Lucida, severa analisi della vicenda denominata Mafia Capitale dopo la sentenza della Corte di Cassazione. L’assenza di ogni riferimento mafioso nella gravissima vicenda di corruzione, sbandierata come frutto di un’organizzazione mafiosa, obbliga ciascuno a compiere una dura riflessione sui comportamenti di questi ultimi anni a Roma e nel Paese.
Angiolo Marroni, presidente dell’Accademia di arte “Villa dei Romani”, Roma 2019
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ROMA CAPITALE. NON E’ MAFIA
Angiolo Marroni
Non è “mafia capitale”, è corruzione!
L’ha detto, in via definitiva la Cassazione.
E’ finita l’ubriacatura.
Siamo rinsaviti. I postumi però ci sono e dureranno a lungo.
Sono drammatici.
Il responsabile di questa spaventosa vicenda è Salvatore Buzzi.
Il suo ego smisurato, la sua presunzione, la sua sete di potere gli hanno fatto perdere di vista di essere una pedina in un gioco più grande di lui.
E così dimentica anche il beneficio della “grazia” ricevuta dal Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, dimentica gli studi effettuati con successo, la laurea in carcere, ignora di dover essere grato allo Stato Italiano, generoso ed umano, nei suoi confronti.
E’ indubbio, ha delle capacità, ma non si controlla, non disciplina i propri impulsi.
Oggi, dopo il disastro, famiglie distrutte, persone condannate, tante in carcere, anche molti innocenti, senza colpa, tante condanne estreme, ora in attesa di un riesame della pena, un dramma collettivo.
Intanto, la cooperazione sociale è morta, non solo a Roma, centinaia di lavoratori in strada, senza futuro.
La Lega delle Cooperative sceglie di tacere impaurita.
Servizi sociali, il verde, la pulizia, i nomadi, e tanti altri, scomparsi.
Roma vive questa crisi dei servizi che erano assicurati dalla cooperazione ed oggi i cittadini ne subiscono le conseguenze.
Il sogno, l’ideale della cooperazione, antico sogno che affonda nella storia del Paese è duramente colpito.
Roma è infangata, la così detta “mafia capitale” ha oscurato la vera mafia che pure esiste.
L’ha oscurata per anni.
Stampa, TV, mezzi di comunicazione, forze politiche, organizzazioni sociali, si sono lasciati andare condizionati da “mafia capitale” alla ricerca del consenso, facile consenso, in un clima esasperato di caccia alle streghe.
Hanno perso la deontologia, il senso più alto, più profondo della loro funzione ed in larga maggioranza si sono tramutati in portavoce della magistratura.
Questa, a sua volta, a Roma, permeata dalla sua esperienza nel Mezzogiorno d’Italia dalla lotta alla criminalità organizzata ha visto e forse tuttora vede mafia ovunque teorizzando un’equazione stravagante e cioè corruzione nella P.A. uguale mafia.
Non tutta è così, anzi la maggioranza di essa non è così, ma a Roma così ha interpretato la realtà.
Una sentenza razionale, in primo grado, ispirata al rispetto del diritto e della realtà è stata disattivata e sovvertita.
La politica è guardata con sospetto, con pregiudizi, con diffidenza, forse con disprezzo, e ci si attribuisce, in modo arbitrario, una funzione di supplenza per moralizzare lo Stato, la vita cittadina.
E così, con la debolezza della politica, con la sua subordinazione, la Costituzione è violata.
Rapporti sociali, anche dovuti, tra amministratori pubblici e società civile, con imprenditori, organizzazioni culturali, sociali, sindacati, sono sospetti, non vengono capiti, visti come tramite di malaffare.
Ripeto, persone per bene sono in carcere per reati non commessi ma presunti tali, contributi elettorali regolarmente denunciati, partecipazioni a cene elettorali, assunzioni di diseredati, incontri occasionali, scambio di favori tra amici, tutto è sospetto, forse tutto è reato.
Perfino atti amministrativi trasparenti e dovuti vengono trattati come reati.
Questo è stata “mafia capitale”, un’ondata in piena senza argini.
E così siamo arrivati al processo in appello.
Grande spolvero.
Udienze spettacolari e poi condanne esemplari, estreme, inflitte ai confini del Codice.
D’altra parte è semplice, bisogna dare una lezione indimenticabile.
Non c’è un fatto di sangue, non c’è un reato di sangue, ma c’è la mafia!
Certo una mafia un po' particolare, un po' diversa dalla tradizione, non si danno ordini, si chiedono favori, non si minaccia, ci si raccomanda, si paga. Assurdo!
Le organizzazioni criminali di stampo mafioso, si sa, sono gerarchicamente organizzate, prevedono un’adesione formale, si viene ammessi, si valuta il curriculum e si viene collocati nella gerarchia ad iniziare dai piani bassi,l’omertà è obbligo, l’ubbidienza al capo è assoluta, una volta entrati non se ne esce.
Che mafia è quella della “29 Giugno”? Ridicola!
Ma qualcuno a Roma ha necessità che sia “mafia”.
La stessa amministrazione comunale, “5 Stelle”, ne ha bisogno per motivi politici, elettorali, ne ha fatto una bandiera fondamentale, l’unica che poteva.
E quindi via la dignità istituzionale, via il prestigio del ruolo, si va in Cassazione all’udienza ad attendere in aula per ore la sicura conferma della sentenza di Appello che aveva detto: “mafia”.
Si aspetta la sentenza assieme ad un parlamentare impegnato nell’antimafia, si è sicuri di sé.
Ma il ridicolo è alle porte.
La Cassazione delude queste attese e frustra queste speranze.
Si va via delusi, dimenticando che il sistema giudiziario, al di là dei suoi difetti, possiede comunque degli anticorpi efficaci.
Ora le pene comminate per Buzzi e Carminati, nonché per tanti altri vanno rivisitate e corrette.
La Cassazione è stata chiara.
Già la carcerazione scontata non è stata di scarsa entità e già offre delle possibilità per uscire dal carcere, domiciliari o altro.
La Legge, la Costituzione, ci dice che la pena non può avere caratteristiche persecutorie, deve essere sempre ispirata al senso di umanità e tendere al reinserimento nella società.
Nel PD perfino c’è chi si è rammaricato di questa sentenza della Cassazione che libera Roma da un’accusa infamante.
E’ l’ex presidente del PD, on. Matteo Orfini, che è deluso dalla Cassazione, anziché gioire, come avrebbe dovuto, ci ricorda che comunque a Roma c’è la “mafia”. Una scoperta! Che garantismo a corrente alternata.
Ma non finisce qui!
Il giornalista-scrittore Saviano, ai margini di questa vicenda, preso come spesso gli accade da un impulso di visibilità, di protagonismo, scrisse su Repubblica, in pieno processo, che l’on. Poletti avrebbe dovuto dimettersi da ministro perché in qualità di presidente della Lega delle Cooperative aveva partecipato ad una cena delle cooperative sociali, compresa la “29 Giugno”.
Si festeggiava un accordo con il Comune di Roma che avrebbe dato lavoro a centinaia di diseredati!
La foto di quella cena con l’on. Poletti, con il Garante di detenuti, parlamentari, il Sindaco di Roma, divenne la foto per sostenere che era la prova di accordi corruttivi.
Il tutto si trasferisce anche in una lotta politica infamante a Roma ed in Italia, contro il PD e perfino nel PD contro suoi esponenti.
Innumerevoli querele, denunce, nei confronti della stampa per articoli calunniosi, vengono oscurate ed archiviate dagli stessi magistrati impegnati PM nel processo, per loro erano tutte infondate.
Insomma, tra “morti e feriti” anche gravi questa terribile vicenda sta giungendo alla fine resta l’insegnamento che il sistema giudiziario, che pure ha bisogno di tante correzioni e modifiche, anche nell’assurdità delle sue lentezze, riesce comunque a dare giustizia ed in definitiva fiducia a tutti noi cittadini italiani.
L’avvocato Angiolo Marroni nell’ufficio del Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio, Roma 2013
L’avvocato Angiolo Marroni nel corso di un incontro all’Università di Roma “La Sapienza” nel 2010
Angiolo Marroni
Roma, 24/11/2019.