Sabato 23 maggio 2015 la bandiera nera del Califfato islamico sventola sulla fortezza di Palmira, città siriana situata nella provincia di Homs. E’ stata issata dalla milizia terrorista dopo aspri combattimenti con l’esercito siriano. La strada per Damasco, a questo punto, potrebbe essere aperta. E dalla capitale alle alture del Golan il percorso non è lungo. Ecco i territori dello stato di Israele subito a sud. E il Mediterraneo di fronte, a occidente.
Non è un incubo, né un sogno. Purtroppo, la tragica realtà oggi è la caduta di Palmira e la minaccia della sua distruzione da parte dei miliziani neri. Domani potrebbe essere ancora più catastrofica. Una minaccia per l’Italia, l’Europa e l’Occidente. E non intesi soltanto come civiltà, religioni, culture.
A questo punto, il richiamo alla storia rischia di non avere più senso. Ma un significato lo deve pur avere, se di fronte alle terribili notizie provenienti dal Medio oriente, soltanto adesso l’Occidente sembra essersi accorto di quanto sta accadendo in quelle martoriate terre. L’indignazione nasce proprio dal richiamo alla storia e alla sua eredità monumentale, architettonica, artistica, patrimonio dell’umanità. E la storia di Palmira è davvero straordinaria, anche a volersi limitare agli ultimi due millenni!
L’imperatore romano Aureliano è passato alla posterità non soltanto come l’autore della cinta muraria di Roma che ancora oggi è possibile ammirare dopo circa 1750 anni, ma anche come il condottiero che ha sconfitto Zenobia, regina di Palmira nel 273, radendo al suolo la capitale degli Assiri nel cuore del deserto. Secondo quanto tramandato dallo storico Trebellio Pollione e l’attribuzione che ne hanno fatto recenti ricerche, la regina era famosa per la sua magica e mitica bellezza: «Aveva la carnagione assai bruna, gli occhi neri pieni di fuoco, i denti bianchi come perle, lo sguardo meravigliosamente amabile al di là di ogni immaginazione». Alcuni busti marmorei ne tramandano l’immagine, al pari di monete risalenti al suo regno. Aureliano condusse Zenobia a Roma dopo averla catturata e la fece spettatrice e oggetto del suo trionfo sulla via Sacra, allo stesso tempo. Rispettoso della regalità di lei, l’imperatore la relegò a Tivoli, ospite di una villa lussuosa dove della mitica regina si sono perse le tracce.
Ma Palmira non scomparve con la sua sovrana. Diocleziano avviò la ricostruzione della città tra il 293 e il 303, creando imponenti fortificazioni militari, essendo la sua collocazione nel cuore di una vasta oasi lungo la più importante rotta delle carovane verso la Mesopotamia e la Persia. Due secoli dopo Giustiniano rafforzò le strutture difensive della città, salvaguardando i templi risalenti alla pristina civiltà assira, da quello di Baal saccheggiato da Aureliano a quelli di Baahshamin, di Nebo, di Shams, di Allath, oltre al meraviglioso teatro romano. Queste testimonianze sono giunte fino ai nostri giorni. Come scrive Paolo Matthiae «alcuni monumenti sono gioielli dell’architettura romana d’Oriente, come il teatro che fiancheggia la via porticata, dove ogni colonna un tempo ospitava su una mensola la statua bronzea di un magistrato. Le tombe erano ricchissime degli splendidi busti funerari, che sono tra le più significative opere dell’arte provinciale dell’impero di Roma» (Il Messaggero, 22/5/2015). Gli Arabi conquistarono Palmira nel 634, introducendo e diffondendo la parola del Profeta, edificando moschee e minareti, conservando tuttavia le testimonianze della culture precedenti.
Tutto questo rischia di scomparire per sempre. Non a causa di una biblica tempesta di sabbia capace di sommergere ogni cosa sotto decine di metri di dune e di accumuli, né di un catastrofico terremoto capace di squarciare il deserto e di inghiottire intere oasi e città. Ma per la furia devastatrice dell’uomo.
Come può l’umanità contemporanea adoperarsi nella distruzione del suo passato e della storia che lo esprime e lo comprende? Quale maleficio si è abbattuto sulle popolazioni della Mesopotamia, culla della civiltà occidentale? Eppure una follia generalizzata si è impossessata di una parte delle popolazioni discendenti da Zenobia e prima ancora da Assurbanipal, Assuero, Oloferne, Semiramide, Ammurabi, Nabucodonosor, figure cantate da poeti e musicisti nell’età antica e più ancora in quella moderna, e celebrati da artisti immortali. Perché i terroristi islamici che hanno dato vita allo Stato islamico su territori sottratti al controllo dei governi di Siria e Iraq, stanno pervicacemente e sistematicamente procedendo alla distruzione della storia di quei territori, mettendo in atto una criminale «tabula rasa» per annientate ogni traccia del passato e costruire un presente e un futuro su presupposti nuovi impossibili di confronto perché ogni antecedente è stato distrutto. La responsabilità degli Stati Uniti d’America e degli alleati occidentali per quanto sta accadendo su quei territori è molto pesante. E prima ancora dell’Inghilterra e della Francia, per le scelte compiute alla caduta dell’Impero ottomano nel 1918. La prima guerra del golfo ha scatenato il conflitto Iran-Iraq, costato tre milioni di morti e devastazioni bibliche. Successivamente l’occupazione dell’Iraq e l’uccisione di Saddam Hussein hanno scatenato il conflitto tra shiiti e sunniti e la nascita di un devastante sommovimento terroristico che è stato capace di trasformarsi in poco tempo in un esercito e di costruire uno stato, il Califfato islamico, appunto. E non si può tacere il conflitto Israele-Palestina che resta sempre una bomba ad orologeria, l’Afghanistan con la devastante presenza taliban e le turbolenze del Magreb, di cui la destabilizzazione della Libia ricade interamente nella responsabilità della Francia e dell’Inghilterra, oltre che degli USA. L’Europa quale entità politica non conta niente! Niente!
L’11 settembre 2011 è la pietra di paragone per spiegare tutto questo, secondo molti osservatori. Ma la questione è molto più complessa, perché è sfuggita di mano a chi voleva giustamente punire quell’orrendo delitto contro il popolo americano e l’umanità. Le distruzioni perpetrate in Medio oriente dai bombardamenti americani e della Nato non potranno essere dimenticati facilmente e peseranno come una maledizione perenne sull’Occidente e tutto ciò che esprime. Compresa la storia. Compresa quella delle origini, quella di sempre. Deve iniziare una nuova storia. Un archè completamente inventato. Una genesi che sorga dal terrore e dalla morte del tutto.
Per questo Palmira rischia di diventare un luogo perduto della storia, un topos negativo del presente per l’effetto nefasto dei suoi protagonisti. Come Waterloo per Napoleone, Stalingrado per i nazisti, Lepanto per i turchi, Hiroshima per i giapponesi. Ma Palmira potrebbe acquistare un valore simbolico tutto suo, nel tempo della velocità degli scambi nella comunicazione e della suggestione ossessiva delle immagini. Cosa accomuna le teste mozzate dei soldati siriani davanti ai monumenti di Palmira e la distruzione dei monumenti mesopotamici a Ninive, Nimrud, Mosul, Hatra, testimonianza del disprezzo spudorato per la storia, la bellezza, il pudore e la pietas. «Si accaniscono infatti su colonne e statue ma anche sulle antiche moschee perché vorrebbero cancellare l’intera storia prima della Rivelazione, e dunque – se potessero – le Piramidi e perfino la casa del Profeta. Insomma combattono l’idea stessa di storia antica senza sapere che è un concetto romano anche la devastazione fisica e simbolica che non ha rimedio: la “tabula rasa”», secondo l’efficace sintesi che ne fa Francesco Merlo (la Repubblica, 23/5/2015).
Perché questo cambiamento radicale di strategia comportamentale? Nel passato i crimini di guerra si cercava di nasconderli, di occultarli; l’effetto propagandistico era limitato alle popolazioni vicine, con l’intento di piegarne la resistenza e di umiliarne la dignità. «Mai gli assassini divulgavano immagini, tutti si fingevano buoni perché avevano la coscienza del misfatto, nascondevano la storia cancellando la geografia nel recondito e nell’indefinito. A Palmira invece il delitto è al quadrato: sacrilegio, profanazione, bestemmia di qualsiasi Dio. Sembra il mondo di Hieronymus Bosch, carne, scheletri e mostruosità nella luce accecante del giardino delle delizie» sostiene Francesco Merlo. Come non essere d’accordo con lui!
Questo è il messaggio che proviene da Palmira. E l’impotenza dell’Occidente civilizzato è la più clamorosa sconfitta della ragione e della razionalità, rischia di diventare la pietra tombale sull’Illuminismo e la sua eredità, il De Profundis dell’Idealismo, dell’Evoluzionismo e del Materialismo storico e scientifico. Il senso di annichilimento e di schianto dell’uomo contemporaneo di fronte agli accadimenti di Siria e della fine di Palmira richiamano ancora una volta l’urgenza di una riflessione attenta sull’eredità filosofica e politica degli ultimi tre secoli.
Agostino Bagnato
Roma, 24 maggio 2015