di Ettore Ianì
SENECTUTE, UN GIOVANILE LIBRO DI ETTORE IANI’ CHE AIUTA A CAPIRE LA TERZA ETA’
Non è certo un libro che può definirsi “senza tempo”, ma ha l’originale forza di rappresentare la metafora della terza età in tutta la sua crudezza. Un libricino godibile, scritto per essere letto tutto di un fiato. Ben scritto, uno scialo di citazioni e una narrazione pessimisticamente ironica. Bella è anche la vestizione grafica. Una copertina classica del pittore Giorgione della scuola veneta del 1500 che raffigura le tre età dell’uomo maschili a mezzo busto: una trasposizione simbolica dell’armonia dell’esistenza umana.
Sono una millennials, lontana dal tema tratto dall’Autore, ma il libro (regalatomi da una persona cara) l’ho letto per curiosità intellettuale e per cercare di conoscere meglio i “miei vecchietti”. Lettura utile. Mi ha aiutato a comprendere che la Terza età nel Terzo millennio forse non è così bella come la descrivano i suoi apologeti. L’Autore ci avverte che arriva senza preavviso, che è la cosa più inattesa dal genere umano, che cerchiamo in tutti i modi di rimuoverla. Generalmente la vecchiaia si consuma come “fatto soggettivo e intimistico”, ma per lAutore non è mai un atto privato, semmai chiama in causa l’intera società. Originale è sicuramente l’analisi d’interconnessione tra l’età avanzata e il Giovanilismo, l’Ageismo e la Rottamazione: tre archetipi che rappresentano uno dei più difficili capitoli dell’arte di vivere.
Non è un libro solo per i baby boomers, come li chiamano i demografi e sociologi, ma anche per la generazione del digitale. Nel percorrere le varie scuole di pensiero, “scarsamente dialoganti”, Ianì mette in luce chi vede nella senilità una vita da vivere felicemente chi, invece, la vede come una fase di decadenza e degenerazione. Per l’Autore ci sono, uscendo da una visione manichea di bianco o nero, “infiniti modi di catalogare e vivere la vecchiaia: l’accettazione, la rassegnazione, l’indifferenza e altro ancora.
Jessica Mirarchi
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PER IL SOCIOLOGO IANI’ LA VECCHIAIA ARRIVA IMPROVVISAMENTE E A NOSTRA INSAPUTA
Appartengo alla generazione immersa nella realtà digitale, nell’intelligenza artificiale, nella robotica, nel cambiamento veloce e nell’ aumento della popolazione degli anziani. Vivo nel terzo millennio, nella fase storica in cui hanno preso il sopravvento la paura per il domani e la certezza che per i giovani non sarà agevole arrivare a maturare la pensione. Leggere un libro sul pensionamento e sulla vecchiaia non è stato un vezzo, ma un atto affettuoso e di amorevole tenerezza verso l’Autore.
Una lettura fluente, carica di un parossismo ridanciano, per niente autoconsolatoria, lontana dall’idea che nella nostra epoca sia tutto possibile, compreso vincere la guerra contro la vecchiaia. Con sano pragmatismo ci avverte che si può nascere vecchi e che arriva improvvisamente, quasi a nostra insaputa. Ironizza sul fenomeno del “giovanilismo che plasma il passato a suo uso e consumo, che nega la rottura tra ciò che si è e ciò che si è stati, (…) che scotomizza la vecchiaia indossando jeans aderenti rafforzati al punto giusto, anche se usa il pannolone per i problemi della prostata”.
I sei capitoli, preceduti da una accattivante e stimolante prefazione scritta dall’ editore e scrittore Agostino Bagnato, costituiscono l’ossatura di una analisi di un “fenomeno sociale dai mille volti e dai risvolti non catalogabili in una visione omogenia e unitaria”. L’ Autore passa in rassegna l’ageismo, la depressione e il suicidio, il pensionamento e gli anziani come soggetti invisibili. Lo fa navigando con la bussola di autori robusti e di gran vaglia come Noberto Bobbio, Zygmunt Bauman, Simone de Beuvoir, Levi Montalcini, Papa Francesco e Giovanni Paolo II. Il libro non ha certo la pretesa di fornire una risposta esaustiva a un fenomeno sociale così complesso, semmai di accender un fioca fiammella al falso mito della apologia della vecchiaia. Chiude, il suo intrigante lavoro, con un’inquietante domanda: “L’anziano resta una risorsa solo quando con i propri redditi o le proprie energie contribuisce all’economia familiare?
Monica Viva
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SENUCTUTE, UN LIBRO COME ANTIDOTO ALLA PAURA DEL PENSIONAMENTO
Il libro nasce con il pensionamento, quando le banche ti rifiutano di mutuo, le aziende non vogliono più e la società ti relega a trascorrere settimane senza incontrare nessuno, a vivere una cronica solitudine e a trascorrere le tue giornate davanti alla tv. Un libro come antidoto ai primi segnali di autosvalutazione e al timore di vivere una nuova stagione senza essere preparato a farlo.
Mi sentivo prigioniero di una nebbia che mi isolava anche dalle persone care. Un cambiamento inaspettato, anche se a volte sembrava che tutto andava per il meglio. Ho scelto di non sottovalutare il mio disagio mentale e fisico. Mi sono detto che dovevo capire cosa mi stesse succedendo. Iniziai a leggere e studiare cosa vuol dire vivere l’ultimo squarcio della vita. Una scelta faticosa per neutralizzare paure sconosciute come la depressione, l’aumento di peso per fame vorace di cibi ipercalorici, l’insonnia, la ridotta capacità di concentrazione, la diminuzione del piacere per le attività che fino a ieri erano appagavano la mia esistenza. Per non subire passivamente questa nuova e sconosciuta realtà mi sono buttato a capo fitto sulla lettura che ruotasse intorno all’età senile. La bussola che ha guidato il mio cammino sono state le letture classiche come Bobbio, de Beauvoir, Bauman, Montalcini, fino a Papa Francesco.
La profusione allo studio mi ha fortemente aiutato a capire che sarebbe stato sbagliato continuare a rimuginare sul mio nuovo status sociale qual è il pensionamento, sorgente di crisi e disorientamento. Prima di buttare la spugna ho cercato in tutti i modi di ricollocarmi nel mondo del lavoro senza avanzare pretese, se non quelle di mettere a disposizione la mia esperienza lavorativa e universitaria. In brevissimo di tempo i miei progetti di vita si rilevano opachi, diventano sfuggenti forse per la ragione che il mio tempo a disposizione è più breve di quello necessario e realizzarli. Avevo il timore di finire sulle panchine dei giardinetti, o lavorare da casa, fare shopping online così come il progresso tecnologico suggerisce, riducendo i contatti con il mondo esterno. Ho spedito il mio curriculum un po’ ovunque: associazioni, imprese e amici. Studiando i paradossi della senilità ho compreso che stavo commettendo, forse con candore, un marchiano e sprovveduto errore: continuavo a leggere la mia vita con la ridicola e sgradevole goffaggine del lavoratore attivo e del professore incaricato all’università la Sapienza di Roma.
Ho iniziato a scrivere questo libricino privilegiando l’approccio sociologico, con l’aggiunta di una spruzzatina di esperienza personale essendo un baby boomer. Ho prestato attenzione ai paradigmi che ruotano intorno non tanto al peggioramento della salute fisica e dell’energia vitale, quanto agli aspetti sociali come la fuori uscita del mercato del lavoro, la contrazione delle relazioni sociali, la consapevolezza che la terza età non è una fase di sviluppo e che il tempo a disposizione è come lo yogurt: in scadenza anche se perfettamente conservato in frigorifero.
La tesi di fondo che sostengo è che il processo d’invecchiamento pone problemi di diversa natura, spesso non positive. Benché vissuto soggettivamente e intimisticamente sono arrivato alla conclusione che non esiste alcun interstizio sociale lontano da questo processo. Essere vecchio oggi è una sfida per il singolo e per la società. Basti pensare alle conseguenze sulla sanità o quello pensionistico, agli effetti sui sistemi di welfare state o alla stessa crescita dell’aspettativa di vita che ha fatto esplodere problemi economici, sanitari e sociali. Problemi fino a ieri sconosciuti come il Giovanilismo, l’Ageismo e la Rottamazione: tre risposte, sbagliate o giuste che siano, che però aiutano a comprendere i mille volti e le varie sfaccettature dell’invecchiamento, della senilità, dell’anzianità, della terza o quarta età, che dir si voglia. Un fenomeno non facilmente catalogabile in una visione omogenea e unitaria, con diverse scuole di pensiero, tra di loro non facilmente dialoganti.
Ettore Ianì