Armida Corridori

SERGEJ DRONOV, Maksim Gor'kij a Sorrento, 2018, olio su tela, 70 x 50

PREMESSA

L'emigrazione russa in Italia, importante come numero e notevole per il rilievo politico, ideologico e culturale dei suoi maggiori esponenti, rappresenta un capitolo di grande interesse nella storia del socialismo russo e italiano e del movimento operaio europeo.

I contatti fra gli esponenti della vita politica e culturale russa con l'Italia sono presenti fin dal secolo 17°,  proseguono dalla seconda metà del secolo 19°fino  alla Rivoluzione d'Ottobre ma cambiano di segno, legati alla nuova realtà russa che si va delineando.

A partire dagli anni intorno al 1848, il ceto nobiliare non è più il solo ad essere presente sul suolo italiano, a contatto con una società impegnata nello sforzo risorgimentale. La presenza dei russi in Italia riflette le divisioni e i contrasti presenti nella società russa, da una parte quella degli aristocratici, dei diplomatici, della burocrazia, dell'esercito ecc.; dall'altra la Russia sotterranea e perseguitata.

Verso il Piemonte andarono le simpatie di capi e gregari della prima emigrazione populista russa che si colloca fra Nizza, Genova e Torino e dove torneranno a concentrarsi dopo la rivoluzione del 1905.

Le testimonianze e gli scritti di questi esuli trovano eco e consensi sulla stampa subalpina presso Mazzini, Correnti, Medici e Pisacane. Si può parlare di un vero e proprio ciclo storico nell'arco di circa tre generazioni, tenendo conto anche delle attese riposte da tanti populisti in Mazzini, Garibaldi e negli anarchici.

E' naturale per i russi esuli sollecitare e trovare solidarietà presso i socialisti italiani che stanno iniziando a costruire una struttura organizzativa e cercano collegamenti con gli altri movimenti europei più maturi.

Come sostiene F. Venturi in Il populismo russo,«i russi avevano bisogno di vedere riflessi i propri problemi nell'Europa per poterli guardare nel loro insieme in tutta la loro importanza».

»L'Italia mi à regalato i nuovi occhi,  con quali io veggo la adesso Russia meglio che prima», confiderà Alekseij A. Zolotarev a Umberto Zanotti Bianco nel giugno del 1914, appena rientrato in patria. Anche i socialisti italiani seguono con grande interesse e partecipazione le vicende russe: “ l'Avanti!" ha in Vasili Suchomlin un collaboratore russo fisso che informa i lettori sulle questioni russe.

In verità la presenza di tanti esuli russi si nota anche nel mondo dell'arte dove spicca la presenza di Maksim Gor'kij intorno al quale si raccolgono i migliori spiriti dell'intelligencija russa in esilio.

Infine si può affermare senza possibilità di smentita che l'Italia è stata per tutti una seconda patria e per questo la loro vicenda può essere considerata parte integrante della storia d'Italia.

Intorno agli anni della rivoluzione del 1905, si era raccolta a Napoli una comunità di esuli formata in particolare da studenti giunti dalla Russia per seguire i corsi all'Università, dopo che per discriminazione razziale in quanto ebrei o per ragioni politiche, era stato loro vietato di proseguire gli studi. In generale gli studenti anti zaristi venivano sistematicamente espulsi dalle università dell’impero russo.

Umberto Zanotti Bianco

MAKSIM GOR’KIJ A NAPOLI

Nel 1906, costretto all'esilio per sfuggire alla polizia zarista, Aleksej Maksimovic Peskov, da tutti conosciuto con il nome d’arte di Maksim Gor'kij, in italiano «Massimo l’Amaro» dopo essere stato in America, viene in Italia. Al suo arrivo a Napoli è accolto con grande entusiasmo dai giovani studenti della "Corda Fratres", l'associazione universitaria internazionale fondata a Torino da Efisio Giglio nel 1898 che, secondo l'ideale mazziniano di fratellanza fra i popoli, intendeva unire gli studenti di tutto il mondo. Tra le cerimonie e le manifestazioni di accoglienza, un posto particolare nel quadro generale dei consensi, occupa il comizio "Pro Russia rivoluzionaria", organizzato dal Partito socialista italiano e dalle leghe operaie di Napoli nell'atrio del chiostro di S. Lorenzo il 28 ottobre 1906.

Gor'kij si era intrattenuto con L. M. Bottazzi corrispondente dell'"Avanti!" per mandare un saluto "fraterno" a tutti i socialisti italiani. Pur ammettendo di conoscere poco l'Italia contemporanea,  Gor'kij riconosce che il proletariato italiano ha compreso l'ora terribile vissuta dalla  Russia dopo la tragica domenica di sangue del 9 gennaio 1905 e la fallita rivolta che ne è seguita, provocando persecuzioni infinite da parte dello zar Nicola II.

Nel complesso, l'accoglienza "cordiale e festosa" ricevuta convincono lo scrittore esule a rimanere in Italia per un soggiorno previsto all'inizio solo per due o tre mesi che si prolungherà invece per oltre sette anni, in gran parte trascorsi a Capri.

Gor'kij espresse poi la sua riconoscenza con un messaggio sentito e commosso Agli italiani, pubblicato sull'"Avanti!" il 9 gennaio 1907.

In precedenza con una più vasta eco internazionale aveva pubblicato il messaggio su "Krasnoe Znamja"( Bandiera rossa) del 27 novembre (10 dicembre)1906 col titoloK Ital’jantzam” (Agli Italiani).

Questa situazione è evidente, era seguita con preoccupazione crescente dalla rappresentanza diplomatica in Italia che vedeva formarsi intorno allo scrittore e ad Angelica Balabanoff, altra figura importante della lotta rivoluzionaria," il centro principale dell'agitazione" contro il governo zarista.

Giovanni Giolitti, allora Presidente del Consiglio dei Ministri,  era deciso ad evitare che le agitazioni anti zariste traessero alimento dalla presenza di Gor'kij in Italia, ma la consistente richiesta di solidarietà verso lo scrittore da parte dei socialisti in Parlamento, lo portarono a non prendere alcun provvedimento.

 

GOR’KIJ A CAPRI

Di conseguenza, lo scrittore decide di rimanere in Italia il più a lungo possibile e fisserà la residenza a Capri. Dopo un breve soggiorno all’hotel Quisisana,  residenze di nobili e artisti di ogni parte del mondo, non idonea per lo stile di vita del vagabondo del Volga, a partire dal 4 novembre 1906, prese in affitto villa Settanni o villa Blaesus, nella parte centrale dell’isola; in seguito per poter ospitare gli amici russi di passaggio, si trasferirà a villa Ercolano o villa Behring e infine a villa Serena, chiamata successivamente villa Pierina. Gor’kij non parlava italiano e decisivo fu il ruolo della sua compagna, la bellissima attrice

Marija Fëdorovna Andreeva, attenta a  circondare il grande scrittore ammalato, di ogni comfort, vigilando su di lui con garbo e cura quasi materna.

E' da sottolineare che Gor'kij era in quel momento non solo lo scrittore russo più prestigioso che avesse scelto la via dell'esilio ma anche editore capace . Aveva una casa editrice e una rivista "Znanije"( La conoscenza), aveva legami a Berlino con l'editore Ladyznikov, di conseguenza Capri diventa il punto d'incontro non solo dei rappresentanti dell'intelligencija russa in esilio, ma anche per coloro che erano rimasti in patria.

Va ricordato che negli anni dopo il 1870 "internazionalisti" russi si erano spinti nel Napoletano, uomini affiliati al Comitato del Giura, le cui delibere, opuscoli e manifesti arrivavano a Napoli tramite gli anarchici Carlo Cafiero ed Errico Malatesta ma anche grazie ad socialista Arturo Labriola, divenuto grande amico di Gor’kij e principale sostenitore della sua battaglia politica.

Questa tradizione continuerà e si svilupperà con l'afflusso della diaspora rivoluzionaria del 1905. Non potendo citarli tutti gli esuli politici e gli artisti che furono ospitati da Gor'kij, vanno ricordato Fëdor .I. Šaljapin, famoso in tutto il mondo per la sua voce di basso e che tiene concerti a Capri, N. E.Burenin e I.N.Ladysnikov, editore e scrittore di un certo talento, l’industriale e mecenate Savva .I. Mamontov.

Nel febbraio del 1911 giunse Konstantin Stanislavskij, uno dei principali protagonisti del rinnovamento del teatro moderno.

Oltre agli artisti,  molto più significativa è la presenza di vari esponenti politici del marxismo russo, tra gli altri Anatolij .V. Lunačarskij, storico e critico della letteratura e futuro commissario all'istruzione con Lenin, il filosofo e scienziato Aleksandr Bogdanov.

Lenin

Plechanov

Inoltre furono in visita e ospiti alcuni fra i maggiori esponenti del partito come Lenin e Georgij V. Plechanov.

Tutta questa situazione determina anche la complessità della figura storica di Gor'kij, facendone un'intellettuale sui generis in quanto riconosce l'impegno politico e sociale come un proprio dovere morale. Nello stesso tempo egli stesso riconosce di essere troppo poco ideologizzato per potersi definire un uomo politico e troppo impegnato per essere definito solo un intellettuale. Da qui le incomprensioni con Lenin e successivamente con Stalin e tanta parte della cultura ufficiale sovietica, a partire da Vladimir Majakovskij.

Vladimir Il’ič Lenin soggiornò a Capri due volte, nel 1908 e nel 1910. I due si erano incontrati una prima volta a Pietroburgo nel 1903 e successivamente si era ritrovati nel corso di riunioni dell’Internazionale socialista a Londra, a Parigi e in altre città. Il rapporto di simpatia e di amicizia era proseguito attraverso la corrispondenza e si era andato consolidando. Gor’kij trovò naturale invitare il capo della frazione bolscevica del Partito per tentare di risolvere importanti questioni dottrinarie e organizzative. Lenin accettò l’invito, pur sapendo che sarebbe stato difficile giungere ad un accordo con Bogdanov, il principale protagonista dell’opposizione alla linea leninista. Dunque, l'intento non è quello di trascorrere una vacanza e far visita a un amico, quanto quello di evitare una scissione all'interno del Partito operaio socialdemocratico russo. Come già detto, in quegli anni intorno a Gor'kij si ritrovano i cosiddetti "bolscevichi di sinistra" tra cui A. Bogdanov sostenitore di una concezione antidogmatica del marxismo e contrario a un partito guidato da intellettuali e A. Lunačarskij che a sua volta riteneva che il marxismo si dovesse trasformare in una religione laica.

Bogdanov, Gor'kij, e Lunačarskij ritengono inoltre che il proletariato debba avere una propria intelligencija, capace di autodeterminarsi per non dipendere da intellettuali di origine borghese.

Per mettere in atto le loro idee, i bolscevichi di sinistra ritengono necessario creare una scuola di partito per operai con lo scopo di formare i futuri dirigenti.

Lenin al contrario, propone una struttura di partito molto centralizzata e si oppone allo spontaneismo della base, in questo forte della fallita esperienza del 1905. Intende portare Gor'kij, a cui rimprovera alcuni "errori politici", dalla sua parte ma non ci riesce.

Lenin lascia Capri il 30 aprile 1906 e il 1 maggio prende parte alla grande manifestazione operaia a Ginevra. Tuttavia, i rapporti con Gor’kij restano saldi sul piano personale.

I lavori della Scuola per operai iniziano nell'agosto 1909 e il merito dell'organizzazione pratica è di Michail Vilonov, un operaio degli Urali che arriva in Italia nel gennaio di quell'anno.

Gor'kij mette a disposizione la sua villa a Capri e gran parte dei mezzi finanziari necessari e insieme a Vilonov stende l'appello alle sezioni russe di partito per ottenere il riconoscimento della Scuola e organizzare il complesso viaggio degli allievi dalla Russia.

Lenin continua la sua battaglia contro i capresi e apre a sua volta una scuola a Parigi, riuscendo cosi a dividere i partecipanti. Il 18 dicembre 1909, l'esperienza della Scuola di Capri si chiuderà definitivamente e gli operai lasceranno l'isola.

Questa vicenda dimostra come lo sguardo degli esuli fosse rivolto sempre alla Russia lontana, ai suoi problemi, ai modi e ai tempi per accelerare il processo rivoluzionario e avvicinare il momento del ritorno in patria.

A Capri arrivavano anche gli agenti della polizia politica zarista, la temibile Ochrana, con il compito di sorvegliare gli esuli, almeno quelli più caratterizzati politicamente.

Tra gli italiani che ebbero contatti con la colonia dei russi a Capri e con Go'kij, non si può non ricordare Umberto Zanotti Bianco, esponente di quell'aristocrazia intellettuale e impegnata sul piano civile che contrassegnò gli inizi del XIX secolo, insieme tra gli altri a Gaetano Salvemini, Luigi Einaudi, apostolo laico, mazziniano e nello stesso tempo erede del cattolicesimo liberale.

Il primo contatto di Zanotti Bianco con i russi emigrati e con Gor'kij avvenne nel gennaio del 1909 a Messina sui luoghi del terremoto che aveva colpito la Calabria e la Sicilia l'anno precedente, alla fine del 1908. Il primo aiuto che quelle popolazioni avevano ricevuto era stato portato dai marinai della flotta russa che navigava nel mar Tirreno, e Gor'kij aveva scritto un articolo che era servito a suscitare l'interesse in Europa a favore di quelle popolazioni.

A questo punto si precisa l'impegno meridionalistico di Zanotti Bianco con l'obiettivo di elevazione sociale, economica e culturale delle plebi del Mezzogiorno d'Italia, utilizzando le migliori energie intellettuali, economiche e culturali del paese. A questo impegno partecipò anche Gor’kij sottoscrivendo parte dei diritti d’autore a favore degli asili per i bambini della Calabria.

Il tema dei rapporti tra gli intellettuali italiani di formazione liberale e i rivoluzionari russi presenti in Italia, a cominciare dai capresi, merita un approfondimento. Personalità come Leopoldo Franchetti, Pasquale Villari,  Sidney Sonnino e altri furono impegnati a costituire l'Associazione per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia, presidente onorario Pasquale Villari. In collegamento con la Federazione delle biblioteche popolari di Milano, venne avviata poi la costituzione di biblioteche con libri di contenuto professionale, destinati ai  contadini, agli operai e artigiani, ma anche testi di contenuto culturale più alto destinati a coloro con un grado d'istruzione più elevato.

Fra le energie migliori da coinvolgere in questa operazione vi furono anche i russi di Capri e Zanotti Bianco ebbe l'idea di far sorgere una biblioteca italo-russa, che fosse espressione dell'incontro fra gli intellettuali russi emigrati e la cultura italiana.

Gor'kij diede tutto il suo appoggio e la realizzazione di questa iniziativa si deve anche a lui. La biblioteca via via prende corpo anche per il contributo organizzativo di Aleksej Alekseevič Zolotarev e Noè Ljubarskij e inizia a funzionare dalla metà di aprile 1913 affiliata alla Federazione delle biblioteche popolari.

Nell'ambito di un confronto "fra coscienza russa ed europea" come scrive Zolotarev, vengono avanzate proposte di traduzione di testi dal russo in italiano e viceversa. Alcuni degli intellettuali ospiti di Gor'kij appartengono all'ala populista come Gleb Ivanovic Uspenskij, legati al mondo contadino russo, esaltato nell'opera Vlast' zemli ( La potenza della terra) del 1882 ).

E' una Russia agraria idealizzata rispetto a un Occidente militarista o dove l'uomo è angariato e condizionato dall'apparato industriale.

L'Europa è ormai alle soglie della Prima guerra mondiale, anche se ancora non c’è la netta percezione dell’imminente catastrofe. Lo zar Nicola II alla fine del 1913 concede l’amnistia a tutti i condannati politici e agli esuli, in occasione dei 300 anni dell’ascesa al potere della dinastia Romanov. Per Gor'kij e molti altri intellettuali e rivoluzionari è tempo di tornare in patria, dove la situazione è sempre molto difficile, a causa della crisi economica e delle continue manifestazioni di protesta, represse nel sangue.

La guerra scoppierà alla fine di luglio del 1914. Molti di loro, animati da ideali pacifisti e umanitari, considerano  la guerra una grave sciagura personale, oltre che una catastrofe sul piano politico e umanitario. Si oppongono con ogni mezzo, ma gli avvenimenti precipitano e l’Europa e poi il mondo vengono inghiottiti nel gorgo della tragedia.

Tuttavia, il legame affettivo fra Gor’kij e Zanotti Bianco non si spezza, come non si s’interrompe quello di tanti altri i russi tornati in patria con l’Italia. Il ricordo delle città e dei piccoli centri marini e soprattutto di Capri continuerà a vivere nei loro cuori. Anche perché i rapporti tra i russi e la popolazione locale erano eccellenti. Proprio Gor’kij ha lasciato pagine di ricordi molto belli sugli amici capresi, a cominciare dalla famiglia Settanni. Tra questi scritti rientra anche il ricordo di Lenin a Capri e delle sue gite in barca per imparare a pescare senza la lenza.

Nonostante l'isolamento determinato dal conflitto, la corrispondenza e l'invio di pubblicazioni non si interrompe.

Quando poi dopo la rivoluzione e la guerra civile, la situazione economica della Russia precipita con la carestia , Zanotti Bianco costituì un "Comitato italiano di soccorso ai bambini russi", presieduto da Luigi Luzzatti.

Alla fine di novembre 1922 con l'aiuto di trecento comitati fu organizzato un treno intero carico di grano, indumenti e medicinali che raggiunse la Russia meridionale dall'Ucraina e attraverso la Crimea,  portò soccorso alle popolazioni del Volga colpite da una gravissima carestia.

Furono aperte cucine, farmacie, centri di distribuzione per vestiti e pacchi mentre una colonia agricola per orfani fu aperta in Crimea, a Balaklava. Infine, tenendo presente i rapporti di sincera collaborazione stretti con gli esponenti dell'intelligencija russa emigrati in Italia, sempre per iniziativa di Zanotti Bianco, viene istituito un "Comitato italiano per i soccorsi agli intellettuali russi ".

Offerte di libri e riviste, pacchi viveri e offerte in denaro affluivano alla sede dell'Istituto per l'Europa orientale e poi mandati a destinazione. Questo comportamento dimostra come, nonostante Zanotti Bianco, di formazione liberale, considerasse le posizioni dei rivoluzionari russi di chiuso classismo, prevalesse in lui un vivo senso di fraternità umana.

I RUSSI IN ITALIA E IL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO

Tra le personalità di rilievo che emigrano in Italia, come si è visto, vi è quella di Georgij V. Plechanov, considerato il padre del marxismo russo. Esule, nel 1880 si stabili a Ginevra in Svizzera e darà vita alla prima organizzazione marxista russa, chiamata "Emancipazione del lavoro" e accettata dalla Internazionale socialista.

Quando nel 1891 Turati e Anna Kuliscioff fondarono a Milano la "Critica sociale”, la firma di Plechanov fu presente fin dai primi numeri. I contatti e la collaborazione continuarono per il tramite della Kuliscioff e di Vera Zasulic, figura di grande rilievo nell’emigrazione russa. In particolare nel 1894 la rivista ospita una serie di articoli con il titolo Socialismo e anarchismo, nei quali viene presentata la filosofia della dottrina socialista che Plechanov riproporrà unitariamente negli scritti La tattica rivoluzionaria, Forza e violenza, Anarchismo e socialismo, tradotti e pubblicati nel 1906 a Pietroburgo.

Gli anni a cavallo tra la fine dell'800 e i primi del '900, sono caratterizzati da un intenso dibattito politico, sia in Italia che in Europa, intorno al tema della violenza praticata dalle organizzazioni di Narodnaja Volja ( I popolari di allora) e alla cosiddetta "crisi" del marxismo, da cui nascerà il Partito operaio socialdemocratico russo proprio per superare la vuota discussione tra gruppi ristretti e porre alla testa del movimento un vero capo politico, riconosciuto e temuto. Nel romanzo La vita di Klim Samgin proprio Gor’kij presenterà una memorabile ricostruzione del dibattito politico in Russia e all’estero sui temi della rivoluzione del popolo e non per l popolo, con alla testa la classe operaia e non incontrollate forze sociali. Inoltre la critica di Plechanov a Croce, il rifiuto delle posizioni del filosofo russo da parte di Antonio Labriola in Contro Plechanov,, la posizione di Georges Sorel che distingue tra forza e violenza nelle Reflèctions sur la violence, del 1908, accrescono l’importanza del rivoluzionario russo nelle file dell’Internazionale.

I contatti di Plechanov con i socialisti italiani furono poi resi più facili da circostanze che giustificheranno il suo lungo soggiorno in Italia dal 1908 a Sanremo, dovuto alle sue precarie condizioni di salute. Dopo il Congresso di Londra del Partito operaio socialdemocratico russo del 1903, che provocò com’è noto, la divisione tra bolscevichi e menscevichi, i rapporti con Lenin divennero tesi, ma Plechanov restò in ottimi rapporti con Gor’kij, tanto da recarsi a Capri molto spesso.

Anche dopo la rivoluzione del 1905-06, il filosofo russo continua a partecipare al dibattito socialista italiano e a mantenere i rapporti con Filippo Turati, Anna Kuliscioff, Angelika Balabanova, Claudio Treves, Enrico Ferri e altri dirigenti.

Anch'egli guarda all'Italia e ai problemi del socialismo italiano per capire meglio i problemi della Russia e indicare ai "fratelli russi" alcuni indirizzi "molto istruttivi".

Il Congresso del Partito socialista italiano, tenutosi a Milano dal 21 al 25 ottobre 1910, offre a Plechanov l'occasione per un esame e un confronto sui problemi del socialismo comuni all'Italia e alla Russia. Nel Congresso esplode il contrasto fra l'ala riformista facente capo a Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi da un lato e la corrente più intransigente e "rivoluzionaria" di Arturo Labriola, Benito Mussolini, Giacinto Serrati dall'altro.

In particolare Bissolati aveva attaccato in modo deciso i "rivoluzionari intransigenti", rinfacciando loro di non aver ottenuto "nessun vantaggio" per la classe operaia quando avevano governato il partito difendendo il "ministerialismo".

Questa posizione darà occasione a Plechanov per il suo intervento sull'autorevole"Mysl'"(Il pensiero) di Mosca, rivista legale dei socialdemocratici russi, nel 1910, per precisare le condizioni per la lotta rivoluzionaria, in un momento di grandi contrasti per la formazione della Duma. Egli respinge la conclusione implicita nell'impostazione di Bissolati, che "ogni partito dei lavoratori sia anche socialista", perché questo avrebbe come conseguenza dare la preferenza a un "tipo organizzativo" simile al partito laburista inglese.

Con lo sguardo attento al confronto fra la Russia e l'Europa occidentale, egli incita il partito perché anche in Russia "le nuove condizioni" inducano i riformisti o "liquidatori" a schierarsi su posizioni analoghe a quelle dei revisionisti tedeschi, come di Bissolati e dei riformisti italiani.

In verità, Plechanov propone di allargare lo sguardo oltre le condizioni russe, verso l'Italia o gli Stati Uniti per poter elaborare una spiegazione del riformismo (opportunismo), analizzando il carattere generale del capitalismo contemporaneo.

Queste posizioni lo allontaneranno sempre di più da Vladimir IL’ic Lenin e avranno conseguenze nello sviluppo del dibattito successivo alla Rivoluzione d’ottobre.

Tra i testimoni più informati sul socialismo italiano bisogna ricordare anche Evgenij A. Ananin, partecipe della vita culturale italiana nel campo degli studi medievali e rinascimentali.

Lo scoppio della Prima guerra mondiale pone tutti i partiti socialisti europei e le correnti russe di vario orientamento di fronte a un dilemma drammatico: rimanere fedeli all'internazionalismo socialista o abbracciare, invece, il "sacro egoismo" della patria. Come è noto i socialisti italiani si dividono in maniera drammatica,  ma anche per i socialisti russi la guerra è un ulteriore elemento di divisione e di contrasti. Lenin, a nome della corrente bolscevica, considera la guerra una guerra reazionaria, pertanto una classe rivoluzionaria si deve augurare la sconfitta del proprio governo, anzi sfruttare le difficoltà dei governi e lottare per la rivoluzione sociale.

Plechanov, al contrario, si schiera con decisione, sin dall'ottobre 1914 per una guerra contro le potenze centrali nell'interesse del proletariato russo. La guerra nell'epoca contemporanea è legata allo sviluppo del capitalismo e la Russia non ha altra alternativa che andare in aiuto alla Serbia se non vuole perdere ogni influenza nella penisola balcanica.

Tenendo conto di questa posizione è ovvio che Plechanov guardasse con molto interesse alle posizioni della corrente più estrema del socialismo italiano, quella rivoluzionaria e interventista di Benito Mussolini e del "Popolo d'Italia" al quale concederà diverse interviste.

Favorevoli alla guerra contro le potenze centrali sono lo stesso Gor’kij,  il socialista rivoluzionario Burtev, Rubanovic, l'anarchico Kropotkin. Tra coloro che sono contrari alla guerra è da annoverare Evgenij Ananin che trasferitosi a Roma nel 1916 poté seguire i contrasti fra Turati, Treves, Modigliani da un lato e il Comitato centrale del partito capeggiato da Costantino Lazzari dall'altro.

In realtà E.Ananin in quegli anni cosi drammatici, prendendo le distanze dai problemi contingenti, assumerà un abito storico che lo accompagnerà poi tutta la vita. La sua riflessione si concentrerà sulla necessità dell'"unità della cultura", confutando la teoria delle due culture europee: l'una latina, l'altra germanica, considerate nemiche irriducibili.

Egli rivendica invece "l'unità necessaria della cultura europea e come nessuna nazione possa presentare una sua linea di evoluzione indipendente da tutte le altre".

Due esempi sono da considerare "in cui una forza sociale abbia preso nettamente coscienza dell'internazionalità del pensiero e della cultura umana": quello della Chiesa cattolica che" interponendosi fra le nazioni barbare come la sola forza di unificazione europea, riesce a mantenere l'internazionalità dell'opera sua", e più tardi il socialismo internazionale.

Ananin è profondamente convinto che spetti ad esso il compito di "riedificare sui rottami delle culture nazionali , la società universale”.

Agli inizi del Novecento la Russia era il paese che Karl Kautsky, teorico della socialdemocrazia tedesca, fin dal 1902 riteneva essere "centro rivoluzionario" del mondo, a causa delle drammatiche condizioni di vita della popolazione, in particolare di quella rurale. Riteneva che esistevano concrete possibilità che il movimento rivoluzionario portasse alla rivolta. In effetti,  soltanto tre anni più tardi sarebbe esplosa la prima rivoluzione del Novecento, fallita per il suo spontaneismo, per assenza di obiettivi precisi e soprattutto per mancanza di una struttura organizzata e di un gruppo dirigente.

Come è noto, la rivoluzione venne sconfitta rapidamente perché conteneva al suo interno troppe anime contrapposte: operai, studenti, artigiani, commercianti, socialisti ma anche liberali, ovvero tutti gli strati sociali vittime dei processi di modernizzazione. Non mancavano i nazionalisti russi insieme a quelli delle nazionalità oppresse: una miscela che esploderà nella guerra civile successiva alla Rivoluzione d’ottobre.

Pesò soprattutto la passività dei contadini, anche se rivolte contro le aziende agrarie più ricche si presentarono come risposta al fallimento della riforma agraria di Pëtr Stolypin,  e questo fece comprendere all'opposizione socialista, che era indispensabile coinvolgere i contadini per poter realizzare il cambiamento della società.

ESULI RUSSI IN LIGURIA

Negli anni fra la rivoluzione del 1905 e quella del 1917, una numerosa colonia di esuli russi scampati alla repressione scelse la Riviera ligure come luogo di soggiorno. Appartenevano a una delle più attive e combattive formazioni politiche russe, quella dei socialisti rivoluzionari menscevichi. La presenza del maggior esponente del movimento, Viktor M. Černov preoccupava non poco le autorità di pubblica sicurezza allertate dalla polizia zarista. L'interesse degli esponenti di questa formazione verso l'Italia risaliva agli ultimi anni dell''800, si concentrava sulla possibilità che la rivoluzione potesse partire dalle campagne, pertanto avevano seguito con vivo interesse il movimento dei Fasci siciliani.

In Sicilia negli anni 1891-94 era esploso un movimento di ispirazione democratico-socialista che per la prima volta nella storia dell'isola vedeva lottare insieme, contro lo sfruttamento, contadini, operai e minatori delle zolfare.

In particolare, nell'estate del 1893, in vista del rinnovo dei contratti di mezzadria e d'affitto, il movimento aveva fissato precise richieste al padronato e attivato una campagna di scioperi. Il governo Crispi rispose con una repressione feroce, vi furono almeno 90 morti, fu imposto con le armi l'ordine sociale voluto dalla classe padronale.

Vengono seguite con altrettanto interesse le prime lotte delle leghe contadine nella Valle padana. Secondo V. Černov, anche in Russia , la prima fase rivoluzionaria doveva essere "agraria" e colpire alla radice l'istituto della proprietà privata. Consapevole dell'immaturità e dell'incapacità delle masse lavoratrici in fatto di autogoverno economico, era necessario prevedere un lungo periodo di transizione di "laborismo".

L'obiettivo ultimo doveva essere l'eliminazione dell'agricoltura privata fondata sul diritto romano in cui tutti gli individui avessero uguale diritto a lavorare la terra nazionalizzata.

Černov, negli articoli raccolti poi in Zemlja i pravo (Terra e diritto), sosteneva inoltre che i socialisti rivoluzionari dovevano puntare sulla creazione della comune agraria o obščina, da cui sarebbe scaturito lo sviluppo di un ordinamento socialista attraverso le cooperative e altri strumenti di collaborazione sociale.

Černov conduce una analisi approfondita delle condizioni dell'Italia, che dipinge a tinte fosche, rifiutando di riconoscere i progressi del paese e quindi anche della classe lavoratrice che stanno avvenendo attraverso quella che R0sario Romeo definisce come "La rivoluzione industriale dell'età giolittiana".

Dal momento che egli ritiene come in Italia resti sempre viva e presente quella che egli chiama "la forza e la resistenza dei resti del sistema feudale-latifondistico" e che la borghesia è una forza che non lotta contro i principi feudali e burocratici. Questa situazione, nel suo complesso, condiziona secondo lui lo stesso sviluppo del movimento socialista in Italia.

Nella ricerca di analogie con la "realtà russa", Černov esprime un giudizio molto severo sulla borghesia russa, che definisce classe cortigiana, colpevole di rimanere fedele alla triade Dio-trono-patria, che si fa proteggere "sotto le ali dell'assolutismo" contro le insidie della classe operaia. Di conseguenza ritiene semplificatrice la "profezia" di Plechanov, secondo il quale la borghesia russa si sarebbe trasformata in senso liberale occidentale.

In realtà, indipendentemente dalle particolarità locali, nella borghesia paneuropea si sta verificando una evoluzione verso destra. Questa analisi venne pubblicata il 20 maggio 1917 sull'"Avanti!" con il titolo La guerra e la rivoluzione nel pensiero di V. Cernov.

Fra i socialisti italiani, divenne molto popolare Vsevolod Vladimirovič Lebedintzev, anche lui esule dopo la rivoluzione del 1905-06. Soggiornò a Roma dove frequentava assiduamente le riunioni dei socialisti romani alle Marmorelle , collaborando con l'"Avanti!" nome di battaglia "Cirillo"e legandosi di cordiale amicizia con Oddino Morgari, deputato socialista e poi direttore del giornale.

Nel marzo 1907 il trasferimento a Nervi, doveva servire a Lebedintzev per preparare il suo ritorno clandestino in Russia, approfittando della sua conoscenza quasi perfetta della lingua italiana, progettava di assumere il nome e l'identità di un italiano che si sarebbe trasferito a Pietroburgo come giornalista.

Il russo prese contatto con il professor Mario Calvino, direttore della cattedra ambulante di Agricoltura a Porto Maurizio, offrendogli la direzione in Russia di lavori agricoli importanti. Calvino, attirato da questa prospettiva chiese il passaporto mostrandolo poi a Lebedintzev che se ne impadronì. Ormai in viaggio verso la Russia, scrive al Morgari chiedendo una tessera di corrispondente a nome di Mario Calvino di un giornale qualunque che gli sarà inviata a Terjoki. Tutto questo si rivelò inutile, perché venne arrestato dalla polizia zarista e mandato al patibolo.

Come si vede anche dal "caso" Calvino-Lebedintzev, i rapporti più intensi, meglio vissuti sono tenuti dai socialisti rivoluzionari russi con gli esponenti della corrente di sinistra del socialismo italiano che riescono a far arrivare in Italia le loro pubblicazioni attraverso i normali canali librari, a Genova, a Napoli, Nervi, tutti centri dove è forte l'emigrazione russa.

Michail Andreevič Osorgin

Colui che si accosta alla realtà italiana con particolare capacità di penetrazione è Michail Andreevič Osorgin. Giornalista e scrittore, arrestato nel dicembre 1905 e liberato nel 1906, dopo un periodo a Helsinki, arrivò a Sori sulla Riviera ligure.

Spirito libero, indipendente, aveva trovato fra i socialisti rivoluzionari la collocazione politica a lui più congeniale, proprio per la caratteristica di questa formazione di socialisti non marxisti, poco attenta alle esigenze organizzative e alla disciplina politica.

Dall'Italia, come mezzo per vivere iniziò a collaborare con varie riviste russe e nel 1909 divenne corrispondente regolare del quotidiano di Mosca "Russkie Vedomosti" (Le notizie russe) e avviò la collaborazione alla rivista più importante di problemi contemporanei "Vestnik Evropy" (Il Messaggero dell'Europa) di Pietroburgo.

I suoi primi articoli su "Russkie Vedomosti" sono dedicati alle lotte agrarie in Italia  nella Pianura padana e in Romagna: 3 maggio, 13 e 26 giugno 1908, 28 giugno 1910. Erano queste le zone sottoposte a grandi opere di bonifica e di trasformazione agraria nel primo ventennio del secolo e rappresentano perciò il punto focale delle lotte.

E' questa la realtà sociale che sta sotto gli occhi di Michail Osorgin e quello che maggiormente lo  colpisce è la campagna di solidarietà che si sviluppa verso i braccianti in lotta, da parte degli operai delle fabbriche e dai braccianti delle altre province che devolvono una certa parte dei loro salari a sostegno degli scioperanti.

Ma ciò che colpisce ancora di più Osorgin è che i bambini degli scioperanti sono condotti nei centri industriali dove vengono alloggiati presso le famiglie più agiate o sono mantenuti a spese dell'organizzazione.

Alla solidarietà verso e tra i braccianti fa riscontro un maggiore impegno organizzativo di contrasto da parte dei proprietari terrieri. Osorgin non manca di mettere in risalto l'intervento dei sindacalisti rivoluzionari come Alceste De Ambris. Ebbe poi il sopravvento la corrente riformista che portò avanti le trattative con le autorità locali e con il governo centrale e di conseguenza venne riaperta la borsa del lavoro.

Osorgin informa i lettori russi di tutti gli aspetti della realtà italiana. a titolo di esempio,   cita un fatto veramente nuovo, i primi inizi in Italia di certo femminismo con l'entrata nel foro della prima donna avvocato; i primi inizi del Futurismo, l'impresa di Tripoli ecc.

Dedicherà pagine commosse alla componente umanitaria e romantica del socialismo italiano per la morte di Edmondo De Amicis e Giovanni Pascoli sul quale mostra di condividere il giudizio di Benedetto Croce. Di notevole rilievo sono altresì gli articoli dedicati alla politica di Giolitti, al problema della neutralità e poi all'entrata in guerra dell'Italia e all'atteggiamento dei socialisti di fronte al conflitto.

L'autore che dall'Italia guarda alle correnti socialiste in Russia, anch'esse divise sul problema della guerra, non si fa distrarre dalle frasi fatte della propaganda ufficiale e osserva come il Partito socialista italiano abbia coordinato le sue attività con quelle delle altre organizzazioni sociali, per cercare di alleviare le conseguenze della guerra, iniziative che dovrebbero servire come esempio ai socialisti russi.

La vasta e articolata esperienza italiana troverà poi una collocazione più efficace da "Testimone della storia" sull'autorevole "Vestnik Evropy" di Pietroburgo sotto forma di "Lettere da Roma"(Pis'ma iz Rima) e nel volume Očerki sovrememoj Italii che segna il passaggio dal giornalismo alla narrativa.

Osorgin è attento al paese reale, va oltre gli stereotipi, emblematico di questo impegno è lo scritto dedicato a Contadini dell'Agro romano, nel quale il socialista rivoluzionario viene attirato dall'"andata verso il popolo" che si svolge vicino Roma ad opera di Angelo e Anna Celli, di Giovanni Cena e Sibilla Aleramo e che aveva interessato anche Gor'kij che aveva incointrato i malariologi, come venivano chiamati, proprio a Roma.

E' un impegno di elevazione sociale, umana e culturale con la creazione delle scuole rurali e può servire come confronto in relazione ai problemi e alle situazioni presenti in Russia, dove non si sono sprigionate "energie" di cosi grande rilievo a opera di elementi della classe intellettuale.

Quella di Osorgin è dunque una esortazione affinché si configuri di nuovo l'ondata populista, che riproposta dall'Italia, in un libro stampato a Mosca, non poteva non avere il significato di un intervento dall'esterno a favore dei contadini russi, fuori da qualsiasi schema di partito.

 

LENIN E IL PARTITO SOCIALISTA ITALIANO

Filippo Turati

Nel solco del confronto anche aspro che anima i Partiti socialisti europei, si inserisce il giudizio di Lenin sul dibattito interno al Partito socialista italiano, ma anche la ricerca di sostegni organizzativi alla lotta dei bolscevichi.

Com’è noto, Lenin riteneva che Filippo Turati come Plechanov confondesse la rivoluzione democratica e quella socialista, ma a testimonianza dei contatti con i socialisti italiani che si fanno più stretti, va ricordato che dovendo riorganizzare la rivista "Proletarij" e imponendosi il problema di come far giungere il giornale in Russia, in modo clandestino ma continuativo da Ginevra, Lenin non rinuncia a cercare il sostegno dei socialisti italiani. L'itinerario più semplice per la Russia passava per l'Italia via Genova. Lenin si rivolse a Maksim Gor'kij a Capri, perché trovasse il modo di organizzare la spedizione con la collaborazione dei socialisti italiani e suggeriva di far capo al segretario della Federazione dei marittimi di Genova.

Dopo alcune difficoltà burocratiche e grazie all'intervento di Gor'kij su Oddino Morgari e di questi sul Presidente del consiglio Giolitti, la spedizione del giornale in Russia via Genova-Odessa prese il via e continuò regolarmente.

Lenin ebbe modo di apprezzare la presa di posizione dei socialisti italiani, ostili alla visita dello zar "L'impiccatore" in Italia e seguì inoltre con particolare interesse il tredicesimo Congresso del Partito socialista italiano, tenutosi a Reggio Emilia il 7 luglio 1912 che vide l'espulsione di Bissolati e dei riformisti di destra.

Sulla "Pravda" del 15 luglio 1912 scrive che "il partito del proletariato socialista italiano, allontanando da sé i sindacalisti e i riformisti di destra, ha preso la strada giusta".

Da quel momento una sorta di consenso a distanza si stabilì fra Lenin e Mussolini che ha fatto trionfare la sua linea all'interno del Partito socialista. I due si erano incontrati il 18 marzo 1904 al comizio di Zurigo per commemorare la Comune di Parigi; pochi mesi più tardi si trovarono d'accordo in occasione delle guerre balcaniche.

Nei Balcani, era ormai evidente la crisi dell'Impero ottomano, il Congresso di Berlino del 1878, aveva sancito l'indipendenza di Serbia, Bulgaria e Romania, affidando in "amministrazione temporanea" la Bosnia-Erzegovina all'Impero austro-ungarico che nel 1908 procedette alla sua annessione. Da qui la tensione con la Serbia che, con l'appoggio della Russia, aspirava a unificare tutta l'area degli slavi del Sud.

Nell'ottobre 1912, Lenin pubblica un volantino, Appello a tutti i cittadini della Russia, in cui esalta "la repubblica federativa dei Balcani" e condivide la posizione dei socialisti italiani "nel difendere l'autodecisione e la completa libertà dei popoli per spianare la strada alla più ampia lotta di classe per il socialismo".

A lui fa eco Mussolini, appena nominato direttore dell'"Avanti!", il 10 novembre 1912 con l'articolo intitolato Rinascita slava, in cui si afferma "Niente intervento europeo: il Balcano ai Balcanici!"

Il colpo di pistola di Sarajevo rappresenta la svolta drammatica per l’Europa e la Russia, oltre che per l Medio oriente. Ciascuno prende decisioni terribili e i rapporti umani non hanno più valore.

Nell'aprile 1920 e nell'appendice del 12 maggio successivo, Lenin scrisse L'estremismo, malattia infantile del comunismo, dove a distanza di tre anni dalla conquista del potere politico da parte del proletariato in Russia, analizza la ricaduta a livello internazionale e sui Partiti socialisti europei della rivoluzione russa.

Questo scritto di Lenin, compare nel momento storico, in cui tra la fine della Grande Guerra e l'esempio della Russia, si va liberando in Europa un'ondata straordinaria di energie, speranze e lotte popolari, dalle quali nascono importanti conquiste sindacali, come la giornata lavorativa di 8 ore a parità di retribuzione, ma anche prospettive più radicali, volte alla ridefinizione dei rapporti di potere nelle fabbriche e nello Stato stesso.

I consigli operai che si formano sul modello dei soviet, oltre a contendere ai sindacati tradizionali la rappresentanza degli operai, rappresentano anche forme embrionali della sperata società socialista europea.

Nei confronti del Partito socialista italiano, il giudizio di Lenin prende spunto da un'intervista a Filippo Turati che il corrispondente romano del The Manchester Guardian pubblica nel numero del 12 marzo 1920.

Turati ritiene che in Italia non sia possibile la rivoluzione e che i massimalisti stiano giocando col fuoco delle teorie sovietiche, soltanto per mantenere le masse in uno stato di tensione e di eccitamento. Coloro che le adoperano per abbagliare il proletariato, sono costretti a condurre una lotta quotidiana per conquistare qualche miglioramento economico, spesso insignificante, al fine di allontanare il momento in cui le classi lavoratrici perderanno le loro illusioni e la fede nei loro miti preferiti.

Turati lamenta che il lungo periodo di scioperi che in quel momento stanno coinvolgendo quasi tutte le categorie di lavoratori, il cosiddetto biennio rosso, abbiano reso ancora più grave la situazione del Paese, già difficile di per sé, e che la classe operaia dovrebbe imporsi quella disciplina del lavoro che sola può ristabilire l'ordine e la prosperità.

Lenin considera il discorso di Turati di stampo menscevico: come è possibile parlare di difesa dell'ordine e della disciplina per gli operai che si trovano nella schiavitù del salario e che lavorano per il profitto dei capitalisti?

Turati, Treves, Modigliani, Dugoni e compagni sono dei social traditori e Amadeo Bordiga con i suoi amici del giornale Il Soviet hanno ragione ad esigere che il Partito socialista italiano, se vuole essere per la III Internazionale deve cacciare dalle sue fila, con ignominia, Turati e compagni e diventi finalmente un Partito comunista di nome e di fatto.

Le cose hanno preso una piega differente, come si sa. La scissione di Livorno del 1921 e la nascita del Partito Comunista d’Italia segneranno irrimediabili contrasti le cui conseguenze saranno amaramente pagate da tutti i lavoratori.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

-A. Tamborra, Esuli russi in Italia dal 1905 al 1917, Biblioteca di Cultura Moderna, Laterza 1977

-E. Lo Gatto, Russi in Italia. Dal secolo XVII ad oggi, Editori Riuniti 1971

-Lenin, le opere. Editori Riuniti,1971

-G. Boffa, Storia dell'Unione Sovietica, L'Unità su licenza di A. Mondadori Editore 1976-1979

- A. Bravo, A. Foa, L. Scaraffia, I nuovi fili della memoria. Uomini e donne nella storia dal 1900 a oggi,vol.3,  Editore Laterza 2003

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