di Monica Viva
Avvocato. Esperta in appalti pubblici

Il nuovo codice degli appalti, approvato al Consiglio dei Ministri del 16 dicembre 2022, la cui applicazione è prevista dal prossimo aprile del 2023, è sotto la lente d’ingrandimento parlamentare e degli esperti e analisti del settore. Si tratta di una riforma su cui s’impernia il decorso del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), un pacchetto d’investimenti e di riforme articolato in sei misure su cui ruota un’ambiziosa e robusta agenda di riforme. La situazione è in movimento, in uno stato di effervescenza. Quando si parla di appalti, secondo Ferruccio de Bortoli, 30 gennaio 2023 sul Corriere della Sera, “si confrontano due filosofie contrapposte che producono quasi alla perfezione due visioni lontanissime del Paese”. Semplificando, da una parte abbiamo la scuola di pensiero ancorata alle indicazioni del Consiglio di Stato, incaricato dal governo Draghi, ad adottare un nuovo testo tenendo conto “ai nuovi principi contenuti nella legge delega” del 2022; l’altra visione, il cui obiettivo primario è aprire i cantieri, ruota intorno al principio del liberalismo economico del laissez-faire allo scopo di accelerare l’implementazione del Pnrr: scuola di pensiero non del tutto priva, aggiungiamo noi, di rischi sulla legalità e trasparenza. Si apre in questa dicotomia la difficoltà di trovare, come abbiano evidenziato del nostro intervento Nuovo codice degli appalti. Tecnologia e velocità uguale corruzione? su questa rivista del 21/10/2022, l’equilibrio fra trasparenza ed efficienza, tra controlli e tempi di esecuzione. In altre parole, com’è possibile trovare un’armonia compositiva fra le due scuole di pensiero contrastanti, senza cadere nella trappola di “liberi tutti”, con il rischio di non promuovere la concorrenza, ma sacrificarla sull’altare delle reti amicali degli affidamenti diretti o degli interlocutori privilegiati?

Le osservazioni di Anac, Ance e Oice
Volendo azzardare, seppur timidamente e con una certa esitazione, avanziamo un confronto tra istituzioni, persone con esperienze, obiettivi e punti di vista diversi.  Nel farlo partirei sinteticamente e senza fissare alcuna gerarchia, sul ruolo e le perplessità espresse dall’ Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), dell’ Oice, Associazione d’ingegneri e architetti, aderente alla Confindustria e dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance). In questi tre organismi, seppur su posizioni non sempre confluenti, è possibile cogliere un fil rouge nella preoccupazione di denunciare la scarsa tutela dei diritti dei lavoratori nei cantieri; la sotto valorizzazione del ruolo dell’Anac; la liberalizzazione del subappalto che rischia di mettere in gioco le imprese improvvisate, senza competenza, né programma e con mezzi di fortuna; la misura sulla revisione prezzi che presenta troppo vincoli e interviene solo ex post con un meccanismo inutilmente farraginoso; l’introduzione dell’onere della prova in modo improprio, mettendo in dubbio l’idea di imparzialità della pubblica amministrazione.

Su questo scenario, scarsamente confortevole, riprendiamo alcuni temi che già abbiamo affrontato nell’articolo sopra citato.  La prima domanda che ci poniamo è la seguente: “L’Anac gioca ancora un ruolo da “cane da guardia” negli appalti e nella trasparenza?” E’ da diversi anni, forse siamo al quarto governo, che l’Anac subisce picconate di varia intensità e viene svuotata di poteri e colonizzata dalla politica. Illuminante, in tal senso, è l’articolo di Sergio Rizzo, C’era una volta l’Anac, L’Espresso del 29 gennaio 2023. Certo è che rispetto all gestione di Raffaele Cantone, che la aveva trasformata in un’autorità di vigilanza combattiva, grintosa e pugnace, ora assomiglia alla siesta sotto l’ampio e sonnacchioso sombrero. Sulla carta conserva ancora molti poteri, ma sono quelli di una moribonda authority. Il presidente dell’Ance Giuseppe Busia, al convegno del 18 gennaio 2023, ha manifestato tutta la sua contrarietà al nuovo codice degli appalti. Parte rivendicando l’esigenza di rafforzare la corretta progettazione, elemento nodale per le amministrazioni per capire l’obiettivo che si vuole perseguire e, quindi, scegliere il mezzo più idoneo per raggiungerlo. Critica la soglia degli affidamenti diretti per servizi e forniture che viene alzata fino a 140mila euro “senza neanche fare una ricerca di mercato”, mentre secondo il presidente dell’Anc, è opportuno prevedere almeno una preventiva ricerca di mercato, chiedere rotazione delle imprese per evitare “che l’imprese più sull’ innovazione vengono attratte sull’avvicinamento al dirigente o all’amministrazione di turno”. Purtroppo, afferma Busia, sono stati modificati anche le disposizioni sul conflitto d’interessi, in contrasto “con l’ordinamento in generale che prevede norme stringenti per i conflitti d’interesse”. In effetti, il testo presentato in Parlamento ha introdotto l’onere della prova in contrasto con l’idea d’imparzialità della pubblica amministrazione. L’onere della prova dovrebbe cadere a chi partecipa, che deve indicare chi è l’effettivo titolare dell’impresa, adeguandosi alla normativa antiriciclaggio, mentre all’amministrazione deve cadere l’onere di sapere a chi affida le risorse pubbliche. Nello spirito della semplificazione viene soppresso il registro dell’ in-house gestito da Anac.  E’ una finta semplificazione, un vulnus per le imprese e il mercato, sostiene il presidente dell’Anac. La verifica preventiva è essenziale per controllare se il soggetto che acquisisce una commessa pubblica, possiede o no i requisiti richiesti dalla Corte europea di Giustizia, anche per evitare una concorrenza sleale tra le imprese. La soppressione del registro dell’in-house gestito da Anac se non è sbagliata, certamente solleva molti dubbi. Non verificare se vengono rispettati i requisiti richiesti dalla giurisprudenza comunitaria significa non conoscere quali  in-house hanno o non hanno le caratteristiche per operare correttamente. Non tutti i richiedenti, si stima circa i due terzi, hanno le caratteristiche richieste e con la soppressione del registro tutti possono accedere ai bandi. Tutto questo a senso? Sicuramente indebolirà la gestione e la fornitura dei servizi, non aiuterà a fornire servizi a prezzi più competitivi e non favorirà la libera concorrenza e la scelta dei fornitori migliori. Di certo, se non sarà reintrodotto l’albo degli in-house, il rischio è che la contesa giudiziaria e le controversie saranno destinate ad aumentare.

Mentre l’Ance, nell’audizione informale del 26 gennaio 2023, presso la Commissione Ambiente della Camera, dopo aver riconosciuto positivamente il processo di digitalizzazione delle procedure, aver apprezzato l’introduzione del principio dell’equilibrio contrattuale e il rafforzamento degli strumenti di deflazione del contenzioso giurisdizionale, rivendica interventi correttivi al testo. Anzitutto, auspica di “eliminare le contraddizioni tra i buoni principi espressi e talune norme pure presenti nel Codice”.  Federica Brancaccio, la presidente Ance, dichiara che: ” Il Codice sta optando per rendere stabili le procedure emergenziali introdotte con il decreto semplificazione, rendendo possibile utilizzare le procedure ordinarie sopra un 1milione di euro e solo se tale scelta venga accompagnata da adeguata motivazione”. In buona sostanza, viene evidenziato che si tratta di una soglia elevata, il che rischia di azzerare il mercato in aperta contraddizione con il principio di concorrenza e trasparenza. La scelta è caduta sul contrarre i tempi delle procedure di gara anziché intervenire sui ridarti dove nascono e prosperano le condizioni di difficoltà. Del resto, non va dimenticato che le disposizioni sulle procedure negoziate senza gara d’appalto, non sono conformi alla legislazione della Commissione europea in materia di appalti pubblici. Le scelte sui settori speciali, ad esempio, vengono sottratte dagli obblighi di esternalizzazione per quei concessionari (nei settori speciali, appunto) che hanno ottenuto la concessione senza gara. Quanto al principio del risultato, che deve garantire il migliore rapporto qualità-prezzo, con la soppressione del tetto massimo al punteggio da attribuire al prezzo in sede di offerta economicamente più vantaggiosa, non solo è in contrasto con la disciplina europea, ma si reintroduce, sull’altare della semplificazione, di fatto il massimo ribasso. Salta, in tal modo, la possibilità di aggiudicare al massimo ribasso le grandi opere del Pnrr, in caso di assegnazione dell’appalto su progetto di fattibilità.  Rimane in vita la possibilità di assegnare i contratti particolarmente complessi sulla base di semplici progetti di fattibilità tecno-economica, ma sparisce la clausola che consentiva (in questi casi) la possibilità di procedere all’aggiudicazione del contratto “sulla base del criterio del prezzo più basso”. Se a prima vista, può apparire una modifica positiva, l’esperienza ci informa che stanno venendo alla luce diversi casi in cui, chi deve decidere, lascia spazio alle idee, sentimenti e preferenze “soggettive”, senza valutare con profonda e con competenza le diverse qualità tecniche delle offerte. Ci troviamo di fronte a un cambiamento netto, specialmente davanti ad un nuovo e grande flusso d’investimenti, a una scommessa di grande rilievo che non deve essere persa. La memoria è ancora vivida su cosa a prodotto l’applicazione del criterio del massimo ribasso: imprese vistosamente sgangherate in grado di vincere, ma incapaci diportare a buon fine i lavori, a causa di ribassi d’asta fuori da ogni logica di mercato. Non è una discussione tecnica, limitata per gli addetti ai lavori. No, è una scelta che chiama in causa la Politica, nel senso di politica di governo. La domanda è: “Vogliamo, nelle opere pubbliche, continuare a tirare sul prezzo, immaginando che le basi d’asta sono fasulle e le imprese ci marciano, oppure, d’accordo con il mondo produttivo e i professionisti della progettazione lavorino per selezionare la qualità e rifuggendo ai profitti realizzati con sotterfugi di varia natura?

L’Oice, sempre all’audizione presso la Commissione Ambiente della Camera del 26 gennaio 2023, il presidente Giorgio Lupoi e il direttore generale Andrea Mascolini, hanno chiesto, come prima richiesta, uno slittamento dell’ entrata in vigore a gennaio 2024, per dare modo al mondo delle imprese e alle amministrazioni di assimilare e familiarizzare con le nuove disposizioni del nuovo Codice degli appalti. A tal proposito circola, tra gli addetti ai lavori, la voce di uno slittamento a luglio di quest’anno. Anche l’associazione Oice riprende i temi già  esaminati e aggiunge di colmare il vuoto sulle regole per affidare i servizi tecnici per evitare il rischio della firma poiché nello schema del codice “non sono previste, neanche nell’ambito degli allegati, disposizioni che siano in grado di guidare le stazioni appaltanti nelle procedure di affidamento di servizi attinenti all’architettura e all’ingegneria”. La discrezionalità viene considerata un “valore Condiviso”, ma per essere credibile ed efficace, secondo l’Oice, deve essere supportata da strumenti guida, anche in relazione all’ottimizzazione di tempi e costi. Giudica antistorico prevedere l’incentivo sull’attività di progettazione svolta all’interno della Pubblica Amministrazione, in quanto “ già in difficoltà, a causa delle carenze di organico e della sempre gestione dell’ordinario”. Il compito dell’amministrazione, per l’Oice, “deve essere quello di programmare e controllare, lasciando al mercato la redazione dei progetti”. L’innalzamento della soglia per gli affidamenti diretti, da 75 a 139mila euro ha determinato, sempre secondo l’Oice, una riduzione del numero delle gare di oltre il 33% e in valore del 29%: l’innalzamento della soglia comporterebbe un grave e netto danno che altera e interrompe l’efficacia delle prestazioni affidate. Dati che trovano riscontro in un’indagine sull’affidamento diretto, svolta dall’ Anac nel 2021. Da questa indagine emerge che, su un campione di circa 1000 dichiarazioni comunali, il 55% dei casi non rispetta la disciplina in materia di conflitto d’interessi. Infine, rilancia l’obbligo dei supporti di project management per le opere che superano i 20 milioni, per garantire il controllo di tempi e costi e per assicurare, attraverso la promozione del Responsabile Unico del Procedimento (Rup), per assicurare tutti i compiti relativi alla programmazione, progettazione e affidamento.

Qualche riflessione
Ma cosa nasconde e qual è la dimensione del fenomeno degli appalti pubblici?  Secondo gli ultimi dati dell’Unione Europea e dell’Autorità Garante della Concorrenza, gli appalti pubblici “rappresentano, secondo i dati riportati da Mario Rosario Spasiano, nella rivista del Ceridap (Centro Interdisciplinare di Ricerca in Diritto della Pubblica Amministrazione) del 23 gennaio 2023, circa il 14% dell’Unione e l’11% di quello italiano, con un valore complessivo pari a circa 1.900 miliardi di euro ad anno”. In Italia, secondo i dati contenuti nella delibera 141 del 30 marzo 2022 dell’Anac, “le stazioni appaltanti sono 36.000, con oltre 100.000 centri di spesa”: un numero esorbitante che esplicano gare pubbliche per l’aggiudicazione di appalti, a prescindere della loro professionalità. Non è un caso, infatti, se il 18 gennaio 2022, viene siglato un Protocollo d’intesa tra l’ex premier Mario Draghi e il presidente di Anac, Giuseppe Busia, per ridurre e qualificare le stazioni appaltanti. Quattro gli obiettivi:

  • Riduzione delle stazioni appaltanti, con particolare riferimento ai comuni, centralizzando il più possibile gli acquisti per spuntare prezzi migliori;
  • Rafforzare e qualificare le stazioni appaltanti, arginando il deficit organizzativo a causa dell’eccessiva frammentazione:
  • Applicazione dei criteri di qualità, efficienza e professionalizzazione attraverso l’accorpamento della domanda;
  • Istituzione dell’anagrafe unica delle stazioni appaltanti, tenendo conto della provata capacità di acquisire beni, servizi e lavori.

Noi siamo convinti che non sia sufficiente scrivere una norma per avere stazioni appaltanti capaci di produrre l’effetto e il risultato voluto o sperato. E’ solo una premessa, benché essenziale. Forse, accanto ai buoni propositi legislativi, sarà necessario un programma di buone pratiche, un’azione formativa ad ampio raggio, un piano strategico che possa produrre una nuova cultura, un’organizzazione multidisciplinari flessibile, capace di far prevalere le esigenze collettive in grado di rafforzare la lotta alla criminalità organizzata, rispettare l’efficienza operativa attraverso la legalità, trasparenza e tutela del bene comune. Vi sono, inoltre, altri macigni da rimuovere, come, ad esempio, la tendenza non all’aggregazione, concentrazione o fusione, pur nel rispetto della legge dell’antitrust, semmai alla scissione e alla nascita di nuove e piccole imprese spesso non idonei ad affrontare la complessità degli appalti, ma solo per inserirsi negli interstizi dei subappalti, pratica fortemente contraria dalla normativa comunitaria e causa di possibili infiltrazioni da parte della criminalità organizzata. Tendenza, quest’ultima, che prende sempre più piede e che, tra l’altro, penalizza il ruolo e la funzione indispensabile della piccola e media impresa. Occorre anche riflettere sul tempo che s’impiega per aprire e chiudere una gara d’appalto. Tempi biblici, che si allungano anche a causa della “inclinazione” dell’Amministrazione a sospendere le procedure di gare alla semplice presentazione di un ricorso anche in assenza di un provvedimento cautelare giudiziario ad hoc. E’ questo un tema che trova un diffuso ricorso, che produce ritardi nella gestione delle procedure benché il Codice del processo amministrativo e le recenti disposizioni in tema di semplificazione, vige ormai il consolidato principio del divieto assoluto della sospensione della gara in assenza di un probante atto giudiziario. La sua mancata osservanza configura gli estremi di una responsabilità erariale per omesso esercizio dell’azione amministrativa che violano i termini di completamento della gara. L’esame in Parlamento del nuovo Codice degli Appalti rappresenta una ghiotta occasione per avviare un processo di rinnovamento, per inoculare principi, criteri e regole idonee se non a un cambiamento radicale, almeno a un avvio di un processo con lo spirito di vedere un raggio di sole dopo la tempesta.

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