Salvatore Provino: Echi dall’Ottobre…, 2017, olio su tela, 100x100

«Echi dall’Ottobre…» racconta Salvatore Provino, di fronte al dipinto che ha realizzato tra l’autunno del 2016 e la primavera successiva. «L’ho dedicato alla Rivoluzione d’Ottobre, in occasione del centenario di quell’avvenimento che ha sconvolto la storia della Russia ed ha avuto conseguenze per tutto il Novecento in tutto il mondo». Si ferma un attimo a riflettere, seguendo le forme sulla grande tela. «In ciascuno di noi, in ogni parte del mondo, ha lasciato ricordi, segni, tracce». Si gira verso i suoi interlocutori per leggere sul loro volto cenni di assenso o di diniego. Come si fa a non essere d’accordo con il maestro, che prosegue precisando il suo ragionamento. «Il titolo è appropriato, perché di quel grande evento storico e delle sue conseguenze restano frammenti nella memoria, lampi di ricordi, emozioni e speranze della giovinezza…».

Eccolo, il dipinto. Olio su tela, 100x100. Concepito come un mosaico per campiture incrociate al cui crocevia emergono le lettere “ottobre”, è necessario entrare lentamente nel reticolo di segni, punti, linee, tracce. Ogni particolare sembra rievocare un episodio della Rivoluzione, in termini poetici, allusivi, insinuanti. Non c’è un filo conduttore nel racconto di Provino, né l’artista vuole che si parli di narrazione segnica e simbolica, ritenendo che di quel tempo eroico e tragico allo stesso tempo, restino soltanto gli «echi», come suggestioni, illusioni, sogni.

Delusioni, soprattutto. Ogni cosa è destrutturata, frammentata, atomizzata e la ricostruzione degli eventi si sostanzia nel pensiero attraverso l’impiego dei colori e della materia, il loro dispiegarsi sulle campiture della tela, sul sapiente dosaggio delle sfumature e dei segni. Questi ultimi assumono quasi il valore di cicatrici della storia, oppure di strali nel destino dell’umanità. I neri corruschi e foschi, i grigi puntinati d’incertezza e immobilità, i cangianti marroni sfumati per il passare del tempo, il giallo acceso di sole e di mistero, i rossi infiammati di slanci e di passioni, le varieganti tinte intermedie a fare da tessere del mosaico di un secolo in cui quegli echi sono stati presenti in ogni aspetto e oggi sono un ricordo, una rimembranza di un tempo andato per sempre. Ciò che resta è archeologia di sé che restituisce il meglio di una giovinezza che non tornerà, di una enciclopedia di sentimenti che si è sdrucita e strappata. Ma non è del tutto estinta. E da quegli «echi» sembra emergere prima fioco e vacuo e poi impellente e audace un grido di speranza per l’umanità, per questa società stanca e avvilita, immiserita dalla crisi planetaria, dal terrorismo e dalle guerre locali.

Un dipinto dal carattere corale, si potrebbe definire. Non pittura di storia, ma neanche astrazione della storia. Un tentativo riuscito di raccontare la storia per come l’ha vissuta un artista vero e sincero come Salvatore Provino nella sua esperienza di uomo del secondo Novecento, dove quegli echi erano ancora forti e chiari.

Salvatore Provino lancia una provocazione, perché si scavi tra le rovine del secolo scorso per comprendere oggi le ragioni dei «Dieci giorni che sconvolsero il mondo», secondo l’espressione del giornalista americano John Reed, l’eredità ancora esigibile sul piano ideale, culturale e politico e la prospettiva di una nuova stagione di cambiamenti strutturali e persino antropologici. Lo fa consapevolmente, nell’anno del centenario di quel memorabile Ottobre che portò al crollo definitivo dello zarismo, alla nascita del governo dei Soviet e infine alla fondazione dell’Unione Sovietica.

Il dipinto è un atto di fede nella capacità dell’arte di parlare al cuore della gente, alla generazione contemporanea, al sentire dispersivo odierno di fronte alla comunicazione della realtà in presa diretta senza lasciare traccia. Riflettere sulla storia è un dovere per chi pretende di vivere il proprio presente consapevolmente, avendo l’aspirazione a governare il proprio destino.

Può nascere qualche suggestione dalla osservazione e dall’ascolto di Echi dall’Ottobre…, da quell’Ottobre leninista finito nella tragedia dello stalinismo? Salvatore Provino sembra rispondere ponendo interrogativi. In primo luogo, non si possono creare ancora miti. Il tempo dell’utopia è finito. In secondo luogo, sognare nuovi orizzonti è possibile, ma quali è tutto da vedersi, perché il passato non può tornare. Bisogna sapere ascoltare questi «echi» per non per smarrirsi nel groviglio delle illusioni perdute.

L’uomo contemporaneo vuole essere protagonista del proprio esistere nel divenire senza delegare a nessuno la propria vita e l’anima che la sorregge, senza restare solo. Il messaggio che si decritta di tali echi è proprio questo: si può ricominciare un percorso per riannodare i fili del divenire, senza sapere quale sarà la trama che tesserà il telaio della storia prossima ventura. Non abdicare al proprio ruolo di cittadini, ma sapendo che il diritto di cittadinanza si conquista con le idee e con l’esempio.

La storia non è più una sola.

 

Agostino Bagnato

 

Roma, 30 aprile 2017 

 

Commenti a: Echi dall'Ottobre...

Che bello !

Poter leggere, discutere parlare e scrivere di qualcosa della quale nel quotidiano dibattito sembra prevalere la paura a farlo: la rivoluzione d’Ottobre.

Si la paura, paura da parte di chi osteggiando (ora ci vuole) ideologicamente quell’evento avrebbe preferito non si fosse mai dato; paura da parte di chi mettendo in gioco la propria vita si è sentito tradito dalle enormi aspettative che quei fatti incoraggiarono; paura da parte di chi subendo le odiose conseguenze che ci propone l’attuale modernità, nella difficoltà a trovare bandiere cui affidare le proprie aspirazioni di riscatto; paura da parte di coloro che in questa stessa modernità, nel difendere i propri privilegi, vedono a volte riecheggiare nei fatti le premesse di quell’incredibile pagina della storia che la rivoluzione russa rappresentò.
Si “riecheggiare”, mi piace il titolo dell’opera proposta dal Maestro Provino “Echi dalla Rivoluzione” e c’è una motivazione in questo apprezzamento: della Rivoluzione d’Ottobre si sentono ancora “echi”, come chi transitando in una valle desolata sentendo l’eco, quasi ne riceve incoraggiamento.

Lette queste poche righe mi sembra già di sentire i commenti relativi alla nostalgia: a scanso di equivoci, non è di questo che si tratta. I fatti della storia si sono dati e basta, la nostalgia appartiene a chi si è arreso. Ogni uomo nel suo vivere aspira a migliorare, a migliorarsi e non v’è dubbio che in quell’ottobre coloro che si scagliarono contro il potere volevano migliorare la propria e l’altrui condizione. Ecco la magia dei fermenti rivoluzionari, ci si muove perché costretti dal “non poter più vivere come prima” e nel farlo si da un piccolo contributo a coloro che vivono nella stessa condizione; per quelli che se ne sono accorti e per coloro che attardati ancora se ne dovevano accorgere.

Oggi, nel mondo, le motivazioni di insofferenza e ribellione non sembrano proprio essersi sopite, anzi, se possibile queste di sono incrementate a dismisura. La stessa classe operaia se paragonata numericamente a quella dei primi del novecento è di gran lunga enormemente cresciuta. Anche qui già si ode l’obbiezione: “si…ma…incredibilmente trasformata con aspirazioni che hanno poco a che vedere con quelle degli operai del secolo scorso” ! Una obbiezione questa figlia di una idea del socialismo che poco ha a che vedere con i padri di questa teoria dell’evoluzione dell’economia e della società. Siamo stati figli di una idea quasi cattolica del socialismo, una sorta di schieramento dalla parte dei poveri condito dall’anticlericalismo dettato dalle connivenze tra potere e chiesa. Ma la classe deputata a cambiare il mondo non lo era per le simpatie “francescane” che questa ispirava, ma semmai per la posizione, il ruolo che questa classe occupava nella società: oggi, ancora oggi, provate a farne a meno!

Gli operai, allora come ora, è nel difendere la propria posizione nella società, oserei dire “egoisticamente”, che prefigurano una organizzazione sociale ed economica alternativa.

Il punto sono le bandiere: oggi questa sterminata massa di deputati a cambiare il mondo è come orfana dispersa in mille rivoli: da quelli nelle società più ricche che vogliono convincerla che oramai “si è imborghesita” a quelli nel sud del mondo che la vogliono sotto le bandiere di questa o quella confessione religiosa. Bruciate le illusioni, bruciate quelle bandiere, non mancherà di affacciarsi ancora sul proscenio della storia e, quella paura di cui sopra, abbandonerà alcuni ed assalirà gli altri: quell’ “eco”, c’è da giuraci, tornerà buono!

Volodja Grado

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ECHI DALL’OTTOBRE GIUNTI FINO A NOI

 

La Rivoluzione d’Ottobre ha avuto conseguenze immediate in Russia. Le misure adottate dal Governo dei Soviet all’indomani della conquista del potere sono state Dekret o zemle (Decreto sulla terra) e Dekret o mire (Decreto sulla pace). Il primo porterà alla generale riforma agraria attraverso l’esproprio dei grandi patrimoni fondiari della nobiltà, dei monasteri e dei kulaki (contadini ricchi) e la successiva ripartizione tra i contadini; il secondo consentirà di avviare trattative con l’Austria e la Germania per giungere ad un armistizio e alla successiva pace di Brest-Litovsk.

In tutto il mondo quelle due prime misure del governo rivoluzionario ebbero una eco vastissima e condizionarono le lotte politiche in moltissimi paesi europei, a cominciare dall’Italia. Ma anche negli altri continenti quell’eco ha creato una potentissima esplosione di entusiasmo, fiducia, speranza nell’avvenire. Una grande prospettiva si apriva per i popoli oppressi dal colonialismo in Asia e Africa. Tutto entrò in ebollizione. Tutto sembrava possibile.

Quegli echi sono durati molto tempo e ancora oggi, nonostante siano trascorsi cento anni dall’assalto al Palazzo d’Inverno, non si sono affievoliti e spenti del tutto. Non ci sono più l’empito della prima ora, il fragore della rivoluzione che abbatte le vecchie strutture di potere, lo slancio rinnovatore e creativo che spalanca le porte ai nuovi gruppi sociali, ma a ripercorrere le tappe del Novecento quegli echi si ritrovano nei momenti più esaltanti della storia dei popoli del Pianeta. La lotta contro il fascismo e il nazismo, l’impegno per il disarmo e la pace dopo il fungo atomico di Hiroshima, l’entusiasmo delle nuove generazioni nella trasformazione e ricostruzione del mondo che origina dal Maggio francese e dai Campus universitari statunitensi, l’impetuosa avanzata delle classi lavoratrici verso nuovi diritti ritrovano le note di musiche canti danze, di forme parole e colori che hanno magnificato la cultura e l’arte del secondo Novecento.

Di fronte alle catastrofi odierne delle guerre locali, del terrorismo, della crisi economico-sociale che artigliano il mondo, come ritrovare l’eco di quella stagione memorabile, nel bene e nel male? Eppure l’eco si ascolta se l’orecchio è ben teso nel marasma della contemporaneità armata di atroci brutture. E l’occhio umano riesce a distinguere le tracce di quella speranza che ha infuocato l’orizzonte delle passate generazioni.

Lo dimostra il nuovo dipinto di Salvatore Provino che fa seguito a quel monumento alla rievocazione rivoluzionaria che è appunto Echi dall’Ottobre… Questa ultima piccola tela che l’artista di Bagheria ha voluto intitolare con molta modestia Sinfonia del verde la si può leggere come l’altare delle speranze suscitate da quegli Echi. Più giustamente si potrebbe parlare di un “silenzio verde” che si stende sulla storia. Un silenzio inteso come pausa di attesa, in cui i rumori del passato si ascoltano in un magico lontano sottofondo e in cui i bagliori degli incendi e delle tragedie, i crolli e i detriti s’intravvedono sotto la coltre del verde che ha preso il sopravvento, come una nuova foresta cresciuta sul reticolo di radici antiche, sul pascolo per le menti non dome nella ricerca del futuro ad ogni costo, nonostante quasi tutto stride e soffia controvento.

Ma ci sono anche suggestioni letterarie che nascono osservando questo quadro che s’illumina di luce propria da quel verde squillante e screziato dal terreno e dalla luce, come in una ripresa cinematografica impegnata a cogliere i particolari per esaltare l’insieme, quasi volesse realizzare plasticamente la filosofica verità che si ritrova nell’unità del diverso. «Un erbal fiume silente», esclama Gabriele D’Annunzio alla vista dei tratturi su cui s’incamminano pastori e greggi nella stagione della transumanza, per scendere «verso l’Adriatico selvaggio / che verde è come i pascoli dei monti». In questi versi c’è la maestosità della natura e del comportamento dell’uomo e degli animali ripetuto da millenni. «E vanno pel tratturo antico al piano / quasi per un erbal fiume silente, / su le vestigia degli antichi padri». Un fiume d’erba verde che freme alla luce e si mescola con l’azzurro del cielo, il grigio e il bianco delle nuvole e quel magico cangiante cilestrino della marina che tremola ai raggi del sole.

Ma non è soltanto la sacralità della stagione che si ripete immutabile ancora oggi, pur se i tratturi sono stati sostituiti da devastanti strade asfaltate che feriscono mortalmente le montagne. Torna subito dopo alla mente, «ampio e quieto / il divino del pian silenzio verde» della Maremma toscana che Giosue Carducci fa riflettere nel «grave occhio glauco» del bove al lavoro paziente sui campi fecondi. Il poeta toscano non evoca incantamenti naturalistici, quanto piuttosto l’esaltazione del paziente servizio del mansueto e solenne bove che sottostà contento al giogo per rispondere «all’agil opra dell’uomo», quindi più un riflesso di quel realismo che sarebbe diventato verismo da lì a qualche anno in seguito alle vastissime agitazioni sociali in tutto il Vecchio Continente.

Le atmosfere bucoliche e georgiche non si adattano alla pittura di Salvatore Provino, tutta protesa al combattimento delle forme e alla tensione dei colori, senza temperie ideologiche o metapolitiche. Ma in questo Sinfonia del verde o nel Silenzio verde che sia, il maestro ha trasmesso la sua poesia del ricordo, dell’ascolto di quegli echi che nascono dalla storia non completamente sommersa dal tempo. E quindi della speranza nella capacità dell’uomo di rinascere e di tornare a costruire il futuro.

Di un umanesimo contemporaneo, si potrebbe parlare a proposito della pittura ultima di Salvatore Provino, in cui l’ascolto della storia si fonde con la fantasia che s’invera in colori di verità.

 

Agostino Bagnato

 

Roma, 23 maggio 2017    

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