E’ tempo di avviare una riflessione più documentata e approfondita sul fenomeno di massa denominato Sardine, guardato con attenzione e interesse dopo la sorpresa iniziale da tanta parte della politica, osteggiato e vilipeso da forze conservatrici, populiste e sovraniste. Occorre lucidità e sguardo lontano per comprendere l’orizzonte in cui si muovono queste forze che si presentano come formidabile antidoto alla demagogia sovranista, offrendo alle forze progressiste un terreno di confronto da cui può nascere una spinta al rinnovamento che la sinistra storica sembra avere smarrito in Italia e in Europa

di Ettore Ianì

 

L’abitudine di attendere qualcosa di nuovo in politica si è trasformata in un rito in grado di propiziare l’arrivo di una donna, un uomo, un partito, un movimento. Qualcosa improvvisa e inedita capace di una rottura sociale, di quella frattura con il passato necessario per dare il segnale di un’autentica svolta, di interrompere il turbinio volubile e confuso del tran tran della nostra vita politica. Al contrario del tenente Drogo, protagonista de Il deserto dei tartari, di Dino Buzzati, uomo pieno di ambizioni e di aspettative che vive lentamente in una serie infinita di attese immaginifiche e prive di sbocchi reali, qualcosa di politicamente significativo accade. L’attesa che dura dal 2011, dal naufragio del ventennio berlusconiano, non viene delusa: compare sulla scena sociopolitica il movimento delle Sardine. Il primo movimento che nasce non per contestare il governo, ma l’opposizione. Sarebbe miope però insistere su questo paradigma senza aggiungere che nasce il 15 novembre 2019 a Bologna, con la protesta di Piazza Maggiore contro Matteo Salvini, che dalla stessa città lanciava la campagna elettorale delle regionali. Nasce nella “Emilia Romagna rossa”, ultimo baluardo di riferimento storico e politico di quel che resta della sinistra italiana, per dare la sveglia a una sinistra che perde smalto e vigore e che rischia di perdere la Regione per consegnarla a una destra populista, sovranista e xenofoba. Le Sardine -movimento senza bandiere e senza proclami, che hanno creato uno stato d’animo, una condizione emotiva, un sentimento collettivo- nascono dall’iniziativa di quattro ragazzi bolognesi, che il loro portavoce Mattia Santori, definisce “le sardine come anticorpo”. Trovano la loro luce dopo i Girotondi, Lenzuoli Antimafia, Agende Rosse, Popolo dei Fax, Popolo Viola, Forconi, Gli Indignati, Movimento Arancione, Madamine di Torino, i 5Stelle con il “Vaffa”: anch’essi impetuosi e circondati da mille aspettative, ma alla prova dei fatti logorati dall’inesorabile, ostinata e ripetitiva routine. Esperienze che avevano suscitato speranze, curiosità e aspettative catartiche. Queste forme inedite e transitorie di partecipazione non sono mai inutili o neutre, soprattutto per i leader, capetti o dirigenti che trasferiscono la loro azione di partecipazione in piazza nei partiti. Dopo il rapido consumarsi della promessa di fare tabula rasa e di aprire il Parlamento come “una scatoletta di tonno”, della rottamazione e la gerontocrazia renziana, ecco le “Sardine”, che rimuovono e suppliscono ai simboli più vari desunti dalla flora e dalla fauna. Di tutte queste esperienze poco o niente e rimasta viva, se non la riaffermazione, senza ricorrere all’estrema radicalità di Simone Weil del Manifesto per la soppressione dei partiti politici, di quanto ampio sia lo spazio per un’azione pubblica diversa da quella che passa attraverso i canali convenzionali. Parallelamente, più o meno nello stesso arco di tempo, una caterva d’iniziative politiche fa da sfondo e da contorno alle Sardine: Italia Viva di Renzi, Azione di Calenda, Cambiamo di Toti, Voce libera di Carfagna. Ma a riempiere le piazze (92 in un mese) sono loro con un nuovo e pacato linguaggio politico, sono loro che offrono uno spazio eloquente ai partigiani nel segno dell’antifascismo e della difesa della Costituzione, a intonare Bella ciao, canto laico della liberazione e della concordia repubblicana, a dare gambe a questi nevralgici valori che la politica italiana ha spesso dimenticato o sottovalutato. Non piazza dello scontro, dei tribuni del popolo, dei No global, degli indiani metropolitani o dei Black bloc, ma “massa aperta”, un’aggregazione di singoli individui accomunati da intenti comuni, pur nella diversità di età, ceto e cultura, in un modo spontaneo che si costituisce in massa per rappresentare un segnale d’allarme per spingere il malato a curarsi. Un sintomo  positivo in una stagione scolorita e in pieno smarrimento per le sofferenze e le disfunzione della politica. Sollecitano alla classe politica di svolgere la loro attività con più determinazione e abnegazione per progettare un futuro migliore.

Programma ambizioso?

La piazza, come agorà, luogo riconosciuto dai più come democratico, idoneo per mettere sotto lente d’ingrandimento le malattie e le distorsioni di cui gode la cattiva politica, la politicaccia che insegue interessi personali e non quelli del bene comune. E’ la richiesta di buona politica con una modalità pacifica, priva di fronzoli e con una copiosa affluenza intenzionale inattesa e imprevista di persone, come il fenomeno che si riconosce in Greta Thunberg che fa scioperare il mondo contro il riscaldamento. Un assembramento di persone sconoscite tra di loro che richiama il fenomeno dei Flash Mob, nato nel 2003 negli Stati Uniti e in Giappone e che generalmente si organizza mediante Internet o messaggi di posta elettronica, il cui guru è il sociologo americano Howard Rheingold (Comunità virtuali. Parlare, incontrarsi, vivere nel ciberspazio, Sperling & Kupfer, Milano 1994). Le Sardine si prendono la scena, dettano l’agenda delle priorità e delle emergenze con un linguaggio pacato e con messaggi insieme utopici e pragmatici. Le Sardine non sono scese in piazza “contro Salvini”, semmai per raccontare un’altra storia rispetto a quella di Salvini e Meloni, contro ciò che rappresentano. Salvini contro gli immigrati, portatori di delinquenza e insicurezza, contro le Ong e i centri sociali, con i suoi simboli (crocefisso, rosari, tricolori e ruspe), con gli slogan ossessivi di prima gli italiani, con la chiusura dei porti e delle economie chiuse, con il culto degli uomini forti e la relativa richiesta di pieni poteri, magari a fianco della Russia di Putin. Ecco, le Sardine sono o possono essere una risposta a questo insano progetto. Anche perché oggi non vanno a caccia di una qualche rappresentatività politica, di uno spazio politico o d’ipotetiche candidature. Oggi scrivono, il 20 dicembre 2019 a la Repubblica, che non vogliono finire ingabbiati in un partito, perché sarebbe come “mettere i confini al mare”. “La forma stessa di un partito sarebbe un oltraggio, scrivono le Sardine, a ciò che è stato e che potrebbe essere. E non perché i partiti siano sbagliati, ma perché veniamo da una pentola e non è lì che vogliamo tornare. Chiedere che cornice dare a una rivolta è come mettere confini al mare. Puoi farlo, ma risulterai ridicolo. Noi ci chiediamo ogni giorno come fare, e ci sentiamo ridicoli, inadatti e impreparati … ma finalmente liberi”. Sono parole che richiamano alla memoria ricordi scolastici danteschi. La mia patria, dice Dante, è il mondo, “come per i pesci il mare”. Il sogno anarchico di un mondo senza frontiere, senza Stati, senza guerre, un mondo della fraternità universale e cosmopolita. In un mondo che parla sempre più di erigere muri ai confini, di risveglio dei localismi, ispirarsi a valori così pregnanti è già una grande notizia, non “chiacchere e fuffa”, come l’ha bollata sbrigativamente il Giornale.it del 20 dicembre 2019. Un movimento, quello delle Sardine, che è lievitato a dismisura fino a occupare un posto significativo sulla scena politica, capace di occupare in brevissimo tempo di conquistare non solo la piazza di San Giovanni a Roma, ma anche quelle europee di Parigi e Bruxelles. Una rapida crescita e visibilità che testimonia come nella società si ha voglia di coinvolgimento e di responsabilità sociale. Un movimento di dimensione sovrannazionale con l’ambizione di svegliare dal letargo la Politica, per sottrarla all’afasia che li affligge di fronte allo straripante sovranismo, populismo e simpatia verso il mito dell’”uomo forte”. Questa repentina e robusta crescita trova l’endorsement del calibro di Romano Prodi, di Dacia Maraini, del segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, Elsa Fornero, Paolo Flores d’Arcais, Roberto Saviano, Mario Monti e tanti altri.  Virali sui social, figli della rete, del passaparola innescati dal web e dal tam-tam di Facebook, sollevano diverse domande destinate a rimanere inevase, se prima non si trova a scavare per capire chi sono e cosa vogliano fare di questo variopinto patrimonio sociale e politico. Nessuno ha previsto questa escalation, almeno non in così breve tempo. Eppure non mancavano gli indizi evidenti: il radicamento delle destre e la radicalizzazione di Salvini sui migranti, la crisi economica, la crisi delle forze politiche della sinistra, la crescita esponenziale della diseguaglianza, la devastazione del ceto medio, l’odio per lo straniero, la rottura dell’ascensore sociale, l’invecchiamento demografico, il degrado delle periferie e i nuovi diseredati, l’entrata a gambe tese della democrazia digitale e via dicendo. Del resto, l’ultimo rapporto Censis e Ilvo Damanti, con il sondaggio Demos per Repubblica, confermano come il virus della sfiducia si annida nelle pieghe del tessuto sociale: Stato, Parlamento e partiti sono più o meno stabilmente agli ultimi posti nella fiducia dei cittadini. Il rapporto Censis del 2019 non lascia spazio a dubbi o incertezze. Emerge con chiarezza che la spaccatura tra la società e la politica è sempre più radicale e la ricerca di riscatto viene dalle soddisfazioni del privato, volontariato e attivismo ambientale. Il 65% degli italiani è dominato da uno stato d’incertezza, la crisi economica crea ansia per il futuro e sfiducia verso il prossimo e invoca per il 48% “un uomo forte al potere”. Il livello d’incazzatura/frustrazione cresce assieme allo stato d’ansia (69%), provocata dal rischio di un declassamento sociale, il 49% ha subito una prepotenza in un luogo pubblico e il 90% dei telespettatori non vorrebbe più vedere in televisione i politici.

Manifesto programmatico

Il 21 novembre presentano un manifesto programmatico con l’obiettivo di spiegare le ragioni per scendere in piazza. Alle prime righe del manifesto si legge: “Cari populisti, lo avete capito. La festa è finita. Avete scelto di affogare i vostri contenuti politici sotto un oceano di comunicazione vuota, ma di quei contenuti non è rimasto più nulla”. Non sono indicati partiti di riferimento per rimarcare la scelta apartitica del movimento e contemporaneamente esortano a credere nella politica con la “P maiuscola”. Il 14 dicembre, durante la manifestazione a Roma, le Sardine, dopo aver ribadito di non essere un partito, espongono in sei punti il loro programma. “1. Pretendiamo che chi è stato eletto vada nelle sedi istituzionali a lavorare. 2. Pretendiamo che chiunque ricopra la carica di ministro comunichi solamente nei canali istituzionali. 4. Pretendiamo che il mondo dell’informazione traduca tutto questo nostro sforzo in messaggi fedeli ai fatti. 5. Pretendiamo che la violenza venga esclusa dai toni della politica in ogni sua forma. La violenza verbale venga equiparata a quella fisica. 6. Chiediamo che il decreto sicurezza venga abrogato”.

 Le Sardine partano da qui, da un programma che si presta a mille interpretazioni e a una moltitudine di analisi, anche per l’indeterminatezza degli obiettivi. Volendo analizzarli a caldo è necessario essere ben consapevoli che ci troviamo di fronte ad un peculiare movimento allo stato nascente che occorrerà esaminare inserendolo in un contesto socio-politico-culturale post Novecento, non da baby boomer ma da Millennials. Con nuovi paradigmi da testacoda, da spartiacque generazionale, che si chiede cosa si lascerà alle nuove generazioni, che non parla più di tanto di Europa perché è una generazione, figlia legittima dell’Erasmus, di mobilità e di libera circolazione dentro l’Unione Europea fin dal 1987, che conosce le lingue e viaggia costantemente da un capo all’altro, che è nativa-digitale. Questo però non ci esime a un’analisi critico-costruttiva. I cinque “pretendiamo, verbo che si presta a diverse sfumature, sono stati utilizzati come una pretesa volitiva e assertiva o più semplicemente come una legittima richiesta alla politica e ai politici ? Non si tratta solo di semantica. Al netto della naturale spavalderia giovanile, resta sconveniente per chi ha la pretesa di farsi portabandiera del tono basso, del parlare sommesso e rispettoso. Con più sano realismo il verbo pretendere è sostituito dal più democratico e dialettico “chiedere” sul ripensamento del “decreto sicurezza”, di natura fascistoide fino a dilatare smisuratamente i poteri del ministro dell’Interno.  Il contesto suggerisce di scartare una lettura pretestuosa di “pretendere" come imporre la propria volontà a tutti, anche perché sei punti programmatici esprimono posizioni sottotraccia. Peraltro, “pretendere” la soluzione di ogni problema non solo significherebbe immaginare uno scenario di vita idillica e bucolica. Leggere i sei punti come un programma politico è un errore, se così fosse occorrerebbe bocciarlo senza tentennamenti. Prescindono da qualsiasi analisi economica e politica, non c’è nessun riferimento sull’occupazione e sul precariato, sulle pensioni, su l’Ilva e Alitalia, su l’antisemitismo, sulla diseguaglianza sulle periferie e sui diseredati, sul clima, sulla politica estera e via dicendo. I sei punti, al di là di un’analisi di dettaglio, sono indirizzati prevalentemente sull’impostazione culturale, sulle proposte e i simboli dell’ ex inquilino del Viminale, Matteo Salvini, ma rappresentano anche dei riferimenti etici  in base ai quali giudicare i politici, la classe dirigente e i compulsivi dei social e, contemporaneamente, delle linee guida per quelli che scendono in piazza. Prima o poi le Sardine saranno chiamate (da sinistra e da destra) a uscire dalla indeterminatezza e dal limbo di una “non proposta”, “esame” che i promotori con tutta evidenza si sforzano di differire il più possibile per continuare a mobilizzare migliaia e migliaia di persone intorno a idee semplici e aggreganti, che nel linguaggio del marketing si chiama un naming, a una favorevole atmosfera e stato d’animo del sorriso contro l’odio, la paura e le narrazioni tossiche.

Il day-after 

Ai tempi della demagogia populista, c’è spazio per un’esperienza di “democrazia partecipativa” come quella delle Sardine?  Ci faranno riscoprire quell’emozione partecipativa, condivisa e costituita da una pluralità di attori che la politologa tedesca Hannah Arendt chiama felicità pubblica? Dureranno o sono anche loro un fenomeno meteora? Di cosa sono espressione? Come mai si sono si sono messe in moto proprio ora? Diventeranno un partito? Sarà il futuro a tirare le somme e decretare se stavolta con le Sardine, movimento più moderato che estremista, figli di quei ceti medi urbani che in passato sono stati l’energia propulsiva del centrosinistra, inietteranno una qualche novità salvifica del nostro Paese o cessato l’effetto della novità gli entusiasmi e le attese si smorzeranno lasciando delusione e amarezza. L’affollarsi e il moltiplicarsi delle Sardine dopo l’iniziale attrazione enigmatica, di felice e diffuso entusiasmo, è destinato a durare? Ai tempi della demagogia, c’è spazio per un’esperienza democratica di partecipazione all’agire politico? Qual sarà il loro day-after?

Non facciamoci facili e comode illusioni. Di movimenti che avevano acceso lampi di luce ne abbiamo conosciuti, tanti, ma le attese sono state tradite in tutto o in parte. Un fioco lume di speranza viene dalle Sardine che esprimono freschezza, partecipazione dal basso e civismo di una fetta d’Italia che, non potendo contare sulle forze politiche di sinistra, trova un modo di manifestare il proprio dissenso verso scelte, pratiche e ideologie in cui hanno difficoltà di riconoscersi. Direttamente o indirettamente hanno dato voce a tutte quelle persone silenti e singole di indignarsi con garbo verso coloro che fanno leva sulla paura, divisione e discriminazione razziale. Ma rischia di rimanere nel limbo dell’epifenomeno politico se la sinistra, cui strabicamente guardano le Sardine, si limitasse passivamente a volgere lo sguardo e magari pretendere che dalle Sardine venga fuori un programma o un partito. Il movimento delle Sardine si diffonde non certo per merito della sinistra e piuttosto la sinistra, egemonizzata dal Pd, che deve molto alle Sardine, le quali hanno avuto il merito di dimostrare che l’Italia non è tutta di destra e che una alternativa a essa esiste concretamente. La sinistra e, in particolare il Pd, è chiamata, se non vuole continuare alla conservazione, interrogarsi su quanto sta accadendo sul proscenio politico. “Il rischio diversamente è quello di sprecare un sacco di risorse”, ha sostenuto il professore Massimo Cacciari il 14 dicembre 2019 su diversi giornali e TV. Aprire un confronto a tutto tondo con il mondo della sinistra, sarà utile non solo per le Sardine, ma soprattutto al Pd, che continua a perdere consensi e con un elettorato disorientato, che trova disagio rispetto alle scelte fatte finora dal partito ed per questa ragione si è allontanato. Attendere, differire, perdere altro tempo, è politicamente rischioso. Le sardine corrono il pericolo che con il tempo possano perdere lo slancio iniziale e lo stato d’incanto e lo scenario politico può trasformarsi in una arena dove tutti cercheranno di imporre istanze, sollecitazioni e domande non sempre corrette. La teoria attendista appare assai gracile e falsamente democratica. Non è sano, da parte della sinistra, stare lontani per vedere l’effetto che fa, magari con l’alibi di non contaminarli e attendere che spiccano il volo con le loro ali. Confrontarsi e dialogare per portare avanti progetti comuni, azioni politiche condivise, perseguire e costruire obiettivi convergenti su basi partecipative, paritetiche e democratiche, scartando a priori l’idea di farne un “utile cespuglio”. Un confronto che costringerà le sardine a farsi le ossa, creare i presupposti per uscire allo scoperto e a misurarsi su questioni politicamente e programmaticamente più stringenti, per sporcarsi le mani; alla sinistra di misurarsi con un movimento fresco, con un linguaggio nuovo e una robusta presenza sui social network, con idee più aderenti allo spirito del tempo e al servizio della polis. Per non perdere smalto e lentamente deperire le sardine dovranno sorprendere, dovranno entrare nell’agone politico con proposte concrete e precise, scremando il flash mob, sfidando l’opinione pubblica con la loro stessa esistenza, distintività e significatività.

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