di Francesco Santopolo

 

Premessa

Parafrasando un fortunato lavoro di Piero Bevilacqua (La mucca è savia) ci sentiamo di rispondere negativamente alla domanda del titolo.

L’olivo è savio. Caso mai andrebbe indagato lo stato di salute mentale degli uomini che se ne occupano o, meglio, che ne sfruttano la straordinaria generosità.

Poco prima di 9000 anni a. C., l’olivo,unitamente al grano e ai piselli, è stata la prima pianta domesticata dall’uomo, precedendo di 1000 anni il riso e il miglio.

In questi oltre 11000 anni, in cui ha dovuto dividere il proprio spazio con l’uomo, ha subito molti adattamenti genetici per rispondere ai cambiamenti climatici, allo spostamento da un areale all’altro e a tutti gli input antropici legati principalmente alle leggi del profitto.

Quello che ci chiediamo è quale può essere il limite di uno sforzo biologico e per quanto ancora le piante e gli altri organismi presenti sul pianeta potranno adattarsi alle esternalità dello sviluppo?

Inquinamento, aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, riscaldamento del pianeta, piogge distribuite con scansioni temporali diverse dal passato, sono fenomeni ininfluenti rispetto agli eventi biologici o possono condizionarli pesantemente?

Analisi di un problema  

In Italia, il 2014 e il 2016 saranno ricordati come gli anni in cui la produzione di olive ha toccato minimi storici. Si tratta di un caso o è l’inizio di cambiamenti più profondi che porteranno il mondo vivente ad adattarsi o a scomparire, almeno in parte?

Il "Climate change impacts and vulnerability in Europe 2012en", descrive alcuni cambiamenti climatici in itinere come temperature medie più elevate, precipitazioni diminuite nelle regioni meridionali e in aumento in quelle settentrionali, ecc.

Sono, tuttavia, valutazioni di ordine quantitativo che non danno conto dell’impatto devastante che possono avere sul mondo vivente e sul rischio di estinzione di alcune specie.

I parametri forniti dalla climatologia afferiscono al biotopo (luogo della vita) e rappresentano solo una prima informazione per costruire modelli sui cambiamenti profondi a carico delle comunità biotiche dell’ecosistema.

Ma l’indagine dovrebbe occuparsi della distribuzione temporale dei fenomeni, per stabilire la relazione tra questi e gli organismi viventi che presentano nicchie e habitat rigidamente definiti.

Entrano in campo discipline come la fenologia, che si occupa della classificazione degli eventi determinanti per lo sviluppo vegetale e la fisiologia, discipline che possono fornire indicazioni sulla possibilità che una fase si verifichi o possa essere interrotta.

Per le Angiosperme, per esempio, fioritura, allegazione e formazione dei semi, rappresentano una strategia evolutiva vincente. Ma cosa succede se al momento del verificarsi di questi eventi le temperature raggiungono valori critici?

Il rapporto Stern (Copyleft ecoalfabeto, 2006), ha previsto che ad un aumento di 1 °C sarebbero a rischio di estinzione il 10% delle specie viventi che conosciamo.

Ad un aumento di 2 °C le rese in agricoltura potrebbero subire un calo del 5-10% e il 15-40% delle specie viventi esposte a rischio di estinzione. Se la temperatura dovesse aumentare di 4 °C la resa in agricoltura scenderebbe del 30% e il 50% delle specie viventi sarebbe minacciato di estinzione.

Nel decennio 2002-2011 si è registrato un aumento della temperatura planetaria di 0,7 °C.

In Italia l’aumento è stato di 1,45 °C (fonte: ISAC- CNR).

Ma il solo riscaldamento non da ragione di altri parametri che influenzano la “costruzione” di biomassa  come PAR (Photosynthetically active radiation o irradiazione fotosinteticamente attiva), disponibilità di CO2 nell’atmosfera.

Nel caso dell’olivo la stasi vegetativa (sospensione e/o rallentamento della crescita degli organi vegetativi) si verifica con temperature inferiori a 10 °C e fotoperiodo corto, mentre la ripresa vegetativa (ingrossamento e allungamento delle gemme ed emissione di nuova vegetazione) ha bisogno di temperature di 10-14 °C. con un minimo di vegetazione di 12,8 °C.

Nella fase di crescita del germoglio, con comparsa di nuove foglie, nodi e internodi, la temperatura deve essere superiore ai 13 °C, l’inizio della mignolatura (infiorescenza) si ha con temperature di 14-16 °C, allungamento dell’infiorescenza e comparsa dei palchi fiorali con temperature superiori ai 15 °C, l’espansione della corolla con temperature di 18-20 °C. Poi si passa alla fioritura (distanziamento dei petali,  allungamento degli stami e dello stilo con stimma visibile e deiscenza delle antere) la temperatura ottimale passa a 20-22 °C, quella critica a 30 °C, valori vicini a quelli necessari per la formazione del frutto (allegagione).

Quale o quali eventi spiegherebbero la scarsa produzione di olive registrata nel 2014 e nel 2016 (ma non è che il 2015 sia andato molto meglio).

Temperature critiche nelle fasi fenologiche importanti? Pioggia persistente durante la fioritura che ha impedito l’impollinazione che, per l’olivo, è essenzialmente anemofila?

Probabilmente la concomitanza di questi fattori con quello che potremmo definire un atteggiamento antropico ricorrente.

Alle origini

Quando Columella scriveva “fra tutte le piante l’olivo è quello che richiede spesa minore, mentre tiene tra esse il primo posto. Infatti, benché non porti frutto tutti gli anni ma in generale un anno si e uno no [] pure va tenuto molto in conto, perché si mantiene con una spesa da nulla e quando non si riveste di frutto non richiede addirittura nessuna spesa, mentre se riceve qualche cura, subito moltiplica il frutto” (Res Rustica, Libro V, 8, 1-5), non poteva immaginare che avrebbe aperto la strada ad un corollario di vizi culturali che si rifletteranno sul futuro rapporto uomo/pianta. L’alternanza di produzione dell’olivo, di cui si era già occupato Teofrasto, veniva quattro secoli dopo accettata come un postulato: l’olivo non ha bisogno di cura quando “non si riveste di frutto”.

Più interessante, invece, l’opinione di Plinio il Vecchio che, pur dando per scontata la predisposizione all’alternanza di produzione dell’olivo, aggiunge un’intuizione straordinaria: “se si attende la caduta delle olive, esse stando sull’albero oltre il tempo necessario, assorbono il nutrimento di quelle che devono nascere e ne occupano il posto” (Naturalis Historia, Libro XV,12).

Plinio non aveva gli strumenti per spiegare scientificamente il fenomeno ma aveva colto nel segno.

Oggi sappiamo che l’oliva è un frutto climaterico, vale a dire un frutto che, dopo la maturazione, continua a respirare.

Se consideriamo che l’epoca di maturazione dell’oliva coincide con l’autunno- inverno, quando la luminosità necessaria per la fotosintesi è spesso insufficiente, cominciano a farsi strada i presupposti scientifici della straordinaria intuizione di Plinio il Vecchio.

Per capire la relazione tra luce solare e fotosintesi, è necessario partire dalla costante solare, pari a 1360 Wm-2 che rappresenta l’irradianza totale calcolata sulla distanza tra il sole e la terra e comprende anche le lunghezze d’onda dell’infrarosso e dell’ultravioletto.

Dalla irradianza totale bisogna escludere il ±2% legato alla forma ellittica della terra e la quantità di energia assorbita per diffusione o assorbimento durante il passaggio nell’atmosfera, per cui sulle piante incidono 900 Wm-2, secondo il periodo dell’anno, l’altitudine, le condizioni atmosferiche (Salisbury, et al., (1995).

Questo valore è rappresentato per il 50% dallo spettro dell’infrarosso e dal 5% da quello dell’ultravioletto mentre il resto, pari a 400- 700 nm, espresso in watt/secondo o joule/secondo, esprime la quantità di irradiazione fotosinteticamente attiva o PAR (photosyntecally active radiation) che, con cielo sereno, è pari a 400-500 Wm-2 (Salisbury, et al., l. c.).

Questo significa che quando il cielo è coperto, cosa molto frequente nella stagione in cui matura l’oliva, il processo respiratorio continua mentre quello fotosintetico è interrotto per insufficiente luminosità. In altri termini, nel complesso meccanismo fisiologico di una pianta a frutto climaterico, i processi catabolici (respirazione) continuano mentre quelli anabolici (fotosintesi) si interrompono frequentemente il che comporta due conseguenze.

Da una parte, l’accumulo dei metaboliti della respirazione, in assenza di accumulo dei metaboliti della fotosintesi, determina un peggioramento qualitativo in un frutto mantenuto sulla pianta oltre la sua maturazione fisiologica.

Dall’altra, la respirazione si svolge a carico dei metaboliti accumulati per cui, alla ripresa vegetativa, la pianta non dispone delle necessarie “riserve”.

All’origine del presente lavoro ci sono proprio le osservazioni di Plinio il Vecchio e la domanda che ci siamo posti, mira a valutare la possibilità di superare l’alternanza di produzione nell’olivo che, per alcune varietà, è considerata carattere genetico.

L’olivo, infatti, risente molto degli effetti di una raccolta ritardata e delle scarse cure che riceve nelle annate che si presumono essere di “scarica”. Da una parte, la raccolta ritardata tende a concentrare gli sforzi della pianta sui frutti presenti, limitando l’accumulo delle sostanze di riserva; dall’altra il permanere sulle piante di branche esaurite non lascia spazio alla formazione e sviluppo dei germogli fruttiferi.

Cenni di morfologia e fisiologia dell’olivo

Partendo dalla definizione che “l’architettura della chioma dell’olivo è il risultato dei fenomeni di crescita e di ramificazione che sono alla base della produzione di un complesso insieme di germogli differenti sia morfologicamente che dal punto di vista funzionale” (Villemur, 1984), si rendono evidenti due postulati della scuola francese (Villemur e Demas, 1978) a proposito dei concetti di “unità iniziale di accrescimento” e “unità strutturale di produzione”.

L’olivo produce su fiori portati da infiorescenze (mignole) che si formano alle ascelle delle foglie di germogli di 20 mesi di età e che abbiano raggiunto la lunghezza di 20-50 cm.

Nell’architettura dell’olivo si possono distinguere rami a legno e rami a frutto.

I rami a legno sono privi di gemme a fiore, presentano solo attività vegetativa e sono vigorosi e tendenzialmente assurgenti. A questi si possono associare i rami anticipati derivanti da gemme pronte che germogliano nello stesso anno in cui si sono formate.

I rami a frutto portano gemme a fiore, sono esili e scarsamente lignificati, tendenzialmente piegati verso il basso, presentano internodi brevi e solo gemme a fiore (ramo a frutto) o gemma apicale a legno e gemme laterali o ascellari miste o neutre. Le gemme dell’olivo rispecchiano l’architettura dei rami e possono essere apicali, ascellari, sottogemme o gemme soprannumerarie, avventizie e latenti. Le gemme apicali, dette anche terminali, sono, di norma, gemme a legno, destinate al prolungamento stagionale dell’asse vegetativo, con la sola eccezione delle gemme apicali dei rami a frutto presenti solo su alcune varietà. Le gemme ascellari o gemme laterali, si formano all’ascella delle foglie e ne seguono la fillotassi. Sono, in genere, miste o neutre e possono differenziarsi in vegetative (gemme a legno) o fiorifere (gemme a fiore). Le sottogemme o gemme soprannumerarie possono essere presenti in prossimità delle gemme e sono destinate a rimanere inattive o a schiudere se presenti su rami incurvati, dando luogo a germogli lunghi e vigorosi.

Le gemme avventizie, normalmente non visibili, possono essere presenti in qualsiasi punto della pianta, escluso ascelle e apice dei germogli e, frequentemente, danno origine agli ovoli o sferoblasti, mentre le gemme latenti si mantengono inerti per 2 o più anni e possono germogliare in presenza di eventi traumatici.

L’esame istologico delle gemme apicali e ascellari ha consentito di verificare che, fino al termine della stagione estiva, quelle che si sono formate nell’anno sono neutre. In autunno alcune gemme neutre dell’apice e/o ascellari, si differenziano per gemme a legno. A fine inverno/inizio primavera, 10-15 giorni prima della mignolatura, 40-45 prima della fioritura, gli apici delle gemme neutre si differenziano a legno quelle apicali, a foglie o fiori quelle ascellari.

Per riassumere, l’olivo produce sui rami dell’anno precedente che abbiano raggiunto i 20-50 cm di lunghezza e tutte le gemme dei rametti dell’anno sono in stato di quiescenza (gemme neutre.). In autunno, alcune gemme dell’apice e alcune gemme ascellari, differenziano i tessuti per gemme a legno mentre le altre rimangono neutre. A fine inverno/inizio primavera, circa 10-15 giorni prima della mignolatura, tutti gli apici vegetativi delle gemme neutre, ad eccezione di quelle che resteranno dormienti, sono in via di differenziazione versus foglie quelle apicali, a fiore e/o foglie quelle ascellari.

Nelle annate di carica, soprattutto se la raccolta è molto ritardata, la pianta non è in grado di accumulare sufficienti sostanze di riserva in quanto la presenza di un numero elevato di forti centri di richiamo, costituiti dai frutti in attiva crescita, determina una minore disponibilità di assimilati di riserva per lo sviluppo del germoglio e rappresenta una delle condizioni principali del fenomeno dell’alternanza di produzione. Altri fattori negativi sono la defogliazione precoce (gennaio- marzo), una riduzione di luminosità in estate-autunno o in primavera, la competizione dei frutti per cui risulta vantaggiosa la prima cascola da tignola in giugno, meno quella di agosto- settembre.

Se ripercorriamo le fasi fenologiche dell’olivo e i processi che avvengono in ogni fase, possiamo formulare meglio le ipotesi di lavoro.

Se definiamo la dormienza come “la sospensione temporanea di crescita visibile di qualsiasi struttura della pianta contenente un meristema” (Lang et al., 1987), possiamo dedurre che, nella fase di stasi vegetativa si ha la sospensione e/o il rallentamento dell’accrescimento degli organi vegetativi. Segue la fase di germogliamento, con ingrossamento e allungamento delle gemme apicali e laterali e l’emissione di nuova vegetazione. Nella fase di accrescimento, sul germoglio compaiono foglie e internodi e si verifica la perdita di clorofilla nelle foglie vecchie destinate a cadere. La fase successiva coincide con la formazione e lo sviluppo delle infiorescenze dalle gemme differenziate a fiore e, successivamente, il loro prolungamento assiale, cui segue la comparsa dei palchi fiorali. All’inizio della fioritura (25%) la corolla si espande e le antere assumono un colore giallo visibile. La piena fioritura è caratterizzata da distanziamento dei petali, allungamento degli stami e dello stilo, con stimma visibile e piena deiscenza delle antere..

Segue l’allegagione con l’ingrossamento dell’ovario mentre il calice è ancora presente.

L’accrescimento del frutto avviene in tre stadi. Nella prima fase si ha la caduta del calice e il frutto raggiunge il 20% circa del peso finale. Nella seconda fase si ha la lignificazione del nocciolo, le drupe raggiungono il 50% del peso finale, poi lo sviluppo rallenta per riprendere nella terza fase di accrescimento fino a raggiungere il peso finale. Le ultime fasi sono l’invaiatura, con il progressivo viraggio dal verde al giallo paglierino, sino al colore rosso- violaceo (50% della superficie delle drupe) e la maturazione in cui le drupe assumono la colorazione tipica della varietà.

Da ora in avanti parte il processo di senescenza e si passa alla stasi vegetativa, fase importante per preparare la nuova produzione. La fase di endo- dormienza, correlata a fattori fisiologici interni alla gemma, coincide con la diminuzione del fotoperiodo “percepito” dalle foglie e trasmesso agli altri organi della pianta con la sequenza:

1- Riduzione del trasporto polare delle auxine

2- Riduzione di elaborati e del trasporto delle gibberelline e delle citochinine

3- Produzione di abscissine (ABA)

4- Avvio della endo- dormienza con cui inizia l’adattamento al freddo.

Nel primo stadio di adattamento al freddo, si determina arresto della dominanza apicale, aumento di spessore delle pareti cellulari, inibizione della produzione di cellulosa, sostituita da lignina, maturazione dei rami, accumulo di glucidi insolubili e di alcuni enzimi come cellulasi e pectinasi.

Nel secondo stadio di adattamento al freddo, caratterizzato da ulteriori abbassamenti termici e riduzione della fase luminosa, si determinano una ridotta attività metabolica, un incremento della resistenza al freddo, modificazioni enzimatiche e scissione dei carboidrati.

Nel caso dell’olivo il problema fisiologico principale è dato sia dal fatto che è spesso interessato da eco e para dormienza estiva, sia dal fatto che nelle annate di carica, soprattutto se la raccolta è molto ritardata, la pianta non è in grado di accumulare sufficienti sostanze di riserva.

Conclusioni

Quali e quanti sono i fenomeni che hanno determinato un vistoso calo di produzione nel 2014 e nel 2016?

Lungi da noi l’idea di aver fornito risposte esaustive. Abbiamo solo tentato di delineare la complessità del problema, convinti come siamo di essere in una fase critica di adattamento di una pianta come l’olivo che è passata da un clima mediterraneo a un clima tropicale.

Bibliografia

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Villemur, P. (1984), Olives, alternate bearing, in Plant Analysis, Lavoisier, Ed., Paris.

Villemur, P.- Demas, J. M. (1978), Croissance- developpament chez l’olivier et alternance de production, sta in Atti del Sem. sull’Olivo in Tunisia.

 

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