La percezione della gravità della situazione ha oramai raggiunto anche coloro che addetti non sono. In Puglia il grande mostro si chiama “Xylella fastidiosa” ma possiede la dimensione di qualche milionesimo di millimetro. E’ un batterio, provoca la “Sindrome del disseccamento rapido” ossia la morte improvvisa della pianta di olivo per disseccamento e minaccia di “conquistare” in una guerra-lampo il resto della penisola e dell’Europa.
La Xylella, batterio della famiglia delle Xanthomonadaceae, si caratterizza per l'elevata variabilità genetica e fenotipica (ossia l'insieme delle sue caratteristiche osservabili). Se ne conoscono al momento quattro sottospecie che infettano circa 150 diverse piante: la fastidiosa colpisce olivi, viti e aceri; la sandyi punta all'oleandro; la multiplex predilige il pesco, l'olmo, il susino; la pauca preferisce le piante di agrumi e di caffè. Il meccanismo di attacco è però è simile per tutte le varietà del batterio: si moltiplica nei vasi conduttori dello xilema delle piante ospiti: ostruisce i vasi che trasportano acqua e nutrienti dalle radici al fusto e fino alle foglie, creando una sorta di gel che impedisce il regolare flusso del fluido. Le piante infette così si seccano completamente.
Migliaia di ulivi eradicati o tagliati o ridotti a tronchi morti: è questo il triste scenario che si prospetta nelle aree colpite dalla nuova “peste” degli olivi. Il batterio in questione è apparso per la prima volta in Puglia, nell’entroterra di Gallipoli, già qualche anno fa (2010) probabilmente attraverso l’importazione di piante ornamentali (oleandri) dall’Olanda. C’è un indagine della procura di Lecce che sta cercando di chiarire “responsabilità” e "omissioni" negli interventi che non sono riusciti a frenare l'epidemia da quando l'allarme è diventato conclamato. C’è un piano di intervento proposto dalla regione Puglia che, tra l’altro, prevede l’abbattimento selettivo delle piante infette, approvato dalla Protezione civile nazionale il 19 marzo, il giorno dopo l’audizione in Commissione agricoltura della Camera dei Deputati del commissario straordinario all’emergenza fitosanitaria Giuseppe Silletti. Il 26 marzo il Piano viene valutato e accolto positivamente dall'apposito Comitato europeo. Oltre l’abbattimento selettivo degli ulivi infetti nella zona di eradicazione (16 comuni in provincia di Lecce ed uno in provincia di Brindisi), il piano prevede scadenze importanti anche per le zone di profilassi e cuscinetto. In queste zone, gli agricoltori e le amministrazioni pubbliche sono chiamate ad operare insieme per l’eliminazione delle piante infestanti che ospitano le uova e le larve della “cicalina sputacchina” insetto riconosciuto come principale vettore del contagio da Xylella fastidiosa. I privati interverranno attraverso l’aratura dei propri terreni ma anche per mezzo del pirodiserbo e/o del decespugliamento delle zone non accessibili alle trattrici. Le amministrazioni interverranno per l'eliminazione di tutte le piante ospiti presenti lungo le strade, fossi, canali, aree verdi, ecc. Da maggio al 30 luglio sono poi previsti da parte dei proprietari o dei conduttori dei fondi anche due trattamenti con insetticidi volti ad arrestare l’avanzata della cicalina sputacchina sulle piante di olivo e sui frutteti del genere Prunus.
Tutto chiaro quindi? Per niente.
Mentre vi scrivo, il Tar sta decidendo sulla richiesta di sospensiva degli avvocati Giovanni e Guido Pesce che hanno già ottenuto un decreto urgente che ha bloccato le prime eradicazioni previste nel terreno di loro proprietà, a Oria, nel Brindisino, territorio selezionato come zona di avvio del piano Silletti.
Inoltre si fanno strada anche ipotesi di possibili cure: stanno arrivando i primi risultati di uno studio realizzato dalle Università di Bari, Foggia e Lecce, dal Cnr e dal Centro di ricerca Basile Caramia di Bari promosso dall’Assessorato allo Sviluppo economico della Regione Puglia e la Regione lo ha finanziato per 500 mila euro. Lo studio contempla la possibilità di utilizzare nanovettori contenenti ioni rame, ioni zinco, solfato di rame, usati anche tradizionalmente nell’agricoltura per arrivare, attraverso i vasi xilematici (vasi linfatici delle dimensioni di circa 20 micrometri), a colpire selettivamente il batterio causa dell’infestazione.
Ma non è finita qui: entro il 17 aprile, inoltre, l'Efsa, l'autorità europea per la sicurezza alimentare, dovrà emettere un nuovo parere scientifico, come richiesto dalla Commissione Ue, anche sulla base della documentazione di Peacelink secondo cui il disseccamento degli ulivi non sarebbe dovuto alla Xylella ma agli attacchi di uno o più funghi. La lettera con la quale la Commissione Europea chiede all’Efsa un nuovo urgente parere scientifico sulla vicenda in Puglia, sottolinea che l’azione di Peacelink e il materiale fornito hanno rimesso in questione l’intera politica europea di controllo della malattia, che consiste nella distruzione delle piante infette, sulla base del presupposto che non esistano altri trattamenti efficaci. La Ong Peacelink ha fornito evidenze scientifiche e tecniche secondo le quali la Xylella fastidiosa non è la causa del fenomeno del declino degli ulivi in Italia meridionale ma solo un elemento endogeno presente negli ulivi, che normalmente non è attivo o aggressivo a meno che una serie di funghi appartenenti al genere Phaeoacremonium e Phaemoniella, non infettino le piante e creino le condizioni favorevoli per lo sviluppo della Xylella fastidiosa. Allo stesso tempo la Ong italiana sostiene che esistono quindi possibilità di risoluzione della Sindrome attraverso il più semplice e molto meno invasivo trattamento di questi funghi.
Infine, non si può definire completamente il quadro della situazione senza fare alcune considerazioni peraltro condivise da una buona parte dei tecnici operanti nella regione. Le zone fino ad ora colpite dalla Sindrome del disseccamento rapido sono quelle che in Puglia accolgono un olivicoltura per lo più obsoleta, sostenuta da piante secolari di grosse dimensioni, difficilmente meccanizzabile e caratterizzata da elevati costi di produzione. La scarsa competitività di tali impianti unita ad una legge regionale (L.R. 14/07) che vieta l’espianto degli olivi secolari ha già di fatto portato all’abbandono di numerosissimi fondi olivetati sui quali le piante trascurate e ovviamente indebolite finiscono per soccombere più facilmente alle varie malattie, sia che trattasi di batteri che di funghi, e finiscono per rappresentare un focolaio di infezione permanente per i sempre meno numerosi impianti efficienti ancora attivi nelle zone limitrofe.
Come sempre in Italia, insieme all’emergenza è arrivato il momento di ripensare la politica di gestione del nostro prezioso territorio e di una coltura così importante per la nostra economia.
Dott. Agr. Michele Carone
09 aprile 2015