Di Lucrezia Rubini
Placido Scandurra, Tramonto su Stromboli, 2020, olio su tela, 30x40
L’opera di Scandurra, “Tramonto sullo Stromboli”, l’ultima realizzata dal Maestro, ci offre una sintesi di tutto il suo percorso artistico.
Il paesaggio raffigurato si presenta allo sguardo come piacevole, semplice. Lungo una strada sono raffigurati quattro personaggi ed un cane, mentre una folta vegetazione con case sparse e una striscia di mare, separano lo sguardo da un alto monte sullo sfondo, sormontato da un disco solare: questa in sintesi l’analisi iconografica.
Quanto alla struttura compositiva, i diversi piani di profondità scandiscono sezioni sul piano sagittale, che vengono individuati mediante gradienti di profondità, che costringono lo sguardo a soffermarsi su ogni “sezione”.
Il primo piano è dedicato all’elemento socio-antropologico. Una strada-terrazza, dalle tonalità grigio chiaro, delimitata da un parapetto, sembra proteggere i personaggi-spettatori, dalla Natura, che si distende al di là di esso. A sinistra, una giovane donna (o un ragazzo? o un androgino?) con jeans e un ombrello chiuso, discorre con un altro uomo, anch’egli con un ombrello chiuso; più a destra un uomo (un nonno?), con cappello e pastrano, tiene la mano sulla spalla di un bambino (il nipote?), mentre stringe il guinzaglio di un cane bianco; ancora più a destra una casa dal tetto rosso, mentre un lampione “traccia” una linea bianca a delimitare questa zona e a fare da trait d’union e vettore per spingerci a guardare oltre. All’estrema destra, infine, un grande albero sembra dominare tutto il paesaggio, poiché s’innalza fino al cielo, decentrando il peso compositivo: mediante un “taglio fotografico” la chioma prosegue fuori campo.
In una seconda sezione, sul piano intermedio, sei “casette” dai tetti rossi, rimpicciolite dalla proporzione prospettica, testimoniano l’antropizzazione immanente del paesaggio. La presenza umana, infatti, qui si armonizza con la natura: l’uomo si inserisce in essa convivendo pacificamente. Il risultato di questo rapporto è la vegetazione rigogliosa, forse un agrumeto, reso con sfumature e cangiantismi, resi “in punta di pennello”, con tratti sottili da pointillisme, tali da amalgamare i passaggi tonali sulla retina, che continua a percepire tuttavia le vibrazioni della superficie.
Nel terzo piano di profondità si distende la striscia del mare, stretto tra le chiome degli alberi e la linea dell’orizzonte; quest’ultima si profila leggermente al di sotto della metà del quadro (sì del “quadro” perché forse inoltrandoci nella visione, abbiamo dimenticato che si tratta di un quadro?) e distende una tavolozza costituita da una striscia rosso corallo, che a sua volta si distribuisce in sfumature rosa, gialline, fino a dipanarsi in un turchese diafano, luminoso, trasparente. Il momento còlto è quello immediatamente precedente il tramonto: il sole è ancora luminoso, il cielo comincia a tingersi di tonalità che virano dal rosa al giallo, prima dell’accensione dei rossi che si spanderanno all’orizzonte.
Al centro della composizione un monte triangolare, sormontato dal disco bianco del sole, si erge come una presenza sacrale, quasi un ostensorio, a rovesciare l’antropocentrismo di rinascimentale memoria, collocando al centro di questo universo, il sole, protagonista di un recuperato eliocentrismo. Eppure, in primo piano, nella sfera dell’actio umana, c’è il “vecchio”, il nonno, che sembra voler non solo proteggere, ma anche affidare al nipote la testimonianza della vita. Il cane, simbolo di fedeltà e della famiglia, ha un candore che lo fa assomigliare ad un agnello sacrificale, accentuando echi simbolici di ancestrale memoria.
Siamo di fronte ad un “piccolo” (la tela misura cm 30X40) capolavoro.
Il saggio e abilissimo Scandurra ha messo in atto tutta la sua esperienza e consapevolezza per raffigurare questo “semplice “paesaggio, anzi forse sarebbe meglio dire, “scena di genere”, per la trance de vie rappresentata. Qui, infatti, si svolge un piccolo teatro della vita, in cui ogni riguardante è coinvolto e invitato a diventare attore più che spettatore, condividendo così, con gli astanti, anzi gli avventori, anzi i peripatetici, lo spettacolo di una natura finalmente riconciliata con l’uomo. Chi è l’uomo che discorre con quella ragazza (o ragazzo o androgino); si sono incontrati per caso o si sono dati appuntamento? I due sono rappresentati di tre quarti, nell’hanchement della deambulazione, e questo dimostra che si vanno incontro. Perché portano entrambe l’ombrello? E’ piovuto in mattinata, e hanno trattenuto con sé l’ombrello da allora? Questo sarebbe da dedurre dal fatto che il nonno e il nipote ne sono sprovvisti, poiché sarebbero usciti di recente. O gli ombrelli fungono da bastoni?
Nonno e nipote – questa relazione plausibile ci piace immaginare—sono in posizione frontale, statica, ieratica, sacrale, che li colloca al di fuori del tempo (anche meteorologico) e dello spazio. Il copricapo del nonno lo assimila ad un personaggio autorevole; i colori, turchese del cappotto del nonno e giallo limone della maglietta del nipote, sembrano tratti direttamente dalle antiche miniature pergamenacee e richiamano i colori del cielo in questo momento. I due sembrano sospesi in una dimensione surreale, tra Realismo Magico e Metafisica, che pure costituiscono i lemmi del mondo artistico e mnestico di Scandurra. Il nonno si colloca al centro della composizione, in corrispondenza del sole, quasi a ribadire un recuperato antropocentrismo, ma di tipo terreno e immanente. Le due figure guardano verso di noi e volgono le spalle al paesaggio retrostante: ci sentiamo osservati e coinvolti. Quel “nonno” è un testimone consapevole del nostro tempo, e “passa il testimone” si al nipote, ovvero alle generazioni future, come a dire: abbiamo tutti la responsabilità di trasmettere ai posteri questa bellezza.
Di fatto, il luogo rappresentato non è di fantasia, ma è stato individuato in modo preciso da Scandurra: il punto di vista è dal promontorio del monte Poro, presso Tropea e da lì, tra il dieci e il venti agosto, il sole si posiziona, al tramonto, proprio sulla vetta dello Stromboli, che lo fronteggia nel Tirreno. Poro significa passaggio, valico (da poros), e lo Stromboli è un vulcano: tutta l’atmosfera è vibrante, è còlta in un momento transeunte, di passaggio e metamorfosi degli elementi; il sole presto si incendierà, lo Stromboli è carico delle sue potenzialità eruttive, che potrebbero attivarsi in ogni momento. La strada raffigurata è la via Popilia Romana, le casupole sono i casolari dei contadini dei possedimenti della famiglia Galli di Tropea; la zona è stata da sempre coltivata con le colture tipiche di questa zona, dagli agrumeti, alla cipolla, ai peperoncini, oltre ad essere usata per il pascolo.
Dunque tutto ha un senso reale, le coordinate logiche spazio-temporali sono state definite chiaramente, eppure l’arte di Scandurra ha saputo trasfigurare quei dati, sublimandoli e trasfigurandoli in una dimensione, che proprio quei dati reali trascende, per aprirci a finestre iconiche senza tempo e senza spazio.
I simboli e i messaggi che ne emergono sono molteplici: la riflessione sul rapporto Uomo Natura, la percezione che un rapporto armonioso tra i due fattori sia ancora possibile, come lo era stato nell’antica civiltà contadina, dimostrato dal rigoglio e dalla bellezza di una Natura che non è incontaminata, bensì antropizzata e vissuta dall’uomo; un nuovo antropocentrismo, che mette l’uomo al centro, nella dimensione terrena (la figura del nonno), riconoscendo l’immensità del cosmo (la centralità del disco solare); il tramandare la cultura alle generazioni future (la mano del nonno sulla spalla del nipote); il dialogo democratico nell’incontro tra esseri diversi (i due personaggi sulla sinistra della composizione in primo piano); la bellezza degli elementi naturali nelle loro metamorfosi di luce, acqua, vegetazione; infine il senso del passaggio e della sospensione, che caratterizzano il nostro stesso tempo. Un’atmosfera vibrante, tonale, che pure sembra aver invertito i canoni tradizionali: i gradienti di profondità non hanno più colori caldi in primo piano e freddi sullo sfondo, ma i grigi e i verdi occupano i primi piani, mentre le tonalità calde e pastello rosate e gialle si dipanano in lontananza; il tutto ottenuto con un lavoro certosino di texture, frutto di una manualità da restauratore sapiente, da maestro di bottega, che ha impegnato l’artista a costruire da solo il telaio, a tendere la tela di canapa e lino, a stendere l’imprimitura di gesso e colla, a lavorare i passaggi tonali, punto su punto, per ottenere quelle vibrazioni sempre vive, che pure fissano l’attimo in un tempo infinito.
L’opera di Scandurra potrà aiutarci a salvarci grazie ai mondi di riflessione, di saggezza, di equilibrio, di prospettive oltre il reale e di neoumanesimo, a cui ci apre.