Continuano i bombardamenti russi sull'Ucraina. Anche Kiev colpita, colonne di auto in fuga dalla capitale. Il mondo intero col fiato sospeso.



La tragedia della guerra della Russia contro l’Ucraina
di Agostino Bagnato

Cronaca a caldo delle terribili vicende di guerra tra Russia e Ucraina. Come si è potuto arrivare a questa tragedia e perché non è stato possibile fermarla. La responsabilità è di tutti gli attori in campo, a cominciare dalla Russia che ha letteralmente aggredito sul piano militare il Paese vicino, considerato dallo stesso Putin “paese fratello”

L’inizio
22.02.2022 - Una data sul calendario considerata un palindromo. Ma è una data significativa che segnerà la storia dell’Europa.
Vladimir Vladimirovič Putin, presidente della Federazione Russa, ha rotto gli indugi e nella notte ha firmato a Mosca, nel palazzo del Cremlino l’Atto di riconoscimento dell’indipendenza delle due piccole repubbliche del Donbass e di Lugansk. Si tratta, com’è noto, di due territori nella parte sud orientale dell’ Ucraina, abitati prevalentemente da comunità di russi o russofone, autoproclamatesi indipendenti nel 2014. Gli scontri armati tra esercito ucraino e milizie separatiste hanno provocato ben 14.000 morti ed enormi distruzioni in poco meno di otto anni, accentuando il sentimento di ostilità da ambo le parti. Si tenga conto che si tratta di territori equivalenti all’Italia settentrionale, ricche di risorse naturali e strategiche per il controllo del mar d’Azov e per l’accesso al Mar nero e quindi per il traffico navale, civile commerciale e militare, verso il Mediterraneo.
Si tratta di un passo decisivo sulla strada dell’adesione e dell’annessione alla Federazione Russa, ripetendo il modulo a suo tempo per la Crimea. Al momento non si conosce il livello della reazione ucraina, ma sicuramente Kiev non potrà assistere all’operazione politica cui seguirà quella militare russa per la difesa delle decisioni prese, di fronte all’eventuali legittime reazioni militari ucraine. Stati Uniti ed Unione Europea stanno reagendo alla loro maniera: adottando sanzioni economiche di valore strategico alla Russia, con la fornitura di armi al governo di Kiev e con il rafforzamento dello schieramento Nato, a cominciare dall’invio di truppe in Polonia e nelle Repubbliche baltiche. Sullo sfondo resta sempre l’adesione dell’Ucraina alla Nato, per la quale spinge l’attuale governo di Kiev, l’Unione Europea e gli Stati Uniti. La Russia si troverebbe un fronte ostile di migliaia di chilometri, dal Baltico al Mar nero, che spaventerebbe qualsiasi governante di quell’immenso Paese. Si ripeterebbe lo scenario che portò al Patto Ribbentrop-Molotov tra le Germania nazista e l’Unione sovietica, che nelle intenzioni di Stalin doveva fermare l’espansione tedesca verso est. Errore fatale, come hanno dimostrato gli eventi successivi che hanno portato alla Seconda guerra mondiale.
Tornando al quadro politico e militare odierno, la prospettiva di avere missili a testata nucleare a cinquecento chilometri da Mosca non può che spaventare ogni cittadino russo. Putin chiede un trattato sottoscritto dalle parti in causa che l’Ucraina non farà mai parte della Nato, alleanza militare nata nel 1949 con scopi difensivi, dopo il colpo di stato comunista in Cecoslovacchia. L’Europa era divisa in due blocchi, come deciso nella Conferenza di Jalta nel febbraio del 1945 tra Roosevelt, Churchill, Stalin: la parte occidentale sotto l’influenza americana e quella orientale dominata dall’Unione sovietica. Il Patto di Varsavia doveva garantire la difesa dei paesi comunisti, il Patto Atlantico e la sua struttura militare denominata NATO a presidio dei paesi democratici. ll Patto di Varsavia si è andato trasformando in struttura d’intervento oppressiva contro i popoli dell’Europa dell’Est, dalla repressione della rivolta ungherese nel 1956 a quella della Cecoslovacchia nel 1968. La NATO con il tempo è andata trasformandosi in struttura di dissuasione in presenza di confitti regionali e locali, anche lontani dall’Europa, spesso svolgendo funzioni di peacekeeping oltre che d’intervento militare come nei territori dell’ex Jugoslavia. Ma resta sempre una struttura militare all’interno dell’Alleanza Atlantica, il cui perno continuano ad essere gli Stati Uniti d’America.
Che succederà nelle prossime settimane? Putin si fermerà a Lugansk e Donec, o cercherà di conquistare e piegare la Piccola Russia, Malaja Rossija come veniva chiamata in segno di rispetto e di onore, al tempo dello zar Nicola I? Tutto dipenderà dal comportamento degli Stati Uniti più che dell’Unione Europea. Gli Usa non hanno nulla da perdere, se non sul piano del prestigio politico, mentre l’Unione Europea, a cominciare dall’Italia, dovrà affrontare le conseguenze delle pesanti sanzioni imposte alla Russia.
Qualcuno si domanda ingenuamente dove sia l’ONU in tutta questa partita, dimenticando che la Russia è uno dei cinque paesi cha ha diritto di veto su tutte le deliberazioni del Consiglio di Sicurezza. Come potrà mai la Russia votare contro se stessa? Intanto, l’Unione Europea ha adottato le prime misure sul piano delle sanzioni, partendo dal blocco e dal sequestro dei principali beni sensibili della Russia sul proprio territorio, compreso i beni personali di Putin e della Nomenklatura; lo stesso hanno deciso l’Inghilterra e gli Stati Uniti.
Le sanzioni riguardano molte attività commerciali, compreso materie prime fondamentali per l’industria agro-alimentare, mentre sul piano energetico è stato escluso momentaneamente il gas. L’Italia e l’Europa potranno resistere per qualche tempo, anche se il gasdotto denominato North Stream 2 che porta il gas alla Germania è stato chiuso, su decisione del governo tedesco. Ma è ancora presto per capire come andrà a finire. Se l’Ucraina cercherà di riconquistare con le armi le due piccole repubbliche separatiste, la risposta di Mosca sarà l’ulteriore allargamento del conflitto, probabilmente non soltanto per difendere Lugansk e Donec.

L’AGGRESSIONE MILITARE ALL’UCRAINA
Si parla molto di ragioni storiche in questo conflitto, soprattutto da parte dei russi. Recentemente Vladimir Putin si è rivolto alla nazione, dilungandosi in una vera e propria lezione di storia, ripercorrendo le tappe dell’unione alla Russia dei territori abitati dai cosacchi del Cosacchi del Don, dei Tatari del sud e delle popolazioni originarie della Volinia e della Galizia che sono state aggregate al nucleo originario delle “Terre di Confine” (U kraj) man mano che venivano sottratte all’Impero ottomano, alla Polonia e all’Impero Austro-ungarico. Ha parlato alla Russia, ma anche e soprattutto all’Occidente. Lo ha fatto con alcune forzature storiche, risalendo al trattato di Pereyslav del 1653 con cui l’hataman Bogdan Chmelnickij chiedeva alla zar di proteggere quei territori dalle mire espansive di Polonia e Svezia, ma raccontando i fatti per come si sono svolti. Lo zar andò oltre la semplice protezione e considerò il trattato come vera e propria annessione al nascente Impero russo, dopo la tragiche vicende seguite alla morte di Boris Godunov e al “periodo dei torbidi” (Smuktinoe vremja) d’infausta memoria, con l’elezione a zar del giovane Michail Fëdororič Romanov nel 1613.
Non c’è russo che non ricordi l’ingresso dei polacchi a Mosca sotto la guida del falso Dmitrij e la rivolta popolare russa per la loro cacciata guidata dal fabbro Minin e dal principe Požarskij, celebrati dal grande monumento a Mosca sulla Piazza rossa ai piedi della cattedrale di S. Basilio. Putin ha voluto fare leva sul sentimento patriotico, nazionalistico e l’ortodossia cristiana del popolo russo, che, com’è noto, è fatto di molte nazionalità e di religioni diverse. Lo aveva fatto lo zar Alessandro I per combattere Napoleone nel 1812, lo ha fatto Iosif Stalin per respingere l’aggressione nazifascista del 1941. Ha sottolineato con forza che si tratta di un popolo, quello russo e quello ucraino, che hanno le stesse origini, dalla razza slava alla lingua, identica religione cristiana tra ortodossi e uniati, cultura e tradizioni analoghe. Questi due popoli sono stati insieme per quasi quattrocento anni e non si comprende perché debbano separarsi in modo così irrimediabile. Ha dato la colpa ai nazionalisti e ai gruppi neonazisti che hanno profondamente influenzato la politica ucraina dopo l’indipendenza in seguito al crollo dell’Unione sovietica, ma anche per i gravi errori commessi dai dirigenti ucraini sostenuti dalla Russia, fino alla cacciata del presidente Viktor Janukovič dopo le rivolte di Piazza Majdan a Kiev. Ha così giustificato la lotta degli indipendentisti del Donbass e di Lugansk, oltre all’annessione della Crimea nel 2014.


Nel web si trovano immagini – non si sa quanto attuali – di brigate paramilitari ucraine che si fregiano anche della bandiera nazista

Ma l’aspetto che più ha spinto Vladimir Putin a scatenare l’aggressione militare è stata l’insistenza di Kiev di aderire alla NATO, accanto alla petulante richiesta delle nazioni vicine di dotarsi di armi sempre più sofisticate, sostenute in questo dall’America e da settori dell’Unione Europea. Questa circostanza ha finito con convincere Putin che non bastasse più l’indipendenza delle due repubbliche del Don, ma fosse necessario “smilitarizzare e de-nazificare l’Ucraina”, parole chiare e ferme di Putin nel suo discorso successivo. Non trovando risposte convincenti, né disponibilità da parte ucraina e occidentale, ha avuto facile gioco a utilizzare l’imponente dispositivo militare mobilitato per false esercitazioni su tre fronti, Mar Nero, territori occidentali della Russia a confine con l’Ucraina, Bielorussia. La notte del 21 febbraio è così scattata l’offensiva. Un atto criminale, è stato definito. Ed è giusto, perché aggredire un popolo e una nazione rappresenta sempre una gravissima violazione del diritto internazionale.
Ma l’aspetto che la Russia non ha sufficientemente valutato, probabilmente per insufficiente comprensione dell’umore della popolazione ucraina, è stata la reazione della popolazione, la resistenza dell’esercito equipaggiato in gran parte dall’Occidente, la decisione di combattere dei cittadini, uomini e donne, contro l’invasore “fratello”!
Anche la popolazione di origine russa ha reagito con senso patriottico. Una situazione inaspettata. Putin ha fatto appello all’Esercito ucraino perché deponesse Volodymir Zelenski, presidente dell’Ucraina, prendesse il potere mediante un colpo di stato, accettasse il cessate il fuoco e avviasse immediate trattative di pace, nella direzione indicata dalla Russia. Ma la risposta è stata data dallo stesso Zelenski mediante un discorso rivolto alla nazione, con il quale invitava il popolo a resistere e combattere. Egli stesso si è presentato con il mitragliatore Kalašnikov in braccio. La popolazione non è entrata nel panico e in questi cinque giorni dal momento dell’aggressione sta reagendo coraggiosamente. Questa situazione, al di là dell’eroismo del popolo ucraino, rischia di dare alla guerra un’accelerazione terribile, con l’impiego di mezzi militari ancora più potenti da parte dell’Armata Rossa, compreso bombardamenti a tappeto sulle città. Sarebbe un crimine orrendo e un massacro inaudito.
Lo stesso Vladimir Putin se ne rende perfettamente conto ed ha insistito per trattative immediate. Ha alzato l’allarme mettendo in moto il sistema di deterrenza nucleare. Parole che hanno gettato nell’angoscia il mondo!
Ma uno spiraglio di trattativa si è così aperto.

LUNEDI’ 28 FEBBRAIO 2022
Il presidente Volodymir Zelenski ha rifiutato un incontro tra la delegazione ucraina e quella russa in Bielorussia, accusando Aleksandr Lukašenko di essere complice di Putin, ma ha confermato la disponibilità a prendere parte a incontri su territori neutrali. Alla fine è stato proposto un luogo a confine tra la Bielorussia e la Polonia, scegliendo la cittadina di Gomel in territorio bielorusso.


Zelensky, da comico a presidente dell’Ucraina in guerra

É una svolta? Non si può ancora dire, ma è pur sempre un segnale della grande preoccupazione di una parte e dell’altra. Non si conosce ancora il livello delle rispettive delegazioni, il mandato che ciascuna ha avuto per trattare, se prevarrà la ragionevolezza oppure il risentimento prenderà il sopravvento. Il mondo intero guarda con il fiato sospeso a questa cittadina sperduta nell’immensa pianura che segna il confine tra due mondi contrapposti, probabilmente al di là della stessa volontà dei contendenti. Ma come si può pensare che la Russia possa accettare di essere circondata da basi militari della NATO dotate di missili a testata nucleare, e come si può immaginare di vivere sogni tranquilli nella globalizzazione dell’economia e dell’interscambio commerciale, dove la vita di ciascuno dipende da quella dell’altro? La chiusura dello spazio aereo dell’Unione Europea e di quello della Russia creerà nelle prossime ore situazioni di vera e propria angoscia per milioni di persone che non potranno più spostarsi. Per quanto si potrà continuare frapponendo barriere insormontabili tra popoli e nazioni! Ha ragione papa Francesco nel suo appello di domenica 27 febbraio, accorato e disperato, alla pace e alla trattativa: a soffrire sono già i più deboli, a cominciare dai bambini.
No, non può vincere la guerra. Lo ha capito bene la comunità internazionale, a cominciare da quella italiana, che si è stretta in segno di solidarietà con il popolo ucraino. Ma nello stesso tempo si levano voci che invitano a riflettere sulle ragioni del popolo russo. Sono stati ricordati i gravi errori dell’Occidente per avere isolato la Russia sul piano internazionale, escludendola del G7 a cui era stata ammessa al tempo di Boris Elcyn, umiliandola in ogni modo. Questo isolamento ha alimentato il senso di accerchiamento, vissuto come una minaccia. L’orso russo non è rimasto rintanato nella foresta ma si è affacciato nel villaggio! Putin ha così cominciato a reagire, prima con le parole e poi con i fatti. Si è così riacceso un sentimento di ostilità verso la Russia che non si vedeva dal tempo del comunismo, a causa della scarsa informazione sulla realtà della stessa Russia e sulla sua volontà pacifista.
A questo punto si può affermare che Putin ha fatto male i conti ed ha sbagliato strategia. Pensava in una guerra-lampo e invece deve fare i conti con il patriottismo del popolo ucraino che sta combattendo a fianco dell’esercito una vera guerra di resistenza all’invasore e poi combatterà quella per la completa liberazione del suo territorio. Anche la popolazione di origine russa è contraria all’occupazione militare e manifesta tutta la sua ostilità. In questo modo Putin ha ottenuto esattamente il contrario di quello che sperava.
Chotjat lì russkie vojny? (I russi vogliono la guerra?, inteso in senso negativo) si cantava a voce spiegata negli anni Sessanta sui celebri versi di Evgenij Evtušenko. Quel sentimento, per chi conosce la Russia, è ancora molto forte. É vero, sono scesi in piazza in molte città russe pacifisti e dissidenti, chiedendo la cessazione delle ostilità, ottenendo come risposta la reazione delle forze di polizia che accusano i manifestanti di disfattismo e di mancanza di spirito patriottico. E questi sono aspetti del regime imposto da Putin che allontanano la volontà di comprensione delle difficoltà di quel popolo, finendo con alimentare spinte nazionaliste e antidemocratiche.
Ecco! L’auspicio è che si possa arrivare rapidamente a ricomporre le ostilità, riparare gli enormi danni materiali e morali, ricostruire quella fratellanza che tra alti e bassi è prevalsa nel corso dei secoli, ritornare a considerare l’Europa un territorio sempre più vasto per la storia millenaria di quei territori, Sarmatia e Scizia, a cui Greci e Romani guardavano con rispetto e timore e che non hanno mai tentato di conquistare. Solo così sarà possibile ricostruire un mondo vivibile, se non migliore. Non sarà facile, ma questa è la strada su cui incamminarsi con il cuore e la ragione.
Roma, 27 febbraio 2022


Marco Varriale,
No alla guerra, tecnica mista, marzo 2022

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