La nuova struggente raccolta poetica di Vincenzo Loriga pone interrogativi di rilevanza morale e spirituale nel contesto di una poetica che si rinnova nella metrica e nella parola

 

Agostino Bagnato

 

Vincenzo Loriga ha sorpreso ancora una volta. Dopo Lisboa antigua, poema di grande respiro autobiografico in prosa poetica, corrispondente ad oltre 14.000 versi, si concentra sulla poesia. Un volumetto di poche decine di pagine, dal titolo evocativo Non arrenderti alla luce è la risposta alla spossante fatica.

Perché non arrendersi alla luce, in tempi in cui la luce come verità fa paura, stordisce, può finanche atterrire? Nel Vangelo secondo Giovanni ad un certo punto scatta una sorta di profezia: E gli uomini preferirono le tenebre piuttosto che la luce. III, 19. Giacomo Leopardi richiama questo versetto come epigrafe del canto La ginestra, titolo della rivista che Loriga ha fondato a Milano e diretto per molti anni. Gli uomini preferiscono le tenebre perché si sentono protetti e nascosti. La luce mette in evidenza, espone la fisicità, esalta i valori e i difetti. Questa è la sfida. Lega indissolubilmente alla realtà, alla materia terrena, all’essenza di sé. Il poeta esorta a non arrendersi alla realtà, mai!

 

Non arrenderti alla luce. Sai

Cos’è il timore? Conosci la grazia

Delle cose? Perché non impari

da loro l’arte di sopravvivere?

Come, nella loro immobilità, resistono

Alle tentazioni.

Magiche stanze dove il tempo vive

Una vita minore. Gli hanno tolto

Il dente che avvelena. E adesso

Ti s’impongono. Guardale nel giorno

Che nasce. Paiono più salde

Che mai.

Muraglie altere

Contro la distruzione.

 

Che risultato eccellente, che misura, quale ritmo in questi versi condensati come un precipitato chimico di consumata esperienza! Nella piccola e graziosa libreria Farenheit di Roma, a Campo de’ Fiori di fronte alla statua di Giordano Bruno, ci si è ritrovati con il poeta per discutere della sua ultima fatica. E l’incontro è stata l’occasione ancora una volta piacevolissima per discutere di poesia e della vita, del tempo presente e di possibili accadimenti.

 

Domanda: Cosa ha pesato nel fermare il tempo, dopo la lunga fatica di Lisboa antigua?

Risposta: Il bisogno di respirare. Si tratta di una pausa per distillare le emozioni, ordinare le fantasie, mettere a punto i ricordi. Ma non come elegia, tempo perduto o passato da rimpiangere, quanto fondamento per nuove sensazioni e quindi emozioni.

 

In questi versi, tra i più belli della sua produzione, la cui prima presenza risale agli anni Cinquanta, c’è una rilevante assunzione della rima nella composizione. La metrica come ordine. Perché questa scelta?

Dopo le prove iniziali, risultate molto dure e aspre nel linguaggio impiegato, ha sentito il bisogno di musicalità, armonia, impiego della parola come costruzione sonora. Non c’è leziosità quanto il bisogno di esprimermi rispettando la mia personalità. Comunque, la rima non è sempre prevalente. Ascolti: «Sul pavimento del mondo/battito di piedi leggeri,/son donne di oggi e di ieri/in cerca di nuove realtà…» Oppure «Erano i mari a renderci più lievi,/i mari a traghettarci in nuove terre,/poco importa che fossero abitate,/poco che il giorno le sfiorasse appena./Cadendo il sole le benediceva/tanto per dare un senso al nostro addio…». La rima non è la finalità del mio poetare, come dimostrano questi pochi esempi.

 

In questa ultima raccolta poetica, manca qualsiasi richiamo ai musicisti più amati, da Scarlatti a Mozart, da Musorgskij a Debussy. A cosa si deve questa scelta?

Ho voluto fermare il tempo. La musica è importante, ma sento il bisogno di staccarmi dalle suggestioni che provoca l’ascolto della musica. Mi è capitato spesso di essere rapito dalla musica che mi trovavo ad ascoltare, dimenticando tutto ciò che mi circonda. Ho bisogno di far sedimentare le mie esperienze, senza accatastare altre sensazioni. Per questo evito di ascoltare musica di tanto in tanto.

 

Ma come fa a rinunciare a Domenico Scarlatti?

Dopo avere ascoltato le sue sonate eseguite dai grandi solisti, da Vladimir Horowitz che resta il mio preferito, a Gustav Leonard, avere confrontato tecniche  modalità e strumenti adoperati, ho sentito il bisogno di riflettere sulle emozioni che nascono dall’ascolto della musica. Sto cercando di costruire un nuovo inizio.

 

Ci sono versi la cui sfolgorante bellezza rimane scolpita nella mente. Il senso di attesa per qualche accadimento previsto ha potuto pesare su questa condensa da precipitato chimico…

No, non c’è la sospensione del sé nell’attesa dell’impreveduto o del previsto. Il sentimento zen della quotidianità prende il sopravvento. Ascolti: «Traghettami, ti prego, se lo puoi,/traghettami nel nulla perentorio,/nulla senz’ali, grigia piattaforma/dove tutto si smorza, anche l dispetto».

 

Si è spezzato l’equilibrio tra materialismo greco, spiritualità cristiana e calma orientale?

Non credo. Forse mi sento più zen del solito, ma si tratta sempre di una componente della mia personalità complessa. Ma come suonano struggenti questi versi quasi al termine della raccolta: «La vita se n’è andata/così, in un soffio,/mentre tu cantavi/un canto disperato./Ora sei come un palo/in mezzo alla palude». 

 

Grazie e auguri.

 

Roma, 19 maggio 2015

 

 

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