di Agostino Bagnato



LO STATO DELL’OPERA
Il recente discorso di Vladimir Putin alle Madri Eroine, ovvero alle madri dei soldati caduti nelle sterminate pianure dell’Ucraina, pone qualche interrogativo e si presta ad alcune considerazioni che vanno al di là della contingenza militare e bellica. A sette mesi dall’inizio dell’ «Operazione militare speciale», ovvero dell’aggressione della Russia all’Ucraina, quel fatidico 24 febbraio 2022, la situazione sul campo resta molto problematica. Sul piano militare lo stallo è evidente. Dopo i primi successi dell’Armata rossa, in particolare nel Donbass e a Doneck, sono stati evidenziati gravi errori nella strategia militare, dovuti a non perfetta conoscenza del territorio, incompetenza di numerosi comandanti responsabili delle operazioni belliche, alla mancanza di coordinamento tra i vari reparti con la confusione nei comandi e la difficoltà di rifornimenti. La presunta accoglienza amichevole dei soldati russi da parte della popolazione non c’è stata. Al contrario, l’ostilità verso gli invasori si è subito palesata, in ogni angolo del Paese, tranne che nelle zone già controllate dai separatisti. L’esercito ucraino, guidato da militari formatisi nell’Armata rossa al tempo dell’Unione Sovietica, sostenuto con difficoltà all’inizio dall’Occidente, supportato da volontari stranieri, ha ottenuto sempre più sostanziosi successi. Gli aiuti americani, inglesi e dell’Unione Europea, compreso l’Italia, hanno contribuito in maniera determinante ad arrestare l’offensiva di Putin e in qualche caso a respingerla e sconfiggerla. Il sostegno della grande maggioranza dell’opinione pubblica internazionale alla causa ucraina ha contribuito a contrastare sempre più efficacemente l’aggressione russa. la campagna propagandistica da ambo le parti è riuscita, in un primo tempo, ad occultare la durezza e la crudeltà della guerra, come hanno evidenziato le immagini delle fosse comuni lasciate dai russi in seguito al ritiro da Kiev e da altre città. Il consenso al popolo ucraino è cresciuto con i primi successi militari, a partire  dalla messa fuori causa della flotta del Mar Nero con l’affondamento dell’incrociatore Moskva. Il martirio di Mariupol, la citta interamente rasa al suolo per debellare la resistenza del Battaglione Azov nascosto nelle gallerie della celebre acciaieria Azov, ha mostrato al  mondo la tenacia del popolo ucraino nella resistenza ai “fratelli” russi, venuti per “denazificare” il Paese e portarlo alla neutralità rispetto alla Nato, all’Unione Europea  e all’Occidente. Così è stato a Cherson e a Kharkiv, non ancora pienamente conquistate; così è stato a Odessa. Ovunque la resistenza locale ha impedito alle forze separatiste e all’Armata rossa di procedere rapidamente sulla strada della normalizzazione. Da ultimo, l’arrivo delle armi occidentali e di uomini addestrati, principalmente in Gran Bretagna, ha creato una situazione totalmente nuova, fino a consentire agli uomini di Kiev di colpire lo stesso territorio russo con missili a lunga gittata. Nessuno immaginava che la capacità militare ucraina potesse giungere al punto di colpire al di là dei confini storici. Dopo la distruzione di depositi di armi e di munizioni, di centri di rifornimento delle truppe d’occupazione, di depositi di carburanti dell’esercito russo, nessuno ha creduto all’annuncio di Volodymir Zelen’skyj sulla capacità di contrattaccare e di riconquistare i territori perduti. «Non cederemo mai un solo metro quadro della nostra terra alla Russia. Ci riprenderemo anche la Crimea!» proclamava instancabilmente. I fatti sembra gli stiano dando ragione.

A Mosca,  il 19 agosto scorso, al termine di una manifestazione culturale, una bomba ha distrutto l’automobile su cui avrebbe dovuto viaggiare Aleksandr Gal’evič Dugin, filosofo e politologo, consigliere di Putin per la cultura e le religioni. L’attentato è costato la vita a Darija Dugina, figlia del filosofo e giovane intellettuale, a cui era diretta la bomba. Il terribile episodio dimostra la capacità ucraina di penetrare all’interno del territorio nemico e di colpire addirittura nella grande capitale. Dai primi accertamenti, si tratterebbe di un attentato perpetrato da una donna di nazionalità ucraina, penetrata in territorio russo con l’aiuto di forze ostili al Cremlino, grazie anche alla disattenzione dei servizi segreti. Le conseguenze militari saranno nulle, ma l’impatto sul morale della popolazione russa stremata da sei mesi di guerra sarà pesantissimo. Del resto, la teoria di Dugin, legata alla cultura della destra sovranista e fascista europea, si basa sulla visione euro-asiatica della presenza russa, sulla restaurazione del vecchio impero zarista, al ritorno della piena ortodossia cristiana e soprattutto sulla lotta alla corruzione morale dell’Occidente, responsabile della decadenza dell’umanità.


Darija Dugina figlia del filosofo e politologo Aleksandr Gal’evič Dugin, consigliere di Putin, rimasta uccisa nell'attentato dei giorni scorsi

Una tale teoria, se venisse pienamente attuata in Russia, porterebbe a conseguenze gravissime sul piano delle relazioni internazionali e dei diritti civili, saldando il sovranismo russofilo e slavofilo con quello occidentale che vede in Donald Trump il principale esponente. La Grande Madre Russia come punto di riferimento per la salvezza dell’umanità dalla decadenza dei costumi, porta alla costruzione di quella Novaja Rossija (Nuova Russia), che in parte è il sogno di Vladimir Putin e dei suoi oligarchi, con la complicità del patriarca ortodosso Kirill II. Per questo la riconquista dei territori che gli avvenimenti storici hanno sottratto alla Russia, resta una sorta di diritto sacro per il quale  il popolo deve sacrificarsi e immolarsi, se occorre, come avvenuto nel passato.


L'attentato a Darija Dugina ha scosso la popolazione dell'intera Russia

VOLODYMIR ZELENS’KYJ
La controversa figura di Volodymir Zelens,kyj, attore comico di un certo successo portato alla presidenza dell’Ucraina da un gruppo di oligarchi e dai nazionalisti di estrema destra e storicamente nemici della Russia, si è subito imposta per coraggio, determinazione, straordinaria capacità di comunicazione. Se Kiev non è caduta sotto la pressione dell’invasore nelle prime settimane dell’attacco, lo si deve alla sua costante presenza in città, tra le strade in mezzo alla popolazione e ai soldati, all’esortazione continua alla lotta per la sicura vittoria finale. In Italia e in Europa pochi hanno creduto alle reali possibilità di resistere all’invasore, mentre negli Stati Uniti il presidente John Biden e il segretario di Stato Antony Blinken continuavano a tessere le tela per sempre maggiore sostegno economico e militare al lontanissimo Paese. I discorsi televisivi quotidiani alla popolazione, l’appello alla lotta in nome della libertà e della democrazia oltre che per la difesa della terra natale, i discorsi ai paesi amici attraverso interventi da remoto nei parlamenti occidentali, compreso quello italiano, riscuotendo ovunque apprezzamenti e consensi, le interviste a giornalisti di tutto il mondo, hanno ottenuto il loro effetto.

Volodymir Zelens’kyj ha avuto la meglio, alla lunga distanza, dello stesso scetticismo occidentale. Perché ha potuto resistere alla potente Armata Rossa? Perché ha sacrificato decine di migliaia di soldati, oltre alle vittime tra la popolazione civile? La risposta risiede nella consapevolezza dell’ostinato rifiuto di rapporti di amicizia e di fraternità tra la popolazione ucraina e quella russa, da una parte; dalla posizione strategica assunta dall’Ucraina sullo scacchiere internazionale per un sostanziale mutamento della realtà geopolitica nei prossimi decenni.  In effetti, la situazione del Donbass e di Doneck che per Putin è la ragione dell’invasione, è soltanto una parte di questa terribile situazione di astio, inimicizia, odio. Le ferite della storia negli ultimi due secoli non sono state sanate e il rancore è lungamente covato, esplodendo dopo l’indipendenza del 1991 e creando l’antefatto che ha portato alla rivolta di Piazza Maidan a Kiev, anche per i gravissimi errori commessi dai dirigenti ucraini filo russi e russofoni, sopraggiunti al potere subito dopo l’indipendenza. Le armi modernissime e potenti inviate dagli Stati Uniti, dall’Europa, da Israele e dalla Turchia, hanno fatto il resto. L’Armata Rossa continua ad avanzare lentamente nel sud dell’Ucraina, ma è sottoposta ad attacchi sempre più precisi e micidiali. Il costo in vite umane è davvero terrificante e, nonostante la censura, si parla di un massacro orrendo e bestiale.

Stante così le cose, difficilmente la guerra di posizione attuale potrà essere conclusa in tempi brevi. Cosa significa per le forze in campo? La Russia sta esaurendo molte delle scorte militari accumulate in decenni di pace, se si escludono l’occupazione dell’Afghanistan e l’intervento in Siria contro il Califfato islamico. Secondo molti osservatori è ancora in grado di fare fronte a una produzione costante di armi moderne, anche se la situazione economica del Paese non è molto florida, non solo a causa delle sanzioni imposte dall’Occidente, a cominciare dal sequestro di tutte le risorse all’estero. La principale materia prima su cui può contare è il gas, ma i paesi occidentali hanno posto mano a dei programmi di alleggerimento della dipendenza dalla Russia. Si tratta di un punto non secondario nella politica dell’Unione Europea, in quanto i progetti operativi che stanno seguendo porteranno ad un concreto ammodernamento e sviluppo degli impianti esistenti. La Russia rischia un lento ma inesorabile logoramento che porterà sempre maggiore disagio e difficoltà per le popolazioni, già provate dalla crisi. La Russia non è soltanto Mosca, Pietroburgo, Tver’, Novgorod, Stalingrad, Togliattigrad, Jaroslavl’, Nižnyj Novgorod, Kazan’, Soči, Tambov, Novosibirsk, Irkutsk, Chabarovsk, Vladivostok, ma migliaia di piccole città e di villaggi sparsi nell’immensa steppa, nelle pianure al di là del Volga e degli Urali, nella tajga e tra le nevi e i ghiacciai della Kamčatka e della Jakucija. Come potrà reggere l’isolamento internazionale? Il rapporto sempre più stretto con la Cina non sarà senza conseguenze e potrebbe portare ad un ulteriore riduzione del ruolo internazionale della Russia, costretta a rimorchio. In questo prospettiva non molto lontana, le relazioni con molti paesi ex coloniali e con quelli produttori di materia prime agricole, potrebbero entrare in crisi, perché senza prospettive di sbocco concrete. Ciascuno si guarderà attorno e cercherà le soluzioni più opportune e le alleanze più fruttuose. Molti postulano un mondo suddiviso in quattro grandi macro aree: Stati Uniti risollevati dalla grave crisi degli ultimi decenni, appesantitasi dopo la fuga dall’Afghanistan e l’abbandono a se stessi dei paesi del Medio Oriente dopo la devastazione che ha portato al terrorismo islamista; l’Unione Europea, sempre che sia capace di accelerare la strada dell’ulteriore integrazione e della creazione delle strutture fondamentali per assurgere a un ruolo di protagonista nel mondo; la Cina che sta sempre più minacciosamente espandendo i propri interessi economici, commerciali e finanziari in tutto il mondo, controllando il mercato di alcune prime fondamentali per lo sviluppo tecnologico sostenibile e compatibile con i cambiamenti climatici; l’India e il restante areale del sud Pacifico dove le relazioni con gli Usa e il Giappone restano importanti. E la Russia? Questo è il punto vero della questione. Ci sarà ancora la Russia come l’abbiamo conosciuta territorialmente negli ultimi 250 anni? L’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, puntano le loro carte su una crisi economica e sociale irreversibile della Russia, in conseguenza del prolungamento della guerra in Ucraina. A quel punto la sofferenza della popolazione potrebbe portare a pesanti reazioni, a conflitti interni, forse a rivolte. Lo scopo sarebbe anche quello di mutare strategia, cambiando i dirigenti del Cremlino per ottenere la fine delle ostilità e puntare a una nuova politica interna e alla diversa collocazione internazionale. Una Russia tagliata fuori da ogni consesso decisionale sul piano internazionale, come al tempo di Boris El’cyn. A quel punto, potrebbe riprendere l’assalto alle risorse materiali del Paese, da parte di oligarchi senza scrupoli e anche di soggetti stranieri, compreso elementi della criminalità, indebolendo irrimediabilmente la Russia.

LA PROSPETTIVA?
Si capisce allora perché Vladimir Putin, Sergej Lavrov, Dmitrij Medvedev, Sergej Šojgu hanno bisogno di ricorrere al sentimento patriottico della popolazione russa, quella più fedele alla storia della Santa Russia, dell’Ortodossia e dell’attaccamento alla terra, per evitare che la «operazione militare speciale» si trasformi nell’inizio del ridimensionamento strategico e politico. E’ lo stesso patriottismo infarcito di nazionalismo che ha consentito Ivan IV di creare il Regno di Russia e di cacciare definitivamente i Mongoli, a Pietro il Grande di proclamare l’Impero russo e a difenderlo dagli Svedesi e dai Polacchi, allo zar Alessandro I di respingere Napoleone da Mosca e ricacciarlo fino a Parigi e a Stalin di resistere alla violenza nazista e contrattaccare fino a raggiungere Berlino nel 1945 e diventare l’ago della bilancia nel mondo.

Ma esiste un altro aspetto che non può essere dimenticato o sottovalutato. Una nazione indebolita, fiaccata, ridimensionata militarmente, quanto potrà resistere alle richieste di autonomia  e di indipendenza di molti territori in fermento, già sottoposti a movimenti anche armati nel più recente passato? Finora ogni tentativo è stato respinto dalla determinazione politica e della forze del Cremlino moscovita, ma in futuro cosa potrà succedere se le Oblast’ di Cecenia, Abkazija, Ossetija,  Dagestan insorgeranno contro la Russia che le ha inglobate nel proprio territorio verso la fine del Settecento, sottraendole all’Impero ottomano. Potrebbe essere plausibile una simile prospettiva al tempo delle comunicazioni economico-commerciali sempre più interdipendenti? La Russia attuale ho sbocchi marittimi sul mar Baltico, sul Mar Bianco, sul mar Glaciale Artico e l’oceano Pacifico a nord-est e sul mar Nero a sud, potendo giungere nel Mediterraneo attraverso lo stretto dei Dardanelli. Una base militare russa è presente sulle coste siriane e accordi di collaborazione sono attivi con paesi del Magreb. Un indebolimento della Russia, peggio un suo ipotetico ridimensionamento militare, consentirebbe alle potenze occidentali di rimettere in discussione il quadro geo-politico attuale. La grande finanza e la speculazione farebbero il resto, provocando un vero e proprio dissanguamento della Russia.

L’OPZIONE NUCLEARE
A questo punto sorge l’interrogativo più ovvio e naturale. Ma la Russia, che detiene l’arsenale nucleare più potente del mondo, come reagirà? Userà le armi atomiche tattiche, come sostiene qualcuno che conosce bene le strategie militari contemporanee? Difficilmente si potranno usare le armi più terrificanti, capaci di distruggere in pochi minuti intere città e uccidere centinaia di migliaia di abitanti delle principali aree del mondo belligerante. Ma le armi nucleari tattiche possono essere impiegate, anche se vietate dalla convenzioni e dai trattati internazionali. Nei prossimi decenni il disegno occidentale potrebbe portare a stringere la Russia in una morsa economico-militare e costringere numerose aree a autoproclamarsi indipendenti da Mosca, potendo contare sul sostegno militare di paesi amici interessati. E’ quanto sta accadendo con l’indipendente Ucraina, oggi.
Difficilmente territori come gli Urali o la Siberia centro-meridionale sarebbero così folli di imboccare la strada di un’avventura simile. Resterebbero soffocate in poco tempo per mancanza di spazio vitale. Ma i territori orientali che si affacciano sull’oceano Pacifico della fascia conosciuta come Primorskoe e delle aree limitrofe interne come Chabarovsk, che si contendono ancora oggi con il Giappone lo spazio antistante e le stesse isole Kurili,  potrebbero esaltare la fantasia malata di qualche uomo di stato invaghito delle ricchezze ittiche e minerarie di quelle zone. E lo stesso discorso vale per i territori della Jakucija e della Kamčatka.  Provando a dimenticare quanto è stato ipotizzato fino adesso, in termini rovesciati vale il discorso che Dmitrij Medvedev, vice presidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione russa, ha dichiarato che anche l’Alaska appartiene storicamente alla Russia, anche se nel 1867 è stata ceduta agli Stati Uniti d’America, dietro compenso, per lo scioglimento della Compagnia commerciale russo-americana. Si tratta di una palese distorsione dei fatti, non ritenendo Medvedev sprovveduto al punto tale da non sapere che i trattati internazionali vanno rispettati. Salvo che non si considerino semplici pezzi di carta, come è avvenuto nel 1914 tra la Germania di Guglielmo II e il Belgio, il cui trattato di non aggressione è stato considerato un semplice documento senza valore da parte tedesca. La Germania doveva occupare la Francia partendo da settentrione per arrivare rapidamente a Parigi. La strada più breve era passare dal Belgio.

Si tratta di fantapolitica, ma le vicende dell’Ucraina fanno pensare a un disegno lungamente pensato nelle stanze segrete di cancellerie importanti, a partire dagli Stati Uniti d’America e dalla Gran Bretagna. Ecco perché la guerra continua implacabile la sua marcia di distruzione e di morte da ambo le parti. La stessa vicenda del grano e altri cereali, di olio di girasole e di fertilizzanti bloccati nei porti del Mar Nero, principalmente e Odessa, potrebbe essere vissuta come espediente per fare durare il conflitto, alleggerendone le conseguenze economiche per qualche tempo. Ma se le parti in conflitto non siedono attorno a un tavolo per negoziare la pace, non sarà semplice uscire da questo tragico tunnel. Intanto molti si domandano se le armi di ultima generazione, compreso i missili ipersuono, siano davvero pronti e quando potranno essere impiegate? Kiev intanto continua a ricevere armi ultramoderne e soprattutto può contare sull’addestramento di migliaia di suoi uomini all’estero e sull’arrivo di volontari. La situazione dell’Armata Rossa non sembra rispondere alla sua storia gloriosa. Che fine a fatto l’Accademia militare Michail Vasil’evič Frunze? E il Centro di Aviazione Žukovskij?
L’impressione è che bisogna prepararsi al peggio, anche se non bisogna cedere alla disperazione dell’inevitabile.

CONCLUSIONI
Se la Russia riuscirà a scrollarsi di dosso la visione salvifica nel mondo slavo e tornare a ragionare con il resto del mondo in termini di collaborazione e amicizia, probabilmente si potrà pensare a un tavolo di pace per evitare la catastrofe nucleare.
Lo stesso deve valere per l’Occidente, a partire dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Anche l’Unione Europea può svolgere un ruolo importante, se riuscirà a guardare un po’ più lontano degli interessi di ogni singolo paese membro. Il disordine nel Vecchio Continente, provocato dalla destabilizzazione della Russia, determinerebbe ulteriori spinte disgregatrici sull’intera area mediterranea e nel Medio Oriente.
A chi conviene? Zelens’kyj sarà spazzato via come un fuscello e l’Ucraina cadrà nelle mani di potenti speculatori che la blandiranno prima e la soffocheranno poi con i debiti per la ricostruzione. Patti scellerati si stanno tessendo mentre i missili solcano i cieli del Donbass e del mar Nero.
Bisogna fermarsi in tempo!

Roma, 22 agosto 2022  

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