Di fronte alla Waterloo del Partito Democratico alle elezioni politiche del 4 marzo scorso sono molti a sostenere che la colpa è di Matteo Renzi. Quindi se ne deve andare. Altri sostengono che pur avendo pesanti responsabilità, Renzi deve restare per guidare il partito, costruire e gestire la ripartenza, affrontare le sfide del futuro. Di Liberi e Uguali non parla nessuno perché, visti i risultati fallimentari della prova elettorale, a questo punto della storia viene considerato ininfluente, a parte il contributo dato per la rielezione di Nicola Zingaretti a Presidente della Regione Lazio, dove il PD ha avuto un risultato migliore che altrove.

Personalmente, ritengo che Matteo Renzi debba lasciare il campo, certamente per le sue responsabilità che sono poi quelli del PD a ogni livello, perché la riscossa, possibile e necessaria, si progetta costruisce e gestisce con strategie adeguate alla nuova realtà politica e un gruppo dirigente che sappia esprimere questa capacità di guidare il Paese verso nuovi orizzonti. Matteo Renzi ha tutte le caratteristiche per riuscire nell’operazione, ma è percepito dall’opinione pubblica come una figura appannata, oramai superata per gli errori commessi sulle banche e anche per quelli degli altri. La legge elettorale conosciuta come “Rosatellum” è la cartina di tornasole di questa realtà. Le sostanziali novità sul piano economico, sociale, dei diritti civili e della modernizzazione del Paese non vengono neanche presi in considerazione. Se non si è percepiti come coloro che possono trainare un Paese verso un nuovo orizzonte, come si fa a ripartire?

Il programma elettorale del PD era credibile sul piano generale, frutto di un lungo lavoro di analisi condotto dal gruppo dirigente affiancato da studiosi ed esperti. Ma per quale Italia? Il filosofo Biagio di Giovanni ha fatto un’analisi spietata e condivisibile della situazione italiana, guardando all’Europa e al mondo. E concludendo: «Di mezzo, certo, c’è l’Italia, ma è proprio l’Italia che ha deciso così, e la democrazia è innanzitutto adeguare le proprie forme a ciò che un paese ha voluto».

Come fare ad adeguare le forme della politica a ciò che un paese chiede? E chi deve farlo? Ecco il problema di fondo. Un ritorno al passato, a forme gloriose che hanno funzionato e fatto grande l’Occidente e dato un ruolo e un peso storici alle classi sociali subalterne da sempre, grazie agli ideali socialisti, della dottrina sociale della Chiesa e alla cultura liberale e hanno contribuito liberare milioni di uomini dal colonialismo e dallo sfruttamento, non appare la strada giusta. La crisi del modello socialdemocratico europeo lo dimostra. Oppure guardando a forme nuove, tutte da inventare? La strada è la seconda, da quanto emerge dal risultato elettorale del 4 marzo scorso, salvo pensare che decine di milioni di elettori sbagliano.

Ecco perché un simile progetto non potrà essere portato avanti dallo stesso gruppo dirigente che ha gestito il recente passato e il presente, anche se ha ottenuto importantissimi risultati sul piano economico e sociale.

Per fare tutto ciò bisogna conoscere l’Italia, non dai libri di storia e dalle inchieste televisive, ma stando con la “gente”, nelle immense periferie urbane, nei deserti del Meridione. Siamo sicuri che il Partito Democratico conosca bene la realtà del Paese, dopo che in tanti territori supera appena il 10% dei voti e in alcuni nemmeno lo raggiunge? Ci sono interi quartieri e città di provincia dove non esiste un circolo PD, non ci sono punti di riferimento, dove non si sa con chi parlare. Tutto ciò non è colpa di Renzi, ma dell’intero partito che non ha saputo adeguarsi, non ha trovato dirigenti locali volenterosi e generosi. Senza risorse, senza finanziamenti per pagare l’affitto di una sede, stampare un manifesto, comprare un computer, come si fa a comunicare con la “gente”, ad ascoltare e a far sapere? E’ chiaro che non è colpa di Matteo Renzi che ha speso generosamente tutte le energie possibili, ma non è stato sufficiente per arginare gli smottamenti di questi ultimi anni e bloccare la frana del voto politico.

Matteo Renzi, a cui deve andare il ringraziamento di tutti i militanti del partito per quello che ha fatto, adesso deve aiutare la nascita, la crescita e l’affermazione di un nuovo gruppo dirigente, con lealtà generosità altruismo e realismo politico, partendo da quello esistente che ha dato prova di saper fare politica, ma non è riuscito a vincere. Arroccarsi alle regole statutarie, regole fondamentali della democrazia e nella vita dei partiti, non servirebbe a molto in questa circostanza. Matteo Renzi ha l’intelligenza per capire che questa è la strada per salvare il PD dalla possibile implosione.

Lo farà?

Lunedì la Direzione del partito dovrà sciogliere questo nodo. Astuzia e furbizia da ogni parte non aiuteranno e finiranno con regalare incertezza e pessimismo.

Non possiamo permettercelo. Non se lo può permettere il Paese per quello che ancora si aspetta dal PD, cominciando da Roma e dal Lazio dove c’è stato un risultato positivo e da dove verrà una risposta alla richiesta di buona politica e di concretezza. 

Agostino Bagnato

Roma, 7 marzo 2018

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