di Franco Ferrarotti
intervista di Agostino Bagnato
Esattamente un anno fa, l’Armata Russa sferrava l’annunciato attacco militare all’Ucraina, con l’intento di rovesciare il governo legittimo di Volodymir Zelenskyi, instaurare un regime amico della Russia e annettere alla Federazione russa alcuni territori orientali, in maggioranza abitati da cittadini di origine russa. Vladimir Putin ha scatenato un’aggressione militare gravissima, illegittima e contraria al diritto internazionale, provocando immani sofferenze al popolo ucraino, ma anche alla stessa Russia che sta lasciando sul campo molte decine di migliaia di morti. L’Ucraina ha resistito eroicamente all’aggressione, potendo contare sul sostanziale e decisivo sostegno militare ed economico dell’Europa, degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale, soprattutto attraverso la NATO.
A distanza di un anno, come stanno le cose? E quali sono le prospettive immediate e di medo periodo? Ne parliamo con Franco Ferrarotti, sociologo e scrittore di fama internazionale, profondo conoscitore e osservatore degli avvenimenti internazionali.
Il sociologo e professore emerito Franco Ferrarotti (Palazzolo Vercellese, 1926), fu anche membro della Camera dei Deputati dal 1959 al 1963
Professor Ferrarotti, è trascorso un anno dall’aggressione della Russia di Vladimir Putin all’Ucraina. Ancora non si vede la fine del conflitto che sta provocando l’orrenda carneficina con perdite umane altissime da ambo le parti e distruzioni inimmaginabili, oltre a sofferenze atroci alla popolazione civile dell’Ucraina. Come giudica quanto sta succedendo?
Non possiedo molte informazioni per potere formulare una risposta compiuta. Sul piano militare molte cose sono segretate, com’è ovvio che sia. Sul piano politico lo scacchiere è in movimento, come dimostrano i discorsi di Joe Biden a Kiev e a Varsavia, quello di Vladimir Putin alla Duma di Mosca e la presenza sulla scena della Cina attraverso il Ministro degli Esteri al recente incontro a Bruxelles. Il paradosso è che tutto si concentra attorno alla figura di Volodymir Zelenskyi che ha un ruolo secondario nello scacchiere decisionale. Non è l’Ucraina che decide, ma le potenze militari ed economiche che hanno scelto quel tratto della vecchia Europa per confrontarsi.
Zelenskyi ha incontrato numerosi leader occidentali a Kiev nelle ultime settimane. Da sinistra con Biden, con Macron e con Giorgia Meloni
La guerra è atroce per sua natura, da sempre. Ma dalle scene che si possono vedere sui mezzi di comunicazione, il suo odierno potenziale distruttivo è terribile. Non sono state ancora dislocate e impiegate le armi più temute e temibili, da parte della Nato da un lato e della Russia dall’altra. Si conosce dalla diffusione di notizie giornalistiche il potenziale offensivo di entrambi gli schieramenti. Se Biden sembra cauto nel fornire all’Ucraina velivoli militari offensivi e missili balistici ancor più potenti di quelli consegnati finora, è innegabile che il Presidente degli Stati Uniti è sicuro della vittoria dello schieramento occidentale sulla Russia. Ma se ciò non dovesse verificarsi entro qualche tempo, il pericolo di allargamento del conflitto sarebbe reale. È così?
Siamo ancora in presenza di una guerra locale, su un territorio limitato anche se densamente popolato. La mia impressione è che la guerra si stia allargando, con il rischio che possa trasformarsi in un conflitto planetario. Non siamo ancora alla terza guerra mondiale, ma il rischio è che si possa scivolare inesorabilmente verso un punto di non ritorno.
La guerra non ha senso: è da questo assunto che bisogna partire. Oggi ancora più che nel recente passato. Il pericolo di una guerra su larga scala potrebbe portare alla distruzione della civiltà umana. Il deterrente atomico e nucleare continua ad esercitare una certa pressione per la moderazione, ma fino a quando potrà durare, di fronte alle provocazioni e anche a possibili incidenti di percorso…
A dire il vero, si coglie in giro un certo senso di sofferenza quando si parla di pace. Il pacifismo è visto come rinuncia, accettazione della prepotenza, del sopruso e della violenza. Non c’è più la percezione netta dei pericoli che comporta una deflagrazione bellica condotta sul terreno ignoto della fusione nucleare e delle radiazioni permanenti. È così?
Il dialogo resta sempre la strada più larga e sicura per costruire il futuro. Ma è la più difficile. Il pacifismo non è una bandiera neutra, ma un metodo di confronto e uno strumento per governare. Non penso tanto al pacifismo di Lev Tolstoj o di Mahatma Gandhi, che hanno aperto all’umanità la strada del dialogo tra le parti contendenti, quanto a quello di Aldo Capitini basato su valori morali e filosofici, di cui nessuno parla più. Ancora non si sa quando finirà questa spaventosa guerra, se finirà realmente e come finirà nel senso delle conseguenze che lascerà, e tutti parlano di ricostruzione dell’Ucraina.
Da sinistra: Aldo Capitini (1899-1968, filosofo, politico, poeta ed educatore italiano. Fu tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il pensiero nonviolento, al punto da essere chiamato il Gandhi italiano), il Mahatma Gandhi (1869-1948) e Lev Tolstoj (1828-1910)
È vero. Si ha l’impressione che questo conflitto debba servire per schierare i futuri vincitori a spartirsi le risorse economiche e finanziarie per la ricostruzione. Si dà per scontata la sconfitta di Putin, la conferma del sequestro di tutte le risorse russe in Occidente, il loro impiego nella ricostruzione delle città, delle infrastrutture e delle attività produttive. Ciascuno mette sul piatto della bilancia tutto il potenziale tecnico-scientifico del proprio paese. La stessa cosa ha fatto Giorgia Meloni, nel suo recente incontro a Kiev con Zelenskyi.
Io colgo una certa malafede in tutti i protagonisti di entrambi i fronti, malafede moralmente abbastanza infida perché questa è una guerra che l’Occidente combatte contro la Russia per interposta persona. È un comportamento gravissimo. Si tratta peraltro di un precedente dalle conseguenze devastanti.
La Cina ha manifestato una forte preoccupazione per il pericolo che la situazione possa precipitare. Il presidente Xi Jinping continua a manifestare molta cautela, ma il legame con la Russia è considerato saldo. Lei cosa ne pensa?
Il mondo slavo che si riconosce nella storia e nella cultura della Russia è oggi affiancato dal vastissimo mondo asiatico che trae le sue radici dal pensiero di Confucio. Questo schieramento appare oggi sempre più nettamente contrapposto all’Occidente, ai suoi valori, alla sua storia, alla propria coscienza. Si tratta di quella vastissima parte del Pianeta che si trova all’occaso, al tramonto del sole, all’inizio della notte. Sul piano ideale e del pensiero primigenio, occidente è quindi percepito come declinare, tramontare, scomparire.
Sono due concezioni che si confrontano, oggi su un limitato spazio territoriale, il Donbass e l’intera Ucraina, ma con riflessi mondiali, con conseguenze inimmaginabili nel futuro più immediato e ancor di più su quello lontano.
A sinistra, foto dal fronte dei due eserciti. A destra una cartina che riassume la situazione sul campo
Vladimir Putin continua a sostenere che l’operazione militare speciale è stata necessaria per difendere la popolazione di lingua russa dalla riottosità ucraina e dal programma di togliere ogni identità tradizionale al Donbass.
Si tratta di una argomentazione vecchia e storicamente superata. Non ha senso fare la guerra per difendere la madrelingua. Lo ha dimostrato la tragica avventura di Adolf Hitler dopo il patto Ribbentrop-Molotov che portò all’invasione della Polonia, all’operazione Barbarossa contro la stessa Unione Sovietica e alla catastrofe dell’intera Europa.
Di conseguenza, Professore, cosa resta da fare in questo scenario così desolante e preoccupante.
Una sola cosa: dialogare. Io direi che la parola d’ordine oggi debba essere dialogare per sopravvivere. Anche se la propensione all’uso della forza sembra prevalente nel mondo, attualmente, non bisogna tagliare i ponti. Ogni ponte che porta al dialogo, ogni occasione che porta a incontrarsi, ogni pretesto che conduce a parlarsi, è fondamentale per sopravvivere.
Si riuscirà a sopravvivere a questa tragica follia che ha pervaso tanta parte dell’umanità?
Si deve sopravvivere se si vuole nel futuro continuare a vivere. In questo senso, la cultura e le scienze umanistiche sono fondamentali per dare qualità alla sopravvivenza. Quando si dimentica il valore del pensiero umano e della creatività, cessa ogni ragione di vivere, Per questo dialogare è fondamentale, anche quando sembra che il rumore della guerra sia assordante e non consenta di essere ascoltati. Ma la parola, il suono, il segno, il colore hanno sempre la forza di riprendersi la vita. L’importante è sopravvivere, evitando di autodistruggersi.
Grazie
Roma, 24 febbraio 2024
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Dialogare per costruire ponti e sopravvivere all’autodistruzione
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