Alla potenza del sole m’inchino,
al calore “che si fa vino,
giunto dall’umor che da la vite cola”.
Al rosso
che il sangue presta al melograno,
al fuoco, alla cocciniglia,
al tramonto nell’ora del declino,
“al vivere
ch'è un correre a la morte”.

Allo sgomento del buio m’inchino,
“selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura”,
all’errore
che oscura le forme nitide della visione,
le confonde, le rende uguali
nel cono d’ombra del loro scomparire.
Al singhiozzo del tempo m’inchino
in giorni e notti musicali,
a Calliope, Euterpe, Polimnia,
“alla mosca che cede alla zanzara”,
al ripetersi circolare
del cuore che pulsa nelle vene.

M’inchino all’ape, al lombrico, alla conchiglia,
“ai vermi nati a formar l’angelica farfalla”,
alle colombe “dal disio chiamate”
e a tutte le forme naturali
che sono miei parenti in questa grande famiglia.
M’inchino al falco
che vola in aria come suono fine
e plana sicuro affidandosi al cielo,
all’allodola “che ’n aere si spazia prima cantando,
e poi tace contenta
de l’ultima dolcezza che la sazia.”

M’inchino allo schiudersi della luce
e al mistero della margherita,
alla gramigna
che danza un ballo sereno
al soffiare del vento,
e a tutti voi m’inchino,
che siete corpo e carne e filo,
intrecciandovi con me in questo arazzo,
nel silenzio della domanda,
nel naufragio della risposta,
in grembo di madre
da cui nascono
parole nuove di poesia,
e all’amore

“che muove il sole e l’altre stelle”.                                                                   

Carolina Lombardi

 

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