di Antonfranco Tamasco
Se in una accezione ampia, la più ampia possibile, (quella che include tutti gli umani), ogni guerra è di per se fratricida, forse mai come in questo caso, quello della attuale guerra tra Russia ed Ucraina, il termine fratricida sembra essere quasi riduttivo: qui abbiamo un matricidio (guardando alle origini della Russia stessa che nasce proprio dalla Rus’ di Kiev) e un parricidio se guardiamo al ruolo dell’Urss di Lenin nei confronti dell’Ucraina. Provate a chiedere, scoprirete che una moltitudine di russi hanno parenti in Ucraina e che tantissimi ucraini considerano la Russia proprio come una estensione della propria terra. Quanti giovani da quelle parti sono figli di padri russi e madri ucraine o viceversa? Ancor di più dunque appare assurdo quasi inspiegabile ciò che sta accadendo in queste settimane. Se usiamo dunque le categorie che il barbone di Treviri definiva sovrastrutture, ossia se proviamo ad usare la cultura, la tradizione; la religione, la psicologia, i sentimenti, davvero non riusciremo a spiegarci nulla di questa come di tante altre vicende.
La panzana che va per la maggiore è che un “folle” (l’ennesimo folle della storia) “agitato per la sua sicurezza e condizionato dall’uso di cortisonici che causano impeti d’ira”, avrebbe invaso un paese, l’Ucraina che, in odor di santità andava costruendo la sua nuova identità democratica, europea ed atlantista. Se provassimo a ricostruire la storia, ad ogni suo svolto importante, utilizzando di questo genere di metri saremmo giunti alla conclusione che in fondo, il povero Adolf Hitler, picchiato e vessato dai genitori fin da piccolo, ha finito per sviluppare un carattere aggressivo e paranoico che prendendo di mira la razza ebraica ha poi combinato il casino che sappiamo. Non c’è più uno storico che abbia più il fegato di spiegare così la seconda guerra mondiale!
In questi giorni la povera professoressa Di Cesare, filosofa, è presa di mira perché rifiuta di schierarsi e afferma che la politica non può abdicare alla guerra. Questo sembra un affronto al dolore, l’atrocità delle conseguenza di questa ennesima guerra. Propone il pensiero contro l’istintuale reazione, la pace, al posto degli aiuti militari e quindi della guerra. Una risposta semplicistica e di principio? Un insensibile badare al privilegio di noi europei che non vogliamo trovarci coinvolti in una guerra? Indubbiamente, noi, l’occidente, Europa ed America siamo dei privilegiati, su questo non v’è dubbio. Il livello di vita medio dalle nostre parti non è nemmeno lontanamente paragonabile al livello di vita delle masse asiatiche, africane, sud-americane e finanche alle popolazioni della Russia più profonda. Diciamocelo, l’ordine mondiale scaturito dalla fine della seconda guerra mondiale ha riservato a tutto l’Occidente settantaquattro anni di vantaggi rispetto al resto del pianeta. Ma se fosse proprio questa condizione di privilegio ad essere chiamata in causa in questo svolto di storia?
Ritornando all’Ucraina cieco chi non vede che ancora una volta sono le condizioni economiche ad aver generato questo vero e proprio macello: le popolazioni del sud-est del paese, del tanto famoso Donbass attratte dalle sirene delle possibilità di legarsi al carro dell’economia legata all’estrazione di gas e petrolio russo si sentono più vicine al gigante vicino di casa, così come le popolazioni del nord-ovest del paese, infeudate da modelli e stili di vita occidentali vedono nel capitale finanziario del nord del mondo la rinascita di una nuova identità. In epoca di vacche grasse il sistema economico mondiale, il capitalismo, ha potuto tollerare aree che si sottraevano alla sua influenza in mercati paralleli (si pensi all’esperienza dell’Unione Sovietica), ma dalla fine della fase propulsiva post seconda guerra mondiale è iniziato un lento ma inesorabile cammino a cercare di controllare direttamente fonti di approvvigionamento energetico senza che si potesse dare più spazio ai “ricatti” di sistemi alternativi. Se in barba agli accordi del 1991 tra Nato e Russia che prevedevano la non proliferazione di basi Nato nei paesi dell’ex Patto di Varsavia si sono viceversa moltiplicate le adesioni all’alleanza atlantica proprio in quell’area (Lituania, Polonia, Romania, etc.) questo non è dipeso da distrazione del gigantesco “orso russo” ma da rapporti di forza che via via hanno imposto stati di fatto; rapporti di forza nella direzione inesorabile di condizionare i detentori di gran parte delle materie prime mondiali. Ma la crisi del sistema globale, aggravata senza ombra di dubbio dalla pandemia, ha generato tali conseguenze sul piano economico e soprattutto sociale che quella che sembrava la progressiva ed inesorabile avanzata di gusti, abitudini, costumi occidentali ha subito un violento stop. La presa di posizione di Kirill, pope ortodosso russo, che ha fatto quasi sorridere nel suo contenuto che appariva agli occhi di noi occidentali come una attardata posizione retrogada sulle diversità di genere, in realtà ha espresso un sentito molto profondo e che non riguarda solo la Russia ma la stragrande maggioranza delle popolazioni che ai privilegi dell’occidente hanno guardato si come a un mito, ma che oggi, dinanzi alla impossibilità di ottenerne, si raccolgono attorno alla propria “diversità”. Chi sostiene che siamo allo scontro di due civiltà il più delle volte fa parte della schiera dei guerrafondai che chiamano alla difesa della propria, di civiltà, ma un fondo di verità relativo alle condizioni economiche dalle quali discendono anche i privilegi della “democrazia” (sempre più formale) e avanzatezza di vedute (forse troppo, avanzate), c’è.
Ci viene ad ogni piè sospinto richiesto di schierarci. Le immagini della guerra non possono lasciare indifferenti e questo viene usato per chiamarci a seguire i destini, fossero anche di guerra, a cui i governi occidentali (certo impauriti) non possono non guardare, ma soprattutto a far digerire le misure di “lacrime e sangue” che la guerra (lontana o vicina) sono prossimi a varare. Così come in Russia, i bavagli da mettere al dissenso hanno la funzione di preparare non solo a questa di guerra, ma soprattutto a scenari di politica interna e condizioni sociali destinate a cambiare in peggio.
E dunque? Rimanere impassibili spettatori senza sporcarci le mani?
Al contrario, le mani si dovranno sporcare. SI dovranno sporcare per una lotta diversa, la lotta di ognuno verso i propri governi, la lotta a non permettere il sacrificio di carne e sangue che nella guerra non fanno né gli oligarchi né doppiopettisti di casa nostra, ma i lavoratori, gli sfruttati.
Non esiste alcuno scenario migliore restando legati al carro dei governi d’America o di Cina, di Russia o d’Europa, Africani o medio-orientali nella crisi economica globale: le guerre e il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro sono certi.
Oggi e non domani deve riprendere una mobilitazione forte in ognuno dei paesi coinvolti, per la difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro, contro i sacrifici giustificati dalla guerra perché noi, siamo per la pace.
Roma, 18 marzo 2022
Tonja Kucek - Lottare per la pace è utile?, 2022, vernice e spray su muro