Il bellissimo saggio tratta il ruolo che le donne hanno avuto al fronte come fotografi di guerra. Ma per alcune di esse la professione s’inserisce in un contesto storico, politico e ideale che va al di là della stessa battaglia di emancipazione femminile, tracciando una sintesi delle principali vicende internazionali del Novecento, dalla rivoluzione messicana alla guerra civile spagnola. In un crogiolo di avvenimenti che ancora oggi fanno discutere, si distinguono le figure di Tina Modotti e di Gerda Taro, divenute una vera e propria leggenda dell’impegno rivoluzionario e antifascista.

Di Armida Corridori         

                                    

Malgrado la tua morte e le tue spoglie,

l’oro antico dei tuoi capelli

il fresco fiore del tuo sorriso al vento

e la grazia quando saltavi,

ridendo delle pallottole,

per fissare scene di battaglia,

tutto questo, Gerda, ci rincuora ancora.

                           Luís Pérez Infante

                           A Gerda Taro, morta sul fronte di Brunete


Una miliziana repubblicana mentre si addestra sulla spiaggia di Barcellona (agosto 1936), foto di Gerda Taro

 

PREMESSA GENERALE

A Barcellona, in quell’inizio d’agosto del 1936, stanno arrivando in tanti per unirsi al primo popolo che in Europa ha preso le armi contro il fascismo.

Gli abitanti della città accolgono fraternamente gli stranieri accorsi per combattere al loro fianco. È una Babele di lingue ma ci si comprende aiutandosi con i gesti, con suoni onomatopeici, con dizionari formato tascabile.

Lo scrittore  André Malraux, anche lui arrivato in Spagna, nel romanzo “L’Espoir”, La speranza, pubblicato nel 1937, riproposto quest’anno nei Tascabili Bompiani, descrive ciò che si vede dalla finestra di un bar di Albacete dove si formavano le Brigate internazionali.

“Sfilano gli uomini ancora in abito civile, ma calzati di scarpe militari: facce ostinate di comunisti o i capelli da intellettuali, vecchi polacchi dai baffi alla Nietzsche e giovani dai musi da film sovietici, tedeschi dal cranio rasato, algerini, italiani che parevano spagnoli, inglesi più pittoreschi di tutti gli altri, francesi simili a Maurice Thorez o a Maurice Chevalier, tutti impettiti.

Si dirigevano verso le caserme e iniziarono a cantare; e, per la prima volta al mondo, gli uomini di tutte le nazioni mescolati in formazione di combattimento cantavano l’Internazionale.”

Malraux nella guerra civile , militò nell’aeronautica repubblicana.

La Speranza”, dedicato ai compagni della battaglia di Teruel, è il “ romanzo della Storia in atto”. Storia e scrittura si fondono in uno stile dove la parola del quotidiano si trasforma già in tempo storico.

Giorno dopo giorno l’autore registra le azioni dei combattenti della Repubblica e nelle pause dei combattimenti i loro dialoghi sull’ideologia, sulla vita e sulla morte.

Eppure tra questi uomini così diversi per origine, lingua, cultura, esperienza di vita, nonostante l’angoscia e le contraddizioni, viene alla luce tra loro una comunione più intima forgiata nel pericolo e nella sofferenza.

Di tutto questo, l’autore che non  risparmia a noi lettori  gli orrori della guerra, riesce a farne materia per un’epica collettiva sublime e umile, che in fondo al tunnel vede comunque una luce di speranza.

Anche i fotografi arrivano e fanno parte del continuo afflusso delle milizie volontarie, sono accettati e il loro lavoro è ritenuto importante. Robert Capa e Gerda Taro sono tra loro, arrivati da Parigi hanno rischiato la morte perché il bimotore sul quale viaggiavano aveva dovuto fare un atterraggio d’emergenza sulla Sierra.

In prima battuta fotografano l’addestramento alle armi delle miliziane poi si spostano verso il fronte d’Aragona e in seguito in Andalusia.

La guerra civile spagnola 1936-1939, rappresenta il primo conflitto documentato integralmente dai fotografi.

Dopo la fine della Prima guerra mondiale la stampa illustrata aveva avuto un’ampia diffusione e anche le immagini di guerra vengono ampiamente utilizzate e contribuiscono ad alimentare il dibattito pubblico.

In questo contesto, la guerra civile spagnola rappresenta un passaggio importante in quanto pur essendo un conflitto “locale”, assunse un interesse “internazionale” perché mise in campo lo scontro “globale” tra fascismo e comunismo.

Famosa è la fotografia che documenta la morte di un miliziano nell’attimo stesso in cui arriva colpito dal fuoco nemico. È stata scattata da Robert Capa, nome d’arte di Ende Friedmann, ebreo ungherese, il 5 settembre 1936 a Nord di Cordova.


Robert Capa, pseudonimo di Endre Ernő Friedmann[1] (Budapest, 1913Tay Ninh,1954), è stato un fotografo ungherese naturalizzato statunitense.

Edita per la prima volta nel settembre dello stesso anno, fu ripubblicata nel 1937 in un articolo dal titolo Morte in Spagna e poi di nuovo su testate a grande tiratura, diventando così  una delle immagini belliche più riprodotte della storia.

L’immagine rappresenta la guerra nel suo lato più crudo, senza enfasi eroica ma nella sua drammaticità quotidiana. L’assenza di indicatori spazio-temporali precisi ne rafforzano il significato e la sottraggono al momento contingente dando un senso generale alla morte violenta propria di ogni guerra.

 

LA GUERRA CIVILE IN SPAGNA

Quella che attraversa la Spagna nei primi decenni del ‘900 è una crisi totale e di lungo periodo che nasce prima e muore dopo i fascismi ma ne costituisce anche il banco di prova.

Nel 1923 un colpo di Stato reazionario viene attuato dal generale Primo de Rivera e dal re Alfonso XIII, ma nelle elezioni del 1931 con la vittoria delle sinistre si forma una repubblica democratica moderata.

I tentativi di riforma agraria e di laicizzazione dello Stato sono considerati troppo eversivi dai conservatori e troppo prudenti dai contadini.

A ciò si aggiungono agitazioni indipendentiste di baschi, catalani e galiziani, un fallito golpe militare nel 1932 e uno sciopero-insurrezione dei minatori anarchici delle Asturie nel 1934, stroncato con brutalità, di fatto la Spagna è una polveriera.

Nelle elezioni del 1936 vince il Fronte popolare formato da comunisti, socialisti, anarchici del Poum e repubblicani che danno vita a un governo liberal-democratico.

Una parte della borghesia e del proletariato di fabbrica concorda un programma di modernizzazione graduale, il successo elettorale viene interpretato invece dall’ala più radicale come la prima tappa di una rivoluzione sociale e della rivincita contro l’arroganza dei gruppi dominanti.

Inizia cosi la resa dei conti, chiese incendiate, preti che avevano predicato da sempre la rassegnazione, uccisi:” Troppe chiese piene d’oro e troppi villaggi senza pane” notabili, proprietari terrieri.

La reazione intanto sta affilando le armi. Nel 1933 il figlio di Primo de Rivera, José Antonio aveva fondato la Falange, organizzazione paramilitare fascista costruita sul modello del Partito fascista italiano e di quello nazista.

I falangisti costituivano una novità nel panorama politico spagnolo: ben organizzati, militarmente inquadrati, con un seguito di massa, rappresentavano il corrispondente ancora più violento dello squadrismo fascista italiano e vengono sostenuti dalle élites minacciate nei loro privilegi.

È il contesto perfetto per l’ennesimo colpo di stato militare (pronunciamento) secondo alcuni il cinquantaduesimo dal 1814. Nel luglio del 1936 quattro generali della guarnigione di stanza nel Marocco spagnolo si ribellano e occupano rapidamente buona parte della Spagna centro-occidentale.

La ribellione è capeggiata da Francisco Franco (1892-1975), il futuro caudillo (duce, condottiero), il governo della Repubblica è preso in contropiede e all’inizio sottovaluta il pericolo.

 È l’inizio invece di una feroce guerra civile che insanguinò il paese fino al 1939 con massacri, distruzioni e un costo altissimo di vite umane, tra i 600.000 morti e il milione.

La guerra non oltrepassò i confini geografici della Spagna, ma oltrepassò ben presto la dimensione nazionale e si venne a configurare come scontro in armi tra fascismo, bolscevismo e democrazia a livello europeo, segno premonitore di un nuovo conflitto generale.

Le organizzazioni del movimento operaio chiesero di distribuire le armi ai lavoratori in difesa della Repubblica, il governo però esitava: armare gli operai e i contadini avrebbe significato imboccare apertamente la strada della rivoluzione e quindi precludere ogni possibilità di conciliazione.

Come accade sempre nelle guerre civili, il potere nei due campi si spezzettò e venne assunto dai comandanti delle unità combattenti che fecero ricorso all’armamento di milizia volontarie.

Si scatenò una violenza inarrestabile, da parte dei falangisti il terrore fu organizzato dall’alto con pubblici massacri collettivi eseguiti dai militari senza nessuna forma di processo.

Da parte repubblicana la violenza fu in misura uguale ma spontanea, sfogo naturale di un odio di classe antico e viscerale.

Particolarmente feroce contro i militanti di sinistra e i loro familiari fu l’azione dei carlisti, i famigerati Requetés de Navarra ( Volontari di Navarra). Fra le vittime più illustri vi fu il poeta Federico Garcia Lorca (1898-1936) assassinato non solo per la sua militanza nella sinistra ma anche per la sua omosessualità.

Dentro la guerra trovano spazio rivendicazioni secolari, dal basso si creano comitati che guidano l’occupazione delle terre, il femminismo anarchico delle Mujeres libres mette in discussione l’ordine sessuale oltre che sociale e alla perenne figura della madre si affianca quella della miliziana in armi.

C’è un enorme fermento, una grande speranza di poter finalmente cambiare le cose in una società nel complesso fortemente arretrata.

In pochi mesi i rapporti di forza, inizialmente a favore dei repubblicani si capovolgono. La guerra da fatto interno di un Paese si trasforma in questione internazionale.

Italia e Germania, benché abbiano sottoscritto con le potenze europee un Accordo di non ingerenza, iniziano a supportare massicciamente i ribelli con armi, cannoni, 10.000 tedeschi “volontari”, 50.000 gli italiani, fra cui molti contadini poveri che non sanno niente della Spagna dove sono stati portati con l’inganno e che si trovano a combattere contro altri contadini poveri in particolare nel marzo 1937 a Guadalajara.

 È questa una delle pagine della nostra storia rimossa e nascosta che invece dovrebbe tornare all’attenzione di tutti.

Contro le popolazioni vengono impiegati bombardamenti aerei su vasta scala, emblematico quello dell’aprile 1937 sulla città di Guernica, simbolo dell’indipendenza dei Paesi Baschi e centro della loro tradizione culturale.

A compiere l’incursione sono i bombardieri e i caccia della legione tedesca “Condor”.

Fu uno dei primi segnali della nuova concezione tedesca della guerra totale: lì infatti l’aviazione tedesca sperimentò non solo nuovi armamenti, ma anche nuove tecniche che sarebbero state utilizzate poi su larga scala in Polonia, Norvegia, Gran Bretagna e Francia tra il 1939 e il 1941.

La notizia della strage di Guernica giunse a Pablo Picasso (1881-1973) mentre si trovava a Parigi per preparare la decorazione del padiglione spagnolo all’Esposizione universale del 1937 commissionatagli dal governo repubblicano.

L’evento ispirò uno dei capolavori dell’artista. Una tela enorme ( circa 8 metri per 3,5) intitolata alla città distrutta e concepita come un manifesto di denuncia al mondo intero sugli orrori della guerra e della violenza del fascismo.

“ Ha fatto lei questo orrore?” chiese un ufficiale tedesco  a Picasso nel vedere Guernica; “ No, è opera vostra “ rispose freddamente l’artista.

La Gran Bretagna e la Francia che pure ha un governo del Fronte popolare, preoccupate dalle possibili reazioni dell’opinione pubblica rispetto a un intervento, stanno a guardare.

Ad aiutare la Repubblica spagnola è solo l’Unione Sovietica che fornisce aiuti e armamenti e attraverso il Comintern rende possibile l’organizzazione delle Brigate Internazionali, circa 40.000 volontari antifascisti provenienti da cinquantatré Paesi.

Nonostante le difficoltà il governo repubblicano riuscì per lungo tempo a fermare l’avanzata falangista, soprattutto intorno a Madrid dove si distinsero i comunisti, organizzati in una forte unità combattente, il “Quinto reggimento” composto da 70.000 uomini. Organizzando il V Reggimento, il Partito comunista non si limitò a inquadrare gli uomini in unità di carattere militare. Svolgeva fra loro un lavoro di educazione politica, pubblicava giornali, organizzò una Sanità militare e un inizio di industria di guerra per costruire armi e riparare quelle messe fuori uso.

Furono predisposti ospedali, sanatori, case per orfani dei miliziani e laboratori di confezioni in cui lavoravano centinaia di donne.

Infine furono create scuole militari di artiglieria e di fanteria da cui uscirono i primi carristi e i primi aviatori.

Venne fatto in piccolo ciò che il governo avrebbe dovuto fare su scala nazionale e che fece solo diversi mesi dopo l’inizio della guerra.

Appartenere al V Reggimento rendeva oltremodo orgogliosi e il poeta Rafael Alberti(1902-1999) lo espresse nella poesia SONO DEL V REGGIMENTO!

Domani lascio la mia casa

Lascio i buoi e il paese

“Salve! Dove vai, dimmi dove vai?”

“ Vado al V Reggimento.”

Camminare senz’acqua, a piedi,

sui monti, in campo aperto.

Voci di gloria e di vittoria.

Sono del V Reggimento!

Anche Miguel Hernandez (1910-1942) poeta pastore e combattente, morto di dolore e di disperazione in una prigione franchista, ha scritto una poesia dedicata ai combattenti delle Brigate internazionali.

…Col sapore di tutti i soli e di tutti i mari

            La Spagna ti accoglie perché in essa realizzi

            La tua maestà di albero che abbraccia un continente.

            Attraverso le tue ossa passeranno gli oliveti

            Stendendo nella terra le loro più ferree radici

            Abbracciando gli uomini universalmente, fedelmente.

 

Tra gli italiani erano presenti molti uomini politici come Carlo Rosselli, la sua parola d’ordine “ Oggi in Spagna, domani in Italia”, assassinato poi in Francia da sicari fascisti, Luigi Longo e Giuseppe di Vittorio futuri segretari rispettivamente del Partito comunista italiano e della C.G.I.L.

I combattenti della Brigate Internazionali rappresentarono probabilmente l’elemento politico più rilevante della guerra di Spagna.

A prescindere dall’apporto numerico, fu fondamentale il loro ruolo ideale e politico che costituirà la base dell’impegno politico della sinistra europea.

Non c’è dubbio che la tragica esperienza spagnola contribuirà a cementare l’alleanza antifascista di un’intera generazione di intellettuali.

Infatti a compensare la miseria della politica, intellettuali, artisti di tutto il mondo sostengono la Repubblica con grande passione: Ernest Hemingway, George Orwel, André Malraux già citato, la pacifista Simone Weil, la ormai anziana Emma Goldman, raggiungono la Spagna per portare aiuto, per arruolarsi nelle Brigate Internazionali ma anche come corrispondenti di guerra, senza dimenticare il ruolo dei fotografi.

Intorno all’epopea dei soldati contadini e all’agonia delle città assediate, nascerà un ricco filone narrativo, che, pur  scontando omissioni e semplificazioni, farà della Spagna una tappa fondamentale dell’apprendistato democratico di varie generazioni.

Tra le opere narrative più famose sono da ricordare “Per chi suona la campana “, romanzo del 1940 in cui Ernest Hemingway (1899-1961) racconta attraverso un alter ego, Robert Jordan, l’esperienza diretta dello stesso autore che prese parte alla guerra civile spagnola come corrispondente di guerra.

Nel 1943 dal romanzo,  per la regia di Sam Wood fu tratto il film con Gary Cooper e Ingrid Bergman.

Anche George Orwel (1903-1950) in Omaggio alla Catalogna ha scritto il resoconto della sua partecipazione alla guerra civile spagnola, la prima edizione è del 1938 a guerra non ancora finita.

Infine anche la musica riveste un ruolo di grande importanza. Vengono composte canzoni che stigmatizzano gli eventi più significativi. Il messaggio politico può essere trasmesso a tutti più facilmente veicolato dalla musica, rafforza il senso di appartenenza e la tensione verso un obiettivo comune, come testimonia la canzone basca:

         “Prima d’essere schiavi

            I fiumi correranno

            Tinti di nobile sangue

            Ad arrossare il mare”

Tra le più famose, oltre a Viva la Quinta Brigada, va ricordata Ay Carmela o El Ejército del Ebro, antica canzone popolare iberica riadattata, risalente all’inizio del secolo XIX, cantata durante la guerriglia del 1808 contro le truppe napoleoniche.

Non va dimenticato però che dietro la mobilitazione antifascista covavano gravi ragioni di scontro. Si innesca una contrapposizione frontale fra il centralismo comunista, interessato a costruire un fronte con le forza democratico-borghesi e a restaurare la disciplina nella società e nell’esercito e gli anarchici.

Gli anarchici, forti della più grande organizzazione sindacale spagnola, la C.N.T. ( Confederazione nazionale del lavoro) fondata nel 1911, erano i rivoluzionari più estremisti.

Venivano accusati delle violenze più gravi, aspramente polemici contro i dirigenti di una sinistra accusati di essere propensi a trovare soluzioni moderate.

A fianco degli anarchici agivano una parte dei socialisti di sinistra e soprattutto i trotzkisti, che per i comunisti fedeli all’Unione Sovietica e allo stalinismo rappresentavano dei nemici particolarmente odiati.

Si scontrano due visioni differenti in merito alla rivoluzione e alle sue conseguenze. Gli anarchici e i trotzkisti erano convinti che se la rivoluzione fosse stata combattuta secondo la strategia dei comunisti, forse avrebbe  portato alla vittoria, ma avrebbe schiacciato i lavoratori sotto un conformismo filosovietico che avrebbe  spazzato via i fermenti libertari.

Così a Barcellona nella primavera del 1937, si arrivò alla resa dei conti armata fra i due schieramenti.

Di fatto è una guerra civile nella guerra civile e prende corpo una repressione furiosa da parte dei comunisti, che oltre agli anarchici colpisce anche socialisti, sindacalisti, democratici.

Migliaia furono gli espulsi, gli incarcerati, gli assassinati, fra questi il dirigente e teorico italiano dell’anarchia Camillo Berneri, il ministro dell’economia del governo catalano e il dirigente trotzkista Andrés Nin.

Nel 1995 il regista Ken Loach realizza il film Tierra y libertad ispirato al libro di George Orwell Omaggio alla Catalogna che mostra lo scontro tra gli anarchici e i comunisti. Il titolo è ispirato al motto che accompagnava nel 1910 la bandiera nera dell’anarchia issata dai guerriglieri di Emiliano Zapata.

Mentre lo spirito di fazione logora l’appoggio popolare, i ribelli avanzano fra vittorie ed eccidi in uno spirito da crociata che è l’equivalente ispanico del mito della razza.

Grazie all’intervento italiano e tedesco, il Nord venne perduto dall’esercito repubblicano. Nell’inverno del 1938 l’offensiva delle truppe golpiste spinse il fronte sino in Catalogna e quindi raggiunse il Mediterraneo spezzando in due il territorio controllato dalla Repubblica.

Nel frattempo spinti dal terrore, rifluiscono nelle zone repubblicane centinaia di migliaia di profughi che trascinano con sé i loro vecchi e i bambini, gli  animali e le suppellettili.

Le organizzazioni femminili mettono in piedi una grande opera di soccorso continuamente superata dalla  dimensione della catastrofe.

Dopo la battaglia dell’Ebro, il governo repubblicano fu obbligato a prendere la decisione di ritirare dai fronti i combattenti delle Brigate Internazionali per impedire che la Francia e l’Inghilterra riconoscessero a Franco i diritti di belligeranza.

Il saluto ai volontari delle Brigate Internazionali, nonostante l’atmosfera di festa in cui si svolse era triste e amaro e il cuore era pieno d’angoscia vedendo sfilare quegli eroi per la grande Avenida  barcellonese dove era stato organizzato il saluto popolare tenuto tra gli altri da Dolores Ibárruri detta la Pasionaria, uno dei maggiori leader e simboli dell’antifascismo spagnolo.

Molti di quegli uomini non potevano ritornare nei loro paesi di origine, perché sotto un regime fascista, altri verranno perseguitati, segnati con il marchio della loro partecipazione alla guerra di Spagna e finiranno nei campi di concentramento per la responsabilità delle democrazie “non interventiste”

A volte però la storia si prende la rivincita, molti di quegli stessi uomini di lì a poco sarebbero diventati i dirigenti della Resistenza europea al nazi-fascismo durante la Seconda guerra mondiale.

Nonostante le gravi difficoltà la Spagna resiste fino al marzo del 1939 quando cade Madrid. Dopo la vittoria Franco scatenerà una repressione di inaudita ferocia e durata, la Spagna diventerà un  paese di donne in nero, il popolo millenario delle vedove: decine di migliaia i morti che si aggiungono ai 500.000 della guerra, 300.000 gli emigrati, la gran parte in Francia dove saranno internati come stranieri.

 In seguito all’occupazione nazista della Francia, molti saranno consegnati ai tedeschi e all’Unione Sovietica dove subiranno la stessa sorte, conseguenza del patto Molotov-Ribbentrop e finiranno nei campi di concentramento.

Secondo molti storici, gli schieramenti della guerra civile prefigurano quelli della Seconda guerra mondiale, Stati Uniti, Europa democratica e Unione Sovietica  contro il nazismo e il fascismo.

Questa ipotesi però trascura due verità: nei primi due anni della guerra mondiale Stalin e Hitler sono alleati, nella tragedia spagnola Francia , Gran Bretagna, Società delle nazioni, Stati Uniti sono assenti.

In verità la Spagna rappresenta innanzi tutto il fallimento delle forze democratiche che hanno lasciato i comunisti soli a  combattere Franco e liberi di eliminare gli antifascisti degli altri partiti.

 

DONNE COMBATTENTI PER LA DEMOCRAZIA E LA LIBERTA' 

Il 1° agosto 1937 una sfilata piena di bandiere rosse attraversa Parigi. È il corteo funebre per Gerda Taro, la prima donna fotografo caduta a Brunete su un campo di battaglia, proprio il giorno in cui avrebbe  compiuto ventisette anni. Viene sepolta al Père Lachaise  e la sua tomba sembra vegliata da un Horus scolpito da Alberto Giacometti realizzata su commissione del Partito Comunista francese.


Gerta Pohorylle, meglio conosciuta come Gerda Taro (Stoccarda, 1910Madrid, 1937), è stata una fotografa tedesca.

 

In prima fila c’è Robert Capa distrutto dal dolore, insieme erano stati felici, lui le aveva insegnato a usare la Leica e poi erano partiti per la Spagna.

Come accade spesso  alle donne, per lungo tempo è stata ricordata più per essere stata compagna e socia di Capa che per il talento espresso dalle sue immagini per molto tempo  attribuite allo stesso Capa.

I suoi reportage sulla Guerra civile di Spagna, sono di grande potenza, rispecchiano la sua energia e il suo spirito militante di antifascista.

In particolare bellissime sono le sue fotografie della battaglia di Brunete dove troverà la morte schiacciata da un carro armato.

Il numero delle donne che hanno segnato la storia della fotografia è davvero elevato anche se alcuni storici ancora oggi fanno fatica a inserirle nei loro manuali.

Da alcuni anni la voce delle donne in questo ambito è diventata molto forte e si fa sentire attraverso i canali più vari con l’obiettivo di abbattere le forme di discriminazione tuttora esistenti nella professione fotografica.

Infatti sebbene le donne siano la maggioranza tra quanti studiano fotografia, circa l’85%, tra i professionisti esse sono solo il 15%.

Se si amplia il discorso ai generi fotografici, lo sguardo femminile sta cambiando il modo in cui si osserva la realtà e la differenza di genere si manifesta più apertamente.

Ad esempio il fotogiornalismo di indagine include approfondimenti che richiedono  di focalizzare l’attenzione dei soggetti, identificarsi con essi, partecipare alle vicende narrate anche emotivamente, per evidenziare poi le ragioni profonde che caratterizzano le singole situazioni.

In generale questo approccio trova una forte predisposizione tra le fotografe le quali, non di rado hanno maggiore facilità ad istaurare un rapporto di fiducia coi soggetti, riuscendo ad entrare con naturalezza in situazioni complesse.

Va ricordato che la comparsa di un mezzo meccanico in grado di riprodurre fedelmente la realtà risale al 1831, allorquando Louis-Jacques Maudé Daguerre, fissa l’immagine proiettata in una camera oscura su una lastra di rame argentato, il dagherrotipo.

Nell’ultimo quarto del XIX secolo, la fotografia si propone già in vari ruoli:

mezzo di replica di immagini esistenti o ricreate;

mezzo di congelamento e analisi del moto, sia umano che animale e così via. Già in questo periodo vi è una lotta fra la vocazione pratica della fotografia a sostegno dell’informazione pubblica e commerciale e le sue velleità come arte autonoma.

Nell’Ottocento positivista la fotografia prende piede anche come modalità economica di campionamento e schedatura della multiformità del creato: razze, tipi umani, luoghi, fenomenologie sociali ecc.

È di qualche anno dopo la scoperta della possibilità di riprodurre fotografie su carta trattata con il cloruro d’argento, sistema più veloce ma soprattutto riproducibile

Un ulteriore perfezionamento si avrà con l’invenzione negli anni Sessanta del secolo della celluloide, pellicola sottilissima e trasparente, impressionabile e avvolgibile in rullini.

Nel giro di una decina di anni, i rullini di pellicola fotografica in celluloide si affermeranno nel mercato mondiale, permettendo la creazione di macchine fotografiche portatili.

Nel 1888 George Eastman inventa una macchina fotografica completamente automatica che consente di superare definitivamente la dimensione esclusivamente professionale della fotografia.

Fin dalla sua nascita l’immagine fotografica fu accompagnata da un animato dibattito sulla sua appartenenza all’ambito artistico, la discriminante fra arte e fotografia sarà costituita per lungo tempo proprio dalla riproducibilità.

Nonostante l’epoca ferocemente maschilista, riescono ad affermarsi alcune donne fotografo :Julia Margaret Cameron (1815-1879) prima donna ad essere ammessa alla Royal Photografic Society;

Anna Atkins (1799-1871), botanica, valente illustratrice, suoi i disegni matite e acquerelli conservati nella biblioteca del British Museum.

Ad un certo punto unisce i suoi interessi, la botanica e la fotografia e con metodo scientifico ricrea di fatto un erbario fotografico di una categoria di piante particolari, le alghe della costa britannica, realizzato nel 1843 con la cianotipia:British Algae: Cyanotype Impressions.

Potrebbe essere definito il primo libro d’artista autoprodotto.

Altre donne fotografo importanti americane sono state Gertrude Kasebier (1852-1934) che aveva iniziato la sua ricerca artistica come pittrice poi cambiò disciplina spinta  dall’esigenza di  fissare il viso dei suoi figli la cui infanzia fuggiva via veloce.

Indirizzò la sua produzione fotografica verso la fine art e i ritratti rimasero il suo genere preferito. Tra i suoi più noti fotografò alcuni pellerossa della serie”The Red Man “ che prendevano parte allo spettacolo del “Buffalo Bill’s Wild West Show”.

Tra le prime fotogiornaliste americane vanno ricordate Alice Austen (1866-1952) la cui produzione fotografica, tipicamente documentaria, 7.000 immagini delle 8.000 da lei realizzate, consentono di avere uno spaccato prezioso ed esaustivo della società americana dell’epoca.

Frances Benjamin Johnston (1864-1952) è quella che ebbe in vita più successo di tutte.

Il suo studio a  Washington, aperto nel 1894, è frequentato da presidenti, diplomatici, funzionari governativi che vogliono farsi ritrarre da lei.

Si dedica anche al fotogiornalismo e il suo progetto più significativo è la documentazione della vita quotidiana degli studenti nelle scuole pubbliche, realizzato a Washington, in Alabama, in Virginia e in Pennsylvania.

Gli studenti erano nativi americani o afroamericani ai quali venivano insegnati usi, costumi, tradizioni, lingua, religione e mestieri dei coloni occidentali bianchi.

Lo scopo di queste strutture era quello di “civilizzarli” e renderli utili allo sviluppo degli Stati Uniti, indirizzandoli però verso i lavori più utili e umili. Molti videro intenti nobili dietro queste istituzioni tra cui probabilmente anche la Johnston, un modo per integrare ed emancipare le minoranze.

In realtà i bambini e le bambine venivano strappati alle famiglie e alle tribù per spogliarli della loro identità, imponendo loro una cultura diversa, una assimilazione forzata prossima alla segregazione e alla violenza psicologica.

Non sembra che le foto della Johnston abbiano un intento di denuncia, anzi voleva  mettere in luce gli aspetti positivi dell’iniziativa.

Dal 1910 si specializza in fotografia di architettura e di paesaggio e inizia una documentazione fotografica di edifici storici nel Sud del paese.

Organizza mostre con forte presenza femminile e tale attività culminerà nella mostra all’Expo di Parigi del 1900.

Successiva alla generazione delle pioniere segue quella delle “cattive ragazze”, giovani donne libere che vanno dovunque, anche in guerra come Gerda Taro, e sanno tirare fuori il meglio dalla maturità del mezzo fotografico e che sanciscono la presa di coscienza della forza e dell’importanza della donna nella società.

Nate intorni al 1900 daranno un contributo importante al processo di emancipazione femminile, ne sono la prova la quantità e la qualità delle loro opere.

Gerda Taro (1910-1937) e Tina Modotti (1896-1942) appartengono alla generazione delle pasionarie, donne impegnate fino in fondo nella battaglia antifascista per la libertà e la democrazia anche a costo della vita.

Proprio la breve vita di Gerda Taro definita “La cacciatrice di luce”, è l’argomento del libro “La ragazza con la Leica” di Helena Janeczek, premio Strega 2018.

L’autrice ha scelto un percorso che illumina a tutto tondo la personalità di una giovane donna attraverso il ricordo di chi l’ha conosciuta e frequentata e mai più dimenticata.

         “Chi è questa che vèn, ch’ogn’ om la mira

         che fa tremar di chiaritate l’are”

                           Guido Cavalcanti

I versi del poeta definiscono molto bene il fascino che Gerta suscitava in tutti coloro che venivano a contatto con lei.

         “Può mai una cosa sì bella piacere a uno soltanto

         Quando il sole, le stelle son di tutti quanti?

         Non so a chi io appartenga.

         Credo a me stessa, sì, soltanto a me.”

         “Ich weiβ nicht zu wem ich gehore”

                           Friedrich Holländer e Robert Liebman

Così cantava Marlene Dietrich nel 1930 e anche i versi della canzone calzano molto bene a definire Gerda.

Questa giovane donna di origine ebraica è costretta a fuggire dalla Germania dopo l’ascesa al potere di Hitler e insieme a tanti altri giovani trova rifugio in Francia.

Tra gli amici, fuggiti come lei, c’è Ruth Cerf la sua migliore amica, Willy Chardack chiamato affettuosamente “ Bassotto” dalle ragazze, Georg Kuritzkes.

Si erano conosciuti nel 1929 quando il papà di Gerda aveva avviato una attività economica e aveva trasferito la famiglia da Stoccarda a Lipsia.

Sono anni molto difficili per la Germania sia per la crisi economica e finanziaria dovuta al tracollo della Borsa americana sia per il peso delle riparazioni di guerra il cui mancato pagamento aveva portato all’occupazione da parte della Francia e del Belgio del bacino della Ruhr, l’area industriale più importante del Paese.

Nonostante le riforme inserite nella Costituzione della Repubblica di Weimar , la democrazia è debole e vulnerabile, priva di una salda maggioranza di governo e di un solido consenso.

Si susseguono agitazioni, scioperi, organizzati dai comunisti che non fanno parte del governo e pesanti sono i ricatti della destra militare.

Il partito più consistente numericamente è quello Socialdemocratico, appoggiato dalla maggioranza della classe operaia ma le classi medie si riconoscevano in prevalenza nel centro cattolico e nelle formazioni di destra: il Partito tedesco nazionale e il Partito tedesco popolare.

A questi si affiancherà il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, fondato da Adolf Hitler nel 1920.

Gerta e alcuni dei suoi amici si impegnano nelle lotta politica, nel dibattito molto vivace all’interno della sinistra, riunioni, volantinaggi illegali. Vengono arrestati e finiscono in prigione, Gerda ne esce per miracolo.

Altri giovani ebrei di famiglia borghese invece avevano le stesse idee dei genitori:” Chi manda avanti gli affari, chi paga i fornitori e gli stipendi?”, patetico l’amore non ricambiato per la Germania.

Poi erano arrivati i lupi. Si erano moltiplicati, erano stati sottovalutati, non si sarebbero avvicinati alle case se il paese non fosse stato così affamato.

Adesso non erano più soltanto i piccoli borghesi, gli invalidi, i lumpen, e il sottobosco criminale a farsi irretire dalle camicie brune. A ogni fabbrica, magazzino, cantiere, altoforno che chiudeva o riduceva produzione e organico, la massa del proletariato si sfaldava.

La fame e la disperazione, cattive consigliere, lavoravano per i fascisti e i loro sostenitori, l’interminabile notte della ragione era cominciata.

La situazione politica si aggrava, aumentano gli atti di violenza, i fratelli minori di Gerda si erano dati alla macchia, il fratello di Georg viene massacrato dalle SA a pugni e calci, aveva solo tredici anni.

Lo stesso Georg aveva dovuto nascondersi per mesi, Ruth attiva nel sindacato studentesco è in pericolo, Gerda nonostante tutto, in motocicletta di notte a fari spenti, va ad attaccare volantini nelle periferie di Lipsia.

Come già detto questi giovani scappano in Francia, si mantengono con lavori precari, abitano in alloggi fatiscenti, la legge vieta di assumere stranieri e Gerda che parla bene il francese trova lavoro al nero come dattilografa mentre il “Bassotto” prova a iscriversi all’università per completare gli studi di medicina.

Anche in Francia la situazione si fa difficile. I manifesti per le strade strillano “Siamo invasi”, lo sciovinismo dilagante aveva preso il sopravvento: qui gli italiani, lassù gli ungheresi e i polacchi, poi i rumeni e i portoghesi in gruppetti più esigui.

 Infine un po’ dappertutto  ci sono loro, i Judéo-Boches, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ormai erano davvero tanti, temuti per questo, e perché spesso negli studi erano i più bravi.

Si sperava che il governo non cedesse troppo alle pressioni più reazionarie e che la sinistra vincesse le prossime elezioni. Due anni di incertezze, poi la vittoria del Fronte popolare festeggiata fino all’alba di quel 4 maggio 1936.

Nel frattempo Gerda vive a Montmartre a casa di Fred Stein che viene da Dresda, apprezzato come antifascista e come fotografo. In un articolo del 1934 scriveva che un ritrattista deve catturare” la storia e il carattere che ogni modello possiede”, compito ideale per la Leica così “disarmante” nella sua piccolezza.

Fred Stein ha già ritratto Ernst Bloch e Bertold Brecht, da lui la ragazza

 comincia a prendere confidenza con la fotografia, imparando a fare sviluppi, ritocchi e ingrandimenti.

Ci pensava Parigi poi a formare i suoi fotografi, bastava andare al caffè

in particolare al Dome dove si potevano  incontrare Cartier- Bresson o André Kertész ma anche intellettuali come Walter Benjamin (1892-1940) , in quel momento si discute del suo saggio “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” saggio profetico che ha presentato in due incontri nei circoli tedeschi, uno al Deutscher, l’altro al café Mephisto in cui sostiene che l’aura di un lavoro artistico viene svalutata dalla sua riproduzione meccanica.

Poi Gerda conosce Robert Capa, si innamorano e quando scoppia la guerra partono per la Spagna. Lei riesce a  tornare a Parigi alcune volte e mostra orgogliosa non solo la Leica ma anche una cinepresa che Capa aveva ricevuto dalla rivista Time-Life con cui avrebbe cominciato a lavorare convinta che insieme alla sua Leica sarebbe stata utile alla causa.

L’ultimo numero di Regards  mostrava in copertina una foto scattata da Gerda sotto il titolo “Guernica! Almeria! Et démain?”.

Inquadrava donne e uomini davanti ai cancelli dell’ospedale di Valencia, dove erano state portate le vittime del bombardamento di metà maggio.

Il reportage parlava di una “prova generale per la guerra totale” e gli scatti riprendevano cadaveri sbattuti sulle mattonelle a scacchi, un ragazzino in braghe corte, un uomo nudo mal coperto dal lenzuolo insanguinato, una vecchia in nero, forse viva, forse morta su una lettiga affastellata accanto alle altre.

Una delle ultime immagini di Gerda è in una foto scattata a sorpresa da Fred Stein, è sorridente insieme a Capa sulla terrazza del Cafè du Dôme, la sviluppa e pensa di consegnarla.

Dal momento però che sono tutti presi dalla campagna elettorale per il Front Populaire e poi dalla vittoria, la foto verrà consegnata il 18 luglio quando l’euforia del 14 si rovescia nello shock alla notizia che in Spagna è in corso un coup fascista.

Nel frattempo è scoppiata la Seconda guerra mondiale e la Francia ha dichiarato  guerra alla Germania, tutte le persone di origine tedesca vengono rinchiuse nei campi.

Per gli amici di Gerda si pone il problema di mettere in salvo gli archivi fotografici. La moglie di Fred Stein che insieme  alla bambina è stata  separata dal marito, riesce in modo fortunoso a mandare la sua produzione più politica ad Amsterdam, convinta di salvarla.

Invece l’archivio finirà bruciato sotto le bombe degli Alleati insieme a molti negativi di Robert Capa, si salva invece la foto scattata al Cafè du Dôme.

Capa che è ebreo riesce a partire grazie al visto turistico per gli Stati Uniti procuratogli da Pablo Neruda console cileno conosciuto durante l’assedio di Madrid.

Prima di partire, aveva preso le foto scattate a Gerda e aveva affidato il resto al suo assistente Csiki Weisz che era stato con lui in Spagna.

Quando i tedeschi arrivano a Parigi, Csiki sceglie il materiale che deve essere a tutti i costi messo in salvo, opera una selezione dei negativi di Capa e Taro e li sistema in tre scatole, rosso, verde, ocra.

Lascia Parigi in bicicletta verso Bordeaux, pedala anche per la sua vita, la vita di un ebreo di Budapest gravato di un bagaglio che lo tradirebbe come complice di chi si è opposto con la fotografia alla prima guerra nazifascista sul continente.

Arrivato a Bodeaux che é  il rifugio dell’ultimo governo francese eletto, cerca qualche spagnolo in partenza per il Messico, non lo trova e affida le tre scatole a un compagno cileno per farle portare al sicuro in un consolato.

Riesce a imbarcarsi sulla Serpa Pinto e sbarca a Veracruz, da lì in modo fortunoso arriva a Città del Messico con un passaporto falso procuratogli da Capa perché gli ebrei ungheresi non sono accettati. Qui anni dopo sposerà Leonora Carrington (1917-2011) figura chiave del movimento surrealista, già compagna di Max Ernst.

Il nazifascismo ha creato di fatto uno sconfinato campo profughi che un mostruoso spostamento d’aria trasporta da un paese all’altro.

Le tre scatole di negativi compariranno anni dopo nella soffitta di un generale un tempo ambasciatore del Messico a Vichy. Morto il generale, morta nel 1995 la sua erede, i reperti passano a un nipote che capisce finalmente l’importanza di quello che ha ereditato.

Per altri dodici anni le scatole rimarranno chiuse in un armadio, anni di trattative con l’International Center of Photography di New York e con Cornell Capa fratello di Robert. All’improvviso alcune stampe riappaiono nel 1979 dopo la morte di Franco avvenuta nel 1975. Il nuovo ministro degli Esteri spagnolo riceve dall’ambasciatore svedese un baule Louis Vuitton ritrovato in Svezia che contiene documenti e lettere di Juan Negrìn, capo del governo spagnolo in esilio.

Nel baule ci sono anche un centinaio di fotografie di Capa, di Taro, più alcuni ritratti di quest’ultima alla macchina da scrivere.

Questo conferma che Csiki alla fine era riuscito a dare l’archivio a Negrìn con la preghiera di recapitarlo agli archivi repubblicani in Messico.

Grazie anche a questi ritrovamenti è potuto emergere il talento di Gerda Taro che può occupare finalmente il posto che merita nella storia della fotografia, ma sono serviti a ricordare la giovane donna che, va detto senza retorica, ha sacrificato la sua vita per la libertà e la democrazia.

Alla sua memoria nel 2012 l’artista Alt-j nell’album Au Awesome Wave interpreta La canzone di Taro. Ecco le strofe finali della bellissima canzone rock: Robert Capa muore in Indocina nel 1954 saltando su una mina e nell’atto di spirare ha davanti a sé il volto della sua donna amata:

Do not spray into eyes, I have sprayed you into my eyes
‎3:10 pm, Capa pends death, quivers, last rattles, last chokes
All colors and cares glaze to gray, shriveled and stricken to dots
Left hand grasps what the body grasps not, le photographe est mort

‎3.1415, alive no longer my amour, faded for home May of '54
Doors open like arms my love, painless with a great closeness
To Capa, to Capa, Capa dark after nothing, re-united with his leg
And with you, Taro

Do not spray into eyes, I have sprayed you into my eyes
Hey Taro!‎

 

TINA MODOTTI

Una delle più grandi fotografe dell’inizio del XX secolo è considerata  Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti, abbreviata in Tina Modotti, nata a Udine nel 1896 e morta a Città del Messico nel 1942.

Figura importante e controversa, emigrante, attrice, fotografa nel Messico degli anni Venti, militante nel movimento comunista internazionale, antifascista, perseguitata ed esule politica, garibaldina di Spagna.

L’ opera di Tina che si trova in buona parte negli Stati Uniti, è stata tenuta nascosta nei cassetti dei Dipartimenti di fotografia per la nefasta influenza del maccartismo che ha reso impossibile per molto tempo lo studio delle sue opere.

Anche la Sinistra storica non è stata esente da disattenzione nei riguardi di questa friulana d’eccezione.

Fra il 1925 e il 1926 a San Francisco conosce la fotografa Dorothea Lange (1895-1965) che appartiene a una generazione di artiste e fotografe chiamate  dalla  prima commissione pubblica a partecipare a un’ indagine fotografica voluta da Roy Stryker per la Farm Security Administration per documentare le conseguenze della grave crisi economica seguita al crollo  della Borsa del 1929.

In questo settore e in questo periodo le donne sono state delle giganti della fotografia. Un esempio per tutte è la foto “ rinascimentale” della Lange “ Madonna migrante”, un’icona dell’epoca.

Per l’impulso della fotografa americana, Tina acquista una camera Graflex e a contatto poi con Edward Weston accelera l’apprendimento e in breve conquista autonomia espressiva.

Alla fine del 1924 partecipa alla mostra che viene inaugurata nel Palacio de Mineria alla presenza del Capo dello Stato.

Ormai Tina vive con la fotografia, esegue molti ritratti, aderisce al Partito Comunista e lavora per il movimento sandinista. Durante le manifestazioni in favore di Sacco e Vanzetti conosce Vittorio Vidali (1900-1983), rivoluzionario italiano ed esponente del Komintern.

In pochi anni trasforma il suo modo di fotografare, maturando un’esperienza artistica folgorante: all’inizio c’è la natura, poi utilizza il mezzo fotografico come strumento di indagine e di denuncia sociale, le mani degli operai, le manifestazioni politiche e sindacali.  Viene scelta come “fotografa ufficiale” del movimento “muralista” messicano immortalando i lavori di José clemente Orozco e di Diego Rivera.

Nel dicembre del 1929 una sua mostra venne pubblicizzata come “La prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”, rappresenta l’apice della sua carriera di fotografa, ma l’anno dopo viene espulsa dal Paese.


Tina Modotti (Udine 1896 - Città del Messico 1942)

Esaltazione dei simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto, nei reportage, in quella che altri fotografi avevano definito “ fotografia di strada”, la Modotti aveva idee ben precise.

Non cercava effetti speciali, a suo avviso la fotografia lungi dall’essere “ artistica”, doveva denunciare “ senza trucchi” la realtà nuda e cruda in cui gli “effetti” e le “ manipolazioni” dovevano essere banditi.

Nel 1932 a Mosca allestisce la sua ultima esposizione, abbandona la fotografia per dedicarsi alla militanza nel Soccorso Rosso Internazionale.

Vivendo fino al 1935 fra Mosca, Varsavia, Madrid e Parigi per aiutare  i perseguitati e gli esuli politici.

Nel luglio del 1936 allo scoppio della guerra civile spagnola, Tina, con il nome di Maria, si trova a Madrid  insieme  a Vittorio Vidali che diventa Carlos J. Contreras,  Comandante del Quinto Reggimento.

Durante i tre anni di guerra lavora negli ospedali e nei collegamenti, aiuta i profughi anche durante la ritirata. Scrive sull’organo del “Soccorso Rosso” e stringe amicizia con altre donne combattenti come Maria Luisa Laffitta, Maria Luisa Carnelli, Dolores Ibárruri.

Conosce Hemingway, Antonio Machado, Rafael Alberti, André Malraux e altri delle Brigate Internazionali. Dopo la ritirata, come tanti altri esuli, Tina e Vidali rientrano in Messico dove conducono una vita difficile. Lei si arrangia facendo traduzioni e lavora nell’”Alleanza internazionale Giuseppe Garibaldi”.

Muore il 5 gennaio 1942. La stampa reazionaria e scandalistica cerca di trasformare la sua morte in un delitto politico attribuendone la responsabilità a Vittorio Vidali. Pablo Neruda, indignato per queste polemiche, scrive una poesia che viene pubblicata da tutti i giornali e mette a tacere gli “sciacalli”.

… Sul gioiello del tuo corpo addormentato

                                   Ancora protende la penna e l’anima insanguinata

                                   Come se tu potessi, sorella, risollevarti

                                   E sorridere sopra il fango.

Tina è sepolta nel Pantheon de Dolores a Città del Messico e sulla tomba è disegnato il suo  profilo, opera dello scultore Leopoldo Mendez e sono riportati i primi versi della poesia di Neruda.

Opere della produzione fotografica della Modotti sono custodite presso l’International Museum of Photography and film at George Eastman House di Rochester ( New York) e in altri importanti musei del mondo.

Nel tempo a Tina Modotti sono state dedicate canzoni, fumetti, monologhi teatrali, film.

Non si può non rimanere stupiti e ammirati per ciò che fa la Regione Friuli Venezia Giulia perché la memoria di questa sua figlia vissuta e morta lontano non venga perduta. Questo comportamento dovrebbe essere d’esempio per tutte le istituzioni.

Non potendo citarli tutti, intensa è stata l’attività di produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con piéces dedicate a Tina.

Degno di nota è l’album Suite for Tina Modotti  del sassofonista jazz Francesco Beazzati.

Nel 2013 il Grupo Saltimbanqui con Pierpaolo di Guisto ha presentato Corrido per Tina Modotti , breve storia della sua vita per marionette e fisarmonica.

Armida Corridori

 

Roma, agosto 2020


La casa natale con le parole di Tina Modotti sul fronte dell'abitazione al civico 89 di via Pracchiuso a Udine. Si noti il bassorilievo «composto da diversi strati di intonaci»

 

 

Bibliografia principale

  1. Janeczek, La ragazza con la Leica, Il Sole 24 Ore S.p.A. 2020
  2. Malraux, La speranza, Tascabili Bompiani, 2020
  3. Ibárruri, Memorie di una rivoluzionaria, Editori Riuniti,1976

Progresso Fotografico, Rodolfo Namias Editore, 2019

  1. Bravo-A. Foa- L. Scaraffia: I nuovi Fili della memoria, vol. 3°, Editori Laterza

A.Prosperi- G.Zagrebelsky- P. Viola- M. Battini: Storia e identità, vol.3°, Einaudi Scuola, “2012

  1. De Bernardi- S. Guarracino: Epoche, vol.3°, “Pearson Italia”, Milano-Torino, 2012.
  2. Pieroni, Leggere la fotografia, Edizioni Edup, 2012

   

 

 

                                       

    

 

 

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