Ho ascoltato l’atteso discorso di Pietro Grasso al Pala Atlantico di Roma il 3 dicembre 2017. Un’assemblea affollatissima e molto variegata per l’appartenenza dei partecipanti. Peraltro, un raduno molto atteso alla vigilia dello scioglimento delle Camere e delle nuove elezioni politiche.

Cosa ha proposto il presidente del Senato ed ex magistrato antimafia? Non ho capito bene. Ma questo è un mio limite. Cosa ha proposto? Ha proposto cose giuste e scontate che la sinistra radicale vuole sentirsi dire da sempre perché fanno parte del bagaglio politico e culturale della sinistra e dello stesso centro-sinistra: dignità del lavoro, rispetto della persona umana, politiche scolastiche universitarie e ricerca efficaci, riforma del fisco per conseguire parità e giustizia sociale, solidarietà, diritto alla salute, immigrazione e integrazione, redistribuzione della ricchezza per combattere la crescente disparità sociale. E soprattutto diritti per tutti. Nessuno deve sentirsi escluso.

Come si fa a non essere d’accordo? «Per queste cose io ci sono!» ha gridato Pietro Grasso, guardando la platea con sguardo ispirato e commosso. Ma non ha spiegato come realizzare quegli obiettivi, con quali alleanze politiche, con quali risorse finanziarie. Un appello è stato rivolto a chi è ancora fuori dall’orizzonte del nuovo partito, ma non si sa quanti saranno per rinforzare le schiere e definire il programma. Si può rispondere che sarà fatto successivamente, perché quello che conta è il progetto politico riguardante la nascita di un nuovo raggruppamento capace di enunciare una proposta e sottoporla all’attenzione dei media e degli elettori.

Ma cosa serviranno i voti che riuscirà a conquistare “Liberi ed uguali”, nome del nuovo raggruppamento politico, che ha la giusta pretesa dell’aggregazione delle infinite sigle della sinistra radicale. Sulla base della nuova legge elettorale, il nuovo partito che si presenterà da solo, a quanto pare, con l’obiettivo di strappare quanti più voti possibile al PD e di occupare lo spazio alla sinistra dello stesso PD, è improbabile che possa conquistare molti seggi. La conseguenza sarà la difficoltà evidente del PD di conquistare molti collegi uninominali, schiacciato dalla destra berlusconiana e dalla valanga M5S. Ma i sostenitori di Pietro Grasso sono evidentemente felici di questa prospettiva, perché il PD è visto come partito di centro-destra (!) che ha ragione di esistere in quanto riunisce l’ex Margherita con l’ala riformista («migliorista», per i detrattori del riformismo autentico!), del PDS. I militanti autenticamente di sinistra sarebbero già tutti fuori dal partito, per colpa di Matteo Renzi e della sua politica. Pur di avere ragione in questa analisi pretestuosa e infedele, i vari soggetti riuniti da Pietro Grasso sono felici di mettere in grave difficoltà il centro-sinistra ampio, plurale, democratico e riformista, fino a farlo uscire sconfitto dalle elezioni e consegnare l’Italia alla destra o al catastrofismo grillino.

Infatti, l’eventuale alleanza post elettorale sarà un rebus per tutti, ma ancora di più per Pietro Grasso: un accordo con il PD appare complicato, anche perché i rapporti saranno ulteriormente deteriorati da una campagna elettorale avvelenata; il target di un’intesa con M5S è reso improbabile dalla dichiarata ostilità di Grillo ad alleanze di qualsiasi natura.

Cui prodest? Sicuramente al movimentismo, al radicalismo e al massimalismo sindacale e all’associazionismo antagonista. Ma agli Italiani cosa resterà di questa sciagurata paranoia? Sicuramente un mucchio di macerie. Tuttavia è prematuro fare previsioni. Aspettiamo la conclusione della legislatura. A quel punto saranno chiarite molte cose. Compreso il destino di Matteo Renzi. Egli ha molte responsabilità per ciò che si è verificato in questi mesi e continua a sbagliare, riproponendo se stesso ogni giorno e a qualsiasi ora in TV, in virtù del viaggio per l’Italia, sacrosanto e necessario per il destino del partito che ha bisogno di rivitalizzare il rapporto con le popolazioni nei territori più disparati. Ma sarebbe opportuno una maggiore discrezione, un atteggiamento modesto, una voglia di ascolto che non sia da dispensatore di meraviglie. E poi, occorrerebbe applicare il principio del collettivo e della coralità, visto che nel partito ci sono energie, risorse, personalità di livello e di sicuro successo.

Ma fino a quando Matteo Renzi, che resta comunque il leader più capace e autorevole, continuerà a dare l’idea che al comando del Paese ci sarà una sola persona coadiuvata da un gruppo ristretto di fedelissimi, l’immagine del partito sarà offuscata da un’ombra vaga di autoritarismo. E lo stesso partito si sente sottovalutato e non opportunamente considerato. E se la coalizione di centro-sinistra che si sta costruendo dovesse avere successo e il PD assicurarsi il primo posto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dovrà dare l’incarico di formare il nuovo governo proprio a Matteo Renzi. Ma siamo sicuri che lo farà? Non c’è nessuna norma costituzionale che lo obblighi in questo senso. E se non dovessero esserci maggioranze possibili, si potrebbe andare alla proroga del governo attuale, così ben guidato da Paolo Gentiloni, come molti osservatori e commentatori auspicano.

A quel punto i seggi conquistati dal raggruppamento di Pietro Grasso potranno avere un valore molto importante, sempre che possa tornare la saggezza che in un uomo come l’ex magistrato di Palermo non dovrebbe mancare. E sempre che riesca a tenere unito il drappello all’interno del quale ci saranno dottissimi esegeti dell’essere di sinistra e di come distinguersi l’uno dall’altro. Hic sunt leones: l’ostacolo da superare è il prossimo voto. A quel punto tutto potrà succedere.

 

Agostino Bagnato

 

Roma, 3 dicembre 2017

 

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