a forzare i concetti di solidarietà. Facendo leva sulla descrizione degli orrori provocati dalla guerra sulla popolazione e sulle atroci conseguenze causate dai bombardamenti, in particolare sui bambini, sollevando applausi di consenso da parte dei presenti, accanto alla esagitata approvazione di gruppi estremisti della sinistra che avrebbe da lì a qualche mese provocato la rottura del gruppo del Manifesto. Ma si levò subito dopo, concludendo la manifestazione, la voce di Giancarlo Pajetta, membro della segreteria del PCI, che rigettò le argomentazioni favorevoli ai volontari, sostenendo che bisognava rispettare la volontà delle autorità di Hanoi. Sapeva di cosa parlava, perché non era un mistero per nessuno che il PCI intratteneva relazioni politiche con il Partito Comunista del Vietnam e che Mosca era il centro in cui avvenivano gli incontri. Lo stesso Enrico Berlinguer, prima ancora di essere nominato segretario del partito nel 1972, aveva svolto alcune missioni in questo senso, avendo un incarico preciso all’interno della Sezione esteri di Botteghe Oscure.

Non è un mistero che i comunisti italiani riuscirono a creare una mobilitazione straordinaria attorno alla questione vietnamita. Pochi sapevano dove si trovasse quella nazione, ma la simpatia e la solidarietà verso quel popolo composto da persone di piccola statura e dai modi gentili affabili, giocarono un ruolo grandissimo. I comunisti non condussero da soli la protesta, riuscendo a coinvolgere le altre forze democratiche e anche numerose organizzazioni cattoliche.

Durante le manifestazioni in ogni parte d’Italia, le bandiere rosse sventolavano accanto a quelle dei sindacati, del volontariato, degli enti locali. A Roma, di fronte all’ambasciata americana in Via Veneto, a scontrarsi con la polizia erano studenti, operai, artigiani, impiegati, pensionati, di ogni fede politica e credo religioso. La visita di John Westmoreland, il generale del Pentagono che comandava le truppe di occupazione nel Pacifico, si trovò di fronte un muro umano invalicabile nel corso della sua visita a Roma. Per non parlare di Richard Nixon che fu oggetto della memorabile performance artistico-politica dei manichini gettati nel Tevere. Attori, cantanti, musicisti, atleti erano in prima linea nella protesta contro quella che era considerata una vera e propria guerra di conquista contro un popolo povero e provato dalle guerre coloniali precedenti. In ogni consiglio comunale, provinciale e successivamente in quello regionale gli ordini del giorno di solidarietà con i vietcong erano continua e quasi sempre venivano approvati con il voto favorevole dei rappresentanti della Democrazia Cristiana.

Quegli erano gli anni vissuti dalla «Generazione del Vietnam». Restano passioni, esperienze, orgoglio e la coscienza di avere compiuto il proprio dovere nei moltissimi superstiti. Ma restano il Vietnam liberato e unificato, una nazione in pieno sviluppo, un popolo fiero e dotato di grande dignità. Subito dopo la conquista di Saigon, trasformata in Citta Ho Chi Minh, è iniziata la fuga dal Vietnam del Sud dei collaboratori del dittatore Ngo Dinh Diem. Imbarcandosi su fragili sampan si avventuravano nell’Oceano Pacifico, sperando di poter essere salvati da navi pescherecce o mercantili in navigazione. Erano i «boat people», come furono battezzati dalla stampa internazionale, presentati all’opinione pubblica come perseguitati dal regime comunista. Ma il Vietnam riuscì a superare rapidamente le maggiori difficoltà della riconciliazione. Oggi moltissimi vietnamiti sono venuti anche in Italia in cerca di lavoro e numerose imprese italiane hanno creato strutture produttive in quel lontanissimo paese. Le relazioni tra Italia e Vietnam sono molto positive e sono sicuramente destinate a migliorare ulteriormente.  

Ma la leggendaria lotta vietnamita è alle spalle. Il mondo oggi si trova ad affrontare altre sfide, non meno terribili. La lezione del Vietnam è servita soltanto in parte, perché ogni area del mondo è un fatto a se stante e la storia non può essere replicata.

Agostino Bagnato

Roma, maggio-giugno 2018

RINGRAZIAMENTI

L’autore ringrazia Mauro Bitti, Paola Brianti, Ennio Calabria, Fulvio Gressi, Michele Ingenito, Salvatore Provino per le informazioni fornite. La responsabilità delle cose scritte è interamente dell’autore.

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