di Serena Veggetti

Nelle ultime recenti lezioni con i giovani studenti magistrali, futuri educatori, non ho potuto non rievocare in continuazione come le aggressioni si siano a volte verificate proprio in alcune località (nord est Ucraina) legate al nome di Makarenko e alle esperienze delle Comuni per i bezprizornye che ai tempi di Makarenko e purtroppo anche oggi, sono effettivamente un fenomeno generato e indotto da guerre e conseguenze economiche successive.

Ho trovato interessante che Agostino Bagnato abbia ricollegato l’attuale stato bellico con la storia dell’economia postrivoluzionaria della neoistituita Unione Sovietica dopo la Rivoluzione del ’17 e con la spaventosa carestia che il paese si è trovato a dover fronteggiare. Sono convinta che tutti noi abbiamo compreso che la creazione della società nuova priva dell’ingiustizia sociale e della esclusione dalle risorse sociali per un uomo nuovo era un obiettivo valido e condivisibile. Tra l’altro l’intellettualità russa e anche le figure ucraine che ha citato, come Ševčenko, lo avevano denunciato, nella splendida produzione letteraria, come intollerabile (superfluo citare Čehov, L.Tolstoy, Dostoevskij).


Ennio Calabria, Maakarenko, 2008, olio su tela, 80x60

A mio parere Agostino Bagnato ha ben indicato la “resistenza al cambiamento” da parte dei kulaki, contadini benestanti, nei confronti della collettivizzazione di terre e risorse come un fenomeno negativo. In parole dirette, politico-ideologiche, era l’ideale di abolire la proprietà privata e il profitto capitalistico nella nuova società socialista.
Negli anni ’60 in epoca Krusheviana, (1962-64) quando io ho studiato in URSS, si diceva che il socialismo andava costruito e ancora non era attuato. E in effetti la “resistenza al cambiamento” è un fattore interiore, di difesa della personalità e proprio su questo aspetto interiore si concentra la lotta per la costruzione del soggetto collettivo che tutta la scuola psicologica del Vygotskij ha posto come obiettivo formativo, fino alla famosa ricerca longitudinale di Davydov su una nuova scuola, o percorso di istruzione pubblica generalizzato. Il collettivo di lavoro makarenkiano era il modello e come scrive Davydov, l’incubatrice per l’educazione socialista.
Dunque a me sembra che molto non si sia fatto e resti ancora da fare se ancora nella prospettiva del domani qualcuno vorrà abolire miseria e ingiustizia e che probabilmente vada fatto nel campo più fallimentare del mondo, come quello dell’educazione (espressione del Vygotskij, 1926). Nel nostro paese poi non abbiamo neppure posto il problema, anche se abbiamo tuttavia costruito un cooperativismo forte e positivo.


Salvatore Miglietta, Psicosi della guerra, 2022, olio su tela, 50x60

Purtroppo la “operazione speciale russa” nei confronti dell’Ucraina per usare il termine putiniano, ci ha portato indietro di almeno 100 anni nel percorso di avvicinamento tra mondo occidentale e mondo ex sovietico e certo ha reso difficile la stessa presentazione del popolo russo come vittima primaria di questa recessione. E se aggiungiamo, come tu scrivi correttamente, che non tutti gli ideali ucraini si propongono questo obiettivo le cose si complicano ancora maggiormente.
Oggi l’Ucraina è la Vittima del mondo e occupa un posto inattaccabile da critiche, dati i devastanti esiti dei bombardamenti e la quantità di armi che Occidente e Russia hanno convogliato e stanno adoperando su quello sventurato territorio.
Quello che è ancora poco visibile è la corresponsabilità della Nato e del mondo occidentale nella gestione quasi inesistente di soluzioni diplomatiche perseguite in modo corretto e non ambiguo. Forse Makarenko oggi questo lo potrebbe dimostrare molto più chiaramente, ma occorrerebbe un secondo Poema di analisi clinico-pedagogica.
Le uniche voci critiche (De Cesare, Orsini, lo stesso Santoro, per citarne solo alcuni) trovano a stento e saltuariamente posto nei media e nella nostra TV che a mio parere è precipitata al livello più basso di disinformazione, nonostante abbia degli inviati giovani e direttamente in loco nel Nord e nel sud Ucraina spesso a loro stesso rischio.

Ricordiamo che nella letteratura russa c’è stata un’opera con un titolo emblematico “Che fare?” (Čto delat’), di N. Černyševskij, nel lontano 1863.
Forse dovremmo fare o proporre noi un convegno seminario in ambito makarenkiano sul tema? o aprire un dibattito?

15.05.2022

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