Scampoli rossi riserva moltissime sorprese. Dino Bernardini, giornalista di lungo corso e dirigente comunista di granitica formazione, ha scritto in tempi diversi queste belle pagine di vita vissuta, intitolandole “scampoli”; ha voluto raccoglierle nel volume pubblicato nella collana “Quaderni di Slavia”, appartenenti alla prestigiosa rivista Slavia che Dino Bernardini ha fondato circa trenta anni fa e che continua a dirigere con piglio fermo e deciso.

Scampoli rossi è la storia della formazione umana e politica di un ragazzo romano nato in una famiglia di antifascisti, divenuto uomo precocemente, che incrocia, intreccia e attraversa le fasi più intense, esaltanti e drammatiche del Novecento: l’occupazione nazista e l’arresto dei genitori e del fratello da parte della famigerata banda Koch, le tribolazioni e i pericoli di morte fino alla liberazione della città e dell’Italia; i primi studi a Roma e l’apprendistato comunista; il salto di qualità approdando all’Università Lomonosov di Mosca dove si laurea brillantemente; i soggiorni in Cina, a Praga e in tante altre città. Infine il ritorno in Italia e l’attività politica a Roma dentro la Direzione del PCI nel mitico palazzo di Via delle Botteghe Oscure, l’impegno di traduttore e interprete, la fondazione di Rassegna sovietica che ha accompagnato migliaia di militanti comunisti italiani nella conoscenza della Russia e delle altre Repubbliche sovietiche. All’interno di questa cornice politica e organizzativa, Bernardini incontra e frequenta i più importanti leader politici di passaggio a Roma. Ma è soprattutto l’impegno di traduttore e di interprete che gli permette di conoscere scrittori, poeti, pittori, attori, registi, musicisti ospiti del PCI e della storica Associazione Italia-URSS. Memorabili le traduzione in diretta televisiva dei discorsi di Michail Gorbačëv per la RAI. Fino al crollo del comunismo che Bernardini vive con profondo dolore.

Ecco la foto della copertina di Scampoli rossi che può essere considerata una sorta di logo dell’autore: a Mosca, nel Parco della Arti dove sono stati riposti i monumenti dei dirigenti comunisti sovietici rimossi dal centro della città, Dino Bernardini è accanto al busto in marmo di Vladimir Il’ič Lenin. E’ una giornata grigia, come tante altre giornate moscovite. Bernardini appare molto assorto, lo sguardo fisso, le labbra serrate, la mano destra posata sulla testa di Vladimir Il’ič, quasi a volerlo carezzare come un figlio fa con l’anziano padre, ma anche a proteggerlo da ulteriori oltraggi e perfidie dell’uomo contemporaneo e dalle neghittose vicissitudini della storia. E’ una foto del 2011 che racchiude nostalgia, rimpianto, dolore ma soprattutto fierezza di essere stato presente nel farsi di quella storia imperiosa, di averla vissuta prima come studente straniero a Mosca e poi come professionista e dirigente nel proprio Paese, finendo col diventare la sua seconda pelle.

Ma il volume è una miniera di informazioni sulla vita sovietica, sui costumi, le abitudini, i misteri della burocrazia e della Nomenklatura, delle tante sigle che solo gli studiosi più attrezzati possono conoscere. Ma anche di episodi che riguardano la vita del PCI, visti appunto dall’interno, che l’autore tratta con grande rispetto. Forte degli studi filologici compiuti, Bernardini scrive con esemplare chiarezza, raccontando fatti e stati d’animo con precisione, senza rinunciare all’ironia e anche a quella dote assai rara che è l’autoironia. Ci sono pagine molto belle in cui la prosa è sempre controllata e la passione o la foga del ricordo che si fa racconto non prendono il sopravvento sulla lucidità e la necessità d’informare.

Da vero giornalista Bernardini non rinuncia al suo ruolo di formatore, non soltanto nella presentazione dei fatti ma soprattutto nel modo di esporli, consentendo a tanti di proseguire sul campo narrativo. E chi lo ha conosciuto gli è grato per questo esercizio che appartiene all’essere comunista. E Dino Bernardini lo è fino in fondo, con tutto se stesso e la sua vita ancora attiva.

 

Agostino Bagnato

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