Si può tracciare un solco nella storia per trovare radici e valori comuni e non per dividere e riaprire piaghe antiche? Si può e si deve, se la storia ha insegnato qualcosa agli uomini in questi ultimi tre millenni. La cultura, il patrimonio spirituale, la bellezza del territorio, il carattere degli umani sono le liane che avviluppano lo sforzo della conoscenza, della comprensione, della tolleranza e della pace

di
Agostino Bagnato

Massimo Luccioli, Europa, 2004, ceramica smaltata, 30x15x3

Europa
[
] ci sarà un altro giorno,
uguale agli altri,
perché non ti inabissi, cara Europa,
nel Gran Mare che un tempo percorresti
in lungo e in largo, in cerca di assoluto?
La donna non sei più che rapì Zeus,
e dall’Africa nera la portò
al chiaro fuoco dell’Egeo, alla vita
delle Idee,
a dire il Bello nella sua interezza.
Rassegnati alla tua mediocrità.
E deponi l’Oltranza.
Accetta la miseria in cui ti trovi.
– Vincenzo Loriga - 2004

Russia
Di nuovo come negli anni d’oro
strisciano tra logore imbrache
e si impantanano  raggi dipinti delle ruote
nei solchi sgangherati…
Russia, misera Russia,
per me le tue grigie capanne,
per me le tue canzoni al vento, -
come le prime lacrime d’amore!
Io non so compatirti,
e porto cautamente la mia croce…
Concedi la bellezza brigantesca
allo stregone che più ti piace!
Che egli ti alletti e t’inganni, -
non ti perderai, non perirai
e solo l’apprensione annebbierà
le tue bellissime fattezze…
Ebbene? Per un affanno di più,
per una lacrima il fiume è più fragoroso,
ma tu sei sempre la stessa: foresta e campo,
e fazzoletto rabescato fin sopra le ciglia…
E l’impossibile è possibile,
la lunga strada è lieve,
quando sfolgora nella tua lontananza
uno sguardo improvviso di sotto il fazzoletto,
quando risuona con angoscia di carcere
il sordo canto del postiglione…
Aleksandr Blok - 18 ottobre 1908

ЗАПОВІТ
Як умру, то поховайте
Мене на могилі,
Серед степу широкого,
На Вкраїні милій,
Щоб лани широкополі,
І Дніпро, і кручі
Було видно, було чути,
Як реве ревучий.
Як понесе з України
У синєє море
Кров ворожу...
– Тарас Григорович Шевченко

Zapovit (Il testamento)
Quando morirò, mi interrino

Sull'alta collina
Fra la steppa della mia
Bella Ucraina.
Che si vedano i campi,
Il Dniepr con le rive,
Che si oda il muggito
Del fiume stizzito.
Quando porterà il fiume
Al mare azzurro
Il sangue nero,
Lascerò allor la tomba
Ed andrò da Dio
Per pregare…
– Taras Grigorovič Ševčenko - 1860

 

IL PESO DELLA STORIA
Dove comincia l’Europa e dove finisce? Nell’antichità classica, quando i continenti non erano stati ancora compiutamente definiti anche nel nome, già si era posto il problema. Erodoto, Aristotele, Strabone e Dionigi di Alicarnasso non lo avevano risolto. Si pensava che l’Europa finisse sulle rive del Danubio, Danoia per le popolazioni locali, prima ancora Istros (Ἴστρος) per i Greci, Ister e poi Danubius per i Romani e i Bizantini, oltre il quale si distendevano le immense pianure della Sarmatia e della Scitia. Sono le terre che avrebbero ospitato varie popolazioni di origine germanica e variaga. Queste ultime, discendendo dalle lande scandinave in tempi diversi sulle immense pianure solcate da fiumi e interrotte da grandi laghi, trovarono il modo di stabilirsi su quelle terre che da nord a sud giungevano ai confini con il mondo bizantino e persiano. Attraverso le družiny, gruppi di guerrieri, cavalieri e combattenti al servizio di un capo, dettero carattere stanziale alla propria conquista, adoperandosi principalmente in attività commerciali, sfruttando la navigabilità dei fiumi, il più importante dei quali era il Dnepr. Tra leggende pagane, saghe guerriere e storie di eroismo, avrebbero dato origine alla Rus’, antico insediamento di popolazioni miste composto in prevalenza da Sclavi, ovvero più precisamente Slavi, e poi da goti, polocki, turcomanni, kazari e azeri. Quelle popolazioni vivevano di caccia, pesca, agricoltura, allevamenti equini ed ovini, nonché della lavorazione di pellami e cuoio.  La città più importante si trovava su una altura del fiume Dnepr, chiamata Kiev, ed era il naturale transito e sbocco commerciale tra le zone settentrionali e centrali verso la Tauride e Costantinopoli. La fusione tra queste popolazioni è andata avanti per secoli, rafforzata dalla conversione al Cristianesimo, avvenuta a Cherson nel 988 circa, conseguenza del matrimonio del Granprincipe Vladimir I il Grande con Anna Porfirogeneta, sorella del basileus bizantino. Una grande statua, eretta nel 1853 proprio sul Dnepr, celebra Vladimir il Grande e rappresenta una sorta di biglietto da visita per chi giunge a Kiev lungo il fiume. Il cristianesimo si sarebbe rapidamente diffuso sulle terre occidentali, mentre su quelle più a oriente avrebbe prevalso la crescente conquista musulmana.

La definizione di confini certi tra le diverse popolazioni non è stata mai completata, trattandosi di popolazioni nomadi, abituate a insediamenti precari. Quei territori erano stati teatro della lunga migrazione gota verso occidente, vivendo di scorrerie, razzie e conquiste violente. La meta finale era Roma, le cui ricchezze favolose davano slancio e coraggio ai guerrieri e alle loro famiglie. La marcia è durata secoli, ma queste popolazioni non hanno lasciato tracce durature nella romanità occidentale, fino al sopraggiungere dei Longobardi e poi dei Franchi. A est lo spopolamento era in parte colmato da popolazioni nomadi provenienti dalla Scandinavia e dall’immenso bacino caucasico. Nel territorio dei due mari oltre l’Ellesponto si addensò una popolazione che divenne stanziale, dedita all’allevamento dei cavalli e delle pecore e alla caccia. Presero nome Cosacchi, Kazaki, parola turcofona che vuol dire “libero”, “nomade”.  Il centro abitato più importante era Zaparože, topos della letteratura russo-ucraina di ogni epoca. Oggi corrisponde alla città di Zaporišča. I cosacchi più celebri erano proprio quelli provenienti da quella città e venivano chiamati zaparožcy.

Intanto, la Rus’ cristiana espandeva la sua influenza su territori sempre più vasti, contribuendo a definire nuove aree di potere nella lotta contro gli invasori mongoli che, a partire dall’ultima metà del XIII secolo presero a devastare le terre della Rus’ e delle popolazioni vicine, giungendo alle porte di Costantinopoli. Kiev venne saccheggiata e incendiata nel 1242, al pari di tante altre città della Rus’. Vennero saccheggiate e distrutte Vladimir, Suzdal, Kostroma, Rostov Velikij, Jaroslavl’. Ma queste stesse città già prima dell’invasione mongola e poi la stessa Mosca diedero vita a governi autonomi, quasi volessero imitare l’esperienza italiana dei Comuni e delle Signorie, quella dei polacchi basata sul Voivodato o germanici attraverso Margravi, Langravi e Borgomastri. La città mercantile di Novgorod, sorta sul lago Ladoga, in futuro governata da una oligarchia repubblicana, si sviluppò rapidamente ed assunse un ruolo sempre più importante sull’immenso territorio abitato dagli Slavi orientali. Il principe Oleg compì un abile colpo di mano nell’anno 882 impadronendosi di Kiev con l’inganno e unì i due stati, creando un unico Granducato. Ma dopo l’anno Mille iniziò un lento processo di riorganizzazione dello Stato unitario. Sorsero ben presto i principati di Suzdal, Vladimir, Pereslav Zalevskij e di Mosca. Novgorod si staccò ben presto da Kiev e diede vita alla prima esperienza di una repubblica oligarchica, capace di mantenere la propria autonomia fino alla conquista e alla devastazione di Ivan il Terribile. Ma queste entità statuali non riuscirono inizialmente a contrastare i Tatari, salvo iniziare una lenta e dura campagna di liberazione e riconquista dei territori durata circa duecento anni. ma una nuova realtà si affermava nell’area centrale, quella di Mosca, guidata da condottieri capaci e intraprendenti, discendenti dal capostipite, il  variago Rjurik e dal fondatore della città dal Cremlino più bello di tutte le altre città, belokamennyj moskovskij Kreml’, «Il Cremlino di Mosca di pietra bianca», meraviglia architettonica delle maestranze italiane. La lotta tra i principati e i ducati avrebbe visto la supremazia del Granducato di Moscovia che sarebbe riuscito a conquistare anche Novgorod e Pskov, aprendosi la strada verso le coste del Mar Baltico. Ivan IV il Terribile sarebbe riuscito a respingere i Tartari del Volga, conquistando Kazan’ e puntando a consolidare il potere a settentrione, in vista del dominio del Mar Baltico strappato ai Cavalieri Teutonici. Kiev subiva un lento processo di decadenza, a causa di contrasti tra le diverse popolazioni e le continue ingerenze esterne, dai polacchi e agli svedesi, dai danesi ai bulgari e ai daci. I cosacchi erano i più bellicosi difensori dell’autorità e dell’autonomia di Kiev, ma le continue ribellioni a cominciare dal cosacchi del Don, portò alla richiesta di aiuto e protezione alla Russia, conclusa da trattato di Perejslav, sottoscritto nel  1654 tra l’hataman Bogdan Chmelnickij e lo zar di Russia Aleksej Michailovič Romanov. Il trattato non fu rigorosamente rispettato, principalmente da parte dello zar che ha negato la richiesta dei cosacchi di una maggiore autonomia, cui hanno corrisposto rivolte e scorrerie da parte di questa popolazione fiera e indomabile. La letteratura russa è piena di rievocazioni di queste vicende, a cominciare da Aleksandr Puškin, Nikolaj Gogol’, Michail Lermontov, Lev Tolstoj, fino a Michail Šolochov e Isaak Babel’nel XX secolo.   

UNA STORIA COMUNE
Trecento anni di storia comune non si cancellano in poco tempo. Molti cosacchi si sono ribellati all’autorità di Mosca, espressa attraverso la figura del Governatore, figura normalmente scelta di comune accordo. Il più celebre hataman che ha tradito il patto di fedeltà è certamente Ivan Stepanovič Mazepa, che nel   ha combattuto con gli Svedesi contro Pietro il Grande. La battaglia di Poltava nel 1709 vide la vittoria dello zar e Mazepa fu costretto alla fuga unitamente al re di Svezia. Fu accolto dal Sultano, trovando la morte poco tempo dopo. Mazepa è considerato un eroe dai cosacchi zaparožcy e oggi è diventato un simbolo della lotta per l’indipendenza dell’Ucraina e per la sua libertà.  La sua figura è stata celebrata da scrittori come Voltaire che per primo narrò la sua giovinezza,  poeti come Victor Hugo e Lord Byron, da musicisti come Franz Liszt e Pëtr Il’ič Čajkovskij, da pittori come Théodore Géricault. Anche Aleksandr Puškin menziona Mazepa nel suo celebre poema Poltava. Altre figure storiche sono state Stepan Razin, meglio conosciuto come Sten’ka Timofeevič Razin e Emeljan Ivanovič Pugačëv, entrambi di origine cosacca e protagoniste di rivolte domate nel sangue, entrate nella leggenda. Puškin inserisce la figura di Pugačëv nel romanzo Kapitanskaja dočka, La figlia del capitano, che ogni russo ha letto e riletto.  In questo caso non si tratta direttamente di coinvolgimento di popolazioni residenti nell’attuale Ucraina, ma sono ricordate per tenere presente la turbolenza dei tempi e dei rapporti tra i diversi territori e il potere centrale, ovvero lo zar di tutte le Russie.

Altra figura celebre nella storia dei cosacchi è Taras Bul’ba, hataman celebrato da Nikolaj Vasilevič Gogol’, il grande scrittore di origine ucraina, protagonista assoluto della narrativa russa. La sua Storia dell’Ucraina non fu mai completata e venne trasformata nel racconto che reca come titolo il nome del comandante cosacco. Strenuo combattente e difensore dell’indipendenza delle popolazioni del Don, combatté aspramente i Polacchi a Dubno,  uccise il figlio Andrej perché aveva disertato e tradito la causa per sposare una nobile polacca e poi egli stesso, catturato dai polacchi fu a sua volta giustiziato a Cracovia, straziato e arso legato ad un albero. Taras Bul’ba è l’eroe eponimo, immortalato da opere musicali come il poema omonimo di Leoš Janaček e opere cinematografiche nel XX secolo. Bisogna considerare che sul piano storico le figure dei cosacchi hanno un ruolo determinante nella conquista delle terre meridionali sottratte alla dominazione ottomana degli zar nel corso di circa trecento anni. Un ritratto indimenticabile delle usanze, dei costumi e delle tradizioni hanno fornito Aleksandr Puškin, Michail Lermontov e Lev Tolstoj, mentre nel Novecento si sono distinti Michail Šolochov e Isaak Babel’.   

Dopo la sconfitta di Napoleone Bonaparte nel 1812 e l’annientamento della Grande Armée nella battaglia della Berezina, l’Impero russo fu strutturato in tre grandi aree: Grande Russia, Russia Bianca ovvero l’attuale Bielorussia e Piccola Russia, corrispondente alla parte orientale dell’attuale Ucraina. Si trattò di una scelta saggia di Nicola I e rafforzata da Alessandro II, proprio per potenziare sempre più strettamente i legami tra i differenti territori. Il russo era la lingua amministrativa, ma ogni nazionalità conservava il proprio idioma e la cultura popolare veniva rispettata, studiata e divulgata. Tuttavia, bisogna ricordare che la politica zarista ostacolò la difesa della lingua originale, facendo del russo la lingua ufficiale, da impiegare in ogni attività pubblica, amministrativa e commerciale.  A Charchov, l’attuale Charkiv, sorse la prima Università ucraina, seguita da quella di Kiev che successivamente fu intitolata al poeta nazionale ucraino Taras Grigorovič Ševčenko, Taras Hryhorovyč Ševčenko nella versione ucraina, che con la poetessa Lesja Ukrainka, rappresenta la più alta espressione della cultura di quel popolo.

Immenso serbatoio agricolo dell’Impero, nella seconda metà del XX secolo ha visto un rapido sviluppo nella parte meridionale, grazie ai porti marittimi di Odessa sul mar Nero e di Feodosija, mentre Sebastopoli diventava la più importante base navale della Russia zarista. Sul mare d’Azov, in terra abitata da cosacchi, è stata fondata nel 1778 con il nome di Pavlovsk, l’attuale Marijupol’, la città martire di questa cruenta guerra fratricida. Al centro di un vasto bacino minerario, vide un rapido sviluppo economico come porto commerciale prevalentemente gestito da mercanti greci. Bisogna ricordare che la Repubblica marinara di Genova  possedeva un fondaco nell’antica città di Caffa, l’attuale Feodosija, proprio sul mar Nero, nella parte meridionale della Crimea. Centro operativo fin dalla più remota antichità per l’importanza sulla via dei traffici commerciali tra le potenze mediterranee e i Chanati mediorientali, è oggi uno snodo importante per il controllo del mar Nero. Più a sud sorgevano città di origine cosacca ma prevalentemente abitati da russi, tra cui Taganrog dove ha soggiornato lungamente il giovane marinaio genovese Giuseppe Garibaldi e dove un monumento ne ricorda la gloria universale. Proprio a Taganrog è stato avviato alla Giovine Italia dalla frequentazione di genovesi dediti al commercio dei cereali e delle spezie che professavano ideali e mazziniani. Il locale teatro dell’Opera è stata diretto da musicisti italiani. Alla differenziazione geografica si è aggiunto nell’Ottocento il nascente nazionalismo, ma con scarsi risultati, perché i moti che hanno riguardato i popoli europei nel 1848 non hanno investito l’Ucraina. Il movimento Narodnaja volja ha rinsaldato il legame con la Russia, così come il nascente internazionalismo socialista, che investiva soprattutto le città industriali a partire da Karchov e Odessa, imprimeva una spinta alla fratellanza e alla solidarietà di classe. La rivoluzione fallita del 1905 ha comportato anche in Ucraina persecuzioni ed esecuzioni capitali  da parte del governo zarista. I socialdemocratici e i bolscevichi avevano una discreta presenza nelle principali città, mentre il Partito rivoluzionario aveva una certa presa sui contadini rimasti ai margini dalle riforme di Pëtr Stolipyn che avevano avvantaggiato i possidenti medi, i kulaki. La guerra civile fu l’occasione per le forze nazionaliste e la parte dell’esercito fedele allo zar, chiamata Armata bianca, di proclamare la Repubblica democratica d’Ucraina nella parte occidentale, che il trattato di Brest Litovsk aveva assegnato alla Russia, mentre nella parte orientale fu costituita la Repubblica popolare d’Ucraina sotto il controllo dei bolsceviche e dell’Armata Rossa. La guerra civile che ne è seguita ha provocato lutti e distruzioni inenarrabili, oltre al grave fenomeno dei besprizornye, i bambini senza tutale, abbandonati a se stessi, alla cui educazione e formazione ha dedicato la vita di pedagogista ucraino Anton Semënovič Makarenko, fondando la colonia Gor’kij a Poltava e la Comune Dzeržinskij a Karchov. La resistenza dell’Armata Rossa e di gruppi di anarchici riuscì a sconfiggere le forze nazionaliste e a proclamare la Repubblica socialista sovietica d’Ucraina, incorporata nel 1922 nella appena fondata Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, l’URSS con a capo Vladimir Il’ič Lenin. La Costituzione del nuovo stato prevedeva una struttura federativa, l’Unione appunto, con la partecipazione paritaria delle diverse Repubbliche, ma il  predominio era della Russia, la Repubblica socialista federativa sovietica russa. La politica della NEP ha portato ad un notevole sviluppo dell’agricoltura in mano ai kulaki, ma la sciagurata collettivizzazione delle campagne promossa da Stalin provocò una durissima resistenza degli agricoltori che non intendevano trasformarsi in braccianti dei Kolchozy e dei Sovchozy, cui seguì la durissima e criminale reazione dello Stato che provocò l’abbandono delle coltivazioni e una carestia spaventosa. E’ la tragedia dell’holodomor, la terribile carestia che è stata definita  «genocidio dell’Ucraina», in tempi recenti. La deportazione di milioni di contadini nelle terre dell’Asia centrale ha fatto il resto.

Il risentimento di questa parte della popolazione si è manifestato durante l’occupazione nazifascista del 1941, identificando nei comunisti i responsabili della tragedia e addossando la responsabilità prevalentemente alla popolazione di origine russa. L’opposizione all’invasione tedesca è stata molto blanda; addirittura decine di migliaia di abitanti delle principali città occupate hanno costituito degli appositi battaglioni per affiancare le SS. Il più noto è stato il «battaglione d’Azov». Alcuni reparti sono giunti anche in Italia, al seguito dei tedeschi in ritirata, lasciando una scia di sangue e di atrocità sulle popolazioni locali. Bisogna anche ricordare che a Babyj Jar, località non lontana da Kiev, furono sterminati dai nazisti, con la collaborazione di questi battaglioni, di decine di migliaia di ebrei. Ancora oggi non si conosce il numero esatto delle vittime, me negli anni Sessanta il poeta Evgenij Evtusenko lamentava che non c’era un monumento a ricordare quell’orrendo massacro. I suoi versi sono un indimenticabile atto d’accusa anche per la memoria tradita: Nad Babym Jarom pamjatnikov net…, «A Babyj Jar non c’è un monumento…»

Il resto è storia nota. Alla fine del conflitto l’Ucraina è stata uno dei perni della ricostruzione materiale dell’Unione Sovietica. Dalle regioni del Donbass (Doneckij bassejn), il grande bacino minerario lungo il fiume Don provenivano prevalentemente le risorse per l’imponente opera di riparazione dei danni all’industria pesante (carbone, ferro, acciaio, idroelettricità, ecc.) e a quelle manifatturiera, prevalentemente tessile e meccanica. Dopo la morte di Stalin, il rapporto tra le popolazioni russa e ucraina si rafforzò ulteriormente. Nacquero migliaia di matrimoni misti. non esistevano sostanziali differenziazioni. Ma il fuoco covava sotto la cenere, perché gruppi nazionalisti si ricostituivano clandestinamente e si riunivano talvolta nelle stazioni della metropolitana della capitale. Recentemente è stato ricostituito da parte di filonazisti nelle regioni del Donbass ed è presente anche nel restante territorio ucraino. Sono presenti anche militanti di estrema destra provenienti da molti paesi stranieri, dando vita a brigate criminali. L’eccidio di Odessa del 2014 sarebbe stato perpetrato proprio da militanti del famigerato battaglione d’Azov, su cui non è stata mai fatta luce. Anche la chiesa ortodossa, che si era sempre riconosciuta sotto la guida del Patriarca di Mosca, cominciava a dare segnali di sfaldamento. Mentre i cattolici di rito greco, riuniti nella Chiesa uniate che riconosce il vescovo di Roma, ovvero il Papa, come capo spirituale, incrementavano il proselitismo nelle regioni occidentali e il rafforzamento dei legami con il Vaticano, da cui la definizione «uniatnaja cerkv», la Chiesa ortodossa entrava in fibrillazione. La separazione  è avvenuta in modo imprevisto: Filarete, il Metropolita di Kiev, fedele alla tradizione che si fonda sul riconoscimento del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, l’attuale Kirill non è riuscito ad evitare che il 15 dicembre 2018 si decidesse la separazione da Mosca e l’arcivescovo Epifanio si autoproclamasse Metropolita, riconoscendosi nel Patriarcato di Costantinopoli. Tutti sanno che la fine dell’impero bizantino ha reso acefala la chiesa cristiano-ortodossa e che il riferimento al Patriarca di Atene è un mero espediente storico. Anche questi avvenimenti alla fine hanno contribuito ad esacerbare gli animi e ad aumentare le divisioni tra le diverse anime del popolo ucraino. Le turbolenze politiche dopo l’indipendenza del 1991, seguite alla dissoluzione del Partito Comunista Ucraino, hanno determinato sgomento e paura tra la popolazione, mentre figure senza scrupoli, appartenenti prevalentemente alla vecchia Nomenklatura, s’impadronivano di immense ricchezze, dando vita al fenomeno degli Oligarchi. La maggioranza parlamentare filorussa non è riuscita a imprimere solidità all’azione di governo per le riforme economiche e sociali, né i gruppi filo occidentali che guardavano all’Unione Europea come sbocco politico della propria attività, sono stati  di dare stabilità al Paese. Viktor Janukovič, presidente filorusso eletto con una risicata maggioranza nel 2012, è stato costretto a fuggire vergognosamente da Kiev in seguito alla rivolta di piazza Maidan. Iniziavano scontri armati nelle regioni del Donbass e a Odessa, alimentati da gruppi opposti. L’episodio più grave è stato l’eccidio di Odessa, come è stato ricordato, nel 2014. La prima conseguenza di tale turbolenza, alimentata spesso da interessi contrapposti, provocava l’intervento russo a sostegno della richiesta dei russi di Crimea nel 2014 di separazione dalla Crimea e tornare alla Russia, di cui hanno fatto parte dal tempo della conquista della Caterina II verso la fine del XVIII secolo.  Nello stesso tempo iniziava una violenta repressione ucraina nei confronti delle due regioni di Doneck e di Lugansk, autoproclamatesi indipendenti. Lo scontro armato ha provocato in otto anni oltre 14.000 morti nella popolazione prevalentemente russa. Nel frattempo la situazione politica ucraina si avviluppava su stessa, stante l’incapacità di Viktor Juščenko e Petro Porošenko di creare una solida maggioranza, coinvolgendo anche Julija Timošenko, e per scandali continui e accuse di corruzione. Le difficoltà politiche, tuttavia, non impedivano a migliaia di giovani ucraini di apprezzare sempre più il valore della libertà e delle attività economiche basate sul liberalismo. Dopo l’ennesima crisi parlamentare, il 2° maggio 2019 veniva eletto a grandissima maggioranza un giovane attore comico impegnato da tempo nell’attività politica, avendo fondato un suo partito qualche anno prima. Probabilmente per disperazione, le popolazioni ucraine hanno sostenuto Volodymir Zelenski che si è subito mostrato un abile comunicatore e dotato di volontà riformatrici. Il suo principale pregio è stato di aprire le porte ai giovani, molti dei quali formatisi in Europa e conoscitori dell’economia di mercato e delle regole della democrazia parlamentare.

OGGI PERCHÈ
Perché si è giunti alla situazione attuale? Il colpo di mano di Vladimir Putin per annettere la Crimea, il sostegno ai separatisti del Donbass, di Lugansk e della Transnistria di staccarsi dall’Ucraina hanno spaventato giustamente i governanti di Kiev da una parte e l’Occidente dall’altra. Ma la presenza delle armi NATO nei paesi confinanti con la Russia, ha irritato ancora di più Vladimir Putin. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’insistenza con cui l’Ucraina chiedeva di entrare a far parte dell’Unione Europea, ma soprattutto di aderire alla NATO, consentendo alle potenti armi convenzionali e a quelle nucleari di trovarsi a soli 500 chilometri da Mosca. Continue dichiarazioni positive in tal senso del norvegese Jens Stoltenberg, segretario generale dell’alleanza militare atlantica, hanno gettato benzina sul fuoco. Lo stesso Zelenski ha spinto per bruciare le tappe di questa operazione che avrebbe modificato nettamente gli equilibri europei e non solo sul piano militare. Gli assetti economici e commerciali erano tali che uno sbilanciamento in un senso o nell’altro avrebbe provocato disastri, soprattutto in campo energetico.

Purtroppo, la ragionevolezza non è prevalsa da nessuna parte. L’aggressore è sempre il principale colpevole. In questo caso molto più grave perché le conseguenze dell'aggressione sono devastanti, criminali, senza parole. Dall’altra, la responsabilità dell’aggredito di non volere trattare, non la resa come stupidamente è stato invocato da qualcuno, ma mettere sui gisti binari la trattativa per il cessate il fuoco. Zelenski continua a invocare l’aiuto dell’Occidente e della NATO. Molto è stato fatto, compreso l’Italia. Ma la guerra continua inesorabile, una dopo l’altra le città ucraine vengono distrutte, i villeggi e le campagne devastate, l’economia è a pezzi. I profughi  sono circa cinque milioni alla data odierna, di cui molti giunti in Italia. Kiev resiste eroicamente, come Odessa e Mariupol’, ma le devastazioni le pagano le popolazioni inermi. Si debbono arrendere? No, ma Zelenski e l’Occidente debbono costringere Putin a trattare. E’ nell’interesse della stessa Russia porre fine a questo orrendo massacro. Ammesso che le armate russe riuscissero a piegare la resistenza della popolazione ucraina, come si può pensare di tenere sotto controllo e di governare una popolazione ostile, animata da astio, odio, volontà di vendetta! Putin lo sa bene! Sull’altro fronte, si può pensare di sconfiggere militarmente e politicamente la Russia, territorio pari a un quinto del Pianeta? Ci hanno provato i Mongoli nel XIII secolo, i Polacchi nel XVII secolo, Napoleone Bonaparte nel 1812 e Adolf Hitler nel 1941. Si è visto come è andata a finire.

Basta con questa guerra fratricida. Tutti si adoperano per dimostrare che si tratta di due popoli, di due nazioni, di entità storicamente contrapposte, ignorando che si tratta di popoli slavi, che professano il Cristianesimo dal IX secolo, che hanno lo stesso ceppo linguistico creato dai monaci Cirillo e Metodio, che hanno creato ed edificato la stessa cultura, le arti comuni, il sentire il mondo alla stessa intensità, che hanno nella Madre Terra il senso della vita. Sarà retorica, ma sono queste le radici dei popoli e non possono essere sradicate dalla bombe. Ci vorranno probabilmente circa 200 anni per ricucire le gravissime e purulente ferite di questa tragedia collettiva, ma non esiste altra strada. Se si vuole la pace.

La musica russa e ucraina hanno la stessa matrice, profondamente legata alla natura, alla campagna, alle leggende popolari e ai sentimenti più profondi dell’amore e dell’amicizia. Lo stesso si può dire della danza. Le melodie popolari ucraine si ritrovano costantemente anche nella musica colta della Russia dell’Ottocento e del Novecento. La Sinfonia n. 2 in do minore op. 17 di Pëtr Il’ič Čajkovskij, denominata Piccola Russia, soprattutto nel Secondo movimento, è impregnata di melos ucraino. Il principe Igor’, celebre opera lirica di Aleksandr Porfir’evič Borodin, contiene le Danze polevesiane, una delle pagine musicali più famose grazie anche alla coreografia di Michail Fokin che si rifà all’arte orafa degli Sciti. E si potrebbe continuare a lungo con esempi significativi nella evoluzione della musica popolare e d’intrattenimento, in cui le influenze e le contaminazioni con il rock e il pop occidentali stanno producendo interessanti risultati ritmici e melodici. Il melos tradizionale caucasico si arricchisce delle sonorità disarmoniche più diffuse con ricercate sonorità. Non possono essere dimenticate le figure del pianista Vladimir Horovitz e del ballerino Vlacav Nišinskij.

Cosa dire della pittura e della scultura? La continuità del linguaggio accademico trova sbocchi cromatici di notevole originalità in artisti come il celebrato Taras Ševčenko, forse il più importante maestro ucraino di sempre, nelle cui opere si avverte la complessità narrativa della scena, oscillate tra romanticismo e narrazione storico-letteraria. Lo stesso si può dire di Oleksandr Muraško, il cui pathos descrittivo assume caratteri lirici. Il realismo socialista ha prodotto alcune interessanti figure che andrebbero rivalutate sul piano della critica, superando schemi ideologici privi di valore, puntando sul senso del colore e della naturalità del paesaggio e delle figure. Ma anche i linguaggi del Novecento hanno trovato interpreti di grande valore, come la pittura informale con Pavel Guzenko e l’astrattismo con Ivan Gusakov. L’augurio è che i tragici eventi del 2022 non interrompano in maniera irreparabile questo processo di rinnovamento e di crescita di nuovi principi espressivi.

La narrativa e la poesia s’intrecciano strettamente. Cantare della schiera di Igor’ rappresenta il grande affresco della lotta conto i polovesiani, mentre Cronaca degli anni passati è il serbatoio storico  della nascita della Rus’. Ricca di testimonianze è l’epoca successiva, fino al barocco kievino che rappresenta una particolarità del linguaggio architettonico di quel territorio. L’Ottocento è il secolo del romanticismo e della nascita della coscienza nazionale, di cui si è detto primo. Anche il periodo sovietico ha dato vita a narratori e poeti di un certo spessore. Poco si conosce invece  della produzione letteraria ucraina negli ultimi decenni, ma sicuramente alcune voci giunte anche in Italia danno il senso della forza creatrice del popolo ucraino, il cui legame con la tradizione russa non può essere cancellato dalle profonde divisioni di questi sciagurati ultimi tempi. Uno di questi è sicuramente Andryi Kurkov che si è fatto notare anche in Italia. Infine, gli artisti di origine ucraina, ma che si sono espressi interamente in russo. Come dimenticare che Nikolaj Vasil’evič Gogol’ era ucraino e che alcune sue opere sono impregnate di tradizioni popolari, sentimenti e folclore ucraini. Al pari di Michail Afanas’evič Bulgakov, il celebre autore di Maestro e Margherita. Bastano questi due nomi per dimostrare l’indissolubile legame tra i due paesi, proprio sul piano letterario. Lo stesso si può dire per quanto riguarda la poesia, come già accennato. Sul cinema non si hanno molte informazioni. Alla mostra del cinema di Venezia del 2019 è transitato Vidblysk (Riflesso) di Valentyn Vasjanovyč, mentre ha preso sempre più sostanza la produzione di film di propaganda nazionalista, dal forte connotato antirusso. Dimenticando che grandi registi sovietici erano di origine ucraina e il loro contributo nella storia cinematografica europea è stato decisivo.

Può essere cancellata dalla sciagurata guerra in corso questa storia straordinaria di anime, sentimenti, emozioni, visioni comuni? E può l’Occidente accecato dalle esplosioni sulla martoriata terra ucraina cancellare la cultura e l’arte della Russia, i cui caratteri risentono profondamente del legame con l’Italia in particolare e con l’Europa in generale? Quello che sta accadendo in Europa e in America rasenta la criminalità culturale. Come si fa a cancellare mostre, concerti, conferenze, manifestazioni artistiche riguardanti maestri, autori e interpreti russi? Pëtr Il’ič Čajkovskij, Modest Petrovič Musorgskij, Igor’ Stravinskij, Sergej Proko’ev, Dmitrij Dmitrievič Šostakovič, Aleksandr Sregeevič Puškin, Lev Nikolaevič Tolstoj, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Anton Pavlovič Čechov, Anna Andreevna Achmatova, Boris Leonidovič Pasternak, Iosif Brodskij, Sergej Eizenštejn, Andrej Tarkovskij, Karl Pavlovič Brjiullov, Aleksandr Andreevič Ivanov, Vasilij Kandinskij, per limitarsi ai nomi più celebri nel mondo, possono essere cancellati dalla memoria collettiva per colpa di un irresponsabile Capo di Stato? No, non è possibile! Bisogna ribellarsi a questo delirio basato sulla «damnatio memoriae» di tutto ciò che è russo! Così come deve essere respinto questo sentimento di ostilità verso tutto ciò che è russo, a partire dalle persone che rischiano di essere insultate e aggredite per strada da facinorosi irresponsabili ignoranti nazionalisti.

Oggi si assiste ad uno sforzo sovrumano per dividere, allargare le differenze, accentuare le diversità, negare le radici comuni, esaltare i particolari nel tentativo di dimostrare che Russia e Ucraina sono storicamente, spiritualmente, culturalmente un’altra cosa. Qualcuno esalta i contrasti e le incomprensioni del passato, gli errori che sempre si manifestano nel percorso dei popoli. Ma se non si guarda all’humus profondo in cui affondano e si diramano le radici di entrambi i popoli, il rancore, l’astio, l’odio, la sete di vendetta prevarranno inevitabilmente e provocheranno conseguenze assai più gravi di quelli presenti, già molto profondi. Soltanto così si trovano motivazioni emotive e soggettive per accrescere la sacrosanta resistenza all’aggressione, ma non a sopire rancori e sete di rivalsa in tanta parte delle popolazioni di entrambi i Paesi. Gli ucraini hanno risentimenti ancestrali, i russi lo avvertono e si sentono traditi. I primi si affidano all’Occidente, nemico della Russia, i secondi si guardano le spalle da ogni parte, sentendosi minacciati. Lo hanno provato sulla loro pelle. Cosa fare?

La cultura, le tradizioni, l’arte, lo spirito religioso, la bellezza di queste straordinarie terre si ergano potenti a imporre le ragione. Come si può pensare che questo immenso patrimonio che appartiene all’umanità e non soltanto ai popoli in conflitto possa essere distrutto? Si ergano le voci per invocare la pietà umana su ciò che l’umanità ha prodotto. Gli schieramenti di una parte e dall’altra non fanno compiere nessun passi in avanti, se non si parte dal principio che la Russia ha compiuto un atto esecrando aggredendo il popolo fratello ucraino e che l’Ucraina ha il diritto e il dovere di difendersi, di resistere al sopruso e alla violenza. Parlino i cuori più che le menti sottili dei politici e degli strateghi e si guardi all’umanità e al Pianeta. Ci sarà tempo, fermato l’orrendo massacro di entrambe le parti, di pensare al futuro politico del Pianeta. Si piangano i morti di entrambe le parti: madri, bambini, anziani, soldati, volontari ucraini; giovanissimi soldati russi inviati a combattere senza saperlo… Bisogna seppellire i morti: il grido di Antigone risuona alta sulla folla ubriaca di sangue. Ci sarà tempo così per una nuova Jalta dell’Occidente. questa volta allargata al resto del mondo. Proprio perché la globalizzazione ha portato ad annullare le distanze e a rendere interdipendenti popoli, nazioni, economie, benessere.

DOVE ANDARE
Si fermi la propaganda! Si fermi l’aggressione della Russia all’Ucraina! Davvero si vuole la catastrofe tra i continenti, come argomenta qualche stratega e politologo da salotto? L’Europa non può permetterlo, non deve permetterlo, perché la Russia e l’Ucraina sono parte dell’Europa, non una sezione separata. E chi spinge per staccare definitivamente la Russia dall’Europa commette un errore di gravità incalcolabile. La Russia non può essere considerata eredità di Gengis Khan, un gigante asiatico con qualche piede in Europa. Così come l’Ucraina non può essere considerata altra da sé, ovvero interamente discendente dalle dominazioni polacca, svedese, ottomana, austro-ungarica. Storicamente la parte preponderante appartiene alle popolazioni cosacche, discende dai guerrieri e dai nomadi delle steppe caucasiche, ingentilite dalla presenza variaga e poi dal credo bizantino e cristiano. Queste entità debbono restare unite per evitare la decadenza definitiva dell’anima europea, plurale e inclusiva, tollerante e collaborativa. Solo così potrà salvarsi l’Europa. Non con i missili della Nato, ma anche con i missili Nato se servono a difendere questa civiltà e non a snaturarla o peggio a demolirla e cancellarla.

Perché l’Ucraina resiste eroicamente? Aspetta le armi dell’Occidente per fermare l’offensiva e passare al contrattacco. Questi aiuti militari stanno giungendo, in un modo o in un altro. Compreso la decisione degli USA di inviare armi di fabbricazione sovietica, acquistati dai paesi dell’ex Patto di Varsavia. Nemesi della storia!... Perché si vuole separare definitivamente la Russia dall’Europa e ridurla a nazione ininfluente sullo scacchiere mondiale? La Russia, isolata, umiliata, punita sarà costretta a ricorrere alla Cina e all’India per tornare ad esistere e ad esercitare un ruolo di primo piano, com’è giusto che sia. E questo sarà la fine dell’Europa e della stessa Russia. Sarà il ritorno degli USA sulla scena mondiale e dell’allargamento ulteriore dell’influenza della Cina, entrambi arbitri dei destini del mondo. Una prospettiva inquietante. L’alternativa potrebbe essere la distruzione del pianeta.

UN PENSIERO PERSONALE
Io penso che ci vorranno decenni per ricomporre il mosaico della Russia che noi abbiamo conosciuto e amato, nella percezione della popolazione europea ed occidentale. Ma non bisogna abbandonarsi allo straziante dolore: Putin è deplorevole tiranno, la Russia una grande nazione e il popolo russo un’altra cosa ancora, capace di produrre nei secoli una meravigliosa e incomparabile cultura per complessità, tra materialismo e spiritualità, tra realtà terrena e metafisica. Nessuno potrà mai riuscire a distruggere la cultura, l’arte e la spiritualità russe che sono una parte rilevante del patrimonio dell’intera umanità. Così come nessono dovrà annientare il patrimonio storico e culturale dell’Ucraina.

Agostino Bagnato - Roma, 4 aprile 2022

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