Avevo attraversato tre deserti,
sangue sulle mie labbra inaridite
per quell'arsura che mi divorava,
gli occhi miei annegati in nuovo pianto,
la mia pelle increspata come il mare
ogni giorno imbiancata da altro sale.
E la sera scorgevo fra le onde
i tuoi capelli sciolti sopra i seni
mossi dal vento caldo di El Beyda
e il tuo sorriso disegnato nella luna.
E oltre il filo vibrante della notte
dalle immense radici floride di Tuba
zampilli d'acque limpide sorgive
tra i riflessi smeraldini del fogliame.
Fuggivamo a schiere da quel mostro
vorace come una tigre di Namibia,
sempre affamato della nostra carne,
che aveva sbranato i miei vent'anni,
verso un nuovo Paese inospitale
a cui approdò il mio corpo senza vita.
E la mia lettera rimase sigillata
nella tasca ricolma di quell'acqua
che disperati volevamo bere
mentre alto il sole ci cuoceva il viso.
"Amore mio adorato",
in quelle mie parole c'e la linfa
rimasta nel corpo dissanguato
dopo mille e mille colpi senza tregua.
Sognavamo di vivere
una vita per sempre
ancora dura,
dura come la sete e la paura
ma il cuore riportare sempre a casa
per pulsare ogni notte accanto all'altro
in un giaciglo d'erba.
sotto un tetto di paglia
impastata con il fango
che profumava della nostra Africa.
Ora scruti ogni notte
questo cielo cupo
per scoprire il tremolio
di quella stella
dove ora abito e da dove
ad ogni far dell'alba
una lacrima scende
fino alla tua mano.
A Samir, ragazzo egiziano giunto senza vita sulle coste siciliane su un barcone partito dalla Libia. Portava con sè, in una busta sigillata, una lettera per la donna che avrebbe più tardi dovuto raggiungerlo per vivere felici insieme nella nuova patria.
Emilio Lastrucci (2 novembre 2022)