DUE MOSTRE PER DISCUTERE
Etruscu-ludens. Che bel titolo per una scuola di ceramica creata a Tarquinia, all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso da Sebastian Matta e frequentata da ragazzi del posto diventati nel tempo dei bravi scultori. Ed ecco che a distanza di quasi cinquanta anni i frutti di quel laboratorio sono diventati una rassegna di ceramica artistica contemporanea con il sottotitolo Origini, trasformazioni e mutamenti.
Oltre a quello di Matta, nume tutelare nonostante sia scomparso da qualche anno, spiccano i nomi di Luigi Belli e Giovanni Calandrelli, a cui si aggiungono Massimo Luccioli e Tommaso Cascella che, pur non facendo parte del gruppo all’atto della fondazione, ne hanno assorbito intensamente l’insegnamento subito dopo, proseguendo fino all’esaurimento del laboratorio dieci anni dopo.
Un primo saggio della qualità artistica del gruppo si era avuto alcuni anni fa alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, in cui gli scultori menzionati erano presenti con molti altri ceramisti. Ma Tarquinia ha voluto rendere omaggio a Luciano Marziano, compianto storico della ceramica e studioso di arte contemporanea, che ha seguito le vicende di Sebastian Matta a Tarquinia, la nascita e l’evoluzione della scuola, il suo carattere interdisciplinare. Il merito va alla Società Tarquiniense di Arte e Storia e al suo presidente, l’archeologa Alessandra Sileoni, che nella primavera del 1917 ha organizzato nella chiesa di San Pancrazio la prima rassegna, proprio partendo dal nome che gli aveva dato Matta nel 1971, limitata a quattro artisti: Matta, Belli, Calandrini, Luccioli. Il successo ha sollecitato una replica e un ampliamento, anche perché attorno alla produzione ceramica sta aumentando l’attenzione della critica e dell’opinione pubblica, come attesta la rassegna di Faenza.
Ed ecco l’occasione propizia: Frascati, inaugurazione degli spazi espositivi appena ricavati dalla sistemazione delle mura perimetrali sul lato settentrionale della cittadina tuscolana, erroneamente attribuiti a Joseph Valadier. I locali ipogei ottenuti dalle sostruzioni litiche sono stati adibiti a sale espositive, una per ciascun artista, potendo contare su un allestimento sapiente per uso dello spazio, moduli di supporto delle terrecotte e luci artificiali. Uno scenario di notevole suggestione, se si tiene conto della diversità del linguaggio, anche per la differente provenienza di ciascun artista, come a volere significare l’universalità dell’arte.
Le creazioni in ceramica di Matta intrecciano e fondono, attraverso forme sapientemente dosate, la tradizione precolombiana e principalmente mapuche con la raffinata cultura etrusca tramandata dalle pitture tombali e vascolari, dall’infinità varietà formale del bucchero, dai sarcofagi, dall’oreficeria, dalla manifattura del bronzo e del ferro, dall’artigianato litico. Contaminazione riuscita perfettamente, arricchita dalla suggestione di trovare quelle “creature” nella terra dei Latini, ai piedi del monte Tuscolo che fu sede di Albalonga, culla di latinità e di romanità. Probabilmente Amanti, piccola terracotta della fine degli anni ’70, è l’opera che meglio sintetizza questa fusione di stili e culture, mentre nelle altre sculture si annida la prevalenza di una o dell’altra, a seconda dello stato d’animo dell’artista. Si veda Coppa, piccolo bucchero degli anni ’70, su cui i graffiti hanno rimandi cileni molto netti, come nel Piatto sempre dello stesso periodo. Ma anche le opere che risalgono al periodo immediatamente successivo lo scioglimento della Scuola, in mostra per dimostrare la lunga scia lasciata di quell’esperienza, attestano il legame metabolizzato tra le due culture, come le terrecotte Senza titolo dell’inizio degli anni Ottanta.
Giovanni Calandrini esprime il frutto della sua ricerca con statue in cui la postura rimanda alla tradizione precolombiana, mentre la figura risente di una complessa trama di pensieri che si fa forma, talvolta di ieratica fissità. I simboli contenuti a ridosso della figura rimandano alla mistericità etrusca, quasi l’artista temesse una perdita d’identità. La materia è trattata con grande sapienza manuale, evidente lascito del lungo esercizio con l’argilla e con il fuoco.
Il più giovane del gruppo è Luigi Belli che matura una ricerca con approdi lontani dall’esempio originario, in cui modernismo e stupefazione si dilatano in forme difficilmente sintetizzate, proprio perché il discorso dell’artista è sul dettaglio ripetuto e reinterpretato, prevalentemente sostenuto dall’uso del colore.
Tommaso Cascella è l’altro ceramista che lega la produzione alla tradizione che si manifesta prevalentemente con piatti e vassoi di medie dimensioni i cui graffiti colorati creano suggestioni di fuga. Le trame di segni sulla materia affidano messaggi nel tempo, partendo dal richiamo al passato per traguardare l’avvenire, contando sul ritmo delle linee di differenti colori.
Massimo Luccioli è artista di solida formazione accademica, avendo alle spalle un maestro come Alberto Ziveri e riferimenti costanti con la Scuola Romana. Approdato alla Scuola di Matta, ne assorbe rapidamente la linfa creativa e, mettendo a frutto il sapere accademico, sperimenta forme espressive originali e potenti, in cui il lascito millenario sorregge un linguaggio innovativo di grande suggestione poetica. Etruscu-ludens gli offre l’occasione per esaltare la naturalità della materia trattata, macco, nenfro, argilla, pasta vitrea. Prendono forma manifestazioni complesse per carattere interdisciplinare, in cui la base di partenza è sempre la materia argillosa. Quegli anni lasciano un segno profondo nell’artista che affiora in ogni occasione propizia. Ma sono i bassorilievi sotto forma di pannelli di lamine sovrapposte di terracotta, che promanano il messaggio di un possesso dell’anima della terra per amare l’esistenza cosmica. In questo senso il legame con Matta si potrebbe intravvedere nella Madre Terra, Pata Mama della cultura mapuche. Questi pannelli costituiscono la sintesi della ricerca di Luccioli e nello stesso tempo la dispiegano nel tempo, se è vero che l’insegnamento di Matta è soltanto l’avvio, trovando l’artista dentro di sé i caratteri propri della naturale personalità.
Il successo della rassegna tuscolana è legata sicuramente alla qualità degli artisti, ma anche per la suggestione degli spazi e per l’allestimento accurato e molto rispettoso delle esigenze di spazio e luce di ogni singola opera, in un percorso di lettura che dimostra attitudine con la materia.
Se le Scuderie Aldobrandini sono da molti anni sede del Museo civico, a suo tempo allestito da Massimiliano Fuksas, con riferimento particolare alle origini della città, le Mura del Valadier potranno diventare un Centro permanente di scultura e ceramica artistica e dare impulso al rilancio dei Castelli Romani sulla scena dell’arte contemporanea.
L’afflusso di pubblico numeroso ha premiato lo sforzo degli organizzatori e costituisce un sicuro supporto per successiva iniziative.
SEBASTIAN MATTA CREA ETRUSCU-LUDENS
La mostra di Frascati e prima ancora quella di Tarquinia, sono ancora più preziose perché costituiscono l’occasione per tornare su una esperienza formativa e artistica di notevole spessore culturale e pedagogico. Si potrebbe parlare di significato politico e sociale, ma queste valenze esulano dalla presente disamina in quanto richiederebbero una trattazione ben più ampia e caratterizzante.
Etruscu-ludens cade in un momento importante della vita di Sebastian Matta e ripercorrere per grandi linee quel percorso può aiutare a comprendere il clima in cui l’esperienza è potuta maturare. Un artista proveniente da culture lontane non inventa in un luogo altro un modo di vivere se non ha motivazioni forti e profonde, ideologiche in primo luogo. Basti ricordare che erano gli anni della guerra in Vietnam, della Rivoluzione culturale in Cina e della vittoria di Fidel Castro ed Ernesto che Guevara a Cuba, del disfacimento del colonialismo e che la stagione del Sessantotto aveva aperto grandi speranze nel mondo. In campo culturale Jean-Paul Sartre, Herbert Marcuse e Theodor Adorno dettavano legge.
Sebastian Matta era giunto in Italia negli anni Cinquanta, dopo il travagliato soggiorno americano nel gruppo dei surrealisti a New York. In seguito al suicidio del pittore di origine armena Arshile Gorky ed al dissidio con il gruppo surrealista, il maestro cileno aveva deciso di approdare in Europa e di tentare l’avventura artistica proprio nel ventre del surrealismo, anche se il movimento si andava sempre di più deprimendo e smembrando. La sua formazione marxista, anche per i legami con il gruppo messicano così intensamente intriso di cultura popolare, lo portava a sperimentare strade in cui la tradizione e la storia erano filtrate attraverso un subconscio affiorante ed emergente in forme sempre più astratte e fantasiose, lontane dalla figura tradizionale e dal segno realistico. Ma ogni ricerca avrebbe dovuto portare con sé una concretezza sociale, una condivisione fattuale, una sollecitazione plurale. Ed ecco l’idea della scuola interdisciplinare, fondata sull’artigianato, ovvero sulla produzione manuale partendo da materiali naturali, come pietra, terra, legno, tessuto, minerali. Il miracolo dell’incontro di due civiltà antichissime: quella precolombiana Mapuche di cui è ricco il territorio cileno e quella etrusca e latina che domina l’Etruria a nord del fiume Tevere e quella latina a ridosso dei colli Albani e Tuscolani dove regnò Albalonga.
E’ lo stesso Sebastian Matta che spiega la scelta di Tarquinia come sede della sua scuola. «Da ragazzo, nel Cile, vivevo ignaro di quello che oggi si chiama il Terzo Mondo, cioè la periferia; vivevo nella cultura europea […] e cominciai a sentire che c’era qualcosa prima, l’”origine” […] e per questo che m’interessa molto l’arte delle origini, l’arte primitiva. L’”erranzia” mi portò a Tarquinia, che risulta essere l’origine, la preistoria della latinità». Alla fine degli anni Sessanta compra un vecchio convento abbandonato nella piana di Tarquinia, messo all’asta dal Comune perché non sa cosa farsene. Matta trasforma i locali in laboratorio di pittura e tra cavalletti, grandi e piccole tele, luci e scale, produce le sue tele destinate ai galleristi e ai collezionisti di tutto il mondo. Ma quell’argilla abbagliante che impasta i terreni dell’antica Tarqna, la lucumonia potente e avversata dalla potenza di Roma nascente, lo affascina e lo esalta. Perché non lavorare la creta, l’argilla, il macco? Avvia subito la sua sperimentazione. In precedenza, negli anni Sessanta, l’incontro con Giovanni Calandrini, pioniere nella riscoperta delle tecniche ceramiche tradizionali in stile etrusco a Tarquinia, gli aveva fatto maturare la convinzione che era sulla ceramica che bisognava puntare per la creazione di un laboratorio, dilatandone le funzioni ad altre tecniche e differenti materiali. «In effetti, dall’incontro si delinea quello che sarà da lì a poco il laboratorio dell’Etruscu-ludens, che nella sua piena formulazione incarna un’idea sociale prima ancora che culturale, e che pone alla base la città, intesa come comunità, fatta di diversità, incontri, conoscenze e scambi di sapere, animata dagli abitanti e dalle professioni artigianali, che ne costituiscono la componente più vitale e autentica», scrive Lorenzo Fiorucci, curatore della mostra a Tarquinia e a Frascati.
A differenza di altre esperienze artistiche e formative, il progetto di Matta punta sulla creatività e sull’attività fattuale e pratica dei singoli, partendo dalle loro abilità manuali e tecniche. Fiorucci analizza i contenuti del percorso formativo, sostenendo giustamente che “[…] rispetto alle precedenti esperienze l’idea laboratoriale del cileno si innesta su una città preesistente e su un tessuto artigianale che custodisce conoscenze e tradizioni secolari, bisognose di nuova consapevolezza rispetto alle proprie capacità e al tempo presente. In questo senso l’Etruscu-ludens ha una sua connotazione etica e rappresenta un unicum in confronto ai precedenti esperimenti. Nella sua portata utopica il progetto punta a generare un miglioramento per ogni singolo artista-artigiano; valorizzando l’aspetto creativo, tenta inoltre di costruire un senso di appartenenza e un comportamento collettivo di una comunità».
Si è accostato questo esperimento all’Art and Crafts di William Morris o al Bauhaus di Walter Gropius, ma anche alle botteghe del sovietico Vchutemas (Vyšie Chudožestvennye Techničeskie Masterskie – Laboratori Tecnici di Arte Superiore) dei costruttivisti e in particolare alla scuola d’arte di Vitebsk fondata e diretta da Mark Šagall, trasformati nel 1927 in Vchutein (Vyšnye Chudožestvennye Techničeskie Instituty – Istituti Tecnici di Arte Superiore), o ai laboratori interculturali delle colonie Besprizornye di Anton Makarenko. Si può fare anche riferimento alla Factory di Andy Warhol, ma il discorso porterebbe ad altre latitudini sociali e culturali. Lo stesso Sebastian Matta è consapevole dell’arditezza della sua creazione e lo esprime apertamente, quasi con orgoglio ideologico: «L’Etruscu-ludens è una sfida alla società dei lavori forzati, per un socialismo del lavoro scelto. Se per sfida, se per scommessa con se stesso l’uomo allunò inutilmente, si può pensare che per sfida con se stesso può inventare un’industria ludica, ben più utile che non l’astronomia […] Nell’artigianato ci sono già tutti gli elementi che se uno li coltiva tutta una vita diventano arte, cioè realizzazione del meglio di sé. Ma l’artigianato tende, purtroppo, a sparire dalla vita moderna. Proprio per questo Tarquinia può diventare una meta della mia erranzia. Una città per avere una autentica dimensione sociale […] non deve essere più grande di un certo numero d abitanti, in modo che gli uomini possono conoscersi. Così il lavoro di ognuno è realtà di tutti, e l’artigiano è in contatto con lo studente, o il tecnico può svilupparsi in artista».
A distanza di quasi cinquanta anni, quando Sebastian Matta non c’è più, è ancora Lorenzo Fiorucci a tornare sull’argomento con la consumata competenza acquisita. Così stigmatizza il percorso tarquiniese del maestro cileno: «Egli concepisce la tecnica come strumento al servizio dell’uomo e della comunità, non in funzione meramente meccanica, ma a disposizione della creatività e della fantasia: solo in questo senso essa assolve ad un funzione umana e può svilupparsi in arte. E’ un’emancipazione del ruolo dell’artigiano, che si trasforma da esperto conoscitore di tecniche e modi in artista, sperimentatore di forme e materie.
Da queste posizioni prende corpo, dal 1971 e per circa dieci anni, l’Etruscu-ludens nel quale Matta coinvolge vecchie e giovani forze della città: ceramisti, falegnami, orafi, carpentieri metallici, finanche giovani tessitrici, tributando un meritato riconoscimento di valore anche al genere femminile. Tutti vengono sollecitati a un diverso fare artigianale, capace di rompere le pastoie formali del passato e di aggiornare la tradizione attraverso una libertà creativa che attinge direttamente alla fantasia immaginativa di ciascuno.
In sintesi è questo il progetto di Matta: stimolare il movimento creativo rispetto ad una condizione statica di partenza e tessere una sottile trama che lega le più vive e autentiche forze di una piccola città dalle origini antichissime come Tarquinia, offrendo loro lo strumento della fantasia e la capacità di sentirsi parte di un unico tessuto sociale, determinando una nuova modalità di azione opposta e diversa rispetto alla dimensione unica in cui la società dei consumi degli anni Settanta, così come quella odierna in forme ancora più esasperate, si muove».
La convivenza artistica dura circa dieci anni e produce risultati molto apprezzabili e duraturi. Poi cambia il clima generale. Si passa dalla cultura del collettivo sociale all’individualismo e alla sfrenata ricerca del successo personale. Modelli sciagurati s’impongono nella società e degenerano in comportamenti edonistici che supportano la cultura dell’apparire e dell’effimero come fine, fino alla disintegrazione della coscienza civile.
Tarquinia non è totalmente immune da cascami e rivoli di cultura post moderna. Etruscu-ludens cessa di produrre i suoi effetti positivi. Sebastian Matta non riesce ad esercitare attrattività sufficiente per frenare la disgregazione del gruppo. Continua a vivere e a lavorare a Tarquinia, ma il suo è il percorso di un grande artista internazionale che non ha più legami diretti con la storia e la cultura del territorio su cui vive e dilata i propri pensieri all’infinito.
CONCLUSIONI
Cosa resta di questa bellissima esperienza, punto distintivo del clima rivoluzionario del Sessantotto e di una intera generazione che ha tentato di portare la fantasia al potere? Oltre all’esempio della modestia e della disponibilità sociale di un grande artista come Sebastian Matta, restano le opere realizzate a quel tempo, ma anche la spinta a non trascurare la ricerca contemporanea di nuovi mezzi espressivi, senza avere il timore di rivolgersi al passato, al magistero dei grandi, all’insegnamento dei veri maestri. Che cosa è l’approdo di Massimo Luccioli e Tommaso Cascella alla ceramica, dopo gli studi accademici di pittura, se non questo?
Tarquinia deve essere grata a Sebastian Matta per quell’esempio che ha portato, proveniente da una cultura lontanissima ma pronto a mettersi in gioco per conquistare un mondo ancora più grande, antichissimo e misterioso.
Ecco come potrebbe definirsi oggi Etruscu-ludens: un omaggio alla creatività sociale.
Agostino Bagnato
Roma, 7 febbraio 2018