Karl Marx non può essere giudicato alla luce del suo tempo e di ciò che resta del Novecento. Il suo insegnamento continua a produrre stimoli che non possono essere ignorati

Antonfranco Tamasco

operatore turistico

   Di rientro da un viaggio di lavoro in Bulgaria, con un bagaglio che riportava, una volta tornati, La scoperta dei Traci, (da motivo di preoccupazione nelle versioni di Latino e Greco di vari autori del mondo classico, perché solo questo ne era il vago ricordo, sono divenuti per me ed i miei compagni di viaggio una delle civiltà più interessanti e ricche, base delle culture greca e romana successive), mi interrogavo sui reperti e sulle testimonianze di questa antica popolazione i cui prodromi, nella civiltà eneolitica del 4.600 a.C., ci dà la possibilità solo ora, grazie ai ritrovamenti avvenuti tra il 1984 ed il 2006, di darne un giudizio compiuto. E dunque, quanta fretta, mi sono detto, nel giudicare il pensiero di figure storiche così giovani come Carlo Marx ?

   Non posso fare a meno, nella ricorrenza dei 200 anni dalla nascita, di tornare al ricordo del mio incontro con il Marxismo: immaginate, 13 anni, di estrazione piccolo borghese cattolica non osservante, imbevuto, (perché quei 13 anni cadevano nel 1973), di tematiche sociali, impegno e battaglie civili; in quegli anni già poco più che ragazzini si andava nei quartieri popolari a dare ripetizioni ai bambini meno fortunati che vivevano nelle borgate romane. Erano gli anni di una serie di equivoci: se ti occupavi dei più deboli eri una sorta di comunista/francescano, nella mia testa dunque poteva albergare la perfetta sintesi tra le aspettative da un lato dei miei genitori, nell’aver voluto crescere un figlio rispettoso del prossimo e della morale cattolica e, dall’altro, la ribellione propria di quegli anni e che di li a poco avrebbe portato all’esplosione del movimento del 1977.

   Fu così che iniziò una adolescenza fatta di riunioni, comitati, manifestazioni, scontri di piazza: in quegli anni quelli come me non frequentavano le discoteche. In questo percorso che portava dall’impegno sociale nell’ambito dei cattolici di sinistra alla tessera del PCI, prima, ed alla militanza nella sinistra extra-parlamentare poi, il trauma fu: Carlo Marx.

   Già, un vero e proprio trauma scoprire che tutto ciò che avevo vissuto come morale, cuore, senso di giustizia in realtà rispondesse a delle precise regole scientifiche. L’operaio, il proletario, che tanto belli e giusti mi apparivano (un po’ come nella ironica rappresentazione che ne fece poi Giorgio Gaber parlando dello stato d’animo e dell’impegno propri di quegli anni), diventavano figure necessarie alla trasformazione del mondo non per la loro vera o presunta maggiore moralità o correttezza, ma, indipendentemente da essa, puramente e semplicemente per la posizione che questi occupano negli ingranaggi della economia e della società capitalista, nella “egoistica” difesa dei propri interessi contro l’”egoistica” difesa degli interessi dei capitalisti. E se aggiungiamo poi che sempre per colpa del “barbone” dovetti digerire che il Capitalismo (contro il quale quasi nei dettagli della vita quotidiana avevo ingaggiato la mia battaglia) diveniva a scala storica una forma progressiva rispetto alle forme di organizzazione economico-sociale che lo avevano preceduto (società tribali… feudalesimo…) pensate a quanto complicato fu quell’incontro.

   Da studente rivoltoso in quegli anni “di movimenti” mi trovai costretto a ragionare sul fatto che la “volgarizzazione” del pensiero è ciò che ne rallenta la comprensione e ne diluisce gli effetti prorompenti. Ecco, penso che si possa tranquillamente dire che se in questi ultimi 135 anni (il filosofo muore nel 1883) gli effetti del pensiero di Carlo Marx sembrano essersi progressivamente affievoliti, questo dipenda proprio dalla volgarizzazione che di quel pensiero se ne fece pur nell’”apparente fuoco” di “apparenti epocali” tumulti sociali. Sì, perché è una volgarizzazione del suo pensiero dire “oramai la classe operaia non esiste più!”; è una lettura volgare della storia dire “l’uomo non cambierà mai, sarà sempre animato da istinto di sopraffazione!”. E’ proprio Marx a dare risposta a questa lettura volgare affermando che fintanto che l’uomo non si sarà affrancato anche dal capitalismo, come ultima forma di organizzazione economico-sociale basata sullo sfruttamento, non potrà essere considerato fuori dal suo stadio primitivo: dite che di questi tempi sia superato? E poi, circa la classe operaia, è proprio vero che guardando solo il proprio orticello si perde il senso della realtà più complessiva, facciamo la conta! Gli operai alla metà del 1.800 e quelli del 2.018! Avete finito di contare…

   Circa la rivoluzione in Russia, non è stato forse semplicistico e volgare leggere le vicende che dal grandissimo Lenin, profondo conoscitore di Marx e quindi della scienza del materialismo storico e del materialismo dialettico e quindi perfettamente conscio del fatto che nella arretrata Russia, senza la vincente rivoluzione nella sviluppata Germania degli anni ’20, il socialismo non si sarebbe potuto realizzare, hanno portato al piccolo Stalin a spacciare come socialismo il (ahinoi!) necessario capitalismo di stato? E che effetti ebbero, a proposito di volgarità e semplicismo in tutto il movimento operaio i ritornelli: “a da venì baffone”; “le alleanze con le altre classi”, le “vie nazionali al socialismo”?

 Insomma, ci si potranno mettere altri 200 anni a confondere e annacquare il pensiero di Carlo Marx, ma un fatto è certo: proprio alla luce dell’enorme sviluppo delle forze produttive, della tecnica, della scienza, nell’ambito della società capitalista, fintanto che non si procederà alla necessaria socializzazione di quella enorme quantità di prodotto che questa è in grado di produrre e che non potrà che essere frutto di una forte ripresa di conflitti sociali (nella storia senza conflitti si rafforzano solo le posizioni già dominanti), assisteremo solo a scempio e barbarie pur di tentare di conservare privilegi, per una infima minoranza, (per dirla con Marx) anacronistici, rispetto alla sviluppo raggiunto.

Un operaio, sì, fu un operaio a farmi incontrare Marx. Mi disse: “Ci chiamano a maggiore produttività e senso di appartenenza verso la nostra azienda, verso la nostra economia, verso il nostro Paese. Dicono le stesse cose ai lavoratori delle filiali di altri paesi spronando noi a difendere la nostra economia e loro a difendere la loro: ma il proprietario è lo stesso. Domani magari, perché è già successo a mio padre, troveremo quei lavoratori di altri paesi a combattere con le armi in pugno, e noi a combattere loro e utilizzeranno anche fedi religiose diverse pur di dividerci. Lui invece scrisse: «Lavoratori di tutto il mondo unitevi!, ecco perché sono comunista!»”.

   Solo per concludere, sto insegnando alle mie figlie ad avere pazienza, nessuna fretta!

Antonfranco Tamasco

 

Roma, 5 maggio 2018

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