Le elezioni amministrative recenti sono un ammonimento per tutti, a cominciare dal Partito democratico. Ma anche chi ha stravinto in tante città, come il Movimento5stelle, deve trarre utili lezioni dalle sconfitte altrui per governare bene, nell’interesse della collettività

 

ROTTAMARE RINNOVARE CONSERVARE, COSA

DI MATTEO RENZI E DINTORNI    

 

Non volge il guardo chi a stella è fiso.

Leonardo da Vinci

 

Che strano paese è l’Italia! Meraviglioso, inimitabile, splendente di storia e bellezza, rorido di cultura e sapere, ma resistente al cambiamento. Ma quale cambiamento, perché non sono tutti uguali, in quanto il significato che ognuno attribuisce ai contenuti di questa parola, si può identificare di volta in volta con rottamazione, rinnovamento, conservare migliorando, distruggere per poi risorgere. Cambiare guardando oltre il proprio cortile per essere come e possibilmente anche meglio del mondo circostante; cambiare perché tutto resti come prima, secondo le a regola del principe Fabrizio Salina di Lampedusa, il Gattopardo; trasformare guardando e tornando al passato, anche quando si tratta di anticaglie polverose, come le ideologie non riformabili, quasi fossero rivelate; demolire l’edificio esistente e ricostruirlo con nuovi materiali.

Si può cambiare l’Italia? Tutti lo dicono, lo vogliono e lo auspicano. Ognuno lo desidera secondo un proprio modello paradigmatico e quando si prova a costruire un progetto che integri, opportunamente mediate, le posizioni dei singoli o di gruppi, partiti movimenti o associazioni che siano, insorgono elementi ostativi che traguardano l’antropologia culturale e non più la storia, la realtà presente, l’esperienza, il civismo: in una parola, la politica.

Cosa è successo in Italia negli ultimi tre anni? Al grido di tanti che invocavano riforme a tutti i costi, di fronte all’impasse delle assemblee parlamentari incapaci di eleggere il Presidente della Repubblica e di formare una maggioranza di governo, ha risposto il PD e prima ancora il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Lo ha fatto responsabilmente, tentando una complicata mediazione che ha portato ad accordi politici, il patto del Nazareno, tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, che ha prodotto uno schema di riforma costituzionale ed elettorale di segno maggioritario. Patto osteggiato da molti e poi rinnegato da Berlusconi. Infatti, qui sono sorti i primi gravi problemi con quelli che invocano riforme ma solo per danneggiare gli altri e non per fare avanzare il Paese. Ma anche all’interno dello stesso PD, dove la mediazione tra le diverse anime è apparsa difficilissima e in alcuni casi impossibile. Probabilmente, confidando nella sete di cambiamento di ogni individuo e di intellettuali più che delle forze politiche, Matteo Renzi ha impresso una accelerazione ed una velocità che il Paese non è stato pronto a cogliere ed accettare. Riformare e cambiare cominciando dagli altri, sempre! Un disegno globale, olistico è visto come una maledizione, oppure una invocazione per non fare nulla di fronte alle difficoltà. Se fosse stato semplice, sarebbe stato fatto nel passato, durato circa quaranta anni, per ricordare la Commissione Bozzi, la prima di una lunga serie.

Qualsiasi segmento dello Stato si tocchi è chiaro che produce reazioni, talvolta dolorose, quando si tratta di incrostazioni decennali, abitudini, abusi, privilegi piccoli e grandi, favori, rendite di posizione. Cominciare sempre dagli altri. Compreso i costi della politica e quindi dai politici. Facile a dirsi, ma non proprio semplice a farsi. Perché ridurre i costi della politica non significa soltanto tagliare le auto blu o qualche benefit, rivedere il trattamento retributivo e i vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri regionali, eliminare sprechi e privilegi della casta indicata come responsabile del dissesto della finanza pubblica, ma vuol dire ridisegnare la struttura dello Stato, l’architettura istituzionale, il sistema elettivo, il numero dei parlamentari. Tema di Assemblea Costituente, certo, ma con quale legge la si nomina, stante la polverizzazione del sistema politico e i veti incrociati… E qui interviene il determinismo di Matteo Renzi e di Maria Elena Boschi, ministro per le riforme. Accelerare al massimo per rispondere alle attese del Paese, sapendo che non si troverà mai una larga intesa sulla riforma della Costituzione, come sarebbe pur necessario. La Costituzione più bella del mondo» si cambia a colpi di striminzite e confuse maggioranze? Cosa altra resta da fare, se non aspettare altri venti anni! E intanto l’Italia va in frantumi.

Purtroppo, in questa occasione l’Italia ha dato il peggio di sé.  Nel senso del conservatorismo da un lato, del trasformismo dall’altro e del più sciagurato egoismo inteso come spirito di sopravvivenza individualistica  dall’altro ancora. Ognuno pronto a rompere ogni ipotesi di accordo pur di esercitare un piccolo ruolo sulla scena politica, di ritagliarsi uno spazio per contrattare il proprio futuro, per attrarre scontenti e delusi delle altre parti politiche. Credendo magari di diventare protagonista di chissà quale rivoluzione! Salvo poi ritrovarsi soli ad abbaiare alle stelle. «Dum Romae consulitur, Saguntus expugnatum est». (Tito Livio, Ab urbe condita, XXI)

Intanto il tempo fa il suo corso e la società si trasforma e si modifica con una velocità tale che la politica stenta non solo a capire ma anche a osservare. Gli schemi di analisi risultano quasi sempre inadeguati, apocalittici da un lato in cui si mescola visionarietà e palingenesi di tipo primo Novecento o terzomondista, oppure letture liberiste in cui il mercato è il maieuta di ogni possibile soluzione, ignorando la persona e i suoi bisogni. E soprattutto guardando alla società come somma di simili e non alla comunità come aggregazione di diversi dotati di valori che sommati producono ricchezza. Il tentativo di mediazione tra le due visioni devastanti della società contemporanea, che il PD sta cercando tra tante contraddizioni, di portare avanti, è visto come tradimento di valori da parte di chi non vuole cambiare nulla perché il passato è sacro; di conseguenza, il PD è la nuova destra italiana, di fronte al fallimento della destra storica, il partito delle banche, dei petrolieri, dei poteri forti, incluso la massoneria. La sinistra si identifica con chi vuole che tutto resti come prima, a cominciare dalla Costituzione più bella del mondo che nessuno, a dire la verità, vuole stravolgere. L’aspetto paradossale è che queste posizioni sono propugnate anche da chi è l’espressione storica di quegli interessi, cioè Silvio Berlusconi, la destra post-fascista, i populisti di ogni sorta.

 

MOVIMENTO5STELLE

Fino a pochi giorni fa si guardava al Movimento5stelle come forza di protesta. E solo di protesta. Ma c’erano già segnali inequivocabili che qualcosa era cambiato negli indiñados italici. A differenza di quelli spagnoli, i nostri si dichiarano apertamente estranei alla destra e alla sinistra, portatori di un messaggio confuso e disarticolato di cambiamento, tipico della «società liquida» in cui viviamo. Di conseguenza non hanno nulla in comune con il movimento spagnolo di Pablo Iglesias cche si è strutturato nel movimento politico Podemos, protagonista della vita politica spagnola e artefice dei destini del governo possibile.  Ma M5S è apparso subito un movimento che, nato senza una struttura territoriale definita, è capace di essere sempre in mezzo alla gente con i proprio militanti, in ogni luogo possibile di aggregazione, come facevano i comunisti e i democristiani cinquanta anni fa e i giovani di Rifondazione Comunista e di Alleanza Nazionale appena qualche anno fa. Poi tutto è precipitato e delle strutture storiche sono rimasti i centri sociali e Casa Pound, portatori di estremismi inaccettabili.

Per M5S non sono soltanto giovanissimi a scendere per le strade a fare volantinaggio, a parlare con la gente, a spiegare le ragioni del movimento,  ma anche anziani e pensionati. Di conseguenza, Matteo Renzi, l’uomo del cambiamento che aveva cominciato con la rottamazione dentro il suo partito e l’avvio del progetto di riforme nel Paese, si è trovato solo contro tutti. Compreso quelli che il cambiamento avrebbero dovuto proporlo e sostenerlo per primi. Purtroppo, il M5S è diventato il suo principale avversario, dopo esserlo stato di Pierluigi Bersani ed Enrico Letta, ancora convinti che con Beppe Grillo si potesse dialogare e raggiungere un accordo. Nessuno aveva capito che, alla fine, la forza del M5S è proprio di essere soli, di restare quelli di sempre, di non cercare compromessi. Che strano destino gioca talvolta la politica!

Ma Renzi si è trovato contro pezzi del suo stesso partito, per i motivi più diversi. Qui sarebbe necessaria psicoterapia per comprendere i comportamenti di tanti dirigenti ed esponenti nazionali e locali del PD, ma la politica non si fa con procedure cliniche. In ogni caso, è davvero paradossale che chi governa non possa assumere decisioni, dopo discussioni defaticanti da parte di chi è abituato a non prendere una decisione perché non ha mai esercitato funzioni amministrative e di governo o di chi pensa che la propria posizione sia l’unica possibile per il bene dell’umanità. Non è il caso di D’Alema, Bersani, Bindi e tanti altri che hanno alle spalle una storia importante di atti coraggiosi e determinanti per la realtà del Paese, ma di tantissimi uomini di cultura e soggetti provenienti dalla società civile.

L’esito delle elezioni amministrative era incerto. La sfida di Roma, dopo i disastri degli ultimi dieci anni, era il più scontato. L’incapacità della destra di produrre una candidatura, ha reso possibile il ballottaggio tra uno smarrito solitario ma coraggioso Roberto Giachetti del PD e una pantera alla testa della orgogliosa e superba centuria assetata di successo nel nome dell’onestà e della giustizia. Così Virginia Raggi, giovane professionista romana, sicura di sé, volto fresco e pulito, circondata da migliaia di sostenitori, ha avuto facile gioco nel conquistare un risultato storico, in assoluto, prima donna sindaco di Roma. Nome significativo nella storia di Roma antica, peraltro! Immolata dal padre per non soccombere alle mire del re Appio Claudio, la giovinetta, a partire dal V secolo a.C., divenne il mito della donna romana casta e incorruttibile, sacrificata sull’altare della lotta alla tirannide e per la libertà della classe plebea assoggettata alle leggi dei decemveri. Virginia Raggi è stata votata dai giovani in tripudio e da oscuri borghesi, da impiegati artigiani e commercianti, da abitanti delle periferie e da intellettuali e uomini di cultura, da decine di migliaia di pensionati. Centinaia di migliaia di persone di ogni ceto e di ogni età non compiono una scelta così netta senza una ragione, lasciandosi guidare soltanto dall’emotività del momento.

Ma Torino? Cosa è successo a Piero Fassino per essere abbandonato dalla sua città che aveva ben amministrato, a vantaggio di una oscura signora, Chiara Appendino, gradevole nei modi e determinata nella volontà di successo? E in tanti altri comuni, piccoli e grandi? Un esempio per tutti: Genzano di Roma, inespugnabile roccaforte della sinistra storica. Un pugno di ragazzi ha mandato a casa blasonati dirigenti e amministratori che sono conosciuti per capacità e onestà. E che dire di Sesto Fiorentino? E di tanti altri centri…

Bisogna allora parlare di mutamento genetico nel Paese che la classe politica tradizionale non riesce più a interpretare e a trasformare in progetto di governo locale e nazionale. Nel nome del cambiamento radicale, non c’è dubbio, ha vinto il M5S. Per lo meno così è stato percepito dagli elettori, perché i programmi concreti e le azioni amministrative per porli in essere non si conoscono. Ma si tratta di cambiamento? E in quale direzione? Bisogna aspettare dunque, perché non c’è un programma definito, a cominciare da Roma, Torino e tante città dove è apparsa la meteora pentastellata. Forse è questa momentaneamente la forza del movimento, e quindi la caratteristica di quel mutamento antropologico di cui si parlava prima.

Chi sono questi ragazzi, facce pulite e oneste come ce ne sono tante nel Bel Paese, a parte qualche furbastro? Chi è Luigi di Maio, candidato premier alle prossime elezioni politiche? Chi è Alessandro Di Battista, detto Diba, ex cooperante in Africa e in America centrale? Chi li ha scelti alla testa del Movimento? Quale congresso è stato celebrato, quale areopago si è riunito per proclamarli? Ecco gli interrogativi che si pongono quanti sono abituati a guardare la politica con orizzonti rappresentativi. E soprattutto, a chi rispondono delle proprie azioni. Al popolo, recita il portale Rousseau della Casaleggio associati. E qui sta il salto di qualità: non contano più i partiti né le assemblee elettive e parlamentari. Ma che democrazia è questa, chiamata diretta come se l’Italia fosse l’Atene del VI secolo a.C.

Vedremo dove ci porteranno questi ragazzi, nostri figli e nipoti, forse incompresi fino ad oggi. Bisognerà dare fiducia, non tanto esercitando il ruolo pedagogico dei padri, ma quello del controllo autorevole dell’esperienza e della moralità.

E nella destra? E’ un pullulare impazzito. Silvio Berlusconi appare sempre più fuori gioco e quando si spende combina guai come a Roma. Il tentativo milanese di rilanciare l’aggregazione storica Forza Italia e Lega Nord è fallito. Matteo Salvini, terminator del nazionalismo popolare con frange della destra post-fascista, non appare credibile con proclami di manovrare ruspe contro campi rom e di affondare barconi carichi di profughi nel Mediterraneo. Può essere credibile questa destra? Ci aveva provato Stefano Parisi a Milano, nel costruire una proposta credibile, ma Giuseppe Sala lo ha sconfitto, probabilmente perché più credibile sul piano del pragmatismo post ideologico e della continuità amministrativa. Sala è apparso il cambiamento nella continuità, secondo una vecchia formula della Prima Repubblica. Probabilmente se fosse rimasto Giuliano Pisapia, che ha amministrato benissimo la città, sarebbe potuta insorgere qualche difficoltà, come successo a Torino. Ma non si ragiona sulle illazioni, ma sui fatti.

E i fatti dicono che il Paese ha bisogno di una destra democratica, liberale e culturalmente affidabile, moderna ed europea. Senza una destra che guardi all’orizzonte europeo, non soltanto non si costruisce il bipolarismo rivendicato da oltre venti anni, ma l’attuale tripolarismo rischia di portare all’ingovernabilità il Paese. Nel Mezzogiorno M5S non ha dato segnali di crescita poderosa, ma è pur sempre il terzo polo. Con la crisi della sinistra post comunista, identificata in SEL e fuoriusciti dal PD, è in atto un tentativo di mistificazione politica assai grave. Il PD è dipinto dai militanti della sinistra radicale come espressione della nuova destra italiana, quella delle lobby, dei poteri forti, degli interessi consolidati della finanza. E’ un’operazione pericolosa, intanto perché non è vero che questo è il PD né si appresta a divenirlo, poi perché irrobustisce la polemica nella sinistra storica, laica, socialista e cattolica che si ritrova nel PD. Nello stesso tempo non contribuisce a delimitare i confini tra orizzonti di destra e di sinistra, a tutto vantaggio di M5S che diguazza arditamente nelle acque di entrambi gli schieramenti.

Di conseguenza, il Partito democratico e Matteo Renzi restano ancora gli unici soggetti del rinnovamento noto e possibile. D’Alema, Bersani, Cuperlo, Speranza e molti altri dirigenti sono tentati, di fronte all’insuccesso elettorale innegabile del 19 giugno, di sferrare l’attacco contro il segretario, chiedendo magari di rinunciare al doppio ruolo, nominando un vicario. Il clima è arroventato. Le discussioni sono sempre positive in politica, purché non degenerino in rissa. C’è il rischio che la situazione possa sfuggire di mano. Il referendum costituzionale del prossimo ottobre è un appuntamento in cui il PD avrà tutti contro, compreso frange interne dello stesso partito. Ma dove si è visto mai che dirigenti di un partito si pongono pubblicamente contro il proprio partito? Eppure succede nel PD! Come fa la smarrita e sparuta dirigenza locale a raccogliere le forze e passare al contrattacco di tutti quelli che non vogliono cambiare nulla o vogliono cambiare perché nulla cambi sapendo che non possibile per mancanza di numeri parlamentari ? Si può tornare al partito che ha nel sindacato, nelle organizzazioni di massa, nelle associazioni professionali le storiche leniniste cinghie di trasmissione? Si rimprovera a Matteo Renzi di avere provocato la rottura dei rapporti con la CGIL e di avere seminato sfiducia e scontento tra le masse dei lavoratori. Ma non è un atto di responsabilità avere avuto il coraggio di rigettare diktat sindacali spesso perniciosi perché basati su difese corporative, quando non dettati da concezioni impossibili di politica industriale e sindacale?

In questi giorni si debbono compiere scelte importanti. Bisogna tenere saldi i nervi e dritta la barra. Evitando arroccamenti, permalosità, vanità personali. Tornare indietro sarebbe disastroso. Andare avanti senza una salda direzione di marcia, con lo Stato maggiore ben orientato, vuol dire evitare Caporetto. Il prossimo anno sarà il centenario della sciagurata disfatta provocata dall’inettitudine dei comandi militari guidati da Raffaele Cadorna. Bisogna evitare quel tragico errore. Riunire e rinnovare le leve di comando. E’ compito che spetta a Matteo Renzi ma anche a chi tiene a cuore le sorti del Partito Democratico e dell’Italia. E’ compito che spetta anche al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella vigilare perché le riforme possibili si compiano.

Può essere questa la strada per tornare alla politica riformista e al cambiamento per cui è nato il PD? Non esistono risposte semplici a problemi complessi. Ma nemmeno complicarsi la vita da soli è una risposta.

Agostino Bagnato

Roma, 21 giugno 2016

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