di Agostino Bagnato
Cosa avrebbe detto Anton Semënovič Makarenko di quanto sta accadendo nella sua Ucraina e nella sua Russia nello stesso tempo? Probabilmente sarebbe rimasto sbigottito.
Anton Semenovič Makarenko
Nessuno è in grado di sostenere da che parte sarebbe stato, semplificando al massimo il senso della domanda. Per chi conosce il suo magistero pedagogico e la sua altissima qualità di narratore, avrebbe condannato la guerra in quanto tale, catastrofe della ragione e della coscienza, della volontà e dell’agire, nel senso della prospettiva che costruisce l’uomo nuovo, responsabilmente impegnato in una missione umana, culturale e civile.
Mattinale di speranza, 2022, Foto Ciata Colombini
Della sua Ucraina avrebbe condannato l’acceso nazionalismo e l’uso di ogni pretesto per alimentare le divisioni storiche con la Russia, apparentemente ricomposte di recente nella grande realtà politica e sociale dell’Unione Sovietica. Della Russia sovietica probabilmente non avrebbe condiviso l’uso della forza per risolvere gravi controversie territoriali e soprattutto la rottura dell’unità progettuale della comunità dei due popoli slavi di maggior entità. Per Anton Semënovič tra Russia e Ucraina non c’era una netta distinzione, nonostante il movimento risorgimentale del primo Ottocento animato da uomini di cultura e artisti, a cominciare dal poeta e pittore Sergej Ševčenko. Per cui, dopo le terribili vicende della guerra civile, non avrebbe mai concepito un conflitto per ragioni territoriali. Ucraina e Russia erano una entità unica nella realtà dell’Unione Sovietica, ciascuna con la propria organizzazione statale: Repubblica socialista sovietica federativa russa con capitale Mosca e Repubblica socialista sovietica dell’Ucraina con capitale Kiev. Ciascuna aveva il suo parlamento, rappresentato dal Soviet nazionale, con un presidente dell’assemblea e con un presidente del Consiglio dei Ministri. Nello stesso tempo era partecipe della gestione dell’Unione Sovietica, mediante la presenza nel Soviet supremo e quasi sempre con alcuni ministri nel governo dell’Unione Sovietica.
La terribile carestia degli anni Trenta che porta il nome di Holodomor, provocata dalla collettivizzazione forzata delle campagne e dalla lotta senza quartiere ai kulaki, agricoltori benestanti dalle cui aziende veniva la produzione cerealicola, frutticola e orticola per alimentare l’immenso Paese, la deportazione di milioni di contadini verso le steppe asiatiche col falso mio delle terre vergini, aveva fatto il resto. Makarenko non poteva non rendersi conto di quanto stava accadendo nelle campagne ucraine, ma a lui interessava in primo luogo il processo educativo e formativo dei ragazzi senza tutela, besprizornye. Tutto ciò che accadeva attorno a lui era la logica conseguenza di quella guerra per il domani, per la prospettiva di quel domani radioso e luminoso del socialismo, fatto di umanesimo, sviluppo economico, responsabilità e autocoscienza. Tutto era giustificato e giustificabile per quella prospettiva, anche la brutale repressione della resistenza al cambiamento. Bertolt Brecht avrebbe rappresentato questa concezione filosofica e politica nella sua celebre An die Nachgeboren, A quelli che verranno. In poche parole, facciamo tutto questo per voi, per il vostro futuro; anche se ci sono violazioni della legalità, tutto è giustificato dal futuro, les lendemains qui chantent. Nella feroce disputa tra il vecchio e il nuovo Makarenko non ha dubbi sulla scelta da compiere, con tutte le conseguenze che ne derivano. Tutta la sua esistenza è indirizzata proprio per rafforzare di contenuti umanistici e sociali questo nuovo che è rappresentato dalla Rivoluzione d’ottobre e dal programma di costruzione del socialismo, oramai in solo Paese, dopo il fallimento ungherese e negli altri paesi, compreso il grande sciopero dei minatori inglesi. Il progetto della rivoluzione mondiale e della conquista del potere da parte della classe operaia era tramontato per sempre.
Un'immagine d'epoca della terribile carestia (Holodomor) degli anni '30
Ovviamente Makarenko non è un visionario, abbagliato dalla luce del sogno impossibile. Conosce bene il dono della concretezza e sa adattare il comportamento alle esigenze e alle possibilità. Non gli sfuggiva il fatto che il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, nelle sue articolazioni locali, era il responsabile e garante dell’unità dello Stato socialista. Il Soviet Supremo del PCUS e il suo Segretario generale rappresentavano l’intero immenso Paese. Una guerra tra due o più repubbliche avrebbe assunto caratteri fratricidi, lontani dallo spirito solidaristico e unitario della cultura socialista del tempo e di quell’internazionalismo che avrebbe fatto dell’Unione Sovietica il faro per il movimento operaio di tutto il mondo e per tutti i movimenti di liberazione nazionale, a cominciare dalla lotta contro il colonialismo che si andava delineando, partendo dalla Cina del Kuomintang e dall’India del Mahatma Gandhi. Di conseguenza, per Makarenko tra Ucraina e Russia non c’era differenza, né le vicende storiche avevano importanza sul cammino tracciato dalla rivoluzione, sulla stessa attività politica e nell’orientamento dell’attività pedagogica. Il collettivo pedagogico come centro della elaborazione e del programma di studi e di tutti le attività connesse, a cominciare dal lavoro che diviene il principale fattore formativo, non può trovare differenza tra Poltava, Karchov, altri centri della Russia e dell’immenso Paese dei soviet. A maggior ragione, perché quel progetto pedagogico è stato in buona parte condiviso e adottato da Anatolij Lunačarskij e da Nadežda Krupskaja. L’Olimpo pedagogico, come Makarenko definisce la pedagogia tradizionale, non può condividere tale rivoluzione e la osteggia in molti modi, creando serie difficoltà per il sistema educativo delle colonie e delle Comuni. Ma il seme era stato tracciato e i risultati si erano diffusi in tutto il mondo. Maksim Gor’kij sostiene apertamente Makarenko, visita la colonia di Poltava che porta il suo nome. Giungono delegazioni di studio per conoscere meglio l’esperienza della pedagogia della prospettiva. Tra questi, l’americano John Dewey che ha parole di ammirazione e di condivisione: il collettivo come base dell’esperienza, su cui si basa la filosofia del grande pensatore. La guerra è impensabile tra paesi fratelli e conflitti non ci saranno nel fronte socialista, fino alla data fatidica del 1965, con lo scontro tra sovietici e cinesi sul fiume Ussuri, per ragioni territoriali e di confine. La lotta contro l’invasione nazifascista del 1941 è stata vittoriosa grazie anche al pesante contributo di sangue dei soldati dell’Armata Rossa, provenienti da tutte le Repubbliche, senza distinzione di razza, religione, costumi, abitudini. La guerra patriottica vittoriosa contro il nazifascimo aveva cementato l’unità e la solidarietà tra i popoli di diversa nazionalità. Sarà la sciagurata gestione post-bellica di Iosip Stalin, nel settore agricolo e dell’industria pesante connesse alla ricostruzione del Paese, che creerà incomprensioni e rotture, risolte in modo autoritario.
Salvatore Miglietta, Psicosi della guerra, 2022, olio su tela, 40x50
Tracce di questa visione ideale si riscontrano nelle sue principali opere letterarie: Poema pedagogico, La marcia dell’anno Trenta, Bandiere sulle torri. Semmai si fosse verificata l’urgenza di una presa di posizione, il maestro di Poltava avrebbe fieramente sostenuto le ragioni dell’unità, nel nome della visione umanistica della società e della concezione della storia. La pedagogia della prospettiva non è un esercizio di pura paideia, ma un progetto politico e umanistico per tracciare il percorso su cui incamminare e indirizzare l’uomo nuovo.
Probabilmente lo spirito universalistico della sua concezione pedagogica lo avrebbe portato a restare fuori dal contesto, a trasferire tutto sul piano del pensiero e della coscienza. Nella seconda metà degli anni Trenta del XX secolo, Makarenko era già guardato a vista da KGB e Iosif Vissarionovič Stalin ne controllava l’agire divulgativo della sua pedagogia, agire esercitato attraverso conferenze radiofoniche e incontro con gli operai delle fabbriche moscovite. Egli era consapevole dei rischi in cui incorreva, rivendicando la priorità dell’umanesimo socialista, come si andava già delineando nel pensiero di molti intellettuali e dirigenti comunisti, ma non pensava affatto di interrompere il suo percorso. Le cui conseguenze sarebbero state utili e positive sia in Russia che in Ucraina, come nelle altre repubbliche socialiste sovietiche. Un infarto lo ha stroncato nel 1939, a Mosca. Inesorabilmente. Non aveva potuto concludere la nuova edizione di Poema pedagogico che resta il suo capolavoro narrativo e uno degli esempi più importanti del Novecento.
La sofferenza odierna di vedere separare, squarciare, dilacerare la storia e la cultura di questi due popoli fratelli, slavi d’origine e di fede religiosa, di costumi e di tradizione, provoca una senso di gravissimo smarrimento e straniamento che si trasformano in dolore profondo.
Il memoriale dell'Holodomor a Kiev (fonte: maidan.org.ua)
Ha dunque fallito, Makarenko? Domanda oziosa e banale. Non ha fallito. Il suo insegnamento travalica la singola nazionalità. Sicché ritorna l’urgenza di occuparsi di migliaia di minori e di orfani, conseguenza dell’attuale guerra sciagurata, così come è sempre necessario guardare alle tragedie del resto del mondo, dove i conflitti etnici, politici, sociali; dove le guerre per il controllo delle materie prime, a cominciare da quelle energetiche; dove la visione di un mondo e di una società democratici e liberi dispiega sempre più energie ma lascia indietro i più deboli, preda della criminalità locale e internazionale, sempre più organizzata e spietata. Fare tesoro della lezione di Makarenko è un dovere per chi ha nel cuore i destini dell’umanità.
Una domanda è necessaria: cosa avrebbe pensato del rovesciamento dei valori dell’umanesimo socialista e della democrazia popolare da parte dell’attuale gruppo dirigente russo? E soprattutto cosa avrebbe pensato della tragedia della ricostituzione dei raggruppamenti nazionalisti, di cui alcuni apertamente filo-nazisti? Come avrebbe reagito, egli ucraino ma internazionalista, alla campagna di persecuzione e di segregazione contro i russi e la cultura russa in Ucraina, portata avanti dai governi che si sono succeduti dal 1991, particolarmente dopo la rivolta di piazza Maidan a Kiev del 2014, con il divieto di parlare russo nella famiglia, l’abolizione della stampa russa, la cancellazione dei legami popolari e culturali tra i due Paesi fratelli? Makarenko non avrebbe alzato le spalle, indifferente agli avvenimenti, perché egli ha fatto della realtà il suo terreno di impegno pedagogico e di conseguenza politico. Ma non avrebbe certamente impugnato le armi, arruolandosi tra i rivoltosi di nessuna fazione. La sua condanna della guerra è totale. Sa bene che i besprizonye sono frutto della guerra e che la formazione di questi giovani che la guerra ha messo in mezzo alla strada è il compito supremo di un autentico pedagogista.
Chi si prenderà cura delle migliaia di bambini e di ragazzi sfollati dall’Ucraina, e soprattutto di quelli rimasti in Patria? Nella devastazione provocata dalla guerra non basta l’impegno lodevole delle organizzazioni umanitarie e dell’Unhcr. Cosa farà l’Ucraina oggi, non tra dieci anni, dopo la ricostruzione? Qualcuno risponderà che la colpa principale è di Vladimir Putin e della Russia. Questo è innegabile. L’aggressione voluta da Vladimir Putin è un atto scellerato contro un paese fratello, le cui conseguenze si configurano anche come delitti contro l’umanità. Intanto quei ragazzi restano senza tutela e soprattutto senza prospettiva. Anton Semënovič Makarenko non lo accetterà mai, ovunque egli sia!
Roma, 13 maggio 2022