Ancora un lucido e documentato viaggio nel vasto paesaggio religioso, culturale e letterario in cui s’intrecciano i motivi fondanti della civiltà europea, alla quale il contributo delle donne è stato talvolta molto rilevante.
di Armida Corridori
Zeus, perché hai dunque messo
fra gli uomini un ambiguo malanno,
portando le donne alla luce del sole?
Euripide, Ippolito,vv.616-617
PREMESSA
Scrivere la storia delle donne e del pensiero femminile non è cosa facile. Da una parte una storiografia da sempre attenta solo alla politica, alle date e ai grandi personaggi ha cancellato il loro passaggio, conservando tutt’al più il ricordo di alcune personalità, la cui vita fu eccezionale.
Osservando le vicende delle organizzazioni sociali come quella greca e quella romana serve per comprendere il momento nel quale la divisione dei ruoli sessuali venne codificata e teorizzata e cominciò quindi ad essere vista, come la conseguenza di una differenza biologica, automaticamente tradotta in inferiorità delle donne.
Aristotele, ad esempio, teorizzando la “naturale” diversità e inferiorità femminile, ha identificato la donna con la “materia” in contrapposizione all’uomo “spirito” escludendola quindi dal logos dominio della “ragione”.
In questo modo ha fornito la giustificazione teorica della incapacità delle donne sia sul piano politico sia su quello del diritto privato.
Secoli più tardi il cristianesimo, che pur predicava l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, non solo si limitò a ribadire la necessità della subalternità femminile, ma inasprì i toni di una misoginia già molto presente nella cultura antica.
San Paolo nella Lettera ai Corinzi (I, II, 3 e 7) afferma che “l’uomo è il capo della donna……l’uomo è immagine e gloria di Dio, la donna è gloria dell’uomo”.
Sant’Agostino teorizzava l’esistenza di un ordine naturale, in base al quale la donna era destinata a servire l’uomo, e Tertulliano predicava che la donna era la “porta del diavolo”. Pertanto se da una parte il cristianesimo contribuiva a modificare la concezione del matrimonio che per la prima volta veniva visto anche come luogo dell’amore, dall’altra mostrava vari elementi contraddittori, che ribadivano l’idea dell’inferiorità femminile e “demonizzavano” la donna, simbolo e strumento della tentazione e del peccato.
Eppure il disegno divino originario non prevedeva la distinzione dell’uomo in maschio e femmina.
Secondo il Corpus Hermeticum l’essere umano originario era maschio e femmina, “androgino in quanto figlio di un padre androgino”. Anche l’interpretazione qabbalistica della Genesi cristiana racconta che la donna tratta da Adamo si chiama Aisha, perché tratta da Aish (l’uomo).
Lo stesso Adamo in seguito darà il nome di Eva (la vita, la vivente), in quanto il congiungimento con lei avrebbe permesso di tornare a quell’unità originaria prefigurata dal disegno divino senza alcuna distinzione sessuale.
In sintesi si può dire che maschile e femminile sono considerate due entità distinte e opposte, ma anche complementari in quanto generatesi da un’unità originaria alla quale dovranno un giorno tornare.
Questa diade accomuna tutte le tradizioni e in tutte emerge la gerarchia di valore per cui al maschile viene riconosciuta la preminenza sul femminile.
Nella tradizione orientale cielo/terra, quella dello yin (femminile) e dello yang (maschile) dell’estremo oriente. Oppure la diade nous intelletto attivo, fecondativo, maschile, ule, materia passiva, ricettacolo di cui parla Platone.
Il principio maschile pertanto è raffigurato come sovrannaturale, assai più vicino alla dimensione divina che non a quella terrena femminile.
L’elemento della diade che rappresenta una “caduta” o una degenerazione rispetto alla condizione dell’unità perfetta è rappresentato proprio da quello femminile.
Questo vuol dire che tutta l’imperfezione del mondo umano è stata prodotta o creata a partire dal prevalere dello spirito cosmico femminile su quello maschile. E’ la donna a rappresentare il vero elemento distintivo della “caduta” umana dalla perfezione divina.
Di conseguenza essa è al tempo stesso l’elemento degenerativo della specie umana, ma anche quello che ha reso possibile la vita dell’uomo come la conosciamo. Questa concezione della donna rimane immutata nei secoli, anzi viene via via rafforzata dalla medicina, dalla filosofia senza che si levi una voce critica che provi a mettere in discussione tale opinione.
Insomma si è trattato di un “dibattito tra uomini” di cui la donna non doveva sapere nulla per dirla con l’ironia di Luce Irigaray che per le sue idee fu allontanata dall’Università nel 1974.
La donna, tra l’altro, non ha mai avuto nessun controllo sul proprio corpo, vincolata per secoli al fattore biologico, bisognerà aspettare gli inizi del movimento femminista a Boston nella primavera del 1969, quando da un incontro tra donne prende avvio la riflessione sul corpo femminile e diventa un’esperienza politica fondamentale.
Ildegarda di Bingen
IL CONTESTO MEDIOEVALE
Il mondo medioevale fu la naturale evoluzione della cultura della tarda antichità, la crisi e la disgregazione dell’Impero romano fa sorgere l’esigenza di nuovi punti di riferimento. Sarà la Chiesa cristiana, Città di Dio sulla terra, a diventare il punto di appoggio del nuovo assetto sociale e accanto ad essa si andrà strutturando gradualmente l’ordinamento feudale.
Venne costruita una poderosa e capillare macchina ecclesiastica che gestirà i lunghi secoli della transizione. Era stato Sant’Agostino a individuare con chiarezza nel Cristianesimo e nella Chiesa le nuove forze sociali trainanti e a tracciarne il programma per i secoli a venire.
I monasteri, le abbazie, i chiostri sono le nuove istituzioni culturali dove la tradizione del sapere antico trova il luogo della sua perpetuazione e della sua trasfigurazione. Accanto alla ragione classica esplicò tutta la sua forza pratica la fede nella Rivelazione e accanto alla paideia degli antichi sorsero le nuove comunità monastiche ed ecclesiali con la loro sapienza e i ruoli ben definiti.
In una lunga epoca di scarsa e difficile circolazione delle idee, le chiese, i conventi, le sedi vescovili divennero le officine della cultura ed elaborarono nuove categorie, nuovi linguaggi e ideologie ed è in questi luoghi che inizia per le donne occidentali che la società antica aveva escluso dallo studio e dalla conoscenza, il lento cammino dell’emancipazione intellettuale.
Nell’alto Medioevo romano-germanico sono pochissime le donne laiche con un alto grado di istruzione e di cultura di cui si ha notizia. Lo studio del pensiero filosofico tardo-medioevale che inizia con l’XI secolo e si conclude nel XV, ha convinto gli storici a mettere in discussione la tesi del salto e della discontinuità fra pensiero medioevale e pensiero moderno.
Questo significa che si è avviato un processo di innovazione culturale e sociale segnando l’anticipazione di temi e categorie di attualità quasi moderna. Ad esempio anche attraverso manuali come il Liber poenitentialis di Alano di Lilla (1125-1203) che inizia un’analisi della coscienza umana, della sua psicologia nasce ciò che noi modernamente definiamo il soggetto, l’individuo.
Si afferma anche una visione della natura come organismo unitario di cui l’uomo è parte. Infine, secondo il modello del micro-cosmo e del macro-cosmo che si ritroverà poi nella filosofia del XV secolo, nasce il gusto allegorico e simbolistico teso a rintracciare le corrispondenze fra i vari ordini del Creato e che accomuna pittori, scultori, architetti, poeti e mistici visionari.
Per quel che riguarda i saperi e le tecniche importanti risultavano gli studi di fisiologia e di medicina. Il rapporto fra la scienza medica del Medioevo e le donne è complesso, il loro ruolo fu più rilevante laddove le strutture erano più informali come nelle Abbazie o negli Ospedali che sorsero lungo i percorsi delle Crociate. Gli studi di Trotula (XI sec.) come quelli di Ildegarda di Bingen ne sono una testimonianza.
Proprio in questo scenario di risveglio culturale e spirituale che si inseriscono le due più importanti figure del pensiero filosofico femminile del Medioevo: Eloisa del Paracleto (1101-1164) e Ildegarda di Bingen (1098-1179).
Eloisa, nipote di Fulberto, Canonico di Notre-Dame, divenne Badessa del Convento di Paracleto, comunità monastica di campagna fondata nel 1131 dal filosofo Pietro Abelardo (1079-1142). Il legame amoroso con Abelardo che era stato il suo maestro, documentato dal carteggio, costituisce un vero e proprio Tópos della storia della cultura medioevale.
La figura di Eloisa aspetta di essere sottratta agli stereotipi e alle idealizzazioni proposte da Villon a Lamartine, a Rousseau. In particolare Rousseau nella Julie o la Nouvelle Eloise, la idealizzò come l’eroina dell’amore assoluto.
Nelle lettere ad Abelardo emerge invece una posizione morale di rigore assoluto tutta interna al pensiero tardo-medioevale. San Gerolamo e Gregorio Magno vedevano nel vincolo matrimoniale un limite insostenibile per chi volesse dedicarsi alla filosofia.
Il matrimonio poteva andar bene per gli uomini comuni, per i filosofi era meglio, al limite, una prostituta che una moglie che li avrebbe sviati dalla contemplazione. Anche per Eloisa il ruolo degli amanti, fatto di attese, di rinunce e di separazioni, è più indicato per chi vuole dare la sua vita all’esperienza filosofica, cosi scrive infatti ad Abelardo.
Per meglio comprendere le idee di Eloisa occorre fare riferimento anche all’ideale dell’amicizia come è stato descritto da Cicerone nel De Amicitia che le suggeriva l’idea di una passione pura e assoluta ovvero sacra e sublimata.
Infine, il testo delle lettere di propone una notevole presenza di riferimenti filosofici e dottrinari ma sempre calati nella comprensione della sua vicenda personale.
IL MISTICISMO
Orientamenti mistici accompagnano tutto il corso del pensiero medioevale e svolgono una formidabile azione antitetica e polemica nei confronti della teologia razionale. Nel momento in cui entra in crisi la sintesi fede-ragione, il misticismo ritorna in primo piano, abbandonando la speculazione teologico-metafisica o riducendola ad una funzione negativa per cui la filosofia non può giungere a parlare di Dio positivamente, ma solo a riconoscere che ciò è appunto impossibile.
Il misticismo si afferma pertanto come via privilegiata per cogliere- se non per dire- il Dio ineffabile e irriducibile a qualsiasi schema concettuale. La Germania vede un vigoroso fiorire di correnti mistiche, l’esponente più importante è Meister Eckhart (1260-1327), la cui influenza si estende al pensiero moderno e contemporaneo, basti pensare a Cusano, Lutero, Hegel e Heidegger.
Il ritorno a moduli neoplatonici e alla teologia negativa di Dionigi l’Areopagita viene radicato nell’esperienza cristiana e la meditazione sulla Scrittura è interpretata in un senso fortemente allegorico e spirituale.
Fra le tesi più ardite che sfiorano l’eresia, vi è quella del nulla di Dio: Dio nella sua assoluta trascendenza è infatti al di sopra dell’essere, per cui non è propriamente nemmeno Dio, ma nuda divinità, pura unità posta al di là di ogni determinazione e distinzione.
Al nulla di Dio corrisponde il nulla delle cose, che sono non-essere e Dio è nulla in quanto al di sopra dell’essere. La divinità è pertanto non-fondamento,”abisso”, in cui ogni distinzione ontologica si perde, solo all’anima è riservata la possibilità di riportare se stessa e ogni cosa in Dio, ricomponendo l’unità originaria, eterna e ineffabile.
Quando si parla di mistica si discute sempre della “filosoficità” e se esprime un pensiero razionale, ma una cosa è certa, con la mistica viene completamente abbandonato il modello classico di ragione.
In verità se si tiene presente la visione cosmologica e religiosa ad es. di Ildegarda di Bingen (1098-1179) e si raffronta il suo linguaggio con quello dei filosofi riconosciuti a lei contemporanei, ci si accorge di come il suo misticismo deve essere analizzato anche da un punto di vista filosofico.
Occorre sottolineare come la cultura religiosa sia stata per secoli il viatico verso la cultura e quindi verso la filosofia per le donne, che altrimenti ne sarebbero rimaste escluse. D’altra parte è carattere tipico della filosofia che, accanto al metodo dell’argomentazione razionale, almeno da Platone a Scoto Eriugena, sussista anche un modo non argomentativo, ma metaforico, poetico, intuitivo: la sapienza come completamento della scienza.
L’idea di Ildegarda dell’unità di filosofia e fede poteva nutrirsi di un patrimonio filosofico consolidato e appoggiarsi “sulle spalle” di una lunga tradizione: “nani sulle spalle di giganti” diceva Bernardo, Maestro di Chartres dal 1114 al 1124.
Le mistiche vedono ciò che sanno con lo sguardo interiore dello spirito, ma a differenza delle altre, Ildegarda mantiene una distanza consapevole fra sé e la Luce a cui attribuiva la sua istruzione pur non essendo andata a scuola, non c’è quella fusione di tipo quasi sessuale che caratterizza in genere le descrizioni di esperienze mistiche.
Le visioni di Ildegarda richiamano senza dubbio la teoria dell’illuminazione di Agostino e la metafisica della luce di Dionigi Aeropagita (V sec. D.C.) ma non si pongono in contrapposizione al pensiero dialettico, creano un nuovo ordine del linguaggio, diverso da quello della logica, imperniato sui simboli e sulle immagini.
Altro elemento importante da tener presente è che la cultura del XII secolo era guidata dalla potenza linguistica della metafora e dell’allegoria, in quanto l’idea di un Dio ineffabile e trascendente poteva essere espressa solo in modo figurato e allusivo.
I testi della scrittura mistica femminile o della teologia in lingua materna cosi definita dalle filosofe del movimento femminista, mostrano una relazione libera e personale con Dio. Dal momento che scrivere diventò indispensabile, fu Dio che s’incaricò di alfabetizzare le donne. Quasi tutte scrissero nel loro dialetto, cioè nella lingua imparata dalla madre o dalla nutrice che era una lingua solo parlata.
Alcuni hanno osservato che non conoscevano il latino, non è importante, l’uso della lingua materna era la risposta trovata al problema di stare in relazione con l’Altro.
La lingua materna, la prima che impariamo a parlare, vicina al confine dove il bisogno di mangiare passa nel bisogno di comunicare, vicino alla soglia fra la parola e il silenzio, può tenere testa all’impossibilità logica di parlare di un Assente che non trova posto fra le cose dette o dicibili.
Gli ultimi tre secoli del Medioevo videro le donne assumere ruoli di una importanza senza precedenti nel campo religioso. Accanto all’espansione delle città, della rinascita dei commerci, sono secoli segnati da inquietudini sociali e spirituali provocati da carestie e pestilenze che portano alla ricerca di nuove forme di culto e alla esigenza di nuove istanze associative come gli ordini monastici e vari tipi di comunità religiose.
Sono i secoli della costruzione delle grandi Cattedrali, monumenti supremi di una religiosità ormai avviata sul cammino della secolarizzazione. In questo contesto furono le donne che, estromesse dalle gerarchie ecclesiastiche, escluse dall’istruzione, ritenute intellettualmente, moralmente e fisicamente inferiori agli uomini, facendo affidamento solo sul loro carisma religioso, si misero in evidenza come fautrici di un intenso misticismo.
A volte il loro misticismo era caratterizzato da manifestazioni che riproponevano in chiave femminile il modello dell’Imitatio Christi.
Numerose mistiche e scrittrici religiose seguono l’esempio di Ildegarda di Bingen. La scrittura religiosa era pressoché l’unica modalità espressiva per le donne che avevano avuto accesso alla lettura e alla scrittura.
Si tratta di opere che per la maggior parte descrivono visioni ed esperienze religiose e di opere storiche di carattere agiografico. Non potendo citarle tutte, tra le protagoniste più interessanti vanno ricordate:
Beatrice di Nazareth (1200-1268) che entrò nel monastero cistercense di Bloemendael e poi in quello di N.S. di Nazareth. Scrisse Seven manieren van Mime (I sette gradi dell’amore 1235), un trattato che descrive attraverso sette gradi la sua esperienza dell’unione mistica con Dio;
Mechthild di Magdeburgo (1207-1285), fu beghina sotto il governo spirituale dei Domenicani, l’atmosfera in cui si mosse fu quella di una veggente, illuminata da rivelazioni celesti;
Margherita Porete eretica parigina originaria del Brabante, incorse nei rigori dell’Inquisizione per la sua opera Miroir des simples ames et aneanties. L’unico dato certo sulla sua vita è la sua condanna al rogo per eresia (pro convicta et confessa ac pro lapsa in heresim seu pro heretica), eseguita il 1° giugno 1310 in Place de Grève a Parigi, secondo altri nel 1315.
In Italia il movimento spirituale di un piccolo gruppo di devote si forma intorno a Chiara di Assisi presso il convento femminile di San Damiano che segue la rigida regola definita da San Francesco e dalla stessa Chiara, basata sulla povertà assoluta, sulla clausura e sulla preghiera. Si tratta di un movimento lacerato al suo interno fra esigenze evangeliche e caritative e quelle contemplative. Va ricordato che nel 1298 Bonifacio VIII aveva imposto l’obbligo della Clausura stretta a tutto il monachesimo femminile per ridurre al minimo le interazioni fra religiosità femminile e il mondo esterno.
Da questa radice spirituale si formarono personalità come Chiara da Montefalco (1268-1308); mistica agostiniana del martirio e del sangue, poi canonizzata; Angela da Foligno (1248-1304) che aderì al Terzo Ordine Francescano dopo aver donato tutto ai poveri, mantenendo la sua condizione laicale.
Sono queste, figure esemplari di una religiosità spontanea e quasi selvaggia, in cui è assente la componente letteraria del misticismo in quanto hanno privilegiato l’esempio e una santità vissuta.
Lo stile dell’esperienza religiosa delle mistiche presenta atteggiamenti devozionali del tutto inconsueti che a volte come già detto, lambivano il margine dell’eresia. Forme di estasi che per la loro fisicità e per il carattere passionale delle loro manifestazioni, visioni, turbamento psico-fisico, andavano molto al di là della tradizione della mistica cristiana precedente.
Lunghe pratiche di digiuno, di reclusione, di autoflagellazione riportavano al tempo del cristianesimo nascente e a un corpus di dottrine religiose che sconfinavano nella magia e nello sciamanesimo.
E’ una complessa temperie spirituale che oscilla fra radicalismo religioso ed eresia ma alcune grandi figure femminili uniscono al magistero religioso anche una grande padronanza della dottrina cristiana.
Un esempio è quello di Brigitta di Svezia (1303-1373) legata alla dinastia reale svedese che alla morte del marito fondò un Ordine monastico di cui scrisse la Regula Sancti Salvatoris. Brigitta fa parte del gruppo di predicatrici cristiane che per il loro alto livello culturale esercitarono il magistero di dottori della chiesa.
Una figura di grande rilievo è quella di Caterina da Siena (1347-1380). A 16 anni aderì al Terzo Ordine di San Domenico, quello delle Mantellate, donne che, pur restando in casa, seguivano un regime di vita rigorosamente religioso e caritatevole. Nel 1370 ebbe una visione, le apparve Gesù che dopo averle aperto il petto, le estrasse il cuore e lo sostituì con il suo.
In seguito a questa esperienza si identificò completamente con Cristo e iniziò la sua azione nel mondo abbandonando ogni ricerca di tipo ascetico. Con carisma profetico rivolse la sua azione di stimolo e di denuncia nei confronti del Papa, di Re e Cardinali, concentrandosi in particolare sul rischio che correva la Chiesa per l’eccessiva compromissione nelle “cose temporali”.
Inoltre pose con forza l’esigenza di una strenua militanza dei cristiani per la ricerca della pace e il ripudio della guerra per amore di Cristo come scrisse nel Dialogo della divina dottrina (1378). L’amore per Dio è per Caterina un sentimento lieto e un grande stimolo ad agire.
Il suo spirito riformatore fu alieno da ogni impulso apocalittico. Rimasta laica e a capo di una comunità eterodossa di uomini e donne, fu l’ultima riformatrice religiosa del Medioevo. Dopo di lei la Chiesa occidentale non sarà più la Civitas Dei, la millenaria istituzione totale che l’Europa aveva conosciuto dopo il crollo dell’Impero romano.
Nel 1300 giunse al suo apice l’azione di alcuni movimenti pauperistici, quali gli Apostolici di Fra’ Dolcino, un novizio francescano di Novara che fondò intorno a sé una setta assai combattiva, quasi una milizia. Professavano una povertà assoluta, consideravano i Francescani e i Domenicani “servi di satana”. Dolcino predicava l’avvento di un Quarto periodo della storia del mondo in cui la Chiesa sarebbe stata rovesciata e l’umanità salvata. Contro di loro si organizzò una vera e propria crociata ad opera di Clemente V e furono sterminati. Dolcino e gli altri capi furono processati, torturati e messi sul rogo.
In Europa avvengono altri scismi promossi da predicatori irregolari come John Wycliff (1324-1384) in Inghilterra e Jan Hus (1369-1415) in Boemia. Forti sono le istanze della mistica tedesca rappresentate oltre che da Meister Eckhar Taulero (1388-1361) ed altri. Tutti questi ideali confluiranno poi nel Cinquecento nello spirito della Riforma luterana.
Domenico Ghirlandaio, Santa Caterina da Siena e san Lorenzo
UMANESIMO E RINASCIMENTO
Nei secoli XV e XVI nasce una nuova idea dell’uomo frutto di un crogiuolo di culture, è un’idea sincretista, dovuta all’amalgamarsi delle culture uscite dal Medioevo: quella cristiana, quella araba e quella ebraica. Nel contempo è presente anche l’apporto di quelle culture rimosse dal Medioevo come quella magica egiziana o quella babilonese e l’integrità ritrovata della cultura greca ed ellenistica.
Questa nuova idea dell’uomo si basa su una necessità metodologica peculiare: il ritorno alle fonti della cultura europea, l’esigenza di una esperienza immediata dei testi ,dei problemi.
L’impronta originale dei secoli XV e XVI sta nello spirito vecchio e nuovo, nel gusto primitivo e antiquario nello stesso tempo che si affermano nello stesso tempo nella cultura, nell’arte e nella vita religiosa. Non va dimenticato che la stessa Riforma protestante, nelle sue complesse radici, sia debitrice nei confronti della cultura tardo-antica e di quella umanistica e rinascimentale. E’ in Italia l’origine dell’Umanesimo già nel XIV secolo, con Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio che nel 1361 scrisse un De mulieribus claris, un trattato mitologico-letterario sulle figure femminili più rilevanti tramandate dal mondo antico.
Si tratta di un vero e proprio catalogo di donne protagoniste tra letteratura, mito e filosofia, è il primo segno di una mutata considerazione del ruolo della donna in campo culturale.
Questo elenco di donne illustri, costituirà un modello per i secoli successivi anche per le donne filosofe, per tracciare e dimostrare una genealogia del pensiero e dell’identità femminili che avessero origine nel passato più remoto.
I secoli XV e XVI furono per l’Europa e per l’Italia culla del Rinascimento due secoli difficili e travagliati. Se sul piano artistico e culturale si manifestarono nuove idee, sul piano storico è presente ancora una dialettica rude dei vecchi poteri e delle vecchie strutture politiche ereditate dal Medioevo.
In concomitanza si riproposero i drammi sociali conseguenti alla peste e alle guerre di religione devastatrici.
Da un altro punto di vista il Rinascimento coincide con l’apertura graduale alle donne dei livelli più elevati di istruzione, basti pensare al pedagogista boemo Amos Comenio (1592-1670) che teorizzò un’istruzione universale, per tutte le classi sociali e senza distinzioni di sesso in quanto considerava anche le donne immagini di Dio.
Cade il divieto per le donne di accedere alla creazione artistica nel campo dell’arte e della letteratura non più solo quello religioso. Permane il controllo sul pensiero femminile e l’emarginazione della maggioranza di esse ma si apre una strada nuova per una èlite femminile aristocratica o borghese.
Tra le personalità più interessanti spicca Maria di Francia pseudonimo forse di una poetessa francese vissuta in Inghilterra alla corte di Enrico II il Plantageneto (1133-1189) che aveva unificato sotto il suo dominio tanto l’Inghilterra che la Normandia e la Bretagna.
Maria di Francia si richiama alla tradizione favolistica e cavalleresca di queste ultime regioni, le espone nei Lais , nel volgare francese, ma conosceva ed usava anche il latino e l’inglese. Nel Prologo afferma il suo diritto a comporre versi celandosi dietro uno pseudonimo secondo l’uso dei trovieri.
L’età dell’Umanesimo fu un tempo in cui officine culturali resero di nuovo disponibili le opere più importanti della cultura antica: quelle di Platone, Aristotele e di Cicerone in particolare.
Si afferma una attività filologica da cui scaturisce una nuova tensione allo studio da cui la letteratura più che la filosofia trasse idee nuove. Ma proprio l’attenzione filologica verso i problemi antropologici, etici ,politici ed economici secondo Eugenio Garin costituisce la nuova “filosofia”.
Il primato culturale non riesce però a diventare politico, la rinascita artistica e la prosperità economica non costituiscono la base per un rilancio a tutto campo, la creatività e il rinnovamento coinvolgono solo una fascia elitaria, il fatto che l’Italia rappresenti un faro di civiltà e raffinatezza per l’Europa non la riscatta dalla decadenza morale e dal declino politico.
Alla nuova industria della cultura partecipano anche le donne, alcuni nomi: Isotta Nogarola e la sorella Ginevra, allieve dell’umanista Martino Rizon; Cassandra Fedele, allieva dell’umanista Giorgio Valla che tenne lezioni alle Università di Venezia e Padova; Battista Malatesta signora di Montefeltro che è la capostipite di una genealogia di donne letterate a Urbino.
Un importante cenacolo letterario era animato a Milano da Bianca Maria Visconti. Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo dei Medici, scrisse inni religiosi, una Vita di San Giovanni Battista e una della Santa Vergine.
Non va omessa la presenza in Italia di una discreta tradizione di donne dedite agli studi di scienze naturali e di medicina. Erano studi praticati nei Monasteri femminili ma diffusi anche presso donne laiche nelle città sedi di Università quali Napoli, Salerno, Bologna e Padova.
Rebecca Guarna (XIII-XIV Sec.) che scrisse trattati medici; Costanza Calenda (XIV Sec.) insegnò medicina all’Università di Napoli; Dorotea Bocchi professore di medicina a Bologna e Maria di Novella professore di matematica all’Università di Bologna nel XV secolo.
DOTTE E LETTERATE DEL CINQUECENTO
In Francia Louise Labé (1524- 1566) erudita, letterata, musicista, fu allieva del poeta neoplatonico Maurice Scéve. La Labé scisse dei Sonnets (1555) e il Dialogo in prosa Débat de Folie et d’Amour. In questa opera si racconta della disputa fra l’Amore reso cieco dalla Follia difeso da Apollo e la Follia difesa da Mercurio, nella quale interviene Giove per risolvere la contesa.
E’ facile cogliere una corrispondenza con la trattazione che della Follia farà Erasmo da Rotterdam (1465-1536) nella sua celebre opera Encomium Mariae. Nella dedica al Débat, Louise Labé scrisse una sorta di manifesto delle rivendicazioni femminili: diritto per le donne alla scienza e alle altre discipline e possibilità di impiegare la propria nuova libertà nell’apprendimento.
Un sonetto che esemplifica il clima di tutta un’epoca è quello di Vittoria Colonna:
Vanno i pensier talor carghi di vera
Fede al gran Figlio in croce, ed indi quella
Luce, ch’Ei porge lor serena e bella,
li guida al Padre in gloriosa schiera…
Bastano questi primi versi di Vittoria Colonna (1490-1547), figura esemplare di poetessa e letterata che faceva parte di un gruppo di religiosi, letterati e artisti tra cui protagonista di spicco era Michelangelo, per dare il senso al tempo in cui furono creati. Vittoria Colonna scrisse numerosi sonetti che ci sono stati tramandati proprio da Michelangelo, il quale a sua volta ne compose altri dedicandoli a lei. Inoltre l’artista trasse ispirazione da questi sonetti per realizzare tre celebri disegni.
Altra figura esemplare è quella di Gaspara Stampa
Voi, che per l’amoroso, aspro sentiero,
donne care, com’io, forse passate;
ed avete talor viste e provate
quante pene può dar quel crudo arciere…
Sono alcuno versi tratti dalle Rime di Gaspara Stampa (1523-1554), cortigiana veneta colta e letterata, socialmente di alto rango, scrisse l’amore non corrisposto per Collaltino di Collalto, Signore di Treviso. La sua produzione fu pubblicata dalla sorella Cassandra nel 1554.
Sarà nominata nelle Prima Elegia duinese del grande poeta tedesco-praghese Rainer Maria Rilke (1875-1926) e insieme a Saffo, a Louise Labé , a Eloisa e a Teresa d’Avila nell’altra opera fondamentale Quaderni di Malte Laurids Brigge (1910).
In quest’opera Rilke ricostruisce una sorta di genealogia della donna amante, della donna che ha reso l’amore una spinta metafisica della propria intera esistenza.
Dalla prima Elegia duinese:
... Ma le amanti l’esausta natura in sé riprende
Di nuovo, come non ci fosse più altra forza per
Questo compito. Hai parlato abbastanza di
Gaspara Stampa, cosi che una qualche fanciulla,
cui sfugga l’amato, ne senta dentro di sé
entusiasmante l’esempio: e se come lei fossi io?
Altre sono le poetesse italiane celebrate nel Cinquecento, tra le quali Veronica Gambara (1485-1550) cortigiana autrice di Rime di argomento platonizzante; Veronica Franco (1546-1591) autrice di Terze Rime. Un posto a parte spetta a Isabella D’Este (1474-1539) non per la produzione letteraria, ma per l’Epistolario, fondamentale per la conoscenza della storia del teatro e della produzione libraria del tempo.
Fuori dall’Italia, una figura di donna importante fu quella di Margherita di Angouléme, regina di Navarra (1492-1549), sorella di Francesco I di Francia, poetessa, mistica e umanista. Oltre ai testi poetici, la sua opera più celebre è l’Heptameron una raccolta di storie narrate nel corso di sette giorni, sul modello del Decameron di Boccaccio.
Allieva di Montaigne (1539-1592) Marie le Jars de Gournay (1566-1645) curò l’edizione postuma degli Essais nel 1595. Scrisse contro i tradizionali pregiudizi circa l’inferiorità morale, giuridica e politica della donna.
RIFORMA PROTESTANTE E RIFORMA CATTOLICA
La Riforma protestante, frutto maturo dell’Umanesimo e del Rinascimento, fu il grande evento religioso del XV e del XVI secolo. Essa come è noto, segna la rottura definitiva dell’unità religiosa, politica e culturale dell’Europa uscita dall’età medioevale.
Viene infranto il monolitismo della cultura cristiano-latina e si avvia il processo di formazione delle nazioni moderne. E’ la fine di quella Civitas Dei che Agostino aveva idealizzato e che la Chiesa medioevale aveva di fatto incarnato e realizzato per circa un millennio.
Lutero e Calvino, insieme a Montaigne, a Erasmo da Rotterdam, a Machiavelli e a Ugo Grozio, furono gli uomini pilastro del Rinascimento su cui avrebbe poggiato poi la rivoluzione politica e culturale del Seicento.
Non c’è dubbio che la Riforma protestante vada intesa come il culmine di una lunga esperienza religiosa ai limiti dell’ortodossia. Sulla scia di Sant’Agostino e San Paolo viene affermato il primato della coscienza e dell’interiorità, l’esperienza diretta della Grazia e del Peccato, del Dubbio e della Parola divina. C’è anche una novità rilevante : il rapporto fra esperienza religiosa e mondo sociale in un’epoca storica molto diversa da quella tardo-antica o medioevale.
Su questi aspetti così rilevanti per la storia dell’Europa, gli studi sulle conseguenze per il mondo femminile sono vastissimi e ripercorrerli, anche per sommi capi, è pressoché impossibile. Tanto per fare un esempio, si determina un atteggiamento di profonda intolleranza verso qualsiasi forma di stravaganza, di anomalie comportamentali e di disturbo psichico, trattata sommariamente come stregoneria e sanzionata con il rogo. Su questi argomenti che hanno condizionato l’evoluzione della presenza femminile nella società protestante e luterana del tempo, c’è ancora molto da scoprire ed analizzare.
IL RITORNO DEL MISTICISMO
In epoca di Riforma cattolica ritorna nel Cinquecento e nel Seicento, la grande tradizione della mistica femminile. Gli Ordini religiosi sorti dalla Controriforma e le sante mistiche più o meno ortodosse, questa volta gestite in modo accorto e controllate dalle gerarchie ecclesiastiche, costituiranno l’esplicazione più evidente del tentativo di contrastare con ogni mezzo il cammino della modernizzazione nel nome di una spiritualità rinnovata.
Dopo Ildegarda di Bingen e dopo le figure di Chiara di Montefalco e di Caterina da Siena è la personalità grandiosa della spagnola Teresa d’Avila (1515-1582) a rappresentare l’esigenza di una esperienza religiosa rigorosa e radicale anche nei tempi nuovi.
La mistica teresiana è stata fortemente influenzata dalla lettura delle opere di S. Agostino, Gregorio Magno e dal Tercer abecedario del francescano Francesco de Osuna, molto importante fu anche l’incontro con San Giovanni della Croce nel 1567.
A partire dal 1562 Teresa fondò in Spagna diciassette monasteri di “Carmelitane scalze” con un ramo maschile che dopo la sua morte, avvenuta a Salamanca nel 1582, si scisse dall’Ordine religioso originario.
Studi recenti sui testi teresiani al di fuori dell’ambito cristiano da parte di psicologi e psicoanalisti, hanno rilevato nella descrizione dell’esperienza mistica resa da Teresa molti punti di contatto con esperienze estreme del dolore e della sofferenza psichica.
Il misticismo e il “delirio erotico religioso” indicano una peculiare ricerca della salvezza dalla sofferenza morale e psichica e l’aspirazione ad una liberazione profonda dell’animo.
Questa tempesta interiore è stata resa in modo mirabile da Gian Lorenzo Bernini nel gruppo marmoreo l’Estasi di S. Teresa d’Avila che si trova in S. Maria della Vittoria a Roma.
Il punto di partenza dell’esperienza religiosa e mistica di Teresa consiste in una percezione acutissima del sentimento del dolore esistenziale umano, il passaggio verso la redenzione e la beatitudine è stato individuato nella preghiera.
Proprio attraverso l’esercizio metodico e autocosciente della preghiera si poteva realizzare la fusione mistica con Dio. Preghiera, meditazione e contemplazione sono le fasi attraverso le quali il linguaggio dell’orante si fa sempre più puro ed intenso, realizzando via via livelli di fusione con Dio sempre più pieni e durevoli, fino all’esperienza tipica del misticismo : il superamento del linguaggio stesso.
Nelle sette Stanze in cui è diviso il Castello interiore, Teresa descrive la progressiva purificazione dell’anima, dimora di Dio in noi, fino all’unione mistica con lui.
Anima, Dio, Preghiera sono i vertici del triangolo mistico. L’anima è la parte dell’uomo che può muoversi verso l’assoluto, Dio è la totalità rigeneratrice in cui l’anima trova il suo abbandono, la preghiera è il cammino della coscienza fino alla più compiuta perfezione.
Santa Teresa ha indicato diverse volte le tappe del processo mistico ma non ha mai proposto uno schema codificato anche se sono rimasti fermi i punti essenziali.
Beatificata nel 1616, canonizzata nel 1622, è stata proclamata “Dottore della Chiesa” dal Papa Paolo VI nel 1970.
Gian Lorenzo Bernini, Estasi di santa Teresa, Roma
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