LUCREZIA RUBINI SORPRENDE E FA DISCUTERE CON LA SUA PRIMA RACCOLTA POETICA QUESTA NON E’ UNA POESIA

INTERVISTA DI AGOSTINO BAGNATO

Lucrezia, la tua raccolta di poesie, dal titolo quasi provocatorio QUESTA NON E’ UNA POESIA, è una sorpresa e una novità. Sei una donna impegnatissima come docente di storia dell’arte, critico e storico d’arte, grafologa, consulente ed esperto giudiziario, infaticabile promotrice culturale, curatrice di una collezione di arte contemporanea. Quando e perché hai sentito l’urgenza di utilizzare il linguaggio poetico per comunicare le tue emozioni e non solo?

Innanzitutto ti ringrazio per questa intervista che mi dà l’opportunità di riflettere su questa prima produzione di poesie, chiarendone anche a me stessa la genesi e le matrici ispirative. Queste poesie sono state scritte, nella stragrande maggioranza, precisamente in un mese di tempo: maggio 2021, di getto, con ritmi serrati. Un fiume in piena emozionale è scaturito all’improvviso. Evidentemente si trattava di un magma che spingeva da tempo e che la situazione di chiusura, causata dalla pandemia, ha fatto lievitare ed emergere.
Il titolo, più che provocatorio, vuole dare immediatamente al lettore una chiave di lettura: mi riferisco al fatto che queste composizioni- così preferisco chiamarle, come quelle musicali o figurative- non hanno uno scopo immediatamente consolatorio, non sono romantiche, non sono espressione di una “poesia bella”, ma vogliono indurre alla riflessione, talvolta con toni polemici (No alla violenza sulle donne,  È romantico, Lo potevo fare anch’io!, Basta un click (criceto)); talvolta con toni persino demenziali, paradossali, sarcastici (Stupro, Prostituta); sempre, offrono, con una visione disincantata e disillusa, mai a lieto fine, “immagini” per scuotere, per sconcertare, per riflettere; ecco penso che la costruzione di immagini, fatte con le parole, e la riflessione su e tramite esse,  sia il link che collega queste poesie con il mio pensiero di critico d’arte, che qui diventa ipercritico, pungente, provocatorio, proprio come accade talvolta nell’espressione dell’arte contemporanea.  

A che età hai scritto la tua prima poesia? Ognuno di noi ha iniziato un percorso di scrittura poetica, suggestionato dalle prime letture domestiche, sui banchi di scuola e non solo. Per te cosa è stato il corto circuito creativo, se mi è permesso usare questa espressione per un’adolescente e una ragazza?

Non ho mai scritto poesie, non mi sono mai interessata alla poesia, ne sono totalmente incompetente. Ricordo che in seconda elementare la maestra ci insegnò a scrivere poesie usando il digramma “gli”, mettendo in collegamento due elementi, azioni, soggetti; anch’io ne scrissi una, che fu molto apprezzata dalla mia maestra Maria Ventura – presi dieci e lode - e penso che sia l’unica poesia che abbia mai scritto nella mia vita, prima d’ora.

 Devo dire, invece, che l’esigenza di esprimere l’interiorità è nata sin dall’adolescenza: a dieci anni cominciai a scrivere il primo diario, regalatomi in occasione della Prima Comunione; ne seguirono molti altri, scritti fino a circa diciassette anni di età, su agende, fittissimi, in tutto quattordici, che ho distrutto, in cui facevo analisi certosine di emozioni e sentimenti, miei e altrui: questo mi ha abituato a scandagliare l’animo umano, trovando applicazione nel life-coaching e nella grafologia. Successivamente ho studiato, a scuola, come tutti noi, i grandi poeti della letteratura italiana, da Dante a Petrarca e poi quelli del Novecento, soprattutto nell’ultimo anno del Liceo, da Leopardi, a Pascoli, a Eugenio Montale. Ecco, di quest’ultimo in ben due poesie cito i “cocci aguzzi di bottiglia”, tratti da “Ossi di seppia”. In questa poesia ritrovo un ricordo specifico, di quando, bambina, raggiungevo mio nonno, contadino, che riposava, nelle estati assolate, presso un muro in fondo all’orto, che aveva proprio le schegge di bottiglia in cima (“Casa d’infanzia”). L’altra poesia, in cui cito lo stesso verso di Montale, è “Infanzia”.  Risalire all’infanzia ha costituito non solo  l’incipit che ha innescato il circuito creativo, ma ha costituito il crogiolo e il patrimonio emotivo ed emozionale a cui ho attinto per risalire, attraverso il ricordo, a quelle che definirei le mie “radici emozionali”. Ho ripreso alcune foto, che custodisco gelosamente, in cui sono davanti ai cinque gradini che dal grande cortile della casa dei nonni paterni, a Bisceglie - dove trascorrevo le vacanze per   quasi quattro mesi all’anno (da giungo a settembre) -, portavano al “fondo”, dove ero libera di giocare, per poi andare al vicinissimo mare, già pronta con il costume da bagno. Queste “composizioni” nascono dall’esigenza di “fare il punto della situazione” e “tirare le somme” in un momento critico della mia vita. Per fare ciò è stato necessario risalire alle origini della mia vita, all’infanzia, periodo felicissimo, specialmente durante le vacanze dai miei nonni paterni: in particolare mia nonna omonima ha avuto un ruolo molto importante per la mia crescita affettiva.

 Oltre a questa esigenza  quasi di catarsi, che è mia, ma in cui il lettore è invitato a riconoscersi per un percorso condiviso, l’impulso a scrivere queste poesie è nato da un meccanismo di transfert: mi sono ripromessa di scrivere un’ampia monografia  su tematiche d’arte, ma non riesco ad organizzare in un unico testo, che segua un filo conduttore fruibile per chi legge, la quantità immensa e disordinata di materiale, che pure ha trovato espressione in tanti saggi di critica d’arte, in cataloghi d’arte, articoli in riviste specializzate- come la stessa su cui stiamo scrivendo. Ebbene, ho notato che tanti dei miei amici scrittori, storici, storici dell’arte, giornalisti, romanzieri, hanno aperto una parentesi relativa alla poesia, nella loro pur ampia produzione, afferente ad altri generi - cosa che ho notato essere accaduta anche a te in più occasioni. Insomma spero che lo strumento poesia mi offra un punto di leva per avviare una “sistemazione”, in una monografia, di tutte le idee disordinate che pure vado elaborando nel campo della storia dell’arte, che rimane la mia professione e passione e mi dà sostentamento, non solo economico.  


Ritratto di Lucrezia Rubini realizzato da M.H.Sonja Peter, acquarello su carta, cm 35X27, 25 luglio 2022

Non c’è nella tua costruzione poetica una grammatica compositiva, intendendo il verso libero come scelta di superamento di ogni spazio formale. Quanto ti ha stimolato la cultura e la professione di estetologa e come si concilia con la volontà di superare ogni barriera formale e di gusto?

Le mie competenze sono sfaccettate e derivanti sia da studi specifici, in Storia dell’arte, in Filosofia Estetica, in Grafologia, in Life coaching, Didattica, sia da esperienze di vita, afferenti all’insegnamento, nella scuola primaria per un decennio, appena diplomata alle “Magistrali” e poi alle superiori per la Storia dell’Arte; sia, infine, da esperienze di vita, come donna e soprattutto come madre. Le esperienze, di studio, di insegnamento, e più latamente di vita, si sono coagulate in uno stile-non stile, che è assolutamente strumentale e subordinato all’intento di comunicare agli altri questo mondo che urgeva, allo scopo di condividerlo. Il pathos, che carica le espressioni fino a rasentare l’aggressività, vuole provocare la riflessione… critica!

Il tuo verso è preciso, rigoroso, incalzante, icastico, sonoro. Talvolta rumoroso, ma sempre finalizzato alla rappresentazione delle tue emozioni, del pensiero profondo, del senso di sé. Ci sono alcune poesie nella tua raccolta che sono davvero potenti, quasi scolpite. Si avverte la capacità della studiosa dell’arte di stagliare la forma come rappresentazione di forme e volumi nello spazio. Ulisse e La madre sono dei veri e propri archetipi. È così?

Sì, direi che l’elemento filosofico e quello psicologico hanno agito in osmosi per risalire agli archetipi, quali la figura della Madre e i temi della Mitologia, come il viaggio di Ulisse, come tu hai individuato. Questi temi sono stati affrontati in un’ottica latamente spirituale e mai specificamente religiosa. Faccio riferimento a dimensioni universali e atemporali, come nella poesia sulla madre, in cui manca il riferimento al Cielo o all’Aldilà, ma è fermo, invece, il riferimento alla Terra, intesa come luogo delle radici, dell’incipit, delle origini, di ciò che viene prima del Logos e che approda al Cosmo: dunque qui il percorso è quasi dissacratorio perché, senza individuare un dio o un’anima, l’uomo-microcosmo passa dalle viscere della Terra che lo hanno accolto in vita, direttamente ad una dimensione cosmica e universale, immateriale e spirituale. Anche la figura di Ulisse è stata totalmente diseroicizzata, riducendo il suo viaggio ad un viaggio della “disperazione del ritorno”, in cui è da leggere una nota polemica riguardo alla tragedia dell’immigrazione.

Dal mio punto di vista, non ci sono più miti salvifici: l’uomo odierno, solo con la riflessione e l’azione saggia e accorta, può mettere in atto le scelte salvifiche per l’umanità. In tal senso il mio pensiero, pur fortemente concreto, approda allo scettiscismo, fino al nichilismo, mascherato di sarcasmo (Scettica nichilista, È romantico! Destino, Luna e Terra, Vago, Il fruscìo dei pensieri, Orientamento, Verrà il tempo). Ecco, la forma della poesia, o meglio composizione, breve e incisiva, mi è servita per trasmettere, in modo sintetico ed efficace, concetti anche filosofici della mia weltanschauung, che avrebbero richiesto discorsi lunghi, complessi e forse anche noiosi.

Ci sono nello stesso tempo alcuni esercizi compositivi che rompono completamente ogni schema e utilizzano la struttura infantile, la filastrocca, senza essere né l’una né l’altra. Perché hai compiuto questa scelta? 

Non è stata una scelta, ma deriva dall’assecondare un impulso. Riguardo alla ripetitività di un ritornello che caratterizza tante poesie della raccolta, mi sono resa conto che derivano non tanto dalle ninne nanne o dalle filastrocche infantili, quanto dai “Salmi responsoriali” e dalla recita del Rosario, che mia nonna paterna, mia omonima, mi portava a seguire in chiesa quando ero bambina. Quel ritmo, quella ripetitività, una sorta di coazione a ripetere, anzi di mantra, hanno trovato in queste poesie una struttura volutamente ossessiva, fino all’aggressività, che trovo efficace per trasmettere le “immagini forti” che qui vengono “disegnate con le parole”.

La parola è per te lo strumento comunicativo, proprio perché ne cerchi il senso profondo, il significato primigenio. Nelle poesie che si connotano nella struttura logico-formale, non trovo tracce di artificio, di simbolismo, di forzature sentimentali, ma una crudezza talvolta che richiama la grande poesia al femminile del Novecento. Questa urgenza di imporre la tua forza creatrice, soprattutto nelle manifestazioni dell’erotismo è uno dei tratti più significativi della raccolta. È così?

Ribadisco che non sono un poeta, che non avevo mai scritto poesie prima d’ora, che il mio stile – che ritengo sia del tutto originale -, è scaturito in modo del tutto istintivo, anche se la metodologia è coerente con quella, che si sviluppa tra le due polarità del pathos e dell’analisi critica, che uso per la mia professione. Preferisco parlare di “composizioni” poiché ritengo che, sinesteticamente, esse facciano riferimento a: dimensioni figurative, per la forza espressiva di delineare immagini e descrivere situazioni; dimensioni musicali, riconoscendomi in sintonia con la musica rap, per la carica ritmica e incalzante, fino all’aggressività; dimensioni dell’arte teatrale, per gli elementi dialogici e “situazionali” di molte composizioni, che si prestano ad essere teatralizzate.

La raccolta è costituita da 51 composizioni, tra cui si possono individuare diversi “generi”, espressi con modulazioni stilistiche diverse e specifiche.   

Vi è un gruppo di composizioni, che definirei “forti”, che fanno riferimento specialmente alla violenza sulle donne, in cui lo stile è costituito da ripetizioni ossessive e incalzanti, che hanno lo scopo di rendere la situazione oppressiva, asfissiante, spesso umiliante e violenta, vissuta dalla “vittima”; Catcalling è una di queste ed è anche la prima della raccolta, seguono in ordine non consecutivo: Stupro, Ieri pomeriggio (sulla pedofilia), Per risparmiare, Prostituta, Molestia, Incesto. In questi componimenti le scene descritte - o vogliamo dire dipinte? o rappresentate come in una scena teatrale? – sono spesso violente, con il ricorso anche ad un linguaggio violento e senza veli, come penso che sia giusto fare nell’espressione artistica, e come accade per esempio nell’arte cinematografica. Se l’arte è vita e nella vita c’è anche la violenza, è giusto che l’arte esprima apertamente e senza censure anche questo aspetto.

 Vi è un secondo gruppo di composizioni, che segue il filo del ricordo (Infanzia, Trine, Ricordi, Brava a scuola, Madre, Il cancello, Feto, Nascita, Puerpera, Casa d’infanzia) e sono quelle di carattere più autobiografico; faccio riferimento alla mia infanzia felice nella casa dei nonni paterni a Bisceglie, ma anche ai temi della maternità, della nascita ed infine alla vita intrauterina. Le ultime ricerche delle neuroscienze hanno ribadito il ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’adulto ed è stato messo in evidenza il rapporto madre-figlio, basato su una comunicazione chimica, attraverso gli ormoni, delle emozioni della madre, che fissano, nella psiche  del feto, delle tracce mnestiche che continuano ad agire nell’inconscio per tutta la vita; dunque la madre non è solo fonte di nutrimento durante la gestazione, ma pone le basi della nostra struttura emozionale, a sua volta strettamente interdipendente con le dinamiche dell’intelligenza, secondo le teorie dell’intelligenza emotiva. Nel componimento “feto”, in particolare, si può individuare un percorso di risalita alle origini del sé, quasi un processo di “rebirthing”, con evidenti ripercussioni terapeutiche.

 Un altro gruppo di composizioni lancia dei flash polemici su molte questioni, che mi toccano come intellettuale e come critico d’arte, per esempio in Questo lo potevo fare anch’io, mi scaglio contro questo meschino luogo comune, riguardo alla produzione artistica; allo stesso modo entro nel mondo emozionale di tanti incompresi e non riconosciuti dalla società dell’apparenza e del consumismo, perché non producono richhezza, come in: Un mondo tutto mio, Mitomane, Genio, Creativo.

Infine vi sono molte composizioni che potrei definire più “classiche” e forse poetiche, a volte persino consolatorie, malgrado la visione sempre malinconica e disincantata, tra queste: Madre, Amicizia, Abbraccio, Mare, Vento, Pioggia, Rondine, Lacrime, Il pathos del mondo.   


Lucrezia Rubini

Tu ascrivi, nella breve presentazione sulla quarta di copertina, alle
«corde intime dell’universo femminile,  come solo una donna poteva fare, con un linguaggio talvolta forte, per tematiche “forti”…» lo scatto creativo di questa raccolta, per lo meno nei componimenti più realistico-sociali. L’esito riguarda «poesie diverse che affondano in meandri, intoccati e intoccabili, per un percorso non consolatorio, ma di catarsi e di riscatto, quale cura per l’anima». E’ quasi un programma di psicoterapia. Del resto tu stessa dichiari una professione di life-coach, come supporto culturale e non improvvisazione nell’affrontare tematiche forti. Quanto tempo hanno richiesto la riflessione e la elaborazione di queste tematiche?

 Diciamo che in quarta di copertina l’abstract è elaborato dal curatore editoriale, infatti si parla in modo impersonale “come solo una donna poteva fare”, ma mi riconosco in questa considerazione. Ritengo, infatti, che la maternità sia un’esperienza straordinaria, un privilegio per le donne, a prescindere dall’averla vissuta personalmente; penso che la dimensione del femminile offra chiavi di lettura della sensitività e della emozionalità, che sono uniche e che derivano dalla specificità del rapporto con il proprio corpo, che ogni donna è chiamata ad affrontare e a vivere a partire dall’adolescenza. 

Riguardo alla “tempistica esecutiva” direi che, proprio come per la realizzazione di un’opera d’arte da parte di un artista, alla eventuale brevità realizzativa, sottende un lavoro lungo e intenso, che si “coagula” in poche ed efficaci, a volte violente pennellate - pensiamo solo agli Espressionisti astratti-, che qui sono le parole. Non sono laureata in psicologia, ma ho acquisito competenze psicologiche nell’ambito della Grafologia e come life -coach. Ritengo che tali competenze siano indispensabili, attualmente, proprio nel campo della critica d’arte e dell’estetologia, in quanto i nessi tra il benessere psicologico e la fruizione dell’opera d’arte sono stati ampiamente dimostrati. Basti il riferimento alle tecniche della cromoterapia, agli studi sul disegno infantile ecc. Inoltre il tema del pathos, che sottende alla compartecipazione da parte di chi guarda un’opera d’arte, è fondamentale ed è campo di ricerca delle neuroscienze, specialmente riguardo al funzionamento dei neuroni specchio. Sono profondamente convinta che ormai la competenza della critica d’arte sia strettamente connessa con competenze relative alla psicologia della percezione, ai meccanismi di fruizione e di reazione del riguardante nei confronti dell’opera d’arte. Solo questa chiave di lettura può individuare il dialogo muto, che si sviluppa lungo i percorsi del pathos, nel triangolo artista-opera d’arte-riguardante. Ciò che trasmette l’opera d’arte non è altro che la carica emozionale che vi ha “scaricato” l’artista, che a sua volta ha recepito dall’universo che ci circonda. Alla vista dell’opera d’arte, questa agisce su chi guarda, riguardandolo, restituendogli, con una sorta di carica a molla, quanto era stato elaborato dall’artista nella sua produzione creativa. Direi che il quid della creatività consista proprio in questo, nella capacità, da parte del creativo, di renderci consapevoli di quanto è già davanti a noi ma che non sappiamo riconoscerlo e viverlo.  L’arte, dunque, deriva da una mediazione, che mette in collegamento l’universale e l’individuale, facendoci sentire parte di un tutto.  Di questo tutto però, siamo tutti, singolarmente, responsabili e chiamati ad agire, anche con scelte politiche concrete e coraggiose. Il tema della violenza sulle donne è trasversale in questa raccolta e viene trattato direttamente nelle composizioni più “forti”, quali: Stupro, Catcalling, Molestia, Incesto, Ieri pomeriggio (che tratta il tema della pedofilia).

Si potrebbe dire che tanta forza appartiene alla poesia di protesta, a quella rivoluzionaria, all’irruzione dei temi sociali nella vita di una donna. Tu pensi che potrà succedere nella tua strada poetica questa “discesa agli inferi” del sociale? E se la risposta è positiva, come pensi che i contenuti espressi dalla parola scritta, possano diventare sempre più poesia, strumento indispensabile della fenomenologia dell’Essere?

Direi che più che di protesta e rivoluzione, lo scopo di questa produzione - che probabilmente non rientra, proprio come definizione, nel concetto di poesia-, è quello di coinvolgere il lettore in un percorso di catarsi e terapeutico di “discesa agli inferi”- per usare la tua stessa espressione-, della propria coscienza, dei propri archetipi, delle proprie radici, per risalire al rimosso dell’infanzia, indietro fino alla vita intrauterina. Io l’ho fatto in un momento di profonda crisi personale, in cui la ricostruzione dei ricordi dell’infanzia, dei racconti di mia madre, della messa in scena della casa delle vacanze con nonna Lucrezia, mi ha resa più consapevole della donna che sono oggi.

Altro scopo è quello di sensibilizzare sulla questione sociale urgente, che riguarda la violenza sulle donne nella nostra società. La mia idea è che, al di là delle facili proteste sciorinate sui social - che non ci costano niente e servono solo a metterci in “buona” mostra -, ognuno di noi è chiamato a dare il proprio contributo, fattivamente, per intervenire su queste tematiche: se vedessimo che la nostra vicina è vittima di violenza, quanti di noi avrebbero il coraggio di intervenire e denunciare? Quanti, invece, si farebbero “i fatti propri”? Allo stesso modo la politica è responsabile di scelte appropriate, che non puntino solo sulla punizione del reato e sulla tutela delle donne vittime, ma che agiscano concretamente sulla prevenzione, sul fronte sia dell’educazione, sia della diagnosi. I bambini, sin dall’infanzia, vanno sensibilizzati e educati al rispetto dell’altro, mentre test psicologici e diagnosi precoci potrebbero individuare il disagio profondo di coloro, che sbrigativamente definiamo “mostri” e che sfocia nella rabbia, nella violenza e nella rivendicazione, che portano a gesti così disumani (Stupro, Prostituzione, Incesto, Ieri pomeriggio).

 

Quali sono i poeti che più hanno accompagnato la tua crescita letteraria?

Come ho già spiegato non leggo poesie, non mi occupo di poesia e le mie letture riguardano saggi di critica d’arte, per un percorso continuo di studi, che conduco ininterrottamente da quando ho intrapreso gli studi di Storia dell’arte, nel lontano 1982, corroborati da viaggi, condotti in tutto il mondo con mio marito e i miei figli, in tutti i più grandi musei e città d’arte;  non è questa la risposta alla tua domanda e non è questa la sede per spiegare questo tipo di formazione, ma penso che tutto contribuisca - in un circuito talvolta virtuoso, ma che talvolta va in tilt -, a trasmettere sempre lo stesso patrimonio emozionale, che trova nella critica d’arte, a mio avviso, una chiave di lettura fondamentale per il “sentire” dell’uomo odierno. In definitiva ritengo che la struttura metodologica propria della critica d’arte sostenga la costruzione di queste “composizioni”: insomma sono sempre me stessa. Per quanto riguarda i miei punti di riferimento, penso che un patrimonio letterario, che ha agito inconsciamente su di me, possa individuarsi piuttosto in tutto il materiale didattico che ho usato quando insegnavo alle scuole primarie (dal 1983 al 1999): le poesie di Gianni Rodari, le  filastrocche, le favole (dei Fratelli Grimm, di Esopo, dei fratelli Andersen); è da questo materiale che penso – dico penso perché la consapevolizzazione di quanto ho prodotto è un work in progress in continua evoluzione - di aver tratto gli elementi dialogici, di contrasto tra due protagonisti, che caratterizza alcune composizioni (Stupro, No alla violenza sulle donne, Lo potevo fare anch’io, Basta un click (criceto), Batti, batti, È romantico!). La visione disincantata, sconsolata, scanzonata, poi, che quasi attraversa queste composizioni, penso che derivi dalla cultura popolare e folkloristica, napoletana e romana, che mi appartengono. Per quella napoletana, penso specialmente a A’ livella di Totò e per quella romana penso agli stornelli e alla poesia romaneschi (Trilussa).

Infine, come pensi di proseguire questo tuo nuovo percorso artistico, unito alla tua professione di docente, di storico e di critico d’arte, di promotrice culturale sempre più presente sul territorio e con un seguito che lascia intravvedere frutti positivi?

Questo libro, pubblicato per i tipi della Robin edizioni, è disponibile online e su tutte le librerie italiane. È stato presentato già a Tivoli, presso la Casa della Cultura e dell’Arte, con la cura di Reterosa, poi presso la Biblioteca Comunale di Vicovaro, a cura dell’Assessorato alla cultura e della cooperativa Athena. Ci stiamo organizzando per presentarlo presso le Biblioteche di Roma, dove ho già trovato accoglienza in varie sedi. Ho inoltre partecipato al concorso nazionale dell’Associazione “Il Paese delle donne” che curerà criticamente il testo, nell’organo di stampa dell’associazione stessa, a prescindere dall’esito del concorso. Queste composizioni, inoltre, richiedono di essere recitate con la stessa passione con cui sono state scritte, affinché trasmettano la carica di pathos che le caratterizza. Fino ad ora c’è stato un enorme coinvolgimento da parte del pubblico che ha partecipato alle presentazioni. Talvolta sono stata affiancata da amici attori, che ne hanno dato un’interpretazione personale. Temo che, proprio come per un cantautore, talvolta nessuno meglio di chi le ha composte, possa interpretare le sue “composizioni”. Sarebbe opportuno che un critico letterario le presentasse, spiegando la specificità e la diversità di queste non-poesie. Non è ancora pienamente chiaro neanche a me stessa che cosa ho fatto, scrivendo queste composizioni, e questa intervista mi ha dato l’opportunità di rendermene consapevole, cercando le matrici, mnestiche e culturali, a cui ho attinto. Sicuramente è stata un’operazione molto utile innanzitutto per me stessa, perché ha dato parole e immagini ad un patrimonio emozionale che giaceva in disordine da molto tempo e che il momento critico di vita vissuto, ha scombussolato e fatto emergere, come dei reperti dell’anima. Non so se mai sarà oggetto di attenzione da parte degli esperti critici letterari e quale tipo di riscontro potrà trovare. Il mio scopo è di promuovere questa raccolta perché credo fermamente che possa svolgere un’azione di sensibilizzazione diversa, riguardo alle tematiche sociali che affronta, e possa indurre le donne a riconoscersi, confidarsi, solidarizzare. Certamente, come sempre accade per l’espressione artistica, non vengono fornite risposte, ma più spesso interrogativi, che rimangono sospesi: l’arte non offre soluzioni, ma suggerisce percorsi inediti di riflessione e di messa in discussione di sé e del mondo. È la politica che deve farsi carico di azioni mirate, programmate ed equilibrate per la salvezza dei cittadini.

Non ho programmi per il futuro, riguardo specificamente alla produzione di poesia - anche se da quando questo libro è stato pubblicato ne ho già elaborate altre, che sono inedite. Poiché, come ho cercato di spiegare, io sono coerente a me stessa, di fatto ho scritto queste composizioni con la stessa metodologia del critico d’arte; il mio scopo, come ho già detto, è quello di scrivere un libro di storia dell’arte, che possa avvicinare i non addetti ai lavori al mondo dell’arte, obiettivo che ho sempre cercato di perseguire in tanti anni di insegnamento e promozione dell’arte. Intendo offrire una visione diversa dei fenomeni dell’arte, fornire chiavi di lettura inedite e rivelatrici di ciò che vediamo ogni giorno, distrattamente; è proprio ciò che è accaduto con queste poesie: qui tematiche forti, note a tutti per i fatti di cronaca quotidiana- mi riferisco soprattutto alla violenza sulle donne- sono state messe in luce con una lente diversa, rivelatrice, che potrà, spero, indurre ad una riflessione responsabile e possa attivare reazioni di sensibilizzazione, specialmente tra i giovani, costruttori del nostro futuro, e tra i politici, responsabili delle scelte che condizionano il nostro vivere.

 

Grazie e buon lavoro

 

Agostino Bagnato

Roma, 22 luglio 2022

 

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