Prosegue l’esplorazione del fenomeno politico, culturale e sociologico 
denominato SARDINE. Dopo le manifestazioni pubbliche il movimento creato dai quattro ragazzi bolognesi e dilagato in tutto il Paese, non può essere ignorato. Ciascuno ne dà una lettura e una interpretazione che sfuggono alle chiavi di osservazione tradizionali. Per questo è utile raccogliere quanto più testimonianze possibili, allo scopo di avere un quadro più ampio possibile necessario per capire come evolve e che prospettive potrà avere.

 di Monica Viva, Consigliere comunale di Idea Comune, Porto Cesario

A questo punto, al punto in cui le Sardine sono arrivate, è complicato uscire di scena, immaginando che la loro funzione sia terminata. In una società che vive di apparenza e spettacolarità spegnere i riflettori, abbassare il volume, tornare all’anonimato, è un giro di boa dissuasivo. Si è sempre recalcitranti capire quando è venuto meno il momento di uscire dalla scena e a viverlo come un fatto naturale. Lo è a maggior ragione se si tratta di tante Sardine che, nuotando controcorrente, hanno svegliato dal torpore la società civile e contribuito a far vincere in Emilia Romagna il presidente uscente Bonaccini contro la leghista Bergonzoni. L’arte di staccare, di spegnere le luci del palcoscenico, seguire il monito dantesco dell’inferno a saper “ Calar le vele e raccogliere le sarte”, è poco praticata non solo tra i politici. Se in altri paesi i politici, soprattutto quelli di maggior rilievo, spariscono una volta cessata la loro funzione, in Italia l’arte di farsi da parte è più o meno sconosciuta. Margaret Thatcher, Helmut Schmitt, Helmut Kohl, solo per fare un esempio, hanno spento le luci della ribalta non appena finito il loro ciclo per ritirati a vita privata per scelta. Nella storia della politica italiana di norma prevale il “Mene vado, anzi no resto”, e se qualcuno lo fa generalmente è per forza maggiore perché costretti da clamorosi tonfi giudiziari (Fini, Formigoni, Dell’Utri, giusto per fare qualche esempio). Da Renzi a Di Bastista, da Berlusconi alla Boschi, fino a Peppe Grillo, ad eccezione di Alfano che ritorna a fare l’avvocato, tutti gli altri ricordati e non, hanno evitato con cura di staccare la spina come promesso, anzi la hanno riattivata senza pudore. L’assuefazione alle cariche desta sempre qualche preoccupazione. Col tempo si tende a perdere i confini del potere e la democrazia rischia di trasformarsi in autocrazia, a perdere il contatto con la realtà. Non è tutto ciò l’irresponsabile citofonata di Matteo Salvini al presunto pusher tunisino, nel cuore del quartiere popolare del Pilastro a Bologna? Le Sardine riusciranno a dribblare questi virus che finora hanno infestato tutti i movimenti?

La domanda di rito è: “Le Sardine manterranno la promessa di non diventare un partito?”. A urne chiuse dopo, dopo aver compiuto la prima rivoluzione ittica, dichiarano: “ Non siamo nati per stare sul palcoscenico, ci siamo saliti perché era giusto farlo.[…] Non ci vedrete in Tv o sui giornali. […] E’ tempo di far calare il sipario e lavorare dietro le quinte”. Buoni e condivisibili propositi. Si non montatevi la testa! Continuate a fare opposizione al populismo, al sovranismo e al razzismo con

umiltà e fermezza, senza alzare la voce, nel rispetto dei valori umani e delle persone in difficoltà. Ma anche con le orecchie tese verso chi vi vuol fare contare e incidere rispettando la vostra autonomia, verso chi è alla ricerca di spazi politicamente inediti, oltre ai partiti tradizionali ma mai contro di loro, lontano dalla nascita del leaderismo carismatico, dalle élite e apparati autoreferenziali, dai privilegi non necessari, dai vantaggi personali a discapito del bene comune. Ci vediamo a metà marzo a Scampia per un congresso fondativo sfidando, come scrive nella rivista Ettore Ianì, “l’opinione pubblica con la vostra stessa esistenza, distintività e significatività”.

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