Salvatore Miglietta, Ritratto di Pier Paolo Pasolini, 2015, olio su tela, 70x50
Nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, quarant’anni fa, Pier Paolo Pasolini veniva ucciso all’Idroscalo di Ostia. Delitto ancora irrisolto, avvolto nel mistero. Ma l’arte di Pasolini continua a parlare alla coscienza dell’Italia e del mondo.
Nel 1961 era stata pubblicata la raccolta poetica La religione del mio tempo, contenente memorabili versi. Tra questi, il poemetto dedicato al glicine resta una pietra miliare nella poetica del secondo Novecento. Sì, la visteria, pianta magica delle campagne e dei giardini italiani, comunemente detta glicine, presente in particolare nell’Italia centro-meridionale, al pari di ginestra, bouganville, melograno, fico d’India.
Pasolini abitava a Roma al Gianicolo, nei pressi del forte noto come Vascello dove fu combattuta la memorabile battaglia tra garibaldini e francesi nel 1849. Il glicine campeggia ancora oggi sui muri scrostati della fortezza pontificia, delle abitazioni e delle ville patrizie novecentesche. I suoi tralci colpirono la fantasia del poeta che vide nella straordinaria fioritura annuale il simbolo di una religione naturalistica, di matrice materialista, vichianamente protesa al continuo rinnovamento dell’universo.
Salvatore Miglietta, pittore di notevole sensibilità poetica, parte proprio dal glicine per presentare una sorta di religione del nostro tempo. Nelle sue ultime prove artistiche, prove basate sulla qualità dell’Essere oggi, della Physis che manifesta sfaccettature di diversità e di eco compatibilità, di bellezza e di speranza. «Chalepà ta kalà», Il bello è difficile, sostiene Platone. Miglietta lo sa che è difficile dare dimensione al proprio Essere. L’artista lo fa coerente con il proprio procedere creativo. Oscillando tra astrattismo, informale e figurativo, passando da una grammatica espressiva all’altra ma restando sempre coerente alla propria ricerca.
Se la religione del proprio tempo per Pasolini era basata sulla ricerca dell’identità post-ideologica dopo l’eclissi delle rivoluzioni possibili, per Miglietta l’odierna religione è la Natura, la Physis dei Greci e la fenomenologia di Lucrezio, fino a Giovambattista Vico e all’esistenzialismo del Novecento. «La bellezza ci salverà» dice Fëdor Dostoevskij, ma bisogna cercarla. E Miglietta lo fa evocando gli alberi, le piante, i fiori, i frutti della terra. Ed ecco nella sua epifania espressiva l’ulivo, la quercia, il ciliegio, il glicine, il melograno, la ginestra, il fico, il fico d’India. Sono gli epifenomeni della generosità della terra nella misura in cui l’uomo li ha conquistati e meritati. Se la realtà naturale è rispettata perché compresa e amata, vuol dire che l’uomo contemporaneo ha bisogno di trovare la propria identità andando a cercarla nel proprio Essere, nella struttura preverbale del suo racconto riguardante il passato vissuto, nella coscienza annegata nel mare della storia.
Salvatore Miglietta volge lo sguardo attorno e raccoglie emozioni e suggestioni che subito metabolizza e trasferisce sulla tela. Ogni impulso si trasforma in forme e colori che l’artista stende con immediatezza, quasi incatenato all’idea che si fa compulsione. Nascono così forme metamorfiche come nei dipinti agravitazionali o prive di nervature formali in cui il linearismo coloristico assume prevalenza, o nelle rappresentazioni in cui la figura domina la scena secondo un realismo che produce ancoraggio al presente anche quando il segno sfuma nel recupero della vetustà. E’ questa la religione del nostro tempo seconda la lettura dell’oggi che ne dà Miglietta. Non una lettura ideologizzata o dequalificata e minimalista, ma oggettiva. E’ quella realtà che nasce dalla coscienza interiore in cui il generante è generato, parafrasando Giorgio de Chirico. Miglietta sa benissimo che soltanto affondando lo scandaglio nella realtà naturale, che è bellezza difficile, è possibile sopravvivere ed edificare la giusta dimensione che connota l’Essere fenomenologico.
In questo senso il richiamo a Pier Paolo Pasolini è quanto mai opportuno. La denuncia del consumismo, della perdita di valori fondanti della comunità, della disgregazione della civiltà contadina, della prevalenza della massa indistinta sul popolo fatto d’identità: è il lamento sulla scomparsa delle lucciole che celebra la grave crisi in cui l’Italia del miracolo economico affogherà da lì a qualche anno, tra esplosioni terroristiche da un lato, edonismo individualista dall’altro. La possibile salvezza è il ritorno ai valori autentici dell’Essere. Non adattamento alle circostanze, dunque, ma conquista di una dimensione materiale e spirituale che risponda alle sollecitazioni della velocità degli scambi dei tempi moderni, proprio per ricostruire quell’Essere che è per sua natura generante.
Nella religione artistica di Miglietta il futuro è già accaduto, perché la ripetitività generante della bellezza rappresentata dalla Natura è una certezza. Soltanto che l’uomo deve saperla proteggere e difendere per garantire l’integrità maieutica di bellezza e probità.
Agostino Bagnato
Roma, 3 novembre 2015