Il Centro Russo di Scienze e Cultura in Italia ha festeggiato sei anni di vita. Lo ha fatto con una cerimonia molto semplice e suggestiva, nobilitata da una impeccabile rassegna delle opere pittoriche di Šavkat Abdusalamov.

Chi è costui, si sono chiesti molti italiani intervenuti alla cerimonia la sera del 24 novembre 2017 a Roma, nella cornice splendida di Palazzo Santacroce, sede del Centro. L’artista è stato presentato al pubblico da Oleg Osipov, direttore del Centro che ha ricostruito le breve ma intensa storia dell’Istituto culturale russo, coadiuvato da Valentina Sokolova, segretario dell’Ambasciata della Federazione Russa presso la Sana Sede che ha ripercorso le tappe principali dell’artista.

Šavkat è nato a Taskent nel 1939, le sue origini uzbeke sono inconfondibili nei tratti somatici ma anche nell’eleganza della parola e dei gesti. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Mosca nel 1962 e da allora ha preso il via un percorso artistico di tutto rispetto, basato su un figurativo tra il realismo popolare e il fiabesco, nella naturale commistione tra cultura russa tradizionale e stile orientaleggiante. Il linguaggio che ne deriva è di notevole suggestione, anche quando sono evocati temi e ambienti della tradizione cristiana. Si veda Roždestvo (Natale, Natività) del 1986 in cui si ritrovano echi fiamminghi nella ricostruzione della capanna dove non sono indicati i protagonisti della tradizione evangelica ma soltanto i Magi e coloro che accorrono richiamati dalla cometa. Studiando l’altro dipinto dal titolo Angel granitel’ (Angelo conservatore) del 2015, vero capolavoro di sintesi della grammatica espressiva di Šavkat, si ritrovano elementi favolistici come le ali di legno tenute insieme da cordami e filamenti che fanno del realismo popolaresco qualcosa di magico. Gli occhi grandi delle figure, sgranati sul mondo come quelli dei bambini, accrescono l’assetto favolistico e onirico del mondo dell’artista.

Vicino agli ottant’anni, Šavkat guarda il mondo con gli occhi incantati dell’innocenza, come se la violenza e la brutalità del mondo circostante non lo riguardassero, o meglio proprio per esorcizzarle. Amico di Michelangelo Antonioni, il maestro che si definisce «abitante di Mosca» quando gli si chiede la nazionalità, quasi a sottolineare i caratteri molteplici della sua personalità, spera di approfondire ulteriormente il rapporto con l’Italia e di onorare con la sua arte la Russia che lo ha accolto come un figlio.

La serata è stata aperta da un concerto della giovane pianista Diana Gabrielyan che ha eseguito musiche di Čajkovskij, Chačaturjan e Liszt, riscuotendo un convinto successo. Alla elevata tecnica che sfiora il virtuosismo nelle parti più ardue, si accompagna una sensibilità che si traduce in leggerezza di suono nei brani poetici e romantici, mentre nelle pagine vorticose la sua preparazione musicale esalta la nettezza delle note con scansioni perfettamente calibrate.

Un buffet a base di piatti tipici della migliore tradizione russa ha concluso la serata facendo dell’occasione del sesto anniversario del Centro una festa russa autentica.

Agostino Bagnato

Roma, 27 novembre 2017

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