« Guarda, i signori e i prìncipi sono l'origine di ogni usura, d'ogni ladrocinio e rapina; essi si appropriano di tutte le creature: dei pesci dell'acqua, degli uccelli dell'aria, degli alberi della terra (Isaia 5, 8). E poi fanno divulgare tra i poveri il comandamento di Dio: "Non rubare". Ma questo non vale per loro. Riducono in miseria tutti gli uomini, pelano e scorticano contadini e artigiani e ogni essere vivente (Michea, 3, 2–4); ma per costoro, alla più piccola mancanza, c'è la forca. » (Thomas Müntzer, Confutazione ben fondata , 1524)

Sul piatto del giradischi suonava un 45 giri di Rock’n Roll italiano. Traduzione approssimativa di un pezzo di Chuck Berry. Nella stanza di pochi metri quadri una ventina di ragazzi tra i 15 e i 20 anni ballavano spensierati. Ignari del fatto che quell’epoca volgeva al tramonto.

Scampoli del boom economico che aveva portato nelle case degli italiani il frigorifero, il giradischi e, in qualche caso, la TV.

Era l’ottobre del 1967 ed avevo poco meno di quattordici anni. Nonostante la giovanissima età portavo dentro di me un senso di disagio per quel mondo un po’ arcaico nel quale ero immerso. Ero nato nell’estrema periferia romana da una famiglia proletaria, avremmo detto allora, e avevo vissuto sulla mia pelle l’oscurantismo dell’egemonia culturale clericale e democristiana e l’emarginazione riservata ai comunisti.

Eravamo in casa di amici di famiglia, comunisti anche loro, dai quali iniziai a marcare la distanza. Avvertivo l’esigenza di una rottura: con l’URSS, quel mondo mummificato socialmente e politicamente. Ma anche con la generazione delle gonne a pieghe e i pantaloni a zampa di elefante che scimmiottava il rock’n roll.

Il “Che”, nomignolo datogli dai cubani a causa dell’intercalare tipico degli argentini, era stato assassinato da qualche giorno e, per ragioni a me sconosciute, la sua morte mi aveva colpito molto.

La “pulce rossa” veniva catturato, insieme ai diciassette uomini che formavano l’avamposto della guerriglia in Bolivia, da cinque battaglioni dell’esercito boliviano, poi ucciso su pressione dei servizi segreti americani. Era l’inizio della fine. Si chiudeva un’epoca che, nonostante il ’68, le lotte studentesche di Berkeley, il maggio francese e l’autunno caldo, non si riaprirà più.

Cuba ripiega. Estendere la rivoluzione appare illusorio. Inizia la lunghissima guerra di posizione che durerà cinquanta anni, appunto. Cinquanta anni durante i quali i movimenti anticapitalisti e di liberazione subiranno continui arretramenti. Passando di sconfitta in sconfitta: Praga, il Cile di Allende, l’Italia della marcia dei 40mila, l’89, la fine del PCI e delle ideologie. Sarà il trionfo del neoliberismo in tutto il pianeta.

Nonostante i grandi media, con internet in primis dove Amazon, fra gli altri, propone tazze di caffè e diverse T-shirt con l’immagine del Che, abbiano provato a manipolarlo la sua fama cresce inossidabile. La lotta del Che, infatti, fu contro il capitalismo e la sua violenza e contro il "socialismo reale" di cui aveva anticipato i mali. Quello che succede negli Usa, in Medio Oriente, nel mondo intero non è casuale. Per questo il Che continua a rinascere come ci ricorda Edoardo Galeano: “Siamo in un mondo dove le parole e i fatti raramente si incontrano, e quando si incontrano non si riconoscono. Il suo scandalo? Fare quel che diceva.”

Da quel giorno del 1967 il mondo è peggiorato, di molto. Isole di plastica di migliaia di chilometri quadrati sparse nei vari oceani, disboscamento dell’Amazzonia, tunnel sotterranei in Finlandia per stoccare scorie nucleari che non sappiamo come smaltire. Un ecosistema pesantemente aggredito dalla rincorsa alla rapina e al profitto.

Molti dei giovani di quella generazione che nell’ottobre del ’67 ballava Rock’n Roll hanno attraversato questi 50 anni con impegno, lottando per un mondo migliore. Purtroppo le loro schiere si sono assottigliate nel tempo e parecchi di noi hanno finito per affollare quelle dei morti viventi delle ideologie che non ci sarebbero più. Rinunciando a fare quello che dicevano.

Lui invece è ben vivo, nonostante i tentativi di sminuire il suo mito. E continua a parlarci.

Colonna, 14 ottobre 2017

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