OLTRE IL CONFINE DEI GENERI, E OLTRE IL TEMPO

 

Ha attraversato una parte cospicua del territorio di confine, quello posto tra i segni e i significati, in cui ogni disciplina deve umilmente abbassare le penne e confrontarsi con le altre. Non gli piacevano i monolitismi e pure i monoteismi –diceva- anche se in molte sue opere narrative i conti con il significato ultimo tornano sempre. Conti aperti, come le sue opere aperte, che si costruiscono grazie alla cooperazione dei lettori. In questo universo così interdipendente sembrava non esserci posto per la domanda ultima, quella sul senso. Non c’era posto perché onestamente nulla in questa vita può dire qualcosa di certo una volta per tutte. Non abbiamo che segni, e non gli si può dare torto, almeno a livello di accademia. Perché poi oltre Eco lasciava porte aperte. Aveva perso la fede, come diceva lui, grazie o per colpa, a secondo dei punti di vista, di san Tommaso, ma rimaneva affascinato dai pensieri forti che ogni tanto lanciavano bagliori inquietanti –e talvolta terribili- nel loro apparire improvvisamente sul palcoscenico della storia. Il medioevo dei grandi mistici, ad esempio, non il medioevo genericamente inteso, che non è mai esistito, perché non si dà un’epoca unitaria di mille anni, lo affascinava. Da laico, ovviamente, ma qui dovremmo aprire un lungo e tedioso dibattito, anche perché le parole hanno i limiti sofistici, e a volte, lo diceva anche lui, una volontà persuasiva che diviene indebitamente rettorica, per scomodare Michelstaedter. Per questo il semiologo medievista non transigeva sulle nuove forme di retorica umorale e becera, come facebook. Temeva e odiava il momento in cui sarebbe stato ricordato soprattutto come l’autore de Il nome della rosa. Doveva promuovere, come autore, gli altri romanzi, che erano pur sempre figli suoi. Ma non c’è partita. Religione, eretici, teoria dei segni, gli amati Wittgenstein e Peirce, mistici, inquisitori, cercatori di assoluto e cacciatori di potere, sesso e sogno precipitavano nel 1980 in un noir metafisico in cui tutto teneva, dai nomi-cose dei personaggi (basti pensare a Guglielmo di Baskerville, che nasconde una serie di rimandi a loro volta forieri di altri link) alle contaminazioni-citazioni di matematici novecenteschi mascherati da mistici del Trecento.

È stata la realizzazione di decenni di studio profondo. Ma quello studio è rimasto miracolosamente dentro le cose, non appiccicato esternamente, ha creato fantasmi di senso ben strutturati ed animati, che sarebbero diventati parte integrale dell’immaginario colto, e piano piano un po’ meno colto, grazie a Dio, di una letteratura che tentava lentamente di scendere dalle torri di guardia.

Non c’è mai riuscita completamente, e non solo e non tanto per colpa propria, ma questo è un altro discorso. Eco ha reso agevole i conti con il medioevo, con i segni, che forse non dicono nulla di definitivo, ma almeno mettono in moto cuore e pensiero.

 

Marco Testi

 

 

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