di Armida Corridori

S’ornano il ciel le stelle, ornan le donne il mondo,
con quanto è in lui di bello e di giocondo.
E come alcun mortale
Viver senz’alma e senza cor Non vale
Tal non pon senza d’elle Gli uomini aver per sé Medesimi aita
Che è la donna de l’uom Cor, alma e vita.

Madrigale di Moderata Fonte
Vero nome Modesta Pozzo (1555-1592)

INTRODUZIONE
La storia è stata fatta anche dalle donne. Fino a non molto tempo fa e in alcune parti del mondo ancora oggi, esisteva un’asimmetria sociale che vedeva le donne escluse dall’accesso alla vita pubblica e l’assenza dai momenti cruciali della storia.
La questione investe innanzi tutto la narrazione della storia stessa, che fino a tempi molto recenti è stata esclusivamente maschile.
Nel narrare una storia c’è sempre il rischio in modo consapevole o meno, di attuare una scelta dei fatti, dei protagonisti, delle circostanze, di creare cioè un’ideologia che produce senso, evidenze false che diventeranno poi un modo legittimo e normale di pensare e agire. Tale scelta, a sua volta, indirizza il mondo, facendo apparire come “naturali” e quindi giustificando situazioni che tali non sono.
Basti pensare al fatto che una descrizione “naturalistica” e “puramente descrittiva” della storia, della cultura, delle caratteristiche di popoli diversi per il colore della pelle, ha fondato la ragionevolezza dei genocidi e della schiavitù.
Un’altra questione fondamentale è quella del linguaggio.
Ma il linguaggio traduce verso l’esterno un processo interno di pensiero che trova la sua origine nello sguardo rivolto all’altro.
La dimensione sessuale non è estranea ad alcuna vicenda umana, nemmeno a quelle storiche e politiche, come non lo è quella corporea a essa connessa nonostante le pretese cartesiane del pensiero occidentale.
Nella narrazione storica appare evidente che anche quando si occupa di figure femminili di spicco e indiscussa autorevolezza come le regine, affiora sempre una considerazione specifica riferita al loro aspetto, un soppesarle alla luce del loro corpo e della loro sessualità.
Ovviamente non viene nemmeno considerato in relazione ai personaggi maschili, se non in rari casi. Per tutti questi motivi si impone ormai l’esercizio di una contro-narrazione storica alla luce di una lettura fondata su un’epistème della differenza.
Nell’agire della storia c’è una differenza delle donne rispetto agli uomini: oikos  e polis, la dimensione privata e quella pubblica sono per loro strettamente interconnesse, l’una determina l’altra, implicando scelte e azioni peculiari.
L’ambiente scientifico è senz’altro quello in cui si è maggiormente determinato il pregiudizio contro le donne fondato su una presunta “naturale” minore inclinazione femminile per il pensiero logico-razionale.
È sufficiente invece anche una ricerca superficiale per incontrare un grande numero di donne che in ogni tempo hanno conseguito risultati importanti nelle cosiddette “scienze dure”.
Ad esempio, nonostante la mistica tedesca Ildegarda di Bingen quattrocento anni prima di Copernico abbia suggerito un modello eliocentrico del cosmo, questa idea è universalmente conosciuta come “rivoluzione copernicana”.
Nel 1945 all’astronoma Margaret Burbidge, direttrice del Royal Observatory di Londra dal 1927, fu interdetto l’accesso all’osservatorio di Monte Palomar in quanto “provvisto di bagni per soli uomini” e non ha potuto conseguire il titolo di Astronomo Reale come era suo diritto.


L’astronoma Margaret Burbidge

In Italia fino a cinquant’anni fa circa, nelle scuole medie l’ora di applicazioni tecniche prevedeva un programma differenziato per i due sessi.
Le alunne imparavano il ricamo e il punto a croce, come gestire la casa, mentre ai maschi venivano insegnate le tecniche per il traforo o come accendere una lampadina collegando due fili.
Oggi nessuno si sognerebbe di impartire insegnamenti differenziati per i due sessi ma si è ancora lontani dall’aver superato molti di quei pregiudizi.
Nonostante le evidenze non si riflette abbastanza a quanta conoscenza si rischia di perdere ogni giorno impedendo alle ragazze di esprimersi liberamente.

SCIENZIATE OGGI, ANDARE OLTRE GLI STEREOTIPI
Per rompere il “soffitto di cristallo” bisogna vederlo. Quante donne si sono fermate prima di “fare il salto”, per mancanza di opportunità, per la difficoltà di conciliare l’impegno lavorativo con la presenza in famiglia.
È riduttivo denunciare il cosiddetto “soffitto di cristallo” in quanto quell’immagine porta a pensare che il problema sia solo nell’”ultimo miglio” professionale per arrivare ai gradi più alti della carriera.
Non sempre è facile rendersi conto dei mille modi in cui il gender gap può manifestarsi né quanto sia profondo , radicato, millenario.
Uomini e donne siamo stati cresciuti con quello schema mentale e non siamo affatto strutturati per riconoscere i tanti comportamenti che implicano disparità o pregiudizi di genere. Questa realtà è confermata dalla letteratura psico-sociale: gli stereotipi di genere sono istillati fin dall’infanzia e sono presenti in entrambi i sessi. Si consolidano con la preadolescenza condizionando comportamenti e messaggi consci e inconsci che hanno effetti negativi sull’autostima femminile.
Negli ultimi vent’anni anche l’istruzione universitaria è stata investita da numerosi cambiamenti, non c’è dubbio.
Il numero degli studenti, soprattutto ragazze è aumentato in misura significativa ma ha messo in evidenza un nuovo fenomeno. La scelta degli ambiti di studio evidenzia un divario di genere.
Le ragazze si iscrivono prevalentemente nelle aree artistiche, umanistiche e sociali, mentre i ragazzi prevalgono nelle scienze ingegneristiche, tecnologiche e matematico-informatiche, ovvero le materie STEM.
Secondo i dati ANVUR (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), nell’ultimo anno accademico preso in considerazione il 2021/2022, le ragazze immatricolate sono state il 39,3% per quanto riguarda le materie STEM, mentre sono state il 78% tra le immatricolazioni nell’area artistica, letteraria ed educativa.

È COLPA DELLA BIOLOGIA?
Questi dati sembrerebbero confermare l’opinione diffusa secondo cui alcune competenze o talenti sarebbero maschili o femminili.
Prendiamo per esempio la matematica. I risultati dei test OCSE-Pisa condotti sugli studenti, hanno rilevato che non esistono differenze significative nelle performance logiche e computazionali tra bambini e bambine.
Il gap fra i due sessi emerge negli anni successivi anche se è diminuito rispetto a 20 o 30 anni fa. I risultati cambiano da paese a paese, variano nel tempo e secondo le aree geografiche, pertanto la biologia c’entra poco.
Questo succede come conseguenza dei riscontri differenti che insegnanti o genitori danno anche se non intenzionalmente a ragazzi e ragazze rispetto alle loro capacità e abilità.



Questi feeaback, una volta interiorizzati, hanno un effetto negativo sull’autostima femminile e fanno credere alle ragazze di essere inadeguate per determinati ambiti di studio o di lavoro.
A livello “macro” le donne risultano svantaggiate anche dalla mancanza di politiche del lavoro, di welfare, di pari opportunità. L’Italia fa molto poco in tema di occupazione femminile. Secondo i dati Eurostat, il tasso di occupazione femminile di età compresa tra i 20 e i 64 anni al IV trimestre 2022 è stato del 55% mentre la media UE è stata pari al 69%. A ciò si aggiunge il fatto che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità.

LE DONNE DELL’ACCADEMIA
Anche in questo ambito i numeri sono ancora ampiamente a vantaggio degli uomini. Nelle università italiane, su dieci professori ordinari, sette sono uomini. Su 99 rettori e rettrici in carica nel 2024, solo tredici sono donne.
In molti casi si tratta della prima donna a capo di istituzioni centenarie. Nel 2020, Antonella Polimeni è diventata la prima rettrice in sette secoli di storia della Sapienza Università di Roma.
Nello stesso anno è stata eletta anche Tiziana Lippiello, prima donna a guidare l’università Ca’ Foscari di Venezia; nel 2021 la svolta è arrivata all’Università di Padova che, 799 anni dopo la sua fondazione ha eletto Daniela Mapelli prima rettrice.
Hanno una rettrice donna l’Università di Ferrara, di Firenze, del Politecnico di Milano, di Milano-Bicocca, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, della Val d’Aosta.
Nonostante questo elenco continui a crescere, quello delle donne al vertice degli Atenei rimane un fenomeno limitato in quanto solo poco più di un quarto dei professori ordinari è donna.
Bisogna essere professore ordinario per ambire alla carica di Rettore.
C’è una parte di responsabilità da parte delle donne nel mantenere il gender gap, nel non reagire alle discriminazioni o sopraffazioni?
Non c’è dubbio che le donne abbiano una minore propensione all’autopromozione, quindi dal momento che non chiedono di essere promosse, difficilmente lo saranno?
La risposta è complessa. Intanto bisogna considerare le circostanze che sono “dietro le quinte”. Se lavoro in un ambiente che mi è ostile, dove non vengo valorizzata, ascoltata, sarò meno propensa a chiedere una promozione.
Siamo tutti anche il risultato del contesto che ci circonda. È la sindrome dell’impostore, ovvero la condizione psicologica che ci fa credere di non meritare i successi ottenuti.
Se gli altri non credono in me, sarà difficile per me crederci. D’altra parte se è il contesto a influenzare le dinamiche sociali, allora c’è speranza per il futuro.
Un segnale è arrivato anche con l’assegnazione nel 2023 del premio Nobel per l’Economia a Claudia Goldin, economista statunitense dell’Università di Harvard, tra le pioniere degli studi sul divario di genere in ambito lavorativo.
L’assegnazione del premio è il segno che finalmente si tratta di un tema centrale e non più marginale all’interno delle scienze economiche.


Claudia Goldin

Ma un’altra ragione sta facendo emergere la questione di genere e riguarda l’emergenza natalità. Nei paesi occidentali, sono le donne che lavorano a fare figli, a condizione però di poter usufruire di politiche di conciliazione vita-lavoro che non le costringono a scegliere tra famiglia e carriera. Un paese in cui la metà delle donne in età lavorativa non ha e non cerca un’occupazione è un paese con un’economia più debole e fragile di quanto potrebbe essere che non conviene a nessuno.

LE STORIE
C’è un filo rosso che unisce le biografie della maggior parte delle donne che hanno fatto della scienza la principale ragione di vita.
Per raggiungere il loro obiettivo si sono dovute armare di enorme coraggio, determinazione per affrontare gli studi a loro vietati e i pregiudizi, le umiliazioni che le hanno accompagnate per gran parte della vita.
Spesso gli uomini si sono appropriati del loro lavoro ricevendo i premi più ambiti come il Nobel.
Non potendo dare conto di tutte nel tracciare la controstoria del rapporto donne e scienza, non si non iniziare da quella di Marie Sklodowska-Curie.

MARIE SKLODOWSKA-CURIE (1867-1934)
Rappresenta un tassello molto importante della storia delle donne, un modello rispetto al proprium indomito del femminile nelle scienze.
Un modello straordinario per tutte e tutti coloro che per coltivare la propria passione e mettere a disposizione della società i propri talenti, devono lottare, perseverare, credere, resistere.
Maria Sklodowska nasce in un paese dove ogni scelta, è una dichiarazione di appartenenza ideale. Maria viene al mondo il 7 novembre 1867 a Varsavia in una famiglia che cerca di tenere vivo lo spirito di una patria che è stata cancellata dalle carte geografiche e che sopravvive solo nell’esercizio privato del ricordo. A partire dalla fine del XVIII secolo, Austria, Prussia e Russia si sono spartiti i territori polacchi, divisi in tre province.
La futura scienziata nasce sotto la partizione russa e la russificazione pervade ogni aspetto della vita a cominciare dalla proibizione di usare la lingua madre.
Nel 1830-31 in tutta Europa scoppiano i moti rivoluzionari i  Belgio, in Germania, in Francia, in Italia per l’indipendenza nazionale e una monarchia costituzionale. Nel novembre del 1830, i polacchi prendono le armi nel primo tentativo di rovesciare il regime di Nicola I, zar di tutte le Russie e re di Polonia.


Marie Kklodowska-Curie

La ribellione viene soffocata nel sangue, i patrioti vengono imprigionati o riescono a fuggire condannandosi all’esilio in Francia. Ma la Polonia non si piega, nel 1863 i polacchi insorgono di nuovo e vengono sconfitti.
I cinque capi della rivolta vengono impiccati sui bastioni della cittadella di Alessandro a Varsavia come monito per tutti i polacchi che non vogliono piegarsi.
Il padre di Maria non è un uomo d’armi, crede nello studio e nel lavoro come unici mezzi per dimostrare il proprio valore di cittadini e patrioti.
Questa è l’impostazione che darà ai suoi cinque figli. Anche la madre Bronislava è un personaggio notevole ricordata dai figli con un sentimento di appassionata ammirazione.
D’altra parte, i periodi delle rivoluzioni sono propizi alle donne. Gli ideali e la lotta sono un collante potente, i ruoli sfumano, le donne prendono il posto degli uomini imprigionati , deportati o deceduti.
I russi hanno un occhio più distratto sulle donne ritenute meno pericolose e la cui istruzione non li preoccupa dal momento che non potranno occupare cariche pubbliche.
La mamma di Maria donna colta e intelligente è direttrice di un prestigioso liceo femminile a Varsavia. Ma anche una donna in anticipo sui tempi come lei è costretta a fare un passo indietro quando il marito viene nominato vicedirettore di un Istituto in via Nowolipki.
Ora in casa c’è uno stipendio in meno e lei si deve trasformare in una casalinga ma non per questo si perde d’animo. Non disdegna le attività manuali e imparerà a fare anche la ciabattina fabbricando per i figli scarpe perfette.
L’altro aspetto di questa famiglia un po’ speciale consiste nel fatto che i genitori non fanno distinzione tra figli maschi e figlie femmine. Tutti devono avere la migliore istruzione possibile e per tutti va pianificato un futuro e Maria è la prima in tutte le discipline.
La morte della madre nel 1878 e quella per tifo della sorella Zosia, sono un grave colpo. Maria smarrisce la fede che la madre profondamente religiosa le aveva inculcato. Non la riconquisterà mai più, da allora in poi si concentrerà sullo studio e la ricerca per tutta la vita.

Si appassiona al positivismo di Auguste Comte che in Polonia aveva preso il posto del romanticismo patriottico che troppo sangue e pochi risultati aveva portato.
La libertà e il progresso sociale arriveranno con lo studio e la formazione dei cittadini tutti, non con le armi e il sacrificio di sé sulle barricate.
Maria entra nella rete clandestina della cosiddetta Università volante che vede professori e studenti impegnati a dare lezioni. Mille donne si iscrivono e possono studiare , incontrarsi, scambiare temi di studio ma anche idee politiche.
È qui a Varsavia che si deve cercare l’inizio di quella fiducia e di quella determinazione a investire sulle donne e sulla loro crescita che accompagnerà sempre la futura Madame Curie.
Per ora in Polonia le donne non possono iscriversi all’Università, il suo obiettivo diventa allora la Sorbona a Parigi. Come arrivarci? La famiglia non ha i mezzi e ci sono altri quattro figli da far studiare.
Sarà Bronia, la più grande, a partire per studiare Medicina e ad aprire la strada.
Nel frattempo Maria si impiegherà come istitutrice e manderà alla sorella tutti i soldi guadagnati, quando Bronia sarà autonoma, ricambierà e sarà Maria a raggiungerla.
Il patto di ferro tra le sorelle è siglato. Sarà un periodo molto difficile e frustrante ma dopo otto anni di lavoro e sacrificio e quaranta ore di viaggio, il 3 novembre 1891 può iscriversi alla facoltà di Scienze alla Sorbona.

A PARIGI: LA VITA E GLI STUDI
In quella facoltà ci sono solo 23 donne su 1825 iscritti. Tutto quello che è intorno alle ragazze- la famiglia, il senso comune, il retaggio culturale- le scoraggia.
Se a Maria pesi essere l’eccezione femminile in un mondo di colleghi maschi, non lo dà a vedere, non vi si sofferma nemmeno nella sua autobiografia.
Si muove in quel mondo paternalista e continua a studiare. Negli ultimi anni non ha potuto seguire corsi regolari, ha tanto da recuperare. A sostenerla è la sua leggendaria capacità di concentrazione e astrazione.
È fortunata, a seguirla negli studi ci sono professori di altissimo livello, le menti tra le più brillanti dell’epoca.
Per la Fisica Gabriel Lippman che nel 1908 vincerà il premio Nobel per lo sviluppo della fotografia a colori; Paul Appel, professore di Meccanica razionale.
Il più famoso dei suoi docenti è Henri Poincarè, matematico e fisico, autore di libri e saggi che costituiranno una pietra miliare nella teoria matematica e nello studio della meccanica celeste.
Per Maria si avvicina il momento della laurea ma teme di non essere abbastanza preparata. Quando nel luglio 1893 nell’anfiteatro della Sorbona, vengono letti i nomi dei laureati in ordine di merito, Maria Skolodowska è la prima. Grazie a una collega sua connazionale, ottiene una borsa di studio del governo polacco per studenti meritevoli. Con quei 15.000 rubli che poi restituirà, può rimanere a Parigi e nel 1894 prenderà una seconda laurea in Matematica.
Questa volta però si classifica seconda e si arrabbia con se stessa, è una perfezionista con l’ossessione di dare sempre il meglio di sé e un secondo posto non è accettabile.
Ora con due lauree potrebbe tornare a Varsavia ma ha incontrato un uomo.

L’AMORE E LA RICERCA
Si chiama Pierre Curie, ha i suoi stessi interessi, la sua stessa passione per la scienza. Ha otto anni più di lei, è eccentrico per storia familiare e formazione e la convincerà a restare in Francia.
Nel frattempo il professor Lippman le procura un incarico retribuito, la Società per la promozione dell’industria nazionale le commissiona uno studio sulle proprietà magnetiche dei vari tipi di acciaio.
Pierre Curie è un’autorità negli studi sul magnetismo ma non ha un laboratorio da metterle a disposizione, lui stesso lavora in uno stanzino ma hanno comunque molto su cui confrontarsi.
Un anno dopo essersi conosciuti si sposano il 26 luglio 1895. Una cerimonia con rito civile e un piccolo ricevimento nel giardino dei genitori di lui a Sceaux.
Come regalo di nozze hanno ricevuto due biciclette e come viaggio di nozze gireranno la Francia in bici per tutta l’estate.
Anche lei come tutte le donne ha sulle spalle il peso atavico della cura a scapito del proprio talento e dei propri desideri ma il matrimonio con Pierre non la costringe a un passo indietro e a ridimensionare i suoi sogni perché è un’unione tra pari.
Il 12 settembre nasce una bambina, Irène, ora ha una responsabilità in più. Intanto ha ottenuto con il massimo dei voti l’abilitazione all’insegnamento e vince il premio Gegner dell’Acadèmie des sciences di 3.800 franchi per lo studio sul magnetismo dei diversi acciai temperati.
Ora deve scegliere l’oggetto della sua tesi di dottorato. È affascinata dai raggi X, scoperti nel 1895 da W. Conrad Rontgen, professore di fisica all’Università di Monaco. È un tema sul quale stanno lavorando tanti scienziati anche per il grande eco che hanno presso l’opinione pubblica.
Si tratta di un chiarore capace di trapassare carne e materia in modo da rendere visibile l’invisibile. L’immagine dello scheletro della mano della moglie di Rontgen con l’ombra più scura del suo anello, aveva fatto il giro del mondo e resta ancora oggi la radiografia più famosa.
C’è però un altro fenomeno, meno conosciuto che parte da quei raggi X, è quello dei raggi di Becquerel che merita di essere indagato ma pochi scienziati se ne interessano. È a questo punto che Marie nell’inverno del 1897 li sceglie come campo di indagine. Henri Becquerel viene da una dinastia di scienziati illustri e fa parte dell’Acadèmie des sciences. Lui ha a disposizione tutte le risorse di cui ha bisogno come il Museo di Storia naturale che gli procura campioni di vari minerali e composti.
Lavora anche con i Sali di uranio, di fatto scopre la radioattività ma non la nomina e non ne spiega le origini.
Marie invece non dispone di molte risorse. Lavora in un ex magazzino freddo e umido con strumenti inventati dal marito che impara a usare e che le servono per misurare le correnti elettriche indotte dai raggi Becquerel.
Indaga i composti più diversi, quando arriva a testare un campione di pechblenda proveniente dalle miniere di Joachimsthal avviene qualcosa di inaspettato.
La pechblenda, un minerale nero come la pece, è molto richiesta per il suo contenuto di uranio ma emette una quantità di radiazioni che non si giustifica con le percentuali di uranio presente.
Anche il minerale eschinite, che contiene torio, ha radiazioni più alte del torio puro. Gli esperimenti confermano che diversi materiali emettono radiazioni più intense e questa proprietà non varia con il mutare delle condizioni.
Pertanto ci si trova di fronte a un elemento sconosciuto.


Marie Kklodowska-Curie e Pierre Curie nel loro laboratorio

LA SCOPERTA DEL RADIO
È il 12 aprile 1898. Marie che non è membro dell’Acadèmie des sciences , annuncia la presenza di un  elemento sconosciuto che emette più radiazioni dell’uranio e del torio. La relazione che porta il suo nome viene letta dal suo professore Gabriel Lippman, nella quale assegna al fenomeno il nome di radioattività. La relazione sul momento non suscita grande interesse, eppure contiene due osservazioni dalla portata rivoluzionaria:
• La radioattività può essere misurata, dunque è un mezzo per scoprire nuovi elementi;
• Essa è una “proprietà atomica della materia”.
In questi anni inizia a crollare l’idea della indivisibilità dell’atomo e Marie è in prima linea a costruire un ponte tra la chimica e la fisica dando un contributo decisivo alla sviluppo della scienza atomica.
Ma è una donna, una polacca e gli scienziati dell’Acadèmie possono giudicarla con sufficienza mentre nel resto d’Europa ormai è gara aperta tra gli scienziati impegnati nello stesso campo di Marie.
A questo punto Pierre abbandona i suoi lavori e si unisce alla moglie nella sfida: isolare il nuovo elemento chimico.
Lavorano come forsennati, da soli, in condizioni precarie e con pochi mezzi. Poi arriva qualche aiuto dal direttore del laboratorio dell’EPCI, Andrè Debierre, ex studente di Pierre e che diventerà il braccio destro di Marie nei successivi quarant’anni.
Anche Becquerel, stimolato dall’esempio dei Curie si rimette a studiare quel fenomeno che aveva scoperto e accantonato. Di fatto Marie scopre due elementi nuovi:  uno lo chiama polonio in omaggio alla sua patria, subito dopo ne scopre un altro con una radioattività 900 volte superiore all’uranio.
È il radio, la cui scoperta viene annunciata il 26 dicembre 1898. Non è finita. Il radio è stato scoperto è vero ma non ancora isolato, misurato, pesato.
Ora comincia un’impresa che si rivelerà immane e questi anni di lavoro sono diventati parte della leggenda dei Curie ma soprattutto di quella personale e iconografica di Marie.
Ricorderà questi anni di lavoro massacrante tra i più felici della sua vita in quel capannone freddo e umido che ai colleghi in visita pareva una stalla.
Con Pierre non c’è solo un’intesa intellettuale, c’è la tenerezza e l’intimità fisica, il conforto di dormire ogni notte stretti l’uno all’altra, la complicità di scappare insieme la sera per andare in laboratorio a continuare a lavorare.
L’unica ombra è la sofferenza per la separazione dalla sua famiglia e dalla sorella Bronia che insieme al marito è rientrata in Polonia per aprire un sanatorio per i malati di tubercolosi nei Carpazi.
Poi ottiene – unica donna del corpo docente – la cattedra di Fisica presso L’École Normale Supèrieure des jeunes filles a Sèvres, scuola di eccellenza per la formazione delle future insegnanti.
Dopo cena, Marie mette a letto Irène e con Pierre corre dall’altra sua creatura il radio. Restano lì, in silenzio, a godersi quei bagliori nel buio.
Sarà difficile ammettere che quella luce che li incanta e che hanno portato nel mondo, li sta anche avvelenando lentamente.
Nel 1900 nell’ambito dell’Esposizione universale di Parigi partecipano al Congresso internazionale di Fisica. Parigi è e si sente il centro del mondo moderno. I visitatori sono ammaliati dall’elettricità quando al tramonto si accendono migliaia di lampadine per lo spettacolo di luci del Palazzo dell’Elettricità.
Ma tra gli scienziati è la radioattività la vera attrazione. Ai colleghi arrivati da tutto il mondo i Curie illustrano lo stato delle loro ricerche con un saggio dal titolo: Le nuove sostanze radioattive. Restano però ancora senza risposta grandi interrogativi.
Nonostante tutto i Curie continuano a lavorare sempre in condizioni precarie al punto che pensano di accettare l’offerta dell’Università di Ginevra. Per non perderli si muove Henri Poincarè che procura a Pierre una cattedra per un corso di Fisica in un annesso alla Sorbona.
È uno stipendio in più anche se dovrà fare la spola fra tre luoghi di lavoro e cosi decidono di restare in Francia che rimane comunque molto avara di riconoscimenti anche perché i Curie sono insofferenti ai riti di ossequio accademico e sociale.
Nel 1902, Marie annuncia di aver isolato un decigrammo di radio e ne indica il peso atomico in 225,93 di poco inferiore alla misura oggi accettata, ossia 226.
Nel giugno 1903 consegue il dottorato e aspetta un secondo figlio che perde al quinto mese di gravidanza. La salute di Marie è precaria, si sospetta una tubercolosi, l’incubo che aleggia sulla sua famiglia dalla morte della madre. Le viene riscontrata invece un’anemia. Nessuno pensa ai danni dell’esposizione ai materiali radioattivi che i Curie maneggiano senza alcuna precauzione. La sera della discussione della tesi di dottorato, organizzano una festa in giardino a Sceaux. Pierre tira fuori dalla tasca della giacca una fiala con i Sali di radio. Tutti ammirano la luce che illumina il buio della sera, nessuno intuisce il pericolo dietro l’incanto.

IL NOBEL
Nell’autunno del 1903, quattro scienziati scrivono al comitato di Stoccolma per proporre la candidatura di Pierre Curie e Henri Becquerel al Nobel per la Fisica. Marie viene ignorata.
Tutta la comunità scientifica conosce il suo lavoro ma farlo romperebbe una tradizione consolidata che non vuole ammettere l’esistenza di donne scienziate alla pari degli uomini. A dare la misura del maschilismo e del paternalismo è il fatto che a firmare per le candidature c’è Gabriel Lippman, professore a suo tempo di Marie che pure aveva notato e premiato il suo talento.
Infine tutti sanno molto bene che si deve a lei l’isolamento del radio. Anche lei deve subire lo stesso destino di donne brillanti e talentuose condannate a essere muse ispiratrici o al più collaboratrici dei colleghi maschi.
Ma la mole di lavoro svolta è tale da non poter passare facilmente sotto silenzio. A Stoccolma, il matematico Gustaf Mittag-leffler, membro autorevole dell’Accademia delle Scienze, conosce e ammira il lavoro di Marie e la difende.
Pierre reagisce come Marie si aspetta. Di fronte a una tale ingiustizia, oppone un rifiuto netto. Non vuole il premio se Marie non lo riceverà con lui.
Il Comitato del Nobel fa giustizia e attribuisce il premio a lei, a Pierre e a Becquerel. Quando la notizia del Nobel per la Fisica diventa ufficiale, la risonanza è enorme. I giornalisti scoprono i Curie e ne fanno una coppia da prima pagina, due cuori e una capanna in senso letterale.
Nel momento in cui conoscono le condizioni in cui lavorano scrivono pagine indignate per come la Francia tratta gli scienziati che le danno lustro. La pressione su di loro diventa enorme, il Presidente Émile Loubet va a trovarli nell’ormai leggendario laboratorio-capannone e li invita a cena all’Eliseo.
Quello è un invito che non possono proprio declinare ma ne rifiutano decine di altri. La nota positiva è che finalmente la Sorbona non può più far fare anticamera a   Pierre a cui viene assegnata la docenza di Fisica ma senza laboratorio.
Esasperato, rifiuta e a quel punto l’università per timore di una pubblicità negativa è costretta a un ripensamento. Pierre avrà la cattedra anche il laboratorio in Rue Cuvier e Marie ne sarà la direttrice.
La salute di Pierre non va bene, i medici non riescono a spiegare i suoi malesseri e a curarlo ma ha molto  riflettuto sul radio e ne intuisce ormai la pericolosità.
L’anno dopo il Nobel Marie partorisce un’altra bambina, Éve. Il 19 aprile 1906 Pierre Curie muore travolto da una carrozza a cavalli mentre attraversava la strada.
Marie è una donna spezzata, amputata di una parte di sé. Non sarà mai più la stessa anche se dopo quattro anni dalla morte del marito si innamora.
Lui è Paul Langevin ex studente di Pierre, uomo  bello, affascinante, una mente brillante ma vive un matrimonio infelice. Marie pagherà un prezzo molto alto per questa passione.
Al Congresso di radiologia ed elettricità a  Bruxelles ottiene non senza difficoltà che sia lei a stabilire l’unità di misura che viene chiamata “Curie”. Il campione di radio non può però rimanere in mani private e accetta a malincuore di separarsi dalla fialetta con i 21 milligrammi di cloruro di radio che viene sigillata e consegnata all’Ufficio internazionale dei pesi e delle misure.
Sicura di sé, determinata, avanza la sua candidatura per entrare all’Accadèmie des sciences. Lei, una donna che ritiene di aver i titoli per accedere al tempio degli uomini.
I titoli li ha, più di molti colleghi maschi, ma non è sui titoli che si combatte questa battaglia. La stampa si divide: quella di tradizione nazionalista e antisemita, si scaglia contro questa donna, una straniera, una polacca, che chiede di entrare nell’istituto più prestigioso di Francia, come osa?
In Francia, la ferita dell’affaire Dreyfus è ancora aperta, le correnti antisemite e nazionaliste sono forti e aggressive. Il 23 gennaio 1911 avviene lo spoglio dei voti e Madame Curie è sconfitta.
Lei non commenterà i risultati, non cercherà più onorificenze, né presenterà più i suoi lavori all’Accademia.
Nel frattempo viene investita sulla stampa da una campagna di inaudita violenza per il suo rapporto con Langevin, un uomo sposato che è ambiguo e irresoluto. Non si decide a lasciare la moglie che detesta, però non tronca la relazione con Marie. Come tanti uomini sarà pure un uomo brillante ma è un debole. Nell’autunno 1911 si apre a Bruxelles il Congresso Solvay che riunisce i più grandi scienziati da tutto il mondo. Nella prima metà del Novecento la sede dei convegni più importanti e prestigiosi era quella di Bruxelles. Questi erano nati su iniziativa di Ernest Solvay, industriale belga di successo nel campo della chimica e filantropo.
C’è una foto emblematica che ritrae Marie, sola donna e lo resterà a lungo, in mezzo a un gruppo di colleghi uomini. C’è Albert Einstein, Max Planck, Hendrik Lorentz, Langevin.
C’è un’altra foto iconica di Marie seduta in mezzo a due file di colleghi uomini, anch’essa scattata al Congresso Solvay del 1927. Sessione entrata nella storia della fisica per il duello tra Einstein e Niels Bohr.
In quell’immagine che vede riuniti 17 premi Nobel, solo lei ne aveva vinti  due, in due distinte discipline.
Nonostante lo scandalo che imperversa in Francia, il 7 novembre 1911 riceve un telegramma da Stoccolma. Ha vinto un secondo premio Nobel per la Chimica, stavolta da sola.
È un traguardo eccezionale, un caso unico, un primato per la scienza francese. Affronta la trasferta svedese con difficoltà, è già malata e passerà circa un anno lontano da Parigi.
Nel frattempo la figlia Irène che ha ereditato la passione per la scienza dai genitori ha preso il posto di Pierre nella collaborazione in laboratorio. Ormai la maggior parte delle risorse viene impiegata verso le ricerche per le applicazioni del radio in campo medico mentre i laboratori di fisica hanno pochi mezzi. Marie Curie invece riesce a ottenere risorse che impiega nella creazione di due laboratori separati: uno per lo studio chimico e fisico della radioattività diretto da lei; l’altro per la ricerca delle applicazioni del radio, diretto da Claudius Regand. Nel 1914, il padiglione Curie è pronto, con gli alberi e il giardino di rose come lei lo ha voluto.

LA GUERRA 1914-1918
Il 29 giugno i giornali riportano la notizia dell’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando avvenuta il giorno prima a Sarajevo. È la scintilla che porterà allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Come sempre tutti pensano che la guerra sarà rapida, invece richiederà un tributo di milioni di vite e sconvolgerà per sempre gli equilibri mondiali.
A Parigi la situazione diventa presto drammatica, l’esercito tedesco è entrato in territorio francese e il governo si è trasferito a Bordeaux.
Marie si preoccupa che il radio non cada in mano tedesca, bisogna metterlo al sicuro. Ripone le provette ricoperte di piombo in una valigia e dopo dieci ore di viaggio in treno le consegna all’Università di Bordeaux che le sistema nel caveau. Torna in una Parigi quasi deserta, tanti colleghi sono al fronte e l’Istituto Curie ha sospeso le attività. Cosa può fare? Deve fare qualcosa per la sua patria adottiva.
Ci sono centinaia di migliaia di feriti al fronte da curare, i chirurghi operano in condizioni estreme, i raggi X potrebbero aiutarli.
La sua idea è quella di attrezzare delle unità mobili, con i raggi X da mandare dietro le trincee. Si fa consegnare le automobili più piccole e le dota di un apparecchio per i raggi, un generatore, lastre, ampolle contenenti il radio e tende scure. Come protezione, un paio di guanti e un grembiule con una placca di piombo.
Queste unità mobili vengono battezzate les petites Curies e faranno 1.100.000 radiografie. L’11 novembre 1918, la guerra si conclude.

Una delle unità mobili battezzate les petites Curies

C’è solo una cosa che riempie Marie di gioia: con il Trattato di Varsailles e dopo più di un secolo, la Polonia torna ad essere uno Stato libero e indipendente. Per gli Sklodowski è un sogno che si avvera. Tutti sanno che Madame Curie non parla con la stampa e nel caso solo di scienza. Nel 1920 concede una delle sue rare interviste a una giornalista americana Mrs Mattingly Meloney, Missy per gli amici che dirige una rivista femminile ”The Delineator”. Missy costruisce il mito di Marie Curie per il pubblico americano soprattutto femminile. Forzando la realtà delle cose, Missy la descrive come una scienziata povera e dimenticata, costretta a vivere con il misero stipendio di un professore universitario e con mezzi molto limitati per le sue ricerche. A questa donna serve il radio, l’ormai costosissimo radio. In realtà a Marie il radio serve per le ricerche sulla radioattività, non ha mai detto di poter curare il cancro.
Il suo contributo a questa causa è indiretto, ma la ricerca pura non è emotivamente spendibile come la cura dei tumori presso l’opinione pubblica.
Missy punta su questo e raccoglie 100.000 dollari per acquistare il grammo di radio.
Marie parte con le due figlie per gli Stati Uniti a ricevere il generoso regalo dalle mani del Presidente Warren G. Harding. Alla vigilia della partenza, il Presidente francese Aristide Briand e tutte le più alte cariche dello Stato le rendono omaggio in una serata all’Opèra.
La grande attrice Sarah Bernhardt declama un’Ode a Marie Curie. Dopo dieci anni ora non è più la straniera, la polacca, il corpo estraneo alla Repubblica.
Ora l’Acadèmie de medicine ripara al torto fattole dall’Acadèmie des sciences e la nomina suo membro. È la prima donna che accede all’Institut de France.
Quando rientra dagli Stati Uniti la sua salute è peggiorata. Non ci vede quasi più e ha malesseri che restano senza una vera spiegazione.
Dopo la guerra, Irène è diventata sua assistente, lei è l’erede designata dell’istituto. Quando le annuncia di essersi fidanzata con Frèdèric Joliot, Marie non è molto contenta. Teme di perdere la sua fidata compagna di lavoro e di vita.
Joliot si rivelerà un giovane di grande talento. La coppia scoprirà la radioattività artificiale, regalando a Marie l’ultima grande felicità di una vita consacrata alla scienza.
Nel 1935 vincono il Nobel, saliranno insieme sul palco di Stoccolma dividendosi equamente il discorso. Marie però non potrà assistere al trionfo di questa figlia che ha seguito le orme dei suoi genitori sino al traguardo più prestigioso.
All’alba del 4 luglio 1934 muore. Non ha ancora compiuto sessantasette anni. La causa della morte è stata l’anemia aplastica. Il suo midollo osseo è stato distrutto dall’esposizione alle radiazioni.
Casa Curie viene invasa da messaggi di cordoglio da tutto il mondo. Il 6 luglio nel piccolo cimitero di Sceaux è celebrato il funerale. Quando la bara viene calata sopra quella di Pierre, la sorella Bronia arrivata da Varsavia sparge sopra il feretro un pugno di terra polacca. È l’ultimo omaggio della famiglia a Marie Sklodowska Curie.

VERSO LA FISSIONE NUCLEARE
Negli  anni Trenta molti scienziati stanno lavorando agli esperimenti con i neutroni ma nessuno aveva pensato alla possibilità della fissione, anche se Fermi l’avrebbe potuta scoprire con i “ragazzi” di via Panisperna.
Anni dopo Segrè spiegò che il fallimento del gruppo di Roma andava attribuito all’attrezzatura sperimentale che avevano a disposizione. Schermando l’uranio con il loro sistema, impedivano alla camera di ionizzazione di registrare l’impulso. Se questo fosse avvenuto, sarebbero stati spinti a studiare il fenomeno e a scoprire la fissione.

LISE MEITNER (1878-1968)
Alla ricerca sulla fissione nucleare ha dato un contributo molto importante. Nata a Vienna è stata la prima donna a conseguire il dottorato in Fisica in quella università.
Ebrea per un quarto era stata educata secondo la religione protestante. Nel 1907 si trasferì a Berlino per seguire le lezioni di Max Planck dove incontrò il giovane chimico Otto Hahn.
Inizia a lavorare  nel laboratorio come “ospite non pagato”. A quell’epoca in Prussia, le donne non erano ammesse  all’università e la Meitner doveva entrare dalla porta di  servizio senza poter accedere nelle aule e nei laboratori degli studenti. Il divieto venne soppresso solo nel 1909 e potè conseguire il dottorato in Fisica lavorando nei laboratori del Kaiser-Wilhemlm Institut di Dahlem a Berlino.


Lise Meitner

Nel frattempo nel 1934, Fermi annunciava i risultati relativi ai primi bombardamenti con i neutroni dell’uranio e la Meitner si dedicò a identificare uno per uno quelli che tutti credevano fossero elementi transuranici e i loro isotopi.
Per questi esperimenti, arruolò un terzo chimico, Friedrich “Fritz” Strassman. Oppositore del nazismo, nel 1933 si era dimesso dalla Società dei chimici tedeschi quando ne erano stati espulsi i membri ebrei.
Nel marzo del 1933, Hitler annette l’Austria. Lise Meitner in quanto cittadina austriaca pur essendo ebrea per un quarto, era sfuggita alle leggi antisemite.
D’un tratto era diventata cittadina tedesca priva della protezione di uno Stato estero sovrano.
L’11 febbraio 1939 pubblicò un articolo sulla rivista Nature intitolato Disintegration of uranium by neutrons che poneva le basi teoriche per lo sviluppo della fissione nucleare.
Ma già nel settembre 1934 un’altra scienziata, chimica e fisica tedesca, Ida Noddack (1896-1978) aveva scritto un 3 articolo sulla Zeitschrift fur angewandte chemie in cui affermava che: ”quando nuclei pesanti sono bombardati da neutroni, è ragionevole pensare che il nucleo si rompe in parecchi frammenti che saranno isotopi di elementi noti e non sono prossimi all’elemento irraggiato.”
La Noddack è stata di fatto la prima a ipotizzare la fissione nucleare partendo da un’analisi degli esperimenti che anche Enrico Fermi stava conducendo in via Panisperna.
Questa ipotesi non fu presa in considerazione né da Fermi, né dal gruppo di Berlino. Successivamente la sua ipotesi fu confermata ma senza che le fosse dato il riconoscimento dovuto.
Anni dopo, Fermi dirà che il non aver tenuto in debito conto l’ipotesi della Noddack era stato il più grande errore della sua vita.
Comunque fu la Meitner a fornire l’esatta interpretazione per spiegare come mai gli atomi di uranio si frantumano quando sono bombardati con i neutroni e anche a lei si deve il termine di “fissione nucleare”.
Nel congresso di Washington del 26 gennaio 1938 dove era presente l’èlite delle Fisica teorica contemporanea, Bohr e Fermi annunciarono che l’atomo di uranio era stato spaccato.
In particolare Fermi spiegò la teoria su cui si basava il fenomeno , citando le ricerche di Lisa Meitner e l’analogia con la goccia di liquido.
Intanto in Germania, la persecuzione contro gli ebrei da parte del regime nazista si intensifica. La Meitner è costretta a fuggire e dopo una sosta in Olanda si sposta a Stoccolma.
Durante la guerra viene pressata da richieste di collaborazione dagli Stati Uniti per la realizzazione della bomba atomica a Los Alamos. Lei, pacifista convinta, rifiutò e rimase in Svezia.
Il 15 novembre 1945 l’Accademia svedese assegna a Otto Hahn il premio Nobel per la Chimica relativo al 1944 per la scoperta della fissione nucleare. Nel discorso di accettazione non si è degnato nemmeno di nominare la Meitner.
Il 27 giugno 1945, quando gli orrori della guerra e dei campi di sterminio sono di dominio pubblico, la Meitner scrive una lettera , diventata famosa, a Otto Hahn ma di fatto agli scienziati tedeschi.
Li rimprovera di non aver fatto nulla per opporsi al nazismo, nemmeno attuare almeno una resistenza passiva ma di aver continuato a lavorare per il regime e quindi sono stati complici degli orrori commessi.
Verrà proposta più volte per il Nobel senza risultato. Riceverà comunque oltre venti onorificenze molto prestigiose tra cui la medaglia Max Planck nel 1949 e nel 1966 il premio Fermi. Sarà ricordata in eterno sulla tavola periodica degli elementi in quanto nel 1994 una commissione internazionale ha stabilito che l’elemento 109 si chiama “Meitnerium”.
Non è più tornata in Germania, nel 1960 si ritira a Cambridge dove muore il 27 ottobre 1968.

MARIA GOEPPERT-MAYER (1906-1972)
Fisica tedesca naturalizzata americana, amica di Enrico Fermi fin dai tempi della Columbia. Si ritrovarono all’Università di Chicago dove si stava lavorando al Progetto Manhattan.
Questo progetto non è stato solo l’inizio della scienza segreta, ma anche della “big science”, finanziata dai governi su scala sempre più vasta.
Ormai erano spariti per sempre i giorni dei piccoli esperimenti svolti nel primo Novecento a Roma, a Cambridge, A Parigi e alla Columbia.
Nell’estate del 1945 il nuovo rettore Walter Bartky, astronomo, come preside della Facoltà di Scienze fisiche ebbe l’idea di creare nuovi istituti di ricerca interdisciplinare sul modello dei Met Lab e di Los Alamos. Fermi fu invitato a dirigerne uno dedicato alle scienze nucleari.


Maria Goeppert-Mayer

Il suo programma di ricerca consisteva nell’usare fasci di particelle ad alta energia per studiare la forza che tiene insieme il nucleo atomico.
La vita nell’istituto era collegiale e informale. Le porte degli uffici erano in genere aperte e Fermi girava per i corridoi a informarsi su cosa stavano facendo i colleghi. In questo modo li interessava ai temi che lo entusiasmavano al momento.
Ad esempio lo interessava il concetto di “accoppiamento spin-orbita”, secondo cui lo spin di una particella o di un insieme di particelle ne influenzerebbe le orbite.
Proprio su questo tema stava lavorando Maria, sul perché certi numeri “magici” di particelle nel nucleo dessero luogo a disposizioni particolarmente stabili.
Stava usando un modello del nucleo a “gusci” di protoni e neutroni, che analogamente ai gusci di elettroni che lo circondano determinano le proprietà chimiche dei vari elementi.
Però si era bloccata e non riusciva ad andare avanti. Ne parlò con Fermi che le suggerì l’accoppiamento spin-orbita. Era la soluzione e in due settimane lo incorporò con successo in una delle prime teorie complete del modello a gusci del nucleo.
Anni dopo l’avrebbe spiegata con un’immagine molto suggestiva. In una sala coppie disposte in cerchi concentrici ballano il valzer. Alcuni cerchi girano in senso orario, altri in senso antiorario.
Nella sua analogia, ogni particella del nucleo corrisponde a una di queste coppie; l’effetto complessivo  dell’interazione tra l’orbita e lo spin( rotazione su se stesse delle coppie) influenza la stabilità del nucleo.
Nel 1963 il suo lavoro fu premiato con il Nobel, condiviso con Wigner e con il fisico tedesco J.Hans D. Jensen. È stata la seconda donna dopo Marie Curie a vincere il Nobel per la Fisica e riconobbe sempre la generosità di Fermi nell’averla aiutata nella svolta decisiva per la realizzazione del suo progetto.

IRÉNE JOLIOT-CURIE (1897-1956)
Chimica e fisica francese, figlia di Pierre e Marie Curie segue le orme dei genitori e dai diciassette anni in poi diventa una collaboratrice della madre come già esposto.
Come tanti scienziati , anche lei stava lavorando per identificare i sottoprodotti del bombardamento dell’uranio. Proprio bombardando i nuclei con particelle alfa, Irène scopre la radioattività artificiale.
Grazie a questa scoperta vinse il premio Nobel per la Chimica insieme al marito, dopo la madre che lo aveva ricevuto nel 1911.

L’AVVENTURA DEL DNA

ROSALID FRANKLIN (1920-1958)
Nasce a Londra da una ricca e influente famiglia ebrea e fin dalla prima infanzia mostra una intelligenza notevole. Si appassiona allo studio delle scienze naturali e decide, contro il volere della famiglia che diventerà una scienziata. Chimica, biochimica e cristallografa, il suo è stato un contributo fondamentale per la comprensione della struttura molecolare del DNA e del RNA.
Il King’s College di Londra era un ambiente molto maschilista. Il rapporto con i colleghi maschi difficile perché questi pretendevano un comportamento ancillare da parte delle donne colleghe.
Importante per la sua formazione è stato nel 1946, lavorare per il Laboratoire Central Des Services Chimique de L’Ètat di Parigi insieme al cristallografo Jacques Mering che le insegnò la diffrazione dei raggi X.


Rosalind Franklin

Nel gennaio del 1951, iniziò a lavorare nell’unità di biofisica come ricercatrice associata presso il King’s College dove il direttore John Randall usò la sua esperienza sulle tecniche di diffrazione dei raggi X per applicarle sulle fibre del DNA. Proprio in seguito a questi studi, Rosalind e il suo studente Raymond Goslin fece una scoperta sorprendente e rivoluzionaria: scattò la foto del DNA scoprendo la presenza di due forme, una A e una B.
Una delle immagini, quella della forma B nota come “fotografia 51” divenne famosa. La foto era stata acquisita dopo 100 ore di esposizione ai raggi X grazie a una macchina perfezionata dalla stessa Rosalind.


DNA, diversità schematica della lunghezza, basata sull'analisi della foto 51 (sulla destra) - Immagine di Emily Willoughby

Nel gennaio del 1953, Murice Wilkins decise di mostrare la “sua fotografia 51” in verità sottratta alla Franklin, a James  Watson che stava lavorando al modello di DNA con Francis Crick.
I due scienziati usarono questa nuova e incredibile informazione come base per il loro modello che pubblicarono sulla rivista Nature il 7 marzo 1953 e per il quale ricevettero il premio Nobel nel 1962.
Dichiararono di essere stati “stimolati da una conoscenza generale” del contributo di Rosalind Franklin.
Lei non rivendicò mai la sua scoperta, non aprì un conflitto con i colleghi, forse per il tipo di educazione ricevuta. Certo è che ancora una volta, una donna di talento si è vista scippare la sua scoperta da colleghi maschi.
Nel marzo del 1953 si trasferì al Birbeck College, dove  studiò la struttura dei virus, ponendo le basi per la virologia generale. Importante sarà anche lo studio sulla grafite che servirà poi come moderatore per la reazione a catena nucleare. Si ammala di tumore, probabilmente dovuto alla frequente esposizione ai raggi X e muore a soli 37 anni il 16 aprile 1958.

DONNE SCIENZIATE IN ITALIA: ALCUNE BIOGRAFIE

RITA LEVI MONTALCINI (1909-2012)
È stata una delle scienziate italiane più importanti. Nata a Torino in una famiglia ebrea benestante, viene educata insieme ai fratelli all’amore per la cultura e la ricerca intellettuale.
Nel 1930 decide di studiare Medicina e Chirurgia contro la volontà del padre e di tutta la cultura dell’epoca. Nel 1936 si laurea con 110 e lode e poi si specializza in neurologia e psichiatria.
Nel frattempo il governo fascista nel 1938 emana le leggi razziali ed è costretta ad emigrare in Belgio dove fu ospite all’Istituto di neurologia dell’Università di Bruxelles per continuare gli studi.
Tornata a Torino nel 1940, allestisce un laboratorio nella sua camera da letto ma i bombardamenti sulla città la costringono a rifugiarsi prima sulle colline astigiane poi a Firenze.


La famiglia di Rita Levi Montalcini. Lei è la terza da sinistra

Quando i tedeschi lasciarono la città, venne assegnata dagli alleati al campo dei rifugiati dove era scoppiata un’epidemia di tifo. Fu un’esperienza molto difficile e dolorosa al punto che decise di abbandonare la professione di medico non adatta a lei.
Dopo la guerra venne invitata a Saint Louis negli USA per proseguire le ricerche e vi rimase per trenta anni. Negli anni cinquanta avviene la scoperta rivoluzionaria: il fattore di crescita nervoso (Nerve growth factor).
Una proteina essenziale per la crescita e la differenziazione delle cellule nervose. Negli anni Settanta comprese che il fattore di crescita agiva anche sui neuroni del cervello. Il passo successivo sarebbe stato utilizzarlo per curare le malattie cerebrali degenerative. In seguito a queste scoperte fu insignita del premio Nobel per la medicina nel 1986.


Rita Levi Montalcini in laboratorio nel 1968

In Italia, negli anni Sessanta fondò e diresse il laboratorio di biologia cellulare del CNR. Il 1° agosto 2001 fu nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi con la seguente motivazione: “per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale”.

FABIOLA GIANOTTI
Fisica italiana, dal gennaio 2016 è il primo direttore donna del CERN di Ginevra, laboratorio internazionale di Fisica delle particelle. Sono quattro i capisaldi che caratterizzano il CERN: scienza, tecnologia, formazione e pace.
È stata fra i protagonisti nel 2012 della scoperta del bosone di Higgs. Il suo modello di riferimento nella sua scelta professionale è stata la storia e la vita di Marie Curie.
Il suo impegno è rivolto anche a incoraggiare un numero più ampio di ragazze a scegliere la strada della ricerca, vigilando a che vengano garantite loro le stesse possibilità offerte agli scienziati maschi.
Con Fabiola Gianotti è la terza volta che uno scienziato italiano arriva la vertice del CERN che conta fra i suoi padri  fondatori il fisico Edoardo Amaldi, uno dei “ragazzi di via Panisperna”.
Dal 1989 al 1994 ha ricoperto l’incarico il Nobel Carlo Rubbia, poi dal 1999 al 2003 il fisico Luciano Maiani.


Fabiola Gianotti

LE NUOVE PROTAGONISTE E LE LORO STORIE
Come è noto, l’Italia non destina alla ricerca scientifica le risorse necessarie e molti giovani di talento, formati nelle nostre università, sono costretti a emigrare all’estero.
È una grave perdita che avviene nell’indifferenza dei governi e della società tutta. Nonostante questo un gruppo di giovani donne porta avanti con slancio e determinazione la propria passione per la scienza.
Senza scienza non si cambia il mondo. Provare a cambiarlo vuol dire puntare e rischiare tutto su un’idea innovativa e sugli esperimenti per cercare di realizzarla.
Anni di tentativi, dapprima quasi alla cieca, poi sempre più focalizzati via via che si accumulano dati e prove, portano alla fine ad avere un pezzo di conoscenza che prima non c’era e poterlo mettere a disposizione di tutti.

MARIAFELICIA DE LAURENTIS
Astrofisica, si è laureata all’università Federico II di Napoli dove è tornata nel 2018, dopo dieci anni di esperienza in Russia e Germania come professoressa di Astronomia e Astrofisica.
Lavorare all’estero apre la mente, permette di crescere e di scoprire nuovi punti di vista. È tornata, chiamata dall’Università in cui si è formata, portando con sé le competenze acquisite. È ricercatrice all’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), nonché Deputy priject scientist unica donna nel management e nel board.
Si tratta del team di ricerca che per primo in assoluto, il10 aprile 2019 ha mostrato al mondo l’immagine di un buco nero. Ci sono voluti vent’anni di studi, un gruppo di grandi visionari che volevano “vedere l’invisibile”.
Si è formato così il progetto internazionale EHT ( Event Horizon Telescope) . Consiste nel mettere in connessione i radiotelescopi in tutto il mondo, collegati con una precisione di frazione di secondo grazie a un orologio atomico.
Lo scopo è quello di formare di fatto un telescopio unico che ha l’obiettivo condiviso di studiare i buchi neri. In questo modo è stato possibile ottenere la prima immagine assoluta di un buco nero, identificato come M87* al centro della galassia ellittica supergigante Virgoa.


Mariafelicia De Laurentis

Un colosso gravitazionale a 55 milioni di anni luce da noi. L’immagine “polarizzata” di M 87* è stata resa pubblica nel 2021 ma una data anch’essa indimenticabile è quella del 12  maggio 2022.
È arrivata la prima immagine spettacolare del buco nero supermassiccio SgrA*, questa volta situato al centro della nostra galassia, la via Lattea, a “soli” 25.000 anni luce da noi. Oltre all’indubbio valore scientifico di per sé, studiare la nostra galassia ha risvolti importanti anche nella nostra vita quotidiana.
Gli strumenti e i sensori utilizzati nell’astronomia e nell’astrofisica hanno portato a decisivi progressi tecnologici in numerose applicazioni.
Ad esempio le fotocamere digitali, i sensori di immagine per telefoni cellulari, le telecamere per la videosorveglianza e i sensori utilizzati nelle automobili e negli aeromobili e anche nelle comunicazioni satellitari.
L’Universo è un’enorme e complessa entità e la nostra comprensione è subordinata ai progressi tecnologici e scientifici. La De Laurentis sostiene che proprio la scoperta dell’espansione dell’Universo ha portato all’ipotesi del Bing Bang.
Da uno stato di singolarità, in cui tutta la materia e l’energia erano concentrate in un punto infinitamente piccolo e denso, l’Universo si è espanso e raffreddato, dando luogo alla formazione delle galassie, delle stelle e dei pianeti.
Questa ipotesi oggi è quella più accreditata ma rimangono tante domande ancora senza risposta ed è improbabile che si possa giungere a una “conclusione “ definitiva e totale. La sfida continua. Una delle lezioni fondamentali che si apprendono praticando il metodo scientifico è quella di essere consapevoli della fragilità e della imperfezione umana.
È l’unico modo per trascenderle.

SIMONA LODATO
Biologa molecolare dello sviluppo descrive la sua passione per la scienza, guidata da domande cui nessuno ha ancora saputo rispondere e si è addentrata “armata” del solo metodo scientifico in una giungla inesplorata. Si è laureata in Biologia con indirizzo fisiopatologico all’Università Federico II di Napoli, con tirocinio presso l’Istituto Telethon di genetica e medicina TIGEM di Pozzuoli. Ha conseguito poi il Dottorato di ricerca in medicina molecolare con una tesi in Neurobiologia dello sviluppo presso la scuola di medicina molecolare SEMM.
Dal 2018 dirige il laboratorio di neurosviluppo dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) Istituto Clinico Humanitas ed è professoressa associata di Humanitas University. Il suo obiettivo è studiare il cervello, mappare la composizione cellulare della corteccia cerebrale che gioca un ruolo centrale nel controllo delle funzioni cognitive.
Anche per lei c’è stata una importante esperienza all’estero: prima a Boston poi ad Harvard. Qui ha lavorato nel laboratorio di Paola Arlotta direttrice dello Harvard Stem Cell and Regenerative Biology Departement. In quegli anni sono arrivate altre ricercatrici italiane: Silvia Velasco oggi in Australia e Giorgia Quadrato oggi all’Università della California.
Negli ultimi vent’anni grazie alla risonanza magnetica funzionale sull’uomo, è stato provato che il cervello è attivo anche “a riposo”. Questa scoperta ha portato a ipotizzare che esistono neuroni che ricoprono il ruolo dei “direttori d’orchestra”, cioè coordinano le sue molteplici componenti. Fondamentale è lo studio su una malattia del cervello neurodegenerativa ed ereditaria, la Corea di Huntington, che si occupa delle connessioni che regolano l’orchestra del cervello ancora in fase di formazione nell’embrione.
Dal 2021, Simona Lodato è diventata ambasciatrice del network internazionale ALBA che vede neuroscienziati da tutto il mondo impegnati a promuovere azioni concrete a favore dell’equità e dell’inclusività.


Simona Lodato

ALESSANDRA GENTILE
In rapporto alla scienza c’è un problema tutto italiano che non suscita sufficiente preoccupazione nel Paese. Oltre ai limiti già descritti, le difficoltà della ricerca sono dovuti al fatto che vengono ignorati se non distorti, dati, risultati ed evidenze per dare credito a esigenze di consenso, ideologia, interessi diversi. Un caso emblematico è quello di Alessandra Gentile, professoressa ordinaria di Arboricoltura all’università di Catania. Lei studia come proteggere e migliorare le piante dai loro naturali nemici: virus, batteri, parassiti e condizioni climatiche sfavorevoli.
Alessandra non ha potuto sperimentare in campo aperto le sue piante geneticamente modificate perché i governi di ogni colore, senza alcuna ragione scientificamente fondata, lo hanno impedito.
“ Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?
Brillano tra le foglie cupe le arance d’oro…..”
Questa sono le parole che Goethe fa pronunciare alla giovane Mignon quando incontra Wilhelm Meister. Sono parole che rappresentano una visione bella ma stereotipata che si aveva dell’Italia nel Settecento.
Va ricordato che gli agrumi celebrati da Goethe sono arrivati in Sicilia dalla Cina e sono il risultato dell’opera di “pionieri” innovatori che li hanno selezionati, propagati e importati.
Questo è vero per tutte le specie. Se non ci fosse innovazione non ci sarebbe agricoltura, non ci sarebbe cibo, ma in Italia non ci sarebbe neanche il paesaggio che molti ci invidiano.
I ricercatori studiano le piante “dal di dentro” sequenziandone il genoma. Alessandra Gentile è una di loro e con il suo gruppo di ricerca nel 2021 in collaborazione con la Fondazione E.Mach di Trento, ha sequenziato per prima al mondo il genoma del limone.


Alessandra Gentile

In particolare quello della pregiata varietà “femminello siracusano” , una di quelle colpite dal fungo del malsecco. Il risultato raggiunto apre nuove prospettive importanti: aver sequenziato il DNA del limone, consente di individuare geni di resistenza, potenziarli, poter mantenere le caratteristiche di qualità delle varietà migliori modificando solo il carattere di resistenza alle malattie.
Ma non ci sono solo i limoni, l’ambito di studio riguarda il miglioramento genetico di piante arboree da frutto con particolare riguardo a specie dell’ambiente mediterraneo: agrumi, vite, carrubo, mandorlo, olivo.
La frontiera della ricerca oggi è quella di sviluppare gli studi di genomica funzionale. Un grande impegno è rivolto all’utilizzo di cellule e tessuti in vitro per poter poi arrivare a rigenerare una pianta completa.
Nel suo lavoro, Alessandra si è trovata in una situazione paradossale. Nel 2005, per non vanificarle, ha dovuto trasferire parte delle sue ricerche sul limone in Cina, paese d’origine di questo agrume: perché?
Nonostante i risultati incoraggianti degli studi inviati al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, non ha ottenuto l’autorizzazione a sperimentare in un vero e proprio campo in ambiente confinato i nuovi limoni. Quelle piante di limone, frutto di anni di studio non sono mai uscite dal laboratorio. La studiosa siciliana non si è fermata, ha attivato una collaborazione con un collega cinese della Hunan Agricultural University.
È stato lui a condurre la ultime fasi di sperimentazione in campo. Le piante hanno fruttificato e ciò ha permesso di analizzare i metaboliti dei frutti del clone transgenico.
Una soddisfazione che lascia l’amaro in bocca. Un lavoro condotto con fondi italiani, da ricercatrici italiane avrebbe dovuto contribuire alla risoluzione del problema nello stesso Paese che ha finanziato la ricerca stessa.
La conseguenza è stata che ricercatrici e ricercatori italiani hanno rinunciato a presentare nuove richieste di sperimentazione di piante geneticamente migliorate , affossando la ricerca sulle biotecnologie agrarie, senza alcuna ragione scientifica, causando al Paese danni economici e culturali enormi.
Nel 2023 si è giunti ad una parziale semplificazione delle procedure necessarie per richiedere la sperimentazione in campo aperto di piante ottenute tramite tecnologie di evoluzione assistita.
La prima-speriamo di una lunga serie- ad approfittarne è stata la professoressa Vittoria Brambilla, ricercatrice di Biologia vegetale dell’Università degli studi di Milano.
Lei si stava occupando di una patologia del riso chiamata Brusone. La professoressa ha utilizzato la tecnica di “taglia e cuci” molecolare CRISPR/ Cas 9 messa a punto nel 2012 dalle scienziate Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier, vincitrici, grazie alla loro scoperta, del premio Nobel per la Chimica nel 2020. Presso un’azienda agricola di Mezzana Bigli in provincia di Pavia, la Brambilla ha trapiantato alcuni esempi del suo “Risimo.” Questa sperimentazione vale doppio: riapre le porte della nostra ricerca nel campo delle biotecnologie agrarie ed è un segnale per il Paese.
Dimostra di quanto possano essere dirompenti le capacità e la determinazione di una donna nel fare ricerca di frontiera. La sua determinazione non è stata scalfita nemmeno il 21 giugno 2024, quando ignoti ecoterroristi hanno
devastato il campo sperimentale.
In una dichiarazione pubblica ha fatto sapere che alcune piante si sono salvate, pertanto la sperimentazione sarebbe andata avanti.

MARIA GIOVANNA DURANTE
È ingegnera sismica, “cervello “ rientrato in Italia dalla California grazie al programma europeo Marie Sklodowska-Curie e ricercatrice dell’Università della Calabria. La Durante è cresciuta non lontano dall’Irpinia, territorio segnato dal terribile sisma del 1980. Il suo percorso inizia nelle aule di Ingegneria civile dell’Università degli Studi di Benevento. Poi, grazie al programma Erasmus, studia all’Università of Bristol e sviluppa la sua tesi di laurea in uno dei migliori laboratori di ingegneria sismica d’Europa.
Dopo la laurea i suoi studi sono proseguiti con un dottorato alla Federico II di Napoli. L’ingegneria sismica moderna è una disciplina abbastanza giovane.
È iniziata con lo studio sistematico delle cause e degli effetti dei terribili terremoti di San Francisco del 1906 e quello di Calabria e Messina del 1908.
Come si può studiare un fenomeno così grande? Si può simulare “sul campo”?
Un laboratorio di ingegneria sismica è un grande spazio dove si costruiscono modelli in scala di strutture o infrastrutture che vengono sottoposti ad accelerazioni simili a quelle indotte da un sisma reale.
Per farlo si utilizzano apparecchiature specifiche che possono muovere il modello a grosse velocità e in tutte le direzioni.
Mentre si trovava a Los Angeles presso l’University of California, ha partecipato a un progetto di ricerca molto ambizioso. Sfruttare le capacità computazionali del supercomputer accademico più veloce al mondo presso l’University of Texas di Austin.


Maria Giovanna Durante

In questo modo si poteva valutare la possibilità di integrare tecniche di intelligenza artificiale in una disciplina “tradizionale” come la geotecnica per lo studio del lateral spreading.
Si tratta di un importante movimento laterale, causato da un fenomeno detto di “liquefazione “. Accade che il terreno improvvisamente perde gran parte della sua resistenza e capacità portante, adottando un comportamento simile a quello di un liquido.
Di conseguenza l’edificio collassa senza che vi siano danni alla struttura in elevazione. In Italia ad esempio ci sono stati fenomeni di liquefazione nel terremoto del 2012 in Emilia Romagna.
La Durante ha definito quali modelli di intelligenza artificiale possono essere utilizzati e come utilizzarli, combinando big data e conoscenze di ingegneria geotecnica sismica.
L’articolo scientifico che riporta i risultati del progetto della Durante è stato pubblicato a novembre 2021 su Earthquake Spectra, una delle riviste di ingegneria sismica più prestigiose al mondo, meritando la copertina su cui è stato pubblicato. I suoi studi hanno contribuito a rivoluzionare, dopo oltre un secolo, gli standard di progettazione in zona sismica delle opere di sostegno negli Stati Uniti.
Il “modello Durante” è entrato ufficialmente nelle linee guida statunitensi ed è stato già applicato nella costruzione del nuovo stadio dei Clippers, la squadra di basket di Los Angeles: un progetto da due miliardi di dollari.
È ovvio augurarsi che anche in Italia si tenga conto e venga applicato questo modello per far fronte ai problemi di un territorio in gran parte sismico.

SILVIA FERRARA
Filologa classica è docente di Filologia micenea e delle civiltà egee all’Università di Bologna. È tornata in Italia grazie al programma Rita Levi- Montalcini che consente il rientro di giovani ricercatori dall’estero. Già al liceo si è appassionata al greco e dopo la maturità classica si è trasferita all’University College di Londra. Si è specializzata nella Lineare B, il sistema di scrittura sillabico utilizzato dai Micenei alla fine dell’età del bronzo, circa 3000 anni fa.
Questo sistema è stato fondamentale per trascrivere la lingua greca, cinque secoli prima dell’introduzione dell’alfabeto.
Dopo Londra si sposta a Oxford e qui incontra Anna Morpurgo Davies, la migliore filologa vivente di origine italiana. Rientrata in Italia, felice di contribuire alla ricerca del proprio Paese , con passione e determinazione è riuscita a superare non pochi ostacoli.


Silvia Ferrara

Nel 2017 ha vinto un Consolidator Grant dello European Research Council, per sviluppare il progetto Inscribe ( Invention of Scripts and their Beginnings) che unisce metodi  tradizionali, analisi epigrafica e linguistica con metodi innovativi. Lei utilizza l’intelligenza artificiale e i digital humanities, per indagare i fattori che hanno portato all’invenzione della scrittura in tutto il mondo.
É convinta, nonostante lo scetticismo di alcuni colleghi , che l’intelligenza artificiale sia un ottimo co-pilota per i suoi studi. Nel suo gruppo ci sono sia ingegneri che informatici in una ricerca interdisciplinare, necessaria per arrivare a decifrare le scritture ancora oggi indecifrabili, sono una dozzina, come quella dei Rapa Nui dell’isola di Pasqua.
Nel 2020 il gruppo di ricerca di Ferrara ha pubblicato un importante paper sul Journal of Archaeological Science in cui descrive come decifrare i valori matematici delle frazioni della Lineare A, la scrittura della cosiddetta società minoica dell’isola di Creta. È stata risolta una questione che era in sospeso da 120 anni.
Quali sono le motivazioni che hanno spinto l’uomo- presto o tardi nella sua storia evolutiva- a inventare la scrittura?
Non  c’è un parere unanime tra gli studiosi, c’è una tendenza a ricondurre un fenomeno così complesso ad un solo scopo, cioè allo stato di necessità. Secondo la Ferrara, la necessità non è quasi mai la madre dell’invenzione. L’arrivo della scrittura ha creato un salto cognitivo nella storia dell’uomo. Nasce come sperimentazione, è una scintilla: a uno stesso suono viene collegato lo stesso segno.
Pertanto è l’omofonia che permette di estendere il sistema grafico. La scrittura nasce per dare un nome alle cose, a noi stessi, al mondo, per orientare e mettere ordine nelle nostre parole.

ELENA CATTANEO
Dopo il liceo, decise di studiare Farmacia perché voleva una laurea che le desse subito la possibilità di lavorare ed essere indipendente. Poi all’ultimo anno su consiglio del professore di Chimica, entrò nel laboratorio di ricerca di una azienda dove si studiava l’effetto di alcuni nuovi farmaci calcio-antagonisti sul cervello.
Nel 1986 si è laureata ed è entrata nel Dipartimento di Farmacologia dell’Università di Milano fondato da Rodolfo Paoletti allora preside della facoltà di Farmacia e qui nel laboratorio della professoressa Adriana Maggi si studiavano gli effetti degli ormoni sul cervello.
Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca entra in contatto con il professore Ron Mckay del MIT di Boston  (Massachusettes Institute of Techology) e si trasferisce in America dove si studiavano le cellule staminali del cervello.
A Boston ascolta per la prima volta la storia della genetista Nancy Wexler  che raccontò di come anni prima avesse convinto scienziati di tutto il mondo a seguirla in Sudamerica per scoprire le cause della Corea Di Huntington.
Malattia genetica il cui nome viene dal greco e significa danza che causa movimenti bruschi involontari, a scatto. Nel passato i malati erano considerati degli indemoniati.
Nel 1993 dopo quindici anni circa di ricerche, grazie allo studio del sangue dei malati sudamericani si scoprì il gene che causa la malattia.
Un gene che abbiamo tutti e che si trova all’apice del cromosoma quattro e contiene i nucleotidi Citosina, Adenina e Guanina ( CAG) che si ripetono un certo numero di volte.
Nella forma sana, la tripletta CAG è ripetuta fino a un massimo di 35 volte, oltre le 36 ripetizioni causa la malattia.
Rientra in Italia nel 1992 portando con sé un bagaglio enorme di esperienze e tanti progetti. Vuole continuare a studiare le cellule staminali per poi applicarle proprio all’Huntington che in Italia non studiava nessuno e nel 1994 crea all’Università di Milano il suo laboratorio. Nel 2018 ha vinto un Erc Advanced, finanziato anche da Enti americani e coordina per la terza volta consecutiva un consorzio europeo formato da dodici laboratori fra cui quello dell’Università di Lund, all’avanguardia nel mondo per il trapianto di staminali anche per il trattamento della malattia di Parkinson.


Elena Cattaneo

Nel 2021, a vent’anni circa dal primo, Science pubblicava un altro studio del laboratorio da lei diretto che informava della mappatura dei neuroni dello striato.
Sono quelli che nell’Huntington muoiono provocando i  movimenti scoordinati degli arti.
A questo punto sorse la domanda: se questo gene provoca una malattia così drammatica e letale perché l’evoluzione lo ha mantenuto?
La storia di questo gene inizia un miliardo di anni fa e compare per la prima volta nel DNA di un’ameba, il Dictyostelium Discoideum ( Diety) che è stato il primo organismo pluricellulare della Terra.
Successivamente l’evoluzione si è divisa in due rami:
i protostomi ( insetti, formiche, molluschi, api); i deuterostomi, da cui hanno origine i vertebrati, cioè i mammiferi e poi i primati, tra cui l’Homo sapiens e in tutti e due i rami è presente il gene di Huntington.
Gli studi concentrati sulle specie più basali dei deuterostomi, quelle comparse 800 milioni di anni fa come il riccio di mare, hanno il gene contenente la  54) sequenza CAGCAG, due ripetizioni inserite nel punto del gene che è lo stesso in cui il CAG è nel nostro gene.
L’evoluzione percorre tante strade, a volte le variazioni casuali che si inseriscono nel DNA producono effetti positivi e restano “cementate” nel DNA della specie, a volte no.
Studiando un’altra specie di pesce, l’anfiosso , che vive in Florida in buche scavate nella sabbia, si è constatato che il suo sistema nervoso è ancora più evoluto di quello del riccio.
Ha un sistema nervoso cefalizzato, cioè con una porzione anteriore e una posteriore come il nostro cervello. Il fatto è che avvicinandosi all’uomo si è constatato che il sistema nervoso si è evoluto. Il gene sano nell’uomo è polifonorfico e il numero di triplette CAG varia da individuo a individuo.
Uno studio di risonanza magnetica nucleare dell’Università di Monaco condotto su circa 300 individui sani, suggeriscono una correlazione tra un numero maggiore di CAG nel gene sano e la presenza di una maggiore quantità di materia grigia in una zona basale del cervello.
Se questi dati venissero consolidati sarebbe una conquista molto importante in quanto la malattia di Huntington rappresenterebbe la frontiera dei tentativi della spinta evolutiva della nostra specie a rafforzare le nostre capacità cognitive. La scienza secondo la Cattaneo oltre a lavorare per dare speranze di cura reali, deve anche aiutare a rispondere ai tanti “perché” sul nostro stato, sulle nostre difficoltà.
La scienza deve poter studiare tutto quello che si ritiene utile, senza preclusione alcuna. Tutto può servire a capire di più qualcosa di noi e di quel che ci circonda.
Elena Cattaneo , per i suoi meriti scientifici, è stata nominata senatrice a vita della Repubblica italiana dal Presidente Giorgio Napolitano il 30 agosto 2013, terza donna dopo Camilla Ravera e Rita Levi-Montalcini.

UNO SGUARDO SUL TEMPO PRESENTE
La libertà che Elena Cattaneo ritiene necessaria anzi indispensabile per la scienza e la possibilità per le ragazze di impegnarsi nello studio delle materie STEM, è seriamente minacciata per le ripercussioni che avrà l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca.
Intanto sta smantellando tutti gli organismi federali, compresi quelli per la ricerca scientifica. Ha deciso di cancellare anche il Dipartimento della Pubblica istruzione e lasciare che ogni stato elabori un suo modello di istruzione scolastica.
Già gli stati che fanno parte della cosiddetta “cintura della Bibbia”, da anni sono contro la scuola pubblica, istruiscono i figli a casa e portano avanti posizioni antiscientifiche e antievoluzionistiche. Non a caso anche negli Stati Uniti  si sta ampliando il fenomeno dell’analfabetismo di ritorno.
È di ieri la notizia della decurtazione di 400 milioni di dollari dai finanziamenti alla Columbia University e altri provvedimenti sicuramente seguiranno. Elon Musk ha detto che i giovani invece di perdere tempo a frequentare l’università devono lavorare e impiantare fabbriche.
La nuova amministrazione è pronta a violare diritti basilari come la libertà d’espressione garantita dal primo emendamento della Costituzione. Il 9 marzo scorso, uno studioso francese, impegnato nelle attività spaziali è arrivato in Texas per partecipare a una conferenza.
Alla dogana gli agenti gli hanno chiesto di controllare il suo cellulare e secondo la loro versione ci hanno trovato “ messaggi d’odio verso Trump che potrebbero essere qualificati come terrorismo”. Lo hanno fermato, messo sul primo aereo e rispedito a casa.
Soprattutto per le donne si addensano nubi oscure all’orizzonte. Dopo la vittoria di Trump lo slogan che più circolava in rete insieme a “ tornatevene in cucina” è stato “ il tuo corpo la mia scelta”.
Un vero e proprio capovolgimento del motto che negli anni Settanta rivendicava il diritto delle donne a disporre liberamente del proprio corpo.
Nella cosiddetta “ uomo-sfera”, la comunità virtuale che riunisce antifemministi e misogini di vari Paesi, sono moltissimi i post che oggi inneggiano esplicitamente alla violenza contro le donne.
Per non parlare della chat di Telegram dove 70mila utenti condividono consigli e informazioni su come stuprare una donna e rimanere impuniti.
Tutto questo sta producendo già contraccolpi nelle aule scolastiche dove i maschi cantano in coro slogan contro le studentesse.
Del resto, il 55% dei maschi tra i 18 e i 29 anni ha votato per Trump, modello di mascolinità tossica, proprio perché  ha promesso loro il ritorno al maschio macho e ai ruoli tradizionali di genere.
Appena insediato, ha ordinato di rimuovere dal sito del Ministero della Salute, ogni riferimento all’aborto e le pagine sulla contraccezione. Google, Meta e altre aziende della Big Tech hanno rimosso dai loro siti le politiche sulla diversità, sull’uguaglianza e inclusione auspicando un ritorno alla “mascolinità e ai “comportamenti aggressivi”.


I dati sulle ultime elezioni presidenziali in USA

Lo stato del Texas intanto ha invitato mariti e fidanzati a denunciare le donne che comprano per posta la pillola abortiva, visto che l’interruzione di gravidanza è illegale dopo la sesta settimana.
L’elenco potrebbe continuare, intanto l’emendamento sull’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne è stato finalmente approvato dopo ben 50 anni dal Congresso e ratificato dai due terzi degli Stati americani.
Sicuramente questa amministrazione non ha alcuna intenzione di inserirlo, come dovrebbe, nella Costituzione.
È bene ricordare che i diritti delle donne sono storici ,quindi fragili e perennemente sotto attacco. Non averli protetti considerandoli acquisiti, è stato un grave errore della Sinistra americana e non solo.
Non è difficile prevedere che la volontà di Musk di fare anche l’”Europa di nuovo grande” ( Mega) esporti anche da noi questo approccio reazionario verso le donne e i loro diritti per il ripristino a tutto campo del patriarcato.
Il filosofo Rob Riemen  aveva già definito Trump nel primo mandato “ il classico esempio del fascista contemporaneo”, anche se non ha preso il potere con la violenza, questa era in potenza: nelle parole, nello stile.
Il 6 gennaio la violenza si è manifestata in modo inequivocabile con l’assalto  al Campidoglio da parte dei suoi sostenitori.
Qual è l’antidoto al fascismo?
Lo spirito della democrazia che non è fatto solo di istituzioni, regole, procedure ma ha come spirito l’elevazione dell’uomo attraverso l’educazione, la scienza, la religione, l’arte.
Qual è il compito dell’Europa?
Ha una missione: custodire, proteggere, rinnovare il grande giacimento umanista della sua tradizione.
“Che cos’è l’essere umano?” domandarono a Socrate che rispose “È un essere con un’anima”.

 

BIBLIOGRAFIA
- David N. Schwartz: Enrico Fermi. L’ultimo uomo che sapeva tutto. 2024 RCS MediaGroup S.P.A. Milano
- Stefania Podda: Marie Curie. Grandi donne della storia. 2020 R.C.S MediaGroup S.p.A. Milano
- G. De Martino, M. Bruzzese: Le Filosofe. Liguori Editore, Srl, 1994.
- Elena Cattaneo: Scienziate. Storie di vita e di ricerca. Raffaello Cortina Editore 2024

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