di Ettore Ianì

Ancora una volta non ci hanno visto arrivare, con questa raffinata citazione, la neosegretaria del Pd Elly Schlein, dopo l’ufficializzazione della vittoria delle primarie, ribaltando tutti i pronostici dei circoli del partito, inizia il suo primo discorso da leader. Una citazione non casuale e di forte impatto che è anche il titolo del libro di Lisa Levenstein, storica femminista americana e docente di storia all’università della North Carolina, They didn’t see us coming, Basic Books, luglio 2020. Il 12 marzo 2023 al Centro congresso “La Nuvola”, disegnato dall’architetto e designer Massimiliano Fuksas, l’assemblea nazionale del Pd elegge segretaria Elly Schlein e presidente Stefano Bonaccini (presidente della regione E/R) con vice Chiara Gribaudo (deputata, mozione Schlein) e Loredana Capone (presidente del Consiglio regionale Puglia) tesoriere il senatore Michele Fina. Schlein, in quella occasione, proclama, con vivace piglio: “Non vogliamo più vedere irregolarità sui tesseramenti, abbiamo dei mali da estirpare, non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi”. Basta allo strapotere dei micro-leader interni che tra i dem fanno il bello e il cattivo tempo. Una volta si sarebbe detto, vasto programma! 


Elly Schlein

LA PERSISTENZA DEGLI AGGREGATI
Le correnti del Pd, censite da Wikipedia, nel 27 maggio 2021, risultano essere undici, ma è una stima, secondo Il Foglio del 29 maggio 2021, “largamente approssimata per difetto”. Da tutte le fotografie sulle correnti non emerge un particolare che meriterebbe di essere evidenziato: un esponente del Pd può avere simpatie o fare parte, allo stesso tempo, a più correnti o cambiar casacca, senza che sia possibile determinare quando e quanto le sue posizioni rispecchino quelle dell’una o quelle dell’altra. Per esaminare le correnti del Partito democratico, e non solo, forse si dovrebbe ricorrere al principio di “indeterminazione”, diventato un punto di vista anche nelle analisi per le scienze sociali, del Nobel per la fisica nel 1932, Karl Heisenberg. Secondo il principio del bavarese Heisenberg non è possibile misurare contemporaneamente con precisione sia il momento che la posizione di una particella e, nel nostro caso, di un uomo politico. Come è possibile, ad esempio, misurare il fregolismo di Clemente Mastella tra centrodestra e centrosinistra, di Giuseppe Conte del suo trasformismo della “quasità” o di Francesco Boccia, il quale dalla esponente della corrente dalemiana passa prima dalla corrente di Michele Emiliano, lettiano e infine portavoce della mozione di Schlein? Come collocare, valutare, conteggiare Boccia? Come ex ministro del governo Conte, come ultrà della alleanza giallorossa, come più a destra del Pd delle origini, come riformista alle primarie pugliese, contro il radicale Nichi Vendola?  Impossibile dirlo, così come non è agevole stabilire il punto nodale in cui si intrecciano e si confondono le correnti.  Del resto, il Partito democratico, nato dalla fusione dei Democratici di sinistra (Ds), eredi del Partico comunista italiano (Pci), poi diventato Partito democratico di sinistra (Pds), e dalla Margherita, forza centrista e riformista discendente dal Partito popolare italiano. Nasce con anime politiche diverse, con storie e motivazioni peculiari, al cui interno le correnti sono ben presenti. Nasce sulla scommessa di unire le culture del Novecento, socialdemocratiche e cattoliche.



Una classe politica che decide, incalzata dai mutamenti sociali, di sciogliere di propria iniziativa la propria classe dirigente, non di rado inciampa in quella categoria sociopolitica che la scuola dell’elitismo di Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca, avevano battezzato come la “persistenza degli aggregati”. Fondere, dopo un decennio di avventure berlusconiane, in un medesimo contenitore due culture ed esperienze storiche diverse è stata una esperienza politicamente significativa, tanto che da più parte fu definita storica. Non sono certo mancati i critici di questa operazione politica secondo cui il risultato di “una fusione a freddo” non sarebbe riuscita del tutto.  Massimo D’Alema, del resto, alla Direzione del partito del 19 dicembre del 2008, dichiarò: “Siamo un amalgama mal riuscito”.  Le fusioni tra entità diverse sono processi difficili per molte ragioni, la prima delle quali, proprio in virtù  della  “persistenza degli aggregati”.
Ogni soggetto politico, collettivo, associativo per il solo fatto di esistere è dotato di una organizzazione, valori e spirito di appartenenza. È fornito di una propria identità, di un sistema immunitario che tende a difendere e tenere integra la propria essenza, identità e caratteristiche che lo contraddistinguono dagli altri.  La resistenza, l’inerzia al cambiamento (per non perdere la propria identità) sono stati travasati nel nuovo soggetto politico del Pd, nato il 14 ottobre del 2007, durante la XV legislatura, sotto il governo Prodi II. Non nasce sottovuoto, non rappresentano solo se stessi. Intorno alla loro esperienza sono nati interessi, ambizioni e speranze che, con la nascita del nuovo soggetto, ciascun soggetto non scarterà aprioristicamente l’idea di ottenere condizioni vantaggiose. Queste premesse sono necessarie per capire, interpretare e leggere le correnti del Pd, tenendo presente che nel Pci questa parola era urticante. 

LE CORRENTI NELLA DC E PCI
Le correnti, le aree o le sensibilità culturali, hanno rappresentato, nella prima repubblica, nella Dc anzitutto, l’architrave su cui misurare se un partito ha un governo democratico o se, invece, è un “partito personale”, monocratico e alle dirette dipendenze del “capo”.  Caso emblematico, di quest’ultima categoria, è Forza Italia, dove le correnti, organizzate in senso classico, che si confrontano liberamente negli organismi collegiali, non esistono: nessuno si sognerebbe mai di candidarsi contro Berlusconi. Del resto, nella storia d’Italia c’è stato un altro solo partito che non prevedeva la presenza di correnti: il Partito nazionale fascista. Modelli molto lontani a cui Elly Schlein si ispira.  Forse è sul ruolo e funzione delle correnti che bisogna riflettere. Le correnti, pur la mille contraddizioni, tra alti e bassi, nel Partito comunista (Pci) e nella Democrazia cristiana (Dc), somiglianza che si limitava prevalentemente al profilo organizzativo, partecipavano attivamente alla costruzione del progetto politico del partito.  Questo non ha mai escluso la presenza minoritaria di gruppi di potere, soprattutto a livello periferico, per la ragione che rappresentavano interessi peculiari a livello sociale e culturale. Lo facevano con il sostegno delle sezioni, circoli, riviste, convegni, elaborazione politica, culturale e programmatica, ma soprattutto formando una classe dirigente con il supporto non solo del lavoro attivo sul territorio, sul tran-tran quotidiano, ma spesso attraverso corsi di formazione. La formazione politica del Pci evoca la scuola di Frattocchie, funzionante dal 1944 fino al 1993, e la   “Camilluccia” per la Dc. La scuola di Frattocchie costituiva uno strumento di organizzazione e acculturazione e mirava a costruire la carriera del politico che sapesse incarnare gli ideali di un partito che richiedeva controllo, preparazione e disciplina. La scuola della Camilluccia, pur non avendo la stessa capacità di attrazione di Frattocchie, sia per il numero di studenti che per la selezione di dirigenti inviati spesso dai referenti regionali e locali, rappresentava un tassello della strategia democristiana per consolare l’egemonia della cultura cattolica che aveva un riflesso anche sulla stabilità di una classe dirigente impegnata nel difficile compito di offrire una specifica identità al paese. Negli ultimi anni, i partititi e i movimenti continuano a inaugurare scuole di politica per la classe dirigente. La Lega, il Pd, Fratelli d’Italia, Italia Viva il Movimento Cinque Stelle, propongono modelli che però poco o niente hanno a che vedere con la tradizione comunista e democristiana. È sufficiente navigare sul web per trovare siti e informazioni che annunciano a ripetizione scuole e corsi di educazione politica, ma quasi sempre si esauriscono in lezioni/conferenze da uno o più relatori, organizzati nei fine settimana: durano qualche settimana o qualche mese e poi scompaiono. Eloquente sul tema della formazione politica è il saggio di Anna Tonelli Una formazione politica senza Soria. Le scuole di partito del terzo millennio, Novecento.org del 25 maggio 2020.   

LE CORRENTI NEL PD
Le correnti, si facevano carico degli interessi sociopolitico mediante alla partecipazione del progetto complessivo del partito, contribuivano a costruire un partito collegiale e partecipativo, in definitiva democratico.  Al netto del profondo cambiamento storico-politico e dei mutamenti culturali della società contemporanea, rispetto a quella della prima repubblica, e che la segretaria del Pd nasce e vive nel Terzo Millennio, cosa hanno da spartire le correnti dell’attuale Partito democratico rispetto ai partiti del passato e in particolare del Pci?  Oggi le venerate correnti del Pd mutano, si moltiplicano per gemmazione e si sovrappongono. Come una sorte di mutante, che ha la capacità di metabolizzare le nuove situazioni, sopravvive alle stagioni politiche in cui nacquero e, per mutazione, si trasformano in cordate di potere, filiere di comando ispirate al personalismo, spesso inutilmente rumorose, benché scarsamente rappresentativi. Se comparate alle vecchie correnti si presentano come una sorta di protettorati, spesso lontani dall’elaborazione politica, dalla rappresentanza sociale e dal rappresentare pezzi di società reale. Non è ascrivibile alle stelle se il Pd in quindici anni, dal 2007 a oggi, ha cambiato otto segretari e una lunga tradizione fatta di scissioni, attacchi fratricidi e nuovi partiti nati dalle ceneri dei precedenti. Nessun segretario ha mai concluso il mandato di quattro anni, così come previsto dallo Statuto. Ma quali sono oggi le principali correnti del Partito democratico? Milena Gabanelli e altri autori, nel Corriere.it del 30 gennaio 2023, incrociando i database dei politologi Luca Verzichelli, università di Siena, Luca Carrieri, La Sapienza e Giulia Vicentini, università di Napoli, costruisce un quadro sinottico delle correnti dei Pd. 
1) I Giovani Turchi: lanciati da Matteo Orfini nel 2010 in piena era Berlusconiana. Fanno parte la deputata Chiara Gribaudo e il senatore Francesco Verducci. Si sono staccati e ora sono autonomi il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il senatore a lui vicino Claudio Mancini.
2) Sinistra Dem: creata da Gianni Cuperlo a un mese dalla sconfitta alle Primarie contro Renzi nel dicembre 2013. La sostiene il senatore Andrea Giorgis.
3) I Dems: fondati da Andrea Orlando nell’agosto 2017, a pochi mesi dalla propria sconfitta alle Primarie di aprile contro Renzi. Tra gli esponenti di spicco, i parlamentari Peppe Provenzano (vicesegretario Pd con Letta) e Antonio Misani (responsabile economico del Pd).


da sinistra: Matteo Orfini, Gianni Cuperlo, Andrea Orlando

4) Prossima: lanciata nel maggio 2021 dopo le dimissioni di Zingaretti dai suoi fedelissimi Stefano Vaccari (responsabile dell’organizzazione Pd), Marco Furfaro (responsabile Comunicazione) e Valentina Cuppi (presidente Pd). Tra i più conosciuti Cecila D’Elia (portavoce delle Donne democratiche), l’ex sindaco di Bologna Virginio Merola e Ouidao Bakkali.
5) Coraggio Pd: creata da Brando Benafei nell’autunno 2022.


a sinistra: Nicola Zingaretti, Brando Bonafei, Valentina Cuppi

6) Area Dem: nasce nel 2009 per volontà di Dario Franceschini dopo la sconfitta alle Primarie contro Bersani. L’ex coordinatore della Margherita rappresenta i cattolici di sinistra, come i parlamentari Bruno Astorre (segretario regionale Pd Lazio), Alberto Losacco (commissario Pd Marche) e Anthony Barbagallo (segretario regionale Sicilia).  Nel tempo aderiscono ad Area Dem anche deputati e senatori ex comunisti come Piero Fassino, Franco Mirabelli, Marina Serena e l’ex ministra di origine diessina Roberta Pinotti.
7) Base Riformista (nota come ex renziani): esordisce nel maggio 2019 per arginare le fuoriuscite dal partito verso Italia Viva, che Renzi fonderà pochi mesi dopo. È capitanata da Lorenzo Guerrini e conta tra le sue file i deputati Antonella Forettini, Andrea Rossi, Luciano D’Alfonzo, Mauro Laus, Nicola Carè e i senatori Alessandro Alfieri, Simona Malpezzi, Alfredo Bazoli, Dario Parrini, Daniele Manca e Nicola Irto”. 


a sinistra: Dario Franceschini, Lorenzo Guerrini, Stefano Bonaccini

Nel nuovo Pd i cacicchi e le correnti, senza alcun riscontro con la realtà dei fatti, vengono esecrati. Tuttavia, nel partito la sua organizzazione interna ruota ancora intorno al ruolo e alla funzione delle correnti blindati e funzionali alla distribuzione del potere interno e nelle istituzioni: cioè alla spartizione delle candidature che l’attuale sistema elettorale prevede la “nomina” e non “l’elezione” dei deputati e dei senatori. Il fisiologico confronto politico interno diventa alterato e deformato, obtorto collo, dalle scelte decisionali riconducibili agli accordi preventivi tra i molteplici capi corrente. Nulla a che vedere con le correnti della prima repubblica vissute e interpretate come strumenti di elaborazione politica e culturale, come legittima rappresentanza di interessi sociali e territoriali. Si tratta di un meccanismo politico-organizzativo forte e consolidato, legato alla distribuzione del potere con i rispettivi cortigiani e cerchi magici. Con la nuova segretaria le correnti hanno la stessa posizione di supremazia? La composizione degli organi dirigenti ci porta a dire che il passato non muore e in nuovo stenta a prendere corpo. Eliminare le correnti, come la segretaria aveva promesso, appare una persistenza di un passato che non passa. Del resto, Elly Schlein non avrebbe certo vinto senza il supporto e il consenso delle componenti di Dario Franceschini, Andrea orlando, Nicola Zingaretti e Pier Luigi Bersani.  Al fiorente e robusto albero dei capicorrente e dei cacicchi, la Elly Schlein, una sforbiciata alla formazione degli organi collegiali, comunque, la ha sicuramente data, ma non tale da poterla spacciarla per una novità iconoclasta.  

I giornali, come tutti i mass-media, hanno riportato i nomi, la composizione degli organi collegiali, sottolineando come la loro composizione sia il prodotto di sintesi e mediazioni delle correnti., da Franceschini ad Andrea orlando, da Enrico letta a Lorenzo Guerrini, da Matteo Orfini ai presidenti delle regioni, a partire da Stefano Bonaccini, attuale presidente del Pd. Paola De Micheli, ex ministra che al congresso ha sfidato Schlein, Bonaccini e Cuperlo candidata alle primarie, al Globalist del 24 febbraio 2023, denuncia che le “correnti sono diventate dodici” e che nessuno è riuscito mai a “chiuderle”. A sorpresa, nel nuovo Pd che doveva abolire le correnti, ne spunta una nuova di zecca: i Neo Ulivisti guidasti dall’ex braccio destro di Enrico letta, Marco Meloni, il quale aveva sostenuto la candidatura di Stefano Bonaccini durante la campagna delle primarie. Una nuova corrente che sfalda la mozione di Bonaccini, rafforza il potere della nuova segretaria, ma è anche una corrente in più con cui dover trattare e con cui fare i conti. Oltre alle componenti rodate, che hanno governato il partito negli ultimi anni, dentro il Pd le carte si rimescolano, come gli equilibri interni. In prima fila ci sono gli ex transfughi di Articolo Uno, da Roberto Speranza a Arturo Scotto, rientrati ufficialmente nel Pd. Tornano a casa quelli di Liberi e Uguali (Leu): bersaniani e dalemiani. E poi ci sono i “bonacciniani” (sindaci e amministratori) e i gli “scheiniani”, un drappello guidato, in primis, ma un coordinatore: Marco Furfaro, al quale è stata assegnata anche la delega all’informazione. La segretaria Schlein ripesca le sardine e Mattia Sartori e Jasmine Cristallo prontamente si iscrivono al Pd. Quel che sembra certo è che fin d’ora le correnti siano lontane dall’essere ridimenzionate. 


freddezza e opposte visioni tra Bonaccini e Schlein...

LA SEGRETERIA PD E IL GOVERNO OMBRA
Elly Schlein il 6 aprile 2023 presenta, in diretta su Instagram, forse per sottolineare la rottura con il passato, i 21 membri della segreteria, organo esecutivo principale del Pd.  I 21 del Pd, come sono stati ribattezzati dalla stampa, non rappresentano tutte le sfaccettature del partito. Ad esempio, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo, rivali di Elly Schlein alle primarie, hanno “sottolineato la mancanza di rappresentazione di tutte le correnti” (QuiFinanza dell’otto aprile 2023). Dopo una lunga trattativa, nel corso della quale, si è cercato di trovare una sintesi equilibrata a tutte le correnti, ci sono alcuni volti noti, molte new entry, diversi under 40, undici uomini e dieci donne e anche delle deleghe nuove. La prima evidente novità è che non ci sono i vicesegretari e che ha annunciato i nomi dei dirigenti del Pd assegnando loro precisi ruoli che richiamano gli ambiti di competenza dei ministri: una sorta di Governo Ombra. Una istituzione politica nata nel regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda nel 1826, ufficializzato nel 1937, con il compito di svolgere un’azione critica e di contrapposizione alle iniziative del governo in carica. In Italia la formula del governo ombra fu usata dal Pci di Achille Occhetto nel luglio 1989, in occasione della crisi del governo democristiano di De Mita conclusasi con la formazione del sesto governo Andreotti (la Repubblica.it del 18 luglio 1989 e Ansa del 15 aprile 2008). In seguito alla vittoria del Pdl alle lezioni politiche del 2008, il governo ombra viene riproposto dal segretario del Pd Walter Veltroni, (IlSole24Ore.com del 15 aprile 2008 e la Republica.it del 29 maggio 2008). Anche Forza Italia, con Gianfranco Rotondi, lo ripropone sotto il governo Renzi. (fanpage.it del 14 marzo 2014 e Libero.it del 16 marzo 2014). Uno strumento che non registra successi significativi e la cui riproposizione appare una velleità strapaesana, una inutile e pomposa distribuzione di incarichi usurati e pomposi. Diversamente da quelli di tradizione inglese, i governi ombra sperimentati in Italia si sono dissolti nel nulla. Anche Luigi Di Maio, allora candidato Premier del M5S, lo presentò al salone dell’Eur e poi mandò la lista dei “ministri ombra” al Quirinale, che naturalmente ignorò. (la Repubblica del 28 febbraio 2018 e Il Messaggero del 27 febbraio del 2018.

ELLY SCHLEIN E I BABY BOOMERS
La neosegretaria del Pd Elly Schlein sta cambiando pelle al partito? Chi è, come viene percepita? Viene da una buona famiglia, con genitori professori universitari, con tripla cittadinanza: italiana, svizzera e statunitense. È una millenium generation, generazione di passaggio fra passato e futuro, figlia di internet e della progressiva diffusione dei social network, libera dalle pastoie ideologiche del comunismo. Vive in simbiosi la globalizzazione, l’intelligenza artificiale, il Metaverso, la società multietnica, l’abbattimento delle barriere culturali e le differenti culture e linguaggi. Politicamente nel 2008 partecipa come volontaria alle due campagne elettorali di Barack Obama, nel 2011 contribuisce a dar vita alla università di Bologna, all’associazione universitaria Progrè , che si occupa delle politiche migratorie e alla realtà carceraria. Nel 2013, dopo l’affossamento della candidatura al Quirinale di Romano Prodi, dà vita al movimento di protesta interno al Pd #OccupyPD e nel 2014 entra come parlamentare al Parlamento europeo. Nel maggio 2015, in dissenso con la linea politica del segretario Matteo Renzi, aderisce a Possibile, partito fondato da Giuseppe Civati. Nel 2020 entra come consigliere alla Regione e Emilia-Romagna con la lista elettorale (formata da Articolo Uno e Sinistra Italiana) Emilia-Romagna Coraggiosa Ecologista e Progressista e l’11 febbraio viene nominata, dal presidente Stefano Bonaccini, vicepresidente e assessore al Welfare e al Patto per il Clima. Nel 2022 viene eletta deputata come indipendente e il 12 dicembre prende la tessera del Pd al circolo storico della Bolognina. È con questo background che dovrà misurarsi con un ceto politico, benché, rispetto a un lustro fa, i giovani deputati sono passati dal 34,50 al 38,79%, la maggioranza dei politici è ancora “anziana”, soprattutto nei ruoli apicali che per i quarentenni restano un miraggio. Secondo i dati del sito internet di Openpolis del 20 ottobre 2022, pur con delle oscillazioni, negli anni l’età media sia dei deputati che dei senatori è andata leggermente calando, ma con la XIX legislatura si registra però un’inversione di tendenza: l’età media è risalita rispettivamente a 49 e 56 anni. Paragonato alla legislatura precedente, l’aumento appare significativo nel caso della camera che registra un più cinque anni.  Mentre per l’Agi.it del 7 settembre 2018, i 20 presidenti di regione e degli oltre 170 assessori, la stragrande maggioranza dei membri di giunta, circa il 60% ha più di 50 anni. A dominare la scena politica insomma sono i Baby Boomers, nati tra il 1945 e il 1965: una generazione nata dopo la fine della Seconda guerra mondiale, del boom economica, delle rivoluzioni culturali, delle lotte per i diritti civili, del movimento hippie, della rivoluzione sessuale. Oggi però il termine boomer è entrato a far parte del linguaggio corrente per indicare una persona che manifesta modi e atteggiamenti ormai superati, per chi non sta al passo con i tempi e che ha difficoltà di sintonizzarsi con i millenium generation, come appunto Elly Schlein.
Il nuovo Pd di Elly Schlein, dopo l’intervista del 5 marzo 2023, con Fabio Fazio a Che Tempo che Fa, è volato nei sondaggi e nel numero di nuovi tesseramenti. Secondo Linkiesta.it del 7 marzo2023, “In appena 24 ore della riapertura, le nuove iscrizioni al Pd hanno sfiorato quota 4mila”.  Nella settimana successiva (dal 6 al 10 marzo) i tesserati online arrivano a 7.584, e quasi i due terzi, il 63,48 del totale, sono assolute new entry.  Da un check-up demoscopico commissionato dal quotidiano la Repubblica e pubblicato il 5 maggio 2023, emerge uno stato di salute in miglioramento, anche se ancora lontano dalla “piena forma”. A maggio, secondo il sondaggio, “il Partito democratico consolida il 21% dei consensi con un aumento di circa 4 punti dal giorno delle primarie, ma il risultato che potrebbe veramente far cambiare il corso è dato dal suo bacino potenziale che arriva fino al 30%. Il delta del 9% fra voto reale e probabile è costituito per quasi la metà (+ 5%) da ex sostenitori del Pd, mentre il rimanente 4% da nuovi lettori”.



Secondo Luca Verzichelli, dipartimento di Scienze Sociale, dell’università di Siena, la vittoria di Schlein è un “fatto epocale”, lo dichiara in una intervista alla agenziaimpress.it del 28 febbraio 2023. Un fatto dirompente, aggiungiamo noi, per diversi motivi. Ha fatto riemergere i valori di una sinistra che si era lentamente adattata a svolgere un ruolo marginale e di testimonianza. Ha inoculato un nuovo linguaggio, ha avviato un processo di rimescolamento della cultura politica, dando così rappresentanza all’ arcipelago delle formazioni politiche che frastagliano il campo della sinistra. Ha offerto una occasione a chi si sentiva orfano e non si riconosceva da tempo in nessuna delle formazioni politiche, tanto da non andare più a votare. Non è soltanto la prima donna a guidare un partito di sinistra in italiana: è la prima donna segretaria del Pd che non appartiene alla storia del Novecento. È forse questa la ragione del perchè non l’hanno vista arrivare! È donna, giovane e coraggiosa, piantata nel presente, votata da un partito stanco che vuole cambiare, tanto da rinunciare a un leader come Bonaccini che nel Pd gode di un vasto e solido consenso. Infatti, ora c’è da capire, non avendo un consolidato profilo di apparato, se avrà la forza e la capacità ti tenere insieme al partito, i funzionari, sicuramente più vicini a Bonaccini. Altro concreto ostacolo, interno del nuovo corso, e se saranno i cacicchi e i capibastone ad indebolire la leadership di Elly Schlein, che appena eletta ha dichiarato di volerli estirpare o, viceversa, riuscirà quanto meno a ridimensionare il loro potere.
Il Pd perde cinque parlamentari, e nello stesso lasso di tempo, sale nei sondaggi e conquista ventimila nuovi iscritti. Questo apparente iato l’ha spiegato uno dei fuori usciti: il senatore Carlo Cottarelli, economista prestato alla politica. “Io stimo molto Elly Schlein, dichiara a che Tempo Che Fa, su Rai 3, il 7 maggio 2023, sta facendo la cosa giusta nello spostare il Partito democratico più a sinistra, andando a rappresentare una parte sociale che forse adesso e poco rappresentata”.  Una lettura politica quella di Cottarelli che, da liberare rivendica il diritto di andarsene (sbagliando perché la pluralità di pensiero è il sale della democrazia e anche perché l’anima riformista del Pd con la Schlein non è morta) ma allo stesso tempo le riconosce il merito di dare una fisionomia politica a un partito che in questi ultimi anni aveva perso, o quanto meno si era appannata. Con questa nuova e chiara collocazione politica il Pd, che nel bene e nel male ha incarnato la tradizione politica della sinistra storica, copre uno spazio che né i liberali del cosiddetto Terzo Polo, né il partito tribunesco di Conte, potranno coprire. Una scelta di campo che apre l’enorme serbatoio elettorale degli astenuti di sinistra e anche una parte degli elettori grillini e di quella area centrista del Terzo Polo che si affanna a cercare un centro che non c’è.  

L’ARMOCROMIA E I COLORI DELLA POLITICA
Una millenium generation a cui non si può chiedere di interpretare un ruolo che non le appartiene. Del resto, evadere la propria storia, vissuto ed esperienza ci vuole fortuna e favore degli Dei. Anche Enrico Berlinguer era un accanito velista, ma non andava certo a raccontarlo ai compagni delle fabbriche o ai giornali rosa, anche perché le interviste li rilasciava a Rinascita e giornali similari. La rumorosa intervista del 25 aprile 2023, concessa da Elly Schlein a Federico chiara di Vouge Italia online, magazine di moda, bellezza e lifestyle, non è certo per i giovani socialmente e culturalmente ai margini. Mentre la rivista apre riconoscendole che “ha fatto alla politica quello che i Maneskin hanno fatto alla musica italiana. L’ha svecchiata, demascolinizzata e proiettata in un agone internazionale”, la destra e i suoi adepti, con la consolidata e distorsiva tecnica della estrapolazione, della separazione di una frase dal suo contesto, su 28 domande, si fermano sulla ventesima, al cosiddetto power dressing. “Le mie scelte, dichiara la segretaria del Pd, di abbigliamento dipendono sicuramente dalla situazione in cui mi trovo. […] In generale dico sì ai colori e ai consigli di un’armocromista, Enrica Chicchio”. Ed è subito polemica. Non è certo una operaia. Una intervista che forse nessun altro dei candidati alla segreteria del Pd avrebbe potuto fare, se non altro per ragioni anagrafiche e di percorso politico. Non siamo a quaranta anni fa quando l’abbigliamento era una dichiarazione politica: eskimo e jeans  di sinistra, giacca di pelle e gli occhiali da sole di destra.



Michele Serra, ne L’amaca del 30 aprile 2023, scrive di aver “fatto una cosa stravagante. Forse rivoluzionaria. Ho letto per intero l’ormai famigerata intervista concessa da Ely Schlein a Federico Chiara di Vogue. Ho provato a rimettere una frase dentro il suo testo e dentro il suo contesto, una riga dentro le sue pagine. Ho pensato che l’uno per cento di un quadrato, se il restante 99 per cento rimane oscurato, non è abbastanza per vedere il quadrato”. L’intervista è lunga, interessante e tocca tutti i problemi, da quelli politici a quelli sociali e parla pochissimo delle questioni personali. Una intervista in cui l’obiettivo è di far emergere il profilo di una donna coinvolgente, che costituisce una novità nel panorama politico odierno, che guarda ai suoi lettori giovani e donne interessati a tutto ciò che è tendenza e moda, con uno sguardo curioso. C’è l’imbarazzo della scelta tra i commenti sarcastici sull’eleganza e dandismo. La comunicazione politica e l’informazione politica si è limitata a parlare e scrivere sulle differenze tra lana merino e cachemire di Bertinotti, delle scarpe fatte a mano di Massimo D’Alema, quasi mai di cosa ha detto sulla giustizia sociale e climatica, sulla dignità del lavoro, sul precariato, sulla elusione fiscale, sulla guerra, l’istruzione, sanità e via dicendo. Per giorni e giorni si è parlato solo di vestisti, di armocromia declinata in Italia, open to armocromia (slogan pubblicitario rivisitato), di Trench Kiss, uno dei capi indossati dalla segretaria, Calvin Klein diventa Shish e Schlein. Ha prevalso la frivolezza e la fatuità (spirito del tempo?). “Come possiamo pretendere, chiude Michele Serra nell’articolo sopra citato, dai politici che tornino a parlare di politica, se quando poi lo fanno ci concentriamo sul colore dei golfini?”. 

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