di Agostino Bagnato

L’atroce e sanguinoso conflitto tra Russia e Ucraina, scatenato dall’aggressione decisa da Vladimir Putin come Special’naja voennaja operacija (Operazione militare speciale), è entrato nel terzo mese. Le vittime da ambo le parti sono  numerosissime. Migliaia di civili ucraini risultano caduti durante i bombardamenti e in seguito al ritiro dei russi da alcuni territori. Il ritrovamento di fosse comune nelle cittadine attorno a Kiev evidenzia la ferocia e la crudeltà dei russi invasori, coadiuvati da numerosi gruppi di forze combattenti provenienti dall’estero.  Non si conosce il numero delle vittime nell’esercito invasore, ma si parla di “perdite significative” come ha detto Dmitrij Peskov, portavoce del Cremlino, destituito dall’incarico in seguito a questa affermazione giudicata temeraria e antipatriottica. Sono quasi tutti giovanissimi soldati di leva, impreparati al combattimento, mandati letteralmente al macello. Ma non ci sono soltanto le vite umane a tormentare la coscienza dell’invasore Putin. L’affondamento dell’incrociatore Moskva davanti alle coste del mar Nero è un colpo gravissimo al prestigio della Marina militare, anche se ancora non è del tutto chiara la dinamica di una perdita così grave. In ogni caso, questa brillante operazione dell’esercito ucraino dimostra adeguata preparazione, intelligenza operativa e grande dote di coraggio. La perdita della nave ammiraglia delle flotta del mar Nero ritarderà ogni tentativo di sbarco per la conquista della città ucraina, ammesso che sarà possibile organizzare un’operazione così complessa.

Mariupol'
Fallita la conquista di Kiev e della parte settentrionale e centrale dell’Ucraina per la strenua resistenza dell’esercito regolare dell’Ucraina, dei miliziani, delle brigate mercenarie e dei volontari civili, oltre che del famigerato battaglione Azov, l’Armata Rossa ha puntato sulla liberazione del Donbass, dopo una breve pausa di assestamento strategico. Più che di riposizionamento, gli esperti occidentali parlano di una vera e propria sconfitta dell’Armata Rossa, sorpresa dalla reazione ucraina. Le ragioni sono molteplici, ma quella principale è l’inadeguata preparazione dell’occupazione, affidata a reparti non adeguatamente preparati e supportati da rifornimenti costanti di armi, munizionamento e viveri. Prima ancora si è combattuto aspramente con armi di ogni tipo, molte inaspettatamente in dotazione dei combattenti ucraini, per la conquista di importanti città nella parte orientale del Paese, in gran parte rase al suolo, con altissimo costo di vite umane e con migliaia di profughi. Ma il simbolo della resistenza è la città portuale di Mariupol’. Nota con il nome di Ždanov sotto il regime sovietico, Mariupol’ è una città dalle origini recentiu. Fondata nel 1778 da mercanti e marinai greci provenienti da Eupatoria, Balaklava, Bachčisaraj, Feodosia stabilitisi sulle rive settentrionali  del mar Nero. L’origine del nome non è sicuro: chiamata Pavlosk, in onore del principe ereditario al trono di Russia, appena un anno dopo cambiò nome; qualcuno sostiene che sia legato al villaggio di Maryam o alla principessa Marija Federovna, moglie del principe ereditario Paolo, figlio di Caterina II. In ogni caso, il suo nome denota il legame con le religiosità cristiana, trattandosi di una città consacrata a Marija, la madre di Cristo, le vergine Maria dei cattolici e la Bogorodica o Bogomater’ per gli ortodossi. a partire dal 1780 inizio uno sviluppo commeriale e industriale ad opera di greci e ne 1882 fu collegata alla ferrovia del bacino minerario di Doneck per il trasporto di carbone e materiali ferrosi, mentre andava crescendo la produzione cerealicola. Il sui porto marittimo è decisivo per le attività commerciali di tutta l’area meridionale dell’Ucraina e del mar d’Azov. Il congiungimento del Donbass con l’Ucraina passa inevitabilmente per Mariupol’. Da qui il suo strategico in tutta l’Ucraina meridionale. La città ha resistito eroicamente, ma sta per essere definitivamente espugnata, anche se non rimangono che rovine bruciacchiate e contorte. Il battaglione Azov  si è asserragliato nei sotterranei della grande acciaieria Azovstal’, unitamente a molti civili che pare, siano tenuti volontariamente in qualità di scudi umani. Non si parla di resa, per cui nei prossimi giorni ci potrebbe essere un altro orrendo massacro. Sembra che nei cunicoli sotterranei della centrale abbiano trovato rifugio molti stranieri, presenti in Ucraina da molto tempo: si tratterebbe di militari  in forza allo schieramento Nato per addestrare l’esercito all’uso delle armi di ultima generazione e di contractor con ruoli di istruttori militari ma anche di veri e propri combattenti. Inoltre, sono stati rinvenuti molti materiali di didattica militare di provenienza americana e inglese, impiegati per l’addestramento delle truppe ucraine. Putin avrebbe chiesto la resa, senza ottenere risposta, ma non ha ancora dato l’ordine di distruggere i sotterranei con le bombe perforanti per evitare una ritorsione, non tanto in termini bellici, quanto di una grave ricaduta negativa sul piano propagandistico. L’esibizione di vittime in tutto le televisioni del mondo sarebbe un ulteriore pesante colpo d’immagine per il Cremlino. Meglio aspettare, dunque, togliendo completamente ogni genere di prima necessità agli assediati, che, comunque, non vogliono lasciare il loro rifugio, o non possono, come si dice da più parti perché i  civili sono usati come scudi umani. Sarà comunque una sconfitta per l’umanità intera!



Perchè non si riesce a dichiarare il cessate il fuoco
Nonostante appelli da tutte le parti, perché non si riesce a trattare un cessate il fuoco e poi un armistizio, in base ad un accordo diplomatico garantito da paesi rispettivamente schierati sui due fronti di guerra, tra cui l’Italia. Si continua a ripetere che deve essere l’aggressore a fermare la guerra, ritirandosi. Come dare torto a chi sostiene questa tesi, ma non si è mai verificato che una invasione cessi senza la vittoria militare dell’aggredito o senza un risultato significativo. Un conto è la teoria, altra cosa è la realtà. Il Papa è disperato, perché inascoltato ed anzi quasi vilipeso per il suo appello alla pace. La presenza di due donne alla Veglia di Passione lo scorso venerdì 15 aprile al Colosso, una russa e una ucraina, accomunati a trasportare la Croce, ha sollevato proteste, a cominciare da Volodymir Zelenski, che da qualche settimana non cessa di invocare l’invio di armi armi, armi all’Ucraina e non parla di trattative. Se ne parla, lo fa in maniera contraddittoria, negando il giorno dopo quello che ha sostenuto quello precedente. Questo uomo di grande tempra, coraggioso e temerario, da qualche settimana dà l’impressione di essere il padrone dei cuori e dei destini dell’umanità. Sente quindi di poter dettare la linea a tutti. Sa di poter fermare l’aggressione, come hanno dimostrato le prime settimane di guerra, se avrà sufficienti risorse militari della NATO, continue e sempre più tecnologicamente avanzate. Gli ucraini hanno dimostrato di apprendere rapidamente le tecniche del combattimento moderno. Di conseguenza, Zelenski sa di potere ottenere importanti risultati politici e militari. ma sa anche che non potrà reggere a lungo. Da qui il tentativo di sfiancare la Russia con le sanzioni da una parte e con rovesci militari dall’altra. Sperando in un sovvertimento all’interno del Cremlino. Che appare poco probabile, al momento attuale.

Vladimir Putin tace, comunica con la immensa Russia e con il resto del mondo nel più tradizionale stile della minaccia o della menzogna, senza mai mostrare realmente le carte. E’ sicuro della vittoria finale, nonostante i gravissimi errori di strategia militare commessi nella prima fase dell’offensiva, costati migliaia di morti e feriti, oltre a un prezzo economico insostenibile nel lungo periodo. Non ha fretta, convinto della superiorità militare della Russia e della tenacia del suo popolo, anche di fronte al grave pericolo di arretramento del relativo benessere conseguito dalla popolazione nelle grandi città e dell’impoverimento ulteriore delle immense zone rurali del Volga, degli Urali e della Siberia occidentale. Il richiamo continuo al patriottismo russo, che ha fermato l’invasione di Gengis Khan, durata tuttavia oltre duecento anni, che ha ricacciato i polacchi che avevano occupato Mosca dopo la morte di Boris Godunov, che ha sconfitto gli Svedesi nel 1709, che ha umiliato Napoleone Bonaparte nel 1812 e poi i nazisti nel 1941-1945, facendo sventolare la Bandiera rossa sulle rovine Reichstag a Berlino, si basa ancora sulle stesse fondamenta della Rus’ e dello Pravoslavnie, ortodossia cristiana? E gli oligarchi, questi nuovi bojare, i boiardi di un tempo, sono disposti a sacrificare le proprie ricchezze che non sono più migliaia di desjatiny di steppa, ma fabbriche, catene commerciali e strumenti finanziari moderni con diramazioni in tutto il  mondo, nel nome della globalizzazione della società? Putin deve fare bene i conti con i cambiamenti che sono intervenuti nella società e ne costume, nel modo di pensare e di vivere di tnta parte della popolazione russa. Se nei villaggi rurali si può ancora vivere modestamente, nelle città grandi e piccole dell’immensa Matuška Rossija sarà difficile farsi travolgere da una crisi imprevista e inarrestabile.



Le ragioni nella difficoltà delle trattative sono molteplici. Il principale è continuare a sostenere politicamente e militarmente l’Ucraina. Più a lungo dura il conflitto, maggiore è l’isolamento della Russia e soprattutto il tentativo di strangolamento economico attraverso le sanzioni. Non c’è soltanto il sequestro dei beni degli oligarchi, ma la polpetta più ambita è il credito sovrano che alcuni paesi hanno accumulato in anni di vacche grasse ai danni dell’Occidente. Joe Biden spera, una volta ridimensionata la presenza russa sulla scena mondiale, di coinvolgere per questa via la Cina in modo da ottenere il ridimensionamento del credito cinese proprio nei confronti degli Stati Uniti, una volta scatenato un infausto conflitto in qualche altro angolo del mondo e coinvolgendo la Cina stessa. Sembra fantapolitica, ma qualche segnale in questa direzione lo ha ornito proprio il presidenti dell’Ucraina. Ha iniziato proprio Zelensky questo approccio economico-finanziario  nei confronti della Russia, chiedendo a un gruppo di legali, di studiare il sequestro dei depositi russi all’estero e con quel denaro avviare la ricostruzione dell’Ucraina, i cui danni fino a questo momento ammonterebbero a circa 500 miliardi di dollari. Come si vede, la partita è molto più grande dell’Ucraina e assai più complessa.  Più pesante sarà il prezzo che la Russia dovrà pagare per ottenere definitivamente la Crimea e l’indipendenza delle due repubbliche del Donbass, salvo che non si riesca a conquistare anche Odessa, e meglio sarà per la NATO che avrà consegnato armi per miliardi di dollari a Zelenski e che l’Occidente dovrà pagare e per gli stessi Stati Uniti chiamati a coordinare le forze occidentali, scaricando anche sull’Europa un prezzo altissimo.

Sarà disponibile l’Europa a sopportare un costo elevatissimo, in termini economici e di approvvigionamento di risorse energetiche e di materia prime? Il sogno di tutti i Presidenti americani e di Putin è da sempre disarticolare l’Unione Europea, vedere tramontare l’Euro come moneta unica che ha conquistato sempre maggiore credibilità. In questo i due rivali geograficamente lontani sono uguali. Oltre alle minacce provenienti dall’esterno, l’Europa deve  governare i processi politici per fare fronte a svariate forme di populismi e sovranisti, malessere sociale sempre più profondo, crisi economica che si prevede disastrosa nei prossimi mesi. La conferma di Emmanuel Macron alla guida della Francia nelle elezioni presidenziali del 24 aprile ultimo scorso, rappresentano un passo importante sulla strada dell’ulteriore processo d’integrazione europea, alla condizione che assuma un ruolo di attore sulla scena internazionale. Macron, unitamente al tedesco Scholz, all’italiano Draghi e allo spagnolo Sanchez dovrebbe assumere le redini per una trattativa di pace tra Russia e Ucraina, fondata sul compromesso possibile, senza arrendersi di fronte al tetragono rifiuto russo. Ursula von del Leyen non ha ancora la statura e la forza per agire come presidente della Commissione Europea. Ma gli attori europei insieme qualche peso in più potranno esercitarlo.

Questa dovrebbe essere la prima iniziativa, coinvolgendo gli Stati Uniti e la NATO, nel nome dell’Alleanza Atlantica, ma costringendo tutti a cedere qualcosa. E’ realistico? Fino a quando l’Unione Europea non ha una politica estera comune, un esercito integrato collegato alla stessa Nato, una politica economica basata su interessi strategici continentali e non su esigenze nazionali, a cominciare dall’energia, l’Europa non può fare altro. Se l’unica politica è quella di sostenere l’Ucraina inviando giustamente armi per la resistenza eroica del popolo martoriato, non si riuscirà a fare passi in avanti. Se accanto a questo, oltre all’inasprimento ulteriore delle sanzioni contro la Russia, si attivano al massimo livello iniziative diplomatiche, senza restare subalterni degli Stati Uniti, probabilmente qualche passo in avanti in direzione di un cessate il fuoco e di un successivo armistizio si potrà compiere. Al contrario, la deriva bellica rischia di trascinare tutti in vortice il cui fine è un baratro inarrestabile per la continuità della civiltà umana.

Roma, 26 aprile 2022

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