UNA PRESENZA LUMINOSA

L’album di disegno, la matita, la gomma sono sul davanzale della finestra. Alla parete, a fianco del letto, è appeso un dipinto quasi ultimato: tre angeli festosi in una nuvola dorata alla ricerca di uno spazio più ampio nel tramonto disteso. Marinella Letico ha lavorato fino all’ultimo giorno possibile della sua vita terrena. La clinica Anthea di Roma l’ha ospitata per accompagnare il suo viaggio nell’infinito, dove è approdata la sera del 4 settembre 2015.

Eppure, il tempo della sua esistenza terrena non è passato invano. In proporzione, una libellula era più pesante. Sì, perché Marinella era leggera come una piuma, nel corpo come nello spirito: tutto in lei era permeato di poesia. La sua ultima mostra antologica a Roma aveva voluto intitolarla proprio “Il vento dei colori”, per significare quella leggerezza che ha caratterizzato la sua intera esistenza, nonostante le distrette e le bufere degli anni nel «secolo breve». Cetta Petrollo, poetessa e direttrice della Biblioteca Vallicelliana, presentando la rassegna, disse: «Marinella Letico ha il pudore delle farfalle». In effetti, era una farfalla e ovunque si posasse lasciava il segno, un nettare speciale fatto di candore e di poesia, di colori e di armonia.

Era nata a Roma nel 1941, da madre ungherese e padre napoletano. Non parlava volentieri di sé, della sua infanzia e della prima giovinezza. Schiva e riservata per natura, silenziosa seppur sempre presente, amava ritrarsi quasi a nascondersi più che apparire e rumoreggiare. Ma quanta luminosa presenza e sonora armonia ci sono nei suoi dipinti su tela, negli acquerelli, nelle incisioni e nei disegni a matita o con le chine.

Ricordava con commozione il nonno che le insegnava ad usare le armi nella campagna attorno a Napoli, ma il pensiero riandava con slancio agli studi artistici ed al rapporto con il pittore e incisore Arnoldo Ciarrocchi che all’Accademia di Belle Arti a Napoli era il suo maestro preferito. E’ stato Ciarrocchi a scoprirle una pistola nella borsetta e a vederla immergersi nella acque del golfo come una sardina, stupendosi della forza fisica in un corpo gracile e minuto. Un miracolo della forza di volontà. Poi il matrimonio con Aldo Celi negli anni Settanta e il trasferimento a Guidonia Montecelio, i figli Maurizio, Christian e Barbara, l’insegnamento nella Scuola d’Arte di Tivoli per tanti anni. Dopo la morte del marito, il trasferimento a Roma e l’insegnamento all’Upter dove ha svolto corsi molto frequentati di disegno e di nudo, fino alla primavera di quest’anno.

ATTIVITA’ ARTISTICA

Negli anni Ottanta lo studio d’arte a Villa Adriana era un rifugio per dipingere, ma soprattutto per lavorare con le lastre di rame, gli acidi e gli inchiostri, applicandosi per ore al torchio manuale che tanto amava e che non ha mai voluto abbandonare. Poi lo studio a ridosso delle mura di Villa d’Este, sulla via antica di accesso alla residenza del cardinale Ippolito d’Este. E da ultimo la casa di Roma trasformata in uno studio che parla di Marinella con il linguaggio delle favole, degli angeli, delle libellule, dei pesci e delle nuvole. Ma anche di tanti riferimenti storici e letterari, evidenziando una molteplicità d’interessi che lasciava talvolta stupiti per l’intensità della riflessione e l’originalità espressiva. Ulisse, Euridice, i cosacchi di Lev Tolstoj, le damigelle medievali e gli amanti sommersi, gli angeli pescatori, le megattere dominatrici dei mari come le sirene omeriche, gli ulivi ritorti nella secolare lotta delle radici col travertino sulle rovine delle ville romane a ridosso delle scarpate tiburtine, il mito della ninfa Albunea che dà origine alla storia millenaria di Tibur, l’odierna Tivoli, e alla Sibilla. Tutto questo è soltanto un segmento incongruo del mondo di Marinella Letico. Il restauro di affreschi e dipinti all’interno di chiese, dove gli angeli hanno lo sguardo terreno dei familiari cari a Marinella, quasi a umanizzare il tempio divino, è un altro aspetto che della sua attività che pochi conoscono. Si è spinta nell’illustrazione di libri di poesie e di favole, eccellendo nell’interpretazione profonda del verso e nella forma espressiva originalissima e di esteso senso poetico, dove è sempre la leggerezza che prevale, anche quando il pensiero e il messaggio sono pesanti come il piombo. Fino all’ultimo impegno in occasione del 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri: una prova stupefacente per rendere la terra «…dove nata fui / a la marina dove ‘l Po discende / per aver pace co’ seguaci sui», in quella Ravenna bizantina dove era nata Francesca, figlia di Guido da Polenta.

E le tracce dei tanti viaggi in Inghilterra, nelle Fiandre, in Germania e in Norvegia, terra questa che amava per la magia misteriosa dei fiordi. L’acqua era la sua natura costitutiva dove Nereidi, Sirene, Rusalke e figure antropomorfe davano vita al turbinio dei sogni e talvolta degli incubi, unitamente alla fauna ittica che tanto aveva osservato dal vivo nel corso delle immersioni giovanili napoletane. I soggiorni in Puglia e nelle Marche erano altrettanti punti fissi. A Fontespina, sulle colline di fronte a Francavilla a Mare, si recava spesso per trovare Arnoldo Ciarrocchi. Con Rinalda, la moglie del maestro, aveva un’intesa profonda che è durata tutta la vita.

Ma anche della sua quotidianità resta vivissima testimonianza. Portava sempre con sé nella borsetta l’album di disegno; seduta in treno, in autobus o al ristorante, silenziosa come sempre, prendeva la matita e cominciava a tracciare segni che nello studio diventavano poi figure, paesaggi, nature morte. La sua scatola di acquerelli era quasi scolastica, ma bastava aprisse il coperchio e preparasse la vaschetta, e sulla carta emergevano colori misteriosi che solo lei sapeva ricavare dal pennello intriso nell’acqua. Se qualcuno si soffermava a osservarla, quasi temendo di disturbare, cessava l’applicazione e richiudeva l’astuccio, nascondendo il foglio umido. Non era ritrosia gratuita o superbia, ma un tornare agli altri, quasi temendone il giudizio. Ma la creazione artistica non era per sé, un esercizio privato. Quante mostre ha tenuto Marinella Letico!

Quelle a Tivoli, sia collettive che personali, a partire dagli anni Ottanta, a Roma presso la libreria Otradek, a Napoli fin dagli esordi della sua attività, a Tokio e a Osaka dove l’ulivo ha avuto il ruolo da protagonista. E la magnifica mostra al Castello di Lunghezza dove Arnoldo Ciarrocchi, già molto anziano, ha testimoniato l’affetto e la stina per la sua allieva.

E le molte collettive: “Mediterraneo d’Arte” all’Archivio Centrale di Stato di Roma e al Museo di Arte Contemporanea di Rende-Cosenza, unitamente ad “Haliéus” a Tarquinia hanno fatto emergere il suo profondo legame con il mare e la fauna ittica nel sulla sua immensa varietà. “Fons Olei” a Castello Savelli di Palombara Sabina, e poi “Ruritalia”, “Tolstoj oggi”, “Noi credevamo” al Complesso dei Dioscuri al Quirinale sono servite per il confronto internazionale su materie in cui all’inventiva deve unirsi lo studio e la conoscenza. E le numerose prove per celebrare il centenario della morte di Antonio Labriola a S. Ivo alla Sapienza, sede della prima Università romana, “La Sapienza” appunto, fondata da Bonifacio VIII nel 1303, unitamente alla collaborazione con il prof. Nicola Siciliani de Cumis. Marinella Letico ne è uscita sempre a testa alta, perché la distintività del suo linguaggio, la densità della sua grammatica e la leggerezza del pensiero la portavano a superare tutte le prove. Come Euridice o Penelope nella serie “Figure femminili nell’antica Grecia” alla Biblioteca Vallicelliana che precedono di poco l’incanto dell’antologica già ricordata “Il vento dei colori” del 2009. 

IL DISTACCO

Nessuno poteva pensare che una donna all’apparenza fragile ma dai muscoli minuti fabbricati con l’acciaio potesse andarsene. Si era ammalata all’inizio dello scorso anno, appena ultimato il primo corso annuale all’Upter. L’ultimo libro da lei scritto, dal titolo significativo Le Cenerentole del mondo. Oltre la fiaba, le culture, le storie, in collaborazione con Ornella Sardo, e magicamente illustrato, è una ricerca sulla nascita e la diffusione del mito di Cenerentola, presentato dalla scrittrice e dall’antropologa Marilena Macrina Maffei, proprio nell’Aula Magna dell’Upter. In precedenza aveva prestato i propri colori per le favole scritte unitamente a Giuliana Polenta e ad una raccolta di poesie dal titolo “Volute” nel lontano 1990.

All’insegnamento era tornata dopo la lunga e complessa convalescenza. Era stata accolta con l’entusiasmo di sempre da parte degli studenti. Si era messa a lavorare alacremente, come sempre. Leggeva molto per trovare solidi ancoraggi alle sue creazioni. La banalità era la nemica principale nell’opera di Marinella Letico. Sia di segno pittorico che di estetica, sia di soggetti che di contenuti.

La Divina Commedia l’aveva sempre tentata. Mancava l’occasione per estrarre un tema, un soggetto, una figura. Le celebrazioni del 750° anniversario avevano acceso la sua fantasia. Si era messa a rileggere «il poema sacro / cui ha posto mano e cielo e terra». Ma il cancro che non dà scampo, anche se sembrava debellato dopo tante cure dolorose, si è ripresentato in tutta la sua crudele ambizione distruttiva. E Marinella è stata costretta a cedere al male, nonostante abbia lottato fino all’ultimo istante possibile. Non è riuscita a completare il suo ultimo lavoro. L’album e la tela nella sua stanza d’ospedale sono la testimonianza più commovente di una vita spesa interamente per l’insegnamento scolastico e per la creazione artistica.

Cosa resterà di Marinella Letico è presto per dirlo. Intanto il suo esempio che vale per i figli, i parenti e per gli amici. E poi i suoi numerosi dipinti, alcuni dei quali mai esposti, le cartelle di acquerelli, disegni, incisioni, abbozzi, appunti. Tutto un mondo in cui ribolle la natura di una donna che ha saputo fare del proprio tempo una leggerissima trama di sogni, di speranze, di poesia. Non dimentichiamola!

Agostino Bagnato

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