Quante ragazze hanno avuto un destino analogo a quello di Mara tra fascismo, Resistenza, prima ricostruzione economico-sociale. Analisi lucida di un’epoca partendo da un riuscito romanzo

 

Di Armida Corridori

 

E' un sabato pomeriggio di primavera, una ragazzina di 13 anni si prepara a uscire di casa per partecipare al raduno di ginnastica. Controlla allo specchio la divisa, camicetta bianca ben stirata, scarpe lucide, pantaloni corti neri, i capelli legati in una treccia.

Pregusta già gli applausi quando farà la ruota, è convinta di essere più brava delle altre, velocità e gambe dritte guardando direttamente il pubblico e saluto romano alla fine.

Questa ragazzina, Mara, con i suoi sogni e i desideri di adolescente è la protagonista dell’ultimo romanzo di Ritanna Armeni ambientato durante il fascismo dal 1933 al 1946.

L’autrice si è posta l’obiettivo di fornire un contributo ulteriore alla conoscenza della Storia delle donne che se è vero che si incontra e si intreccia con quella più generale dei popoli e ne può essere dipendente, non coincide mai del tutto con essa.

Pertanto deve essere cercata perché spesso rimossa o addirittura dimenticata. Attraverso il personaggio di Mara si può seguire il percorso accidentato, contraddittorio anche doloroso dell’emancipazione femminile e quale prezzo comporti voler diventare una persona autonoma fuori dagli schemi.

Al fine di creare consenso un’importante missione del regime fascista consisteva proprio nell’educazione di bambini /e ragazzi/e ai valori e all’ideologia fascisti. Tutti i maschi e le femmine fino ai ventuno anni dovevano partecipare alle attività di svago, ginniche proposte dalle organizzazioni di massa che confluiranno poi nel 1937 nella Gioventù italiana del littorio.

Questo culto della gioventù si proponeva di modificare i vecchi modelli di comportamento per inseguire l’obiettivo ambizioso di creare un “uomo nuovo” allineato a un modello antropologico predefinito.

Mara è contenta per questo impegno del sabato pomeriggio perché le risparmia le incombenze domestiche che svolge malvolentieri. Nello stesso palazzo vicino a largo di Torre Argentina abita Nadia sua coetanea e amica del cuore con la quale condivide sogni, desideri, progetti per il futuro.

Escono insieme dal portone passando davanti alla vecchia Assunta che non le saluta ma si fa tre volte il segno della croce, ritiene indecenti i calzoncini corti , le gambe nude, le camicette aderenti anche se è una divisa per fare ginnastica.

Lo ha voluto il Duce che aveva deciso che anche le ragazze dovessero avere un corpo sano, così sarebbero state madri perfette e avrebbero messo al mondo figli sani in grado di servire la patria.

Tra le due ragazzine Nadia è quella più entusiasta della figura del Duce, ritaglia dai giornali e dalle riviste le sue foto, in particolare quelle che lo mostrano impegnato nello sport: equitazione, moto, sci, scherma, con gli occhiali e la tuta da aviatore.

Nadia ama l’educazione fisica e da grande sogna di insegnarla dopo avere frequentato l’Accademia femminile fascista di Educazione fisica a Orvieto appena fondata in un ex convento.

 

La giovinezza come mito

Il movimento fascista era prevalentemente formato da giovani e con il fascismo l’Italia vedrà abbassarsi di decenni l’età media di chi occupa cariche politiche; lo stesso Mussolini, con i suoi 38 anni, era il più giovane capo di governo che l’Italia avesse avuto.

Gli squadristi erano giovani che volevano fare la rivoluzione contro la generazione precedente accusata di aver aderito a un liberalismo grigio e burocratizzato. Il giovanilismo caratterizzerà tutti i movimenti a vocazione rivoluzionaria, che lottano contro il vecchio, il cui sbocco naturale saranno poi i regimi totalitari del Novecento.

Questa ideologia aveva cominciato ad affermarsi con il romanticismo ottocentesco, con il culto dell’emozione, della spontaneità, dell’individualità pura, esemplificato dal giovane Werther di Goethe.

Alla fine dell’Ottocento avranno un peso maggiore le idee di Charles Darwin e l’eugenetica, da cui deriveranno i temi ricorrenti della decadenza dei popoli e delle razze e della lotta dei giovani contro i vecchi, vista come il motore della storia.

La conseguenza di questo culto della giovinezza è la nuova attenzione alla cura del proprio corpo da qui il successo della ginnastica. Sarà soprattutto con i regimi totalitari che il corpo giovanile, robusto e sano, viene messo a nudo nelle piazze e negli stadi. Anche le ragazze devono vestire con camicette e pantaloncini al posto dei vecchi abiti ingombranti di un tempo.

Non c’è dubbio che le organizzazioni fasciste della gioventù, coinvolgendo i giovani in attività collettive al di fuori della famiglia, in particolare per le ragazze abbiano rappresentato indubbiamente uno spazio di libertà e occasioni di socializzazione.

Infine questa ideologia giovanilistica era stata descritta nel libro Notre jeunesse ( La nostra giovinezza) del francese Charles Péguy che spiegava l’adesione della gioventù alla Grande guerra. Anche il rinnovamento culturale italiano conosce una forte connotazione giovanilistica, sia sul versante della sinistra con Gobetti e Gramsci, sia con Alfredo Oriani storico e narratore, fautore del nazionalismo e dell’espansione coloniale, con Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini fondatori della rivista “La Voce”.

Quando Nadia propone Mara non è capace di dire di no anche se è qualcosa di proibito come andare di nascosto all’arco di Costantino dove il Duce ha incontrato Italo Balbo di ritorno dal volo negli Stati Uniti.

Era stata un’impresa notevole che testimoniava il grado di sviluppo dell’aviazione italiana. Venticinque idrovolanti guidati da Balbo erano partiti da Orbetello il 1° luglio 1933 per arrivare a Chicago dove era in corso l’Esposizione universale il 13 luglio. Da lì erano arrivati a New York dove migliaia di persone erano accorse a Long Island per festeggiare l’eroe italiano. Le poste americane a sottolineare l’eccezionalità dell’impresa avevano emesso un francobollo commemorativo mentre Chicago aveva intitolato la settima strada a Balbo.

Mara e Nadia hanno quattordici anni, lamentano di essere trattate in famiglia ancora come bambine, vorrebbero vestire in modo diverso, tagliarsi i capelli come vedono sulle riviste di moda, frequentare di più il dopolavoro ma non per seguire i corsi di cucito o imparare a fare il ragù.

Nel dopolavoro proiettano film, documentari dell’Istituto Luce sulle attività del Duce, si può assistere alle pièces teatrali e imparare a recitare. Le due ragazzine di nascosto si iscrivono a un corso di recitazione e frequentano le prove, ma vengono scoperte e devono rinunciare.

Mara si rifugia nei sogni, ha saputo che fra Castro Pretorio e il Verano stanno costruendo una nuova università che sarà grande e moderna “La Sapienza” “Come quelle americane” le ha detto Giulio il fratello di Nadia.

Lei è sicura che un giorno la frequenterà, prenderà il tram per andare a seguire le lezioni, ascolterà professori importanti, leggerà i classici, studierà in biblioteca. Ne ha viste nei film, immense, con scaffali fino al soffitto e tavoli enormi cosi non dovrà più studiare in cucina disturbata dai fratelli più piccoli. Intanto bisogna scegliere quale scuola superiore frequentare e si accende una vivace discussione in famiglia.

Per il padre è sufficiente che una donna studi fino a quattordici anni, tanto poi si sposa, fa i figli e rimane a casa. Nel frattempo può andare nel suo negozio e imparare a vendere i tessuti cosi può risparmiare licenziando la commessa che c’è.

La mamma invece propone che Mara continui gli studi e prenda il diploma da maestra, un altro stipendio anche se modesto serve a casa. La ragazza per la prima volta punta i piedi, spalleggiata dalla zia Luisa, vuole studiare e poi andare all’università.

Il fascismo con la riforma della scuola del 1923 realizzata dal ministro dell’Istruzione Giovanni Gentile filosofo idealista, aveva pensato a un liceo femminile per “impartire un complemento di cultura generale alle giovinette che non aspirino né agli studi superiori né al conseguimento di un diploma professionale”.

Quindi le ragazze di buona famiglia che hanno voglia di studiare possono frequentare la suddetta scuola in modo da prepararsi a diventare le mogli della futura classe dirigente, ovviamente tutta maschile che invece frequenterà il liceo classico.

Inoltre lo scopo dichiarato è quello di evitare “l’affollamento delle donne negli altri licei che avrebbero diminuito il fatto di essere le palestre severe per i futuri capi”. In sostanza le ragazze costituirebbero una distrazione che è meglio tenere lontana.

Le giovani di buona famiglia invece disertano l’istituto pensato solo per loro e cosi il liceo femminile per mancanza d’iscrizioni nel 1928 è costretto a chiudere.

Mara invece ha vinto la sua battaglia, frequenterà il liceo classico, le spese saranno sostenute dalla zia Luisa che è una donna molto impegnata nell’organizzazione dei Fasci femminili. Questa organizzazione era stata fondata nel 1921 da Elisa Majer Rizzoli, aveva riunito un gruppo di fasciste lombarde ex socialiste, ex anarchiche e radical-borghesi.

 

Erano donne

Fortemente politicizzate e assai lontane dall’immagine domestica, remissiva e materna della femminilità che il fascismo avrebbe in seguito accreditato.

Alle loro spalle avevano la tradizione suffragista e la consapevolezza acquisita del ruolo svolto dalle donne durante la Prima Guerra Mondiale in virtù dell’indispensabile contributo dato in tutti i settori della società.

Ora queste donne aspiravano ad una piena cittadinanza nella politica e nelle istituzioni ma l’organizzazione si rivelerà uno strumento ambiguo in quanto si trasformò invece in un organismo di massa sul modello di quelle femminili liberal-moderate, cattoliche e monarchiche dichiaratamente apolitiche e con scopi esclusivamente assistenziali.

Dunque, agli uomini la politica e la gestione delle istituzioni, alle donne il sociale, l’assistenza e l’educazione, secondo una divisione asimmetrica dei ruoli e delle funzioni che negava alle donne la capacità di elevarsi al di sopra della loro “natura”, destinata alla sottomissione, alla maternità e alla famiglia.

Questa concezione viene codificata nello Statuto del 1922 e fra le vittime di questa scelta c’è proprio la Majer Rizzoli che pur fascista convinta rappresenta il simbolo della sconfitta delle donne che rivendicano più libertà.

Guarda con sospetto la campagna demografica e attacca la grossolana incompetenza maschile che riduce la donna a una macchina riproduttrice.

La sua ultima iniziativa è del marzo 1929 quando organizza a Milano nel Castello Sforzesco la Mostra femminile d’arte pura, decorativa e di lavoro. La prima esposizione dedicata interamente alle opere delle donne.

Mara ha ricevuto in regalo dalla zia un libro di Ada Negri, le cui poesie sono sui libri di scuola e ne ha trascritto alcuni versi come dedica:

Io non ho nome,

Io son la razza figlia

Dell’umida stamberga;

Plebe triste e dannata è mia famiglia,

ma un’indomita fiamma in me s’alberga.

 

La guerra coloniale

Tutti cantano Faccetta nera, bella abissina... è la primavera del 1935, i padri ascoltano la radio, leggono il giornale e pensano che bisognerà intervenire in Etiopia, convinti che solo costruendo un impero l’Italia uscirà dalla crisi economica. Tra l’altro l’Inghilterra e la Francia sono diventate potenti perché si sono create un impero in Asia e in Africa, perché non può accadere anche all’Italia?

Hanno annunciato che il Duce parlerà a Piazza Venezia, deve comunicare iniziative importanti. Il balcone da cui parla dista poche centinaia di metri dalla casa dei ragazzi, ci vogliono cinque minuti di strada.

Mara, Nadia e Giulio si muovono in anticipo per prendere una buona posizione in modo da ascoltare meglio e poter vedere il Duce. “Un’ora solenne sta per scoccare nella storia della Patria…..”.

Tra gli elementi di maggiore frustrazione del nazionalismo italiano, all’indomani della Grande Guerra, e poi del regime fascista, vi era stata la mancata concessione di compensi coloniali, prevista a dire il vero, in modo vago dal patto di Londra.

In seguito a questa rivendicazione, negli anni Trenta era maturato il carattere aggressivo della politica di potenza fascista che si indirizzò verso l’unico Stato africano che era riuscito a mantenere la propria indipendenza e con il quale l’Italia aveva un conto in sospeso dai tempi della sconfitta di Adua del marzo 1896.

Un incidente di frontiera fra l’Eritrea italiana e l’Etiopia forni a Mussolini il pretesto per preparare l’attacco che si realizzò nell’ottobre del 1935. Dal momento che l’intento aggressivo fu da subito chiaro, l’Italia fu colpita dalle sanzioni internazionali della Società delle Nazioni che vietarono il commercio con il nostro Paese e la concessione di crediti.

Per raccogliere le risorse necessarie alla guerra fu organizzata una campagna di raccolta dell’oro, “Oro alla Patria”. Le mamme di Mara e Nadia insieme a tante altre seguono l’esempio della Regina Elena e di donna Rachele e sono andate a Piazza Venezia per donare le fedi nuziali. Anche i vescovi e i cardinali hanno rinunciato alle loro belle croci d’oro.

Nemmeno la Chiesa cattolica si oppose all’aggressione malgrado l’Etiopia per un millennio avesse difeso il cristianesimo -sia pure copto- contro l’Islam.

L’Italia viene appoggiata dalla Germania, dove nel frattempo era salito al potere Hitler, disposta a fornire tutto l’aiuto necessario. Ancora una volta, come già accaduto nel 1931 con l’attacco giapponese alla Manciuria, risultò evidente l’incapacità della comunità internazionale a impegnarsi davvero in difesa della pace.

Come spesso accade la guerra si presentò molto più difficile del previsto per gli italiani nonostante la superiorità dei mezzi. L’Etiopia è stato il primo paese dove fu sperimentata la superiorità delle nuove armi offensive introdotte dalla Grande Guerra: il gas, il carro armato e l’aviazione.

Occorre ricordare che l’esercito italiano si macchiò di atrocità gravissime contro la popolazione civile, in particolare l’uso del gas in spregio delle convenzioni internazionali causò 200.000 morti rispetto ai circa 4000 italiani. In pochi mesi l’esercito di occupazione arrivò ad Addis Abeba e l’imperatore Hailè Selassiè si rifugiò in Inghilterra.

L’Etiopia, insieme alla Somalia e all’Eritrea formò l’Africa orientale italiana e nel maggio del 1936 Mussolini potè proclamare la rinascita dell’Impero.

A questo punto l’Italia esce dalla Società delle Nazioni e promette che l’espansione coloniale avrebbe portato pane e terra per tutti, in questo momento il consenso popolare al regime tocca l’apice.

C’è da osservare che il successo dell’impresa africana, fece trarre all’Italia una percezione esagerata della propria potenza e le vicende della Seconda guerra mondiale di lì a non molto ne avrebbero dimostrato in modo drammatico la strutturale fragilità militare.

La conquista dell’Etiopia pose un problema non da poco, quello del rapporto con la donna di colore. La bella abissina, cui si darà “un nuovo duce e un nuovo re” è primitiva, un animale seducente ma desideroso di avere un padrone bianco a cui concedersi senza chiedere nulla in cambio.

Per questo con lei non è necessario rispettare convenienze e formalità, è una preda che il regime promette, sempre disponibile per gli italiani maschi guerrieri che potranno essere uomini fino in fondo, tanto non fa parte della civiltà e dell’umanità.

Il regime in seguito alle leggi razziali decide che i rapporti sessuali con una razza inferiore sono pericolosi e inopportuni ma dal momento che non è possibile evitarli, ci sono i bordelli.

Sono proibite le relazioni coniugali ed extraconiugali e se nascono figli ne è vietata la legittimazione e l’adozione. La radio non trasmette più “Faccetta nera….”

Di tutto questo la protagonista del romanzo non ne ha la più pallida idea, si rende conto però che nonostante la conquista di un Impero, la vita si è fatta più difficile. In casa si tira la cinghia e la mamma ogni giorno si inventa una ricetta nuova con gli scarti delle verdure.

Nel negozio del padre, per le sanzioni non sono più disponibili le belle lane inglesi, c’è la lana italiana ricavata dal latte ma è di scarsa qualità, appena si bagna, cede.

Un giorno a scuola Mara viene chiamata dal preside, il suo tema La Patria è in guerra: speranze, timori e fede, era stato selezionato dalla rivista La piccola italiana che lo avrebbe pubblicato. Era questo un settimanale di cultura per le giovinette che oltre ai consigli di economia domestica pubblicava racconti e poesie.

Mara aveva pensato da tempo di mandare alcuni dei racconti già scritti ma le era mancato il coraggio, forse ora la situazione stava per cambiare e finalmente i genitori come premio le avrebbero permesso di tagliarsi i capelli.

Ad accendere gli entusiasmi delle ragazze arriva la conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 nella gara degli ottanta metri a ostacoli di Ondina Valli, vent’anni, bolognese che aveva superato anche se di stretta misura la tedesca Anni Stener e la canadese Elisabeth Taylor.

Questa vittoria rappresenta per le donne un esempio inimmaginabile di forza competitiva e ha dimostrato al mondo ciò di cui sono capaci le donne fasciste. Addirittura era intervenuto il papa Pio XI di persona affinché le atlete non partecipassero alle gare olimpiche.

Anche se il regime aveva favorito all’inizio l’attività sportiva femminile, a un certo punto comincia a preoccuparsi. Disturbano quelle immagini di donne felici col corpo libero e scattante che deve essere innanzi tutto materno.

Parlano medici ed esperti per moderare la passione sportiva femminile. Il comitato olimpico da parte sua tenta di rivederne l’attività, fissando campo e limiti, meglio tenere le donne lontano dalle competizioni agonistiche che possono danneggiare il canone estetico femminile.

Le italiane devono essere robuste e con i fianchi larghi e devono conquistare medaglie per il numero dei figli e non per le gare atletiche. Ancora una volta la politica del regime si mostra contraddittoria: da un lato Renato Ricci, capo dell’Opera nazionale balilla insiste perché alle Olimpiadi sia eliminata la rappresentanza femminile, dall’altra Achille Starace, presidente del Coni è dello stesso avviso salvo poi cambiare idea dopo la vittoria di Ondina alle Olimpiadi di Berlino.

 

La questione della razza

 

Stazione di bus, 1939. (cartoline d’epoca, coll. privata)

 

La presenza italiana in Etiopia durò meno di dieci anni ma ci fu un impegno per la modernizzazione del Paese e la creazione di infrastrutture. In Italia invece portò una conseguenza morale terribile, il diffondersi di una cultura razzista basata sulla convinzione della superiorità dei bianchi.

Gli “incroci” rappresentano un pericolo e non è possibile la convivenza fra etnie diverse.

Questa superiorità della “razza italiana” venne dichiarata nel luglio 1938 nel Manifesto della razza seguito poi da una serie di leggi contro gli ebrei.

La divisione dell’umanità in “razze” biologicamente determinate e distinte è frutto della scienza positivistica ottocentesca.

Questo concetto è contestato dalla scienza antropologica più recente che distingue l’umanità in gruppi e sottogruppi etnici variamente intrecciati, non si può parlare di “razze”.

Nella Germania dell’Ottocento si era diffusa l’idea di un’area linguistica indoeuropea e di una “razza ariana” non solo distinta e pura ma biologicamente superiore e identificata con i Germani e i Nordici.

Gli italiani e in generale tutti i popoli mediterranei sono fuori da questa definizione e il loro posto nel “nuovo ordine” ideato da Hitler sarebbe stato quello di schiavi.

Le conseguenze delle leggi antiebraiche si fanno sentire subito dove vive Mara. Nell’appartamento sopra il suo vive la famiglia ebrea Piperno, i bambini giocano insieme, le famiglie si frequentano, la signora Sara ha donato la fede alla patria. Questo rapporto viene stravolto trasformando in nemici gli amici di una vita.

Gli ebrei vengono esclusi dagli impieghi pubblici, dal servizio militare, dalla vita politica, dalla scuola e da forti limitazioni del diritto di proprietà.

La marginalizzazione crescente della comunità ebraica obbligò alcuni intellettuali di straordinario valore all’esilio: i fisici Emilio Segre, Enrico Fermi premio Nobel per la fisica nel 1938 che negli Stati Uniti sarebbero diventati tra i protagonisti delle ricerche sull’energia atomica;

L’economista Franco Modigliani che avrebbe vinto il premio Nobel nel 1985 il matematico Federigo Enriques, il genetista Guido Pontecorvo.

Non bisogna dimenticare che per colpa delle leggi razziali l’Europa ha perso per sempre il primato nelle scienze e l’egemonia culturale a vantaggio degli Stati Uniti. Il signor Piperno intuisce che la situazione per gli ebrei non potrà che peggiorare quindi decide di emigrare con la famiglia in Argentina dove vive un fratello che ha un’azienda e potrà offrirgli un lavoro.

In Argentina emigra Margherita Sarfatti, anche lei ebrea. Donna ricca, colta, affascinante, moderna, indipendente, definita addirittura la regina senza corona, durante e dopo il fascismo è stato messo l’accento solo sull’essere stata “l’amante di Mussolini”.

Quando si conoscono, lui è un uomo dal temperamento audace, trascinatore, con un profondo istinto politico ma è alquanto rozzo, non possiede una grande cultura, pertanto è un uomo tutto da costruire. Tra i due è stato un amore vero, una passione travolgente, ma la Sarfatti è stata molto più che un’amante. Si è detto che “inventò” Mussolini, forse è un’esagerazione ma contiene una parte di verità.

Dal partito socialista all’avventura fascista è lei che lo educa, lo introduce in società, gli suggerisce le letture giuste, rivede i suoi scritti. Costruisce i movimenti culturali che accompagnano la nascita e la crescita del regime.

Nelle arti figurative ad esempio, il gruppo Novecento con Mario Sironi tra gli altri a cui si aggiungono De Chirico, Campigli, Casorati, Morandi e Severini.

Secondo lo storico Renzo De Felice che l’ha conosciuta, il mito della romanità non è stata tutta farina del sacco di Mussolini ma frutto dell’influenza della Sarfatti.

Molto potente e temuta, guarda con diffidenza al rapporto di Mussolini con Hitler e non condivide la guerra coloniale. Poi l’amore finisce, vengono promulgate le leggi razziali e anche lei in quanto ebrea deve lasciare l’Italia per l’Argentina.

Si salverà e alla fine della guerra potrà tornare, non avranno la stessa fortuna migliaia di ebrei italiani.

Un sabato pomeriggio accade l’impensabile, muore all’improvviso il papà e Mara di colpo non è più la ragazza studiosa, ligia ai doveri della famiglia e della Patria, sognatrice, aspirante scrittrice, fiduciosa verso il futuro.

La rete di protezione su cui sperava di poter contare, non c’è più, ora le tocca assumere il ruolo di capofamiglia. Svanisce il sogno di iscriversi all’università, deve trovare in fretta un lavoro per mantenere la famiglia e grazie alle conoscenze dello zio Edgardo trova un impiego come segretaria al Ministero dell’Educazione nazionale.

 

Verso la guerra

Attraverso i documenti che le danno da dattilografare, Mara si rende conto che sta per essere dichiarata la guerra.

Di fatto la Seconda guerra mondiale è già cominciata con l’invasione della Polonia il 1° settembre 1939 da parte della Germania e il 3° settembre Gran Bretagna e Francia a loro volta avevano dichiarato guerra alla Germania.

In una prima fase l’Italia pur legata alla Germania dal Patto d’acciaio non interviene nel conflitto assumendo una posizione ambigua di “non belligeranza”. Questa scelta che contraddiceva un ventennio di propaganda bellicista dipendeva dall’impreparazione dell’esercito, dalla condizione di dipendenza energetica per il carbone e il petrolio dagli Stati Uniti e dalla Germania.

Infine bisognava fare i conti con la contrarietà al conflitto di una parte dell’opinione pubblica, del re, di esponenti delle stesse gerarchie fasciste e militari.

I successi delle operazioni tedesche indussero Mussolini all’intervento, convinto che la fine del conflitto fosse imminente e che con un modesto impegno militare l’Italia avrebbe ottenuto notevoli vantaggi.

Il 10 giugno 1940 con un esaltato discorso dal balcone di Piazza Venezia, il Duce annunciò alla nazione l’entrata in guerra. Mara uscita dall’ufficio, si unisce alle Giovani Fasciste davanti allo striscione “Duce, il fronte femminile è ai vostri ordini”.

In attesa, cantano l’Inno a Roma:

Salve, Dea Roma! Ti sfavilla in fronte

Il sol che nasce sulla nuova Storia.

Fulgida in arme, all’ultimo orizzonte,

sta la Vittoria.

 

Mara è convinta che l’Italia vincerà, tornando a casa si è sentita più forte e pronta ad affrontare un periodo difficile ma non trova lo stesso entusiasmo da parte della mamma e delle vicine.

Iniziano da subito le restrizioni alimentari con il razionamento, inoltre bisogna consegnare tutti gli oggetti di rame e di ferro. I rapporti con la sorella Anna che ha ormai 16 anni sono sempre più difficili.

Lei non è una fascista entusiasta, è scontenta di tutto, non ama i raduni delle Giovani Italiane e torna sempre col muso.

Anche al lavoro la vita non è facile. Mara si sente umiliata dagli sguardi che chiedono cosa ci stia a fare così giovane in un ufficio del Ministero e dalle allusioni astiose riferite al fatto che è costretta a correggere i testi dagli errori di ortografia. Qualcuno più sfacciato le rimprovera di occupare un posto di lavoro che servirebbe a un padre di famiglia.

Nadia è lontana e lei non ha un’altra amica del cuore, cosi un giorno suona alla porta dell’appartamento di sotto, apre Giulio e si getta fra le sue braccia, l’abbraccio è ricambiato e in attimo il mondo gira in un’altra direzione.

Intanto l’Italia ha invaso la Grecia e Giulio è partito per il fronte, c’è l’illusione che l’operazione sarà facile e si concluderà in fretta.

Sul fronte interno la penuria di generi alimentari si fa ancora più grave, vengono distribuite le carte annonarie, tutto è razionato, il pane è nero, duro e cattivo è fatto con la crusca e il mais.

Nadia è tornata a casa, ha finito la scuola di ginnastica a Orvieto, che la guerra finisca presto non ci crede più nessuno, ritiene ingiusto che solo gli uomini siano chiamati a difendere la Patria, anche lei si sente pronta ad affrontare i sacrifici necessari non meno di un uomo. Intanto è decisa a non morire di fame e la domenica trascina Mara fuori Roma per rimediare qualcosa dai contadini.

Come già accaduto per la Grande Guerra le donne portano nuovi pesi, lavorano al posto degli uomini e devono procurare da mangiare per la famiglia.

La Seconda guerra mondiale è stata ancora più difficile e complessa, nella prima parte del conflitto l’Italia ha combattuto al fianco della Germania nazista poi contro di essa subendone l’invasione.

Negli anni 1943-’45 dopo lo sbarco degli Alleati al sud, la linea del fronte era salita lentamente lungo la penisola. La metà settentrionale del Paese dovette subire sia la repressione nazi-fascista sia gli effetti devastanti di una sanguinosa guerra civile.

Di conseguenza la distinzione tra il fronte interno e quello di combattimento era diventata più confusa e quindi più difficile da affrontare.

Non era stato quello il futuro che il regime aveva promesso alle donne ma ora è costretto a cambiare i progetti. Solo cinque giorni prima dell’entrata in guerra, il Consiglio dei ministri aveva varato una legge che limitava al 10% l’occupazione femminile nei pubblici uffici. Ora è costretto a vararne un’altra che consente la sostituzione del personale maschile con quello femminile.

Si ripete il rapporto paradossale fra la guerra e le donne, la guerra colpisce e destabilizza ma è anche un momento di emancipazione.

Le donne soffrono ma escono di casa e anche se costrette poi a tornarci, non dimenticheranno l’esperienza di autonomia e di libertà e cercheranno di proseguirla.

Sarebbe doveroso ricordare il contributo fondamentale delle donne all’economia della nazione e del loro sacrificio, invece con la pace, sono state messe da parte e rimandate a casa per lasciare il posto ai reduci senza alcun ringraziamento e riconoscimento.

Anche un monumento può essere utile a ricordare. A Londra a Whitehall, è stato eretto un monumento dedicato alle donne che hanno partecipato alla Seconda guerra mondiale. È un cubo di bronzo alto 7 metri su cui sono appese diciassette abiti, cappelli, tute, borse che le donne hanno indossato nei luoghi di lavoro durante la guerra quando hanno sostituito gli uomini partiti per il fronte.

Non raffigura, come sarebbe stato facile madri disperate o combattenti valorose. Creato da John W. Mills è stato inaugurato dalla regina Elisabetta nel 2005.

Questa situazione si rivela vantaggiosa per Mara, il suo posto al Ministero è più sicuro ora che gli uomini sono al fronte e le sue mansioni sono qualitativamente aumentate.

Giulio è tornato per una breve licenza si festeggerà il Natale come prima della guerra. Nonostante i titoli dei giornali sempre trionfanti, Giulio racconta come stanno veramente le cose.

L’Impero italiano in Etiopia è caduto in mano agli inglesi e il Negus è rientrato ad Addis Abeba, il nemico tiene anche la Cirenaica e l’avanzata in Egitto è ferma.

Poi Giulio torna al fronte, scrive che il suo battaglione è stato spostato ad Atene e ne è sollevato. Nelle sue lettere brevi ma quasi quotidiane sottolinea che gli italiani a differenza dei tedeschi sono guardati con più simpatia.

In verità la situazione non è proprio cosi idilliaca, in Grecia, durante una guerra inutile e a tratti grottesca, c’era stata confusione, disorganizzazione, disonore, saccheggi e distruzione.

I militari costretti all’inattività con obblighi limitati, sotto il sole del Mediterraneo si erano dedicati ai piaceri del sesso. Di conseguenza la ricerca delle donne, le violenze, la moltiplicazione dei bordelli erano diventati le loro attività principali.

Inquadrati nell’”armata Sagapò” che significa ”ti amo”, i soldati italiani avevano esercitato violenza e gallismo con il placet dei vertici militari.

Tanto è vero questo che a distanza di alcuni anni dalla fine della guerra, nonostante il ritorno alla democrazia, non era possibile parlare del comportamento degli italiani in Grecia.

Le vicende dell’armata italiana le ha raccontate-edulcorandole- Gabriele Salvadores nel film “Mediterraneo” del 1991, premio Oscar nel 1992.

I soldati italiani mandati dal Duce non sono stati per niente brava gente.

In piazza Colonna, di fronte a palazzo Chigi, era stato piazzato un grande tabellone sul quale erano riprodotti i possedimenti in Africa e Mara nel passare li indicava alla mamma.

Il tabellone non c’è più, l’Impero è perduto ma si è aperto un altro fronte. Nel giugno 1941 a sorpresa Hitler ha invaso l’Unione Sovietica, l’operazione Barbarossa e il Duce ha mandato un corpo di spedizione italiano.

Le donne del Fascio continuano a impegnarsi nella beneficenza preparano indumenti, pacchi alimentari per i soldati ma che servono anche a Roma dove i poveri si sono moltiplicati.

Sono le undici del mattino di una giornata di luglio già calda, Roma sotto il sole è luminosa, pigra, all’improvviso si scatena l’inferno. Boati, rumore metallico di colpi, una nube d’acciaio ha oscurato il cielo.

Cosi la guerra, non solo quella della miseria e della fame ma quella delle bombe e dei morti è arrivata a Roma. Il Duce aveva assicurato “Se vogliamo, su Roma non volerà neppure una rondine”.

Invece il quartiere San Lorenzo, lo scalo ferroviario la chiesa sono stati distrutti dai bombardieri americani. Nel frattempo il 10 luglio 1943 gli Alleati sono sbarcati in Sicilia, il nemico è sul suolo italiano.

Nadia crede che quello degli Alleati sia stato solo un tentativo e che la nostra difesa costiera sia in grado di respingerli mentre la zia Luisa sempre realista è convinta che la guerra sia perduta e pensa al prezzo che bisognerà pagare.

La finestra è aperta per il caldo, la radio è accesa, le ragazze aspettano il notiziario della sera e poi andare a dormire ma stranamente il notiziario è in ritardo. Poi la voce dell’annunciatore “Attenzione, attenzione!” e legge la notizia delle dimissioni di Mussolini da tutte le cariche e la nomina a Capo del governo del Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, seguono le note della Marcia reale.

Le ragazze rimangono sbalordite, dalla finestra aperta arriva una voce che grida “Viva il re” è il 25 luglio 1943, non sanno che sta per iniziare un periodo tragico.

Tra i problemi che bisogna affrontare in Italia e in Europa in guerra c’è quello di mettere in salvo le opere d’arte. Un esempio tra tutti, la sovrintendente della Galleria d’Arte Moderna, Palma Bucarelli aveva già trasferito le opere d’arte nel Palazzo Farnese di Caprarola, 672 dipinti e 63 sculture.

1943, la notizia della caduta del fascismo. (cartoline d’epoca, coll. privata)

Convinta che non siano più al sicuro le porta di nuovo a Roma dove si può contare sulla protezione del Vaticano. Il momento è molto difficile, Mussolini dalla Repubblica fascista appena nata chiede ai sovrintendenti di trasferirsi a Salò ma rifiutano.

Palma Bucarelli organizza un altro trasloco e trasporta le opere d’arte a Castel Sant’Angelo. Sono necessari vari viaggi di notte, lei da sola con l’autista in mezzo a mille pericoli.

Riesce nell’impresa, le opere d’arte sono tratte in salvo e il 10 dicembre 1944, dopo la liberazione di Roma, la Gnam è il primo museo nazionale a riaprire al pubblico.

Il nuovo governo ha intrapreso trattative segrete con gli Angloamericani per giungere a un armistizio che viene stipulato a Cassibile in Sicilia il 3 settembre e reso noto soltanto l’8 settembre.

Badoglio e il re si rifugiano nella zona sotto il controllo degli Alleati, l’Italia viene lasciata nel caos e l’esercito senza ordini, il Paese è in frantumi. Il 12 settembre Mussolini viene liberato da paracadutisti tedeschi dalla prigionia sul Gran Sasso e messo a capo di un governo fascista repubblicano, la Repubblica sociale italiana (23 settembre 1943) con sede a Salò sul lago di Garda.

Nel Regno del sud occupato dagli Alleati rimaneva in carica il governo Badoglio che il 13 ottobre dichiarava guerra alla Germania diventando “cobelligerante” a fianco degli Alleati.

L’entusiasmo popolare suscitato dalla caduta del fascismo, svani presto, la guerra proseguiva e iniziava un periodo tragico per il Paese con i tedeschi in casa diventati da alleati, invasori.

Le conseguenze di questa situazione si presentano anche nel palazzo di Mara. La sorella Anna porta a casa un ex soldato che ha abbandonato l’esercito, vuole raggiungere la famiglia in Umbria ma per ora si deve nascondere e la vecchia Assunta accetta di ospitarlo.

Le lettere di Giulio sono diventate più rare, racconta che ha trovato ospitalità presso una famiglia greca, il capofamiglia è avvocato e riesce ad esercitare anche in un momento così difficile.

 

Femminismo nero-Femminismo democratico

Nadia annichilita da tutto quello che è successo odia il re, odia Badoglio, odia chi un tempo era fascista e alle adunate gridava “Duce! Duce!” dove sono finiti tutti?

Prende una decisione drastica senza tener conto della disperazione della famiglia, andrà a Salò dove si sta organizzando la lotta contro gli Angloamericani e se il Duce non dovesse farcela contro un nemico più forte, meglio morire combattendo che vivere nel disonore.

Cosi un giorno scappa di casa senza saluti, pianti, recriminazioni, Nadia non può accettare la sconfitta dei suoi ideali.

Va sottolineato che non sempre la ricerca storica sul ruolo della donna relativa a questo periodo è stata equilibrata, la maggior parte degli studi si è concentrata su un unico argomento: la Resistenza.

Solo negli anni novanta per merito di una nuova generazione di studiosi, la storiografia ha iniziato ad esaminare anche l’esperienza di quelle donne che avevano scelto la R.S.I. collocando il loro ruolo peraltro molto attivo, in una posizione più centrale nella storia della guerra.

Lo dimostra ad esempio Cecilia Nubola in Fasciste di Salò. Giovani donne si arruolarono nel S.A.F. (Servizio Ausiliario Femminile) istituito il 18 aprile 1944 per contribuire alla difesa della Repubblica di Salò con a capo un comandante generale donna Piera Gatteschi Fondelli.

Queste giovani donne appartenevano alla piccola e media borghesia, avevano una discreta istruzione, cresciute nelle organizzazioni giovanili del regime, avevano praticato varie attività sportive.

Ora sono spinte dal senso di tradimento provato per gli eventi del 25 luglio e dell’8 settembre e desiderano dare un contributo per riscattare l’”onore perduto”, sentimento ben rappresentato da Nadia, uno dei personaggi centrali del romanzo della Armeni.

In generale queste donne dovettero rassegnarsi a svolgere un ruolo di sostegno: infermiere, telefoniste, dattilografe, impararono a sparare ma solo a scopo di autodifesa.

Perry Wilson in Italiane riporta i seguenti dati: nel luglio 1944 circa quarantamila donne si iscrissero ai G.F.R.F. (Gruppi fascisti repubblicani femminili). Verso la fine della guerra il S.A.F. contava 4.413 effettive, oltre a quelle che facevano parte delle unità speciali come le Brigate nere e la Decima Mas.

Spie, delatrici, parteciparono ai rastrellamenti alle torture di partigiani alle stragi di civili ai plotoni di esecuzione. Un gruppo di donne era presente anche nella famigerata banda Koch e nella banda Carità che a Milano nella Villa Triste torturavano partigiani e antifascisti.

Sul fronte opposto c’erano le partigiane, anche loro pronte a tutto per liberare il paese dal giogo fascista e nazista. Da una parte la difesa caparbia di scelte sciagurate in nome della patria e dell’onore, dall’altra la lotta per la libertà la democrazia, per un futuro migliore.

Sono comunque tutte donne guerriere e audaci fino in fondo che riescono ad essere protagoniste di una storia che fino ad allora le aveva escluse.

Diverse che più non si potrebbe ma accomunate dalla stessa tenacia e ostinazione nella ricerca di protagonismo, la stessa fatica per farsi accettare, per avere un ruolo, per essere coerenti con se stesse.

Infine, condividono la stessa sorte se catturate dal nemico: lo stupro e la morte. Vincerà il femminismo democratico, quello fascista durerà lo spazio di un mattino.

 

Una resistenza diversa: le parole come armi

Non tutte le donne che sono state attive e partecipi alla guerra di Liberazione hanno imbracciato le armi. Alcune di loro hanno scritto, parlato alla radio, hanno usato le parole come armi per istigare al sabotaggio e alla rivolta: la comunicazione è stata la loro trincea.

Tramite il lavoro nel giornalismo radiofonico e nella comunicazione letteraria, queste donne si sono impegnate in una Liberazione che andasse oltre quella dal nazifascismo con l’obiettivo, una volta riconquistata la democrazia di modificare gli antichi legami della società patriarcale per costruire un mondo di donne e uomini liberi e uguali.

“Era un arma che la sorte mi poneva in mano e con quell’arma, astuzia aiutando, sul fascismo avrei finalmente sparato anch’io.”

Cosi Fausta Cialente ricorda il momento in cui nell’ottobre del 1940, chiamata al Cairo dall’amico giornalista Vittorelli, decise di accettare la proposta del British Ministry of Information.

Il 10 giugno l’Italia è entrata in guerra contro l’Inghilterra e gli italiani che vivono in Egitto sono diventati sudditi di un Paese nemico. Gli inglesi sono molto interessati a inserire un programma radiofonico in lingua italiana nel palinsesto dell’emittente britannica, Radio Cairo.

Fausta Cialente ne sarà la voce dal 21 ottobre 1940 al 14 febbraio 1943. Senza alcuna esperienza nella comunicazione radiofonica è stata incaricata di redigere notiziari e commenti politici per gli italiani che combattono in Nord Africa e quelli che stanno in patria.

Si tratta del primo collegamento radiofonico tra gli anglo-americani e l’antifascismo italiano. La Cialente farà della radio uno strumento di appello alla ragione e alla coscienza di tutti gli italiani e avrà il compito di contrastare le comunicazioni di Radio Roma, emittente fedelissima alla propaganda di Mussolini.

Nel dicembre 1943 un’altra donna inizia a parlare alle italiane e agli italiani, è Clorinda da radio Bari, attiva nel Sud liberato, è la voce di Alba de Céspedes.

Dal settembre dello stesso anno, dopo l’arrivo delle forze alleate l’Eiar pugliese è passata sotto il controllo del Psychological Warfare Branch. Grazie a un gruppo di intellettuali baresi che proponevano un programma d’informazione quotidiana e di politica rivolta all’opinione pubblica meridionale e ai partigiani, si realizzò una radio libera e antifascista.

“Italia combatte” è il programma curato dalla De Céspedes scrittrice di origine cubana che si nasconde sotto lo pseudonimo battagliero e letterario di Clorinda.

Il programma è un vero e proprio strumento operativo. Prevedeva la propaganda contro l’invasore, l’aggiornamento sulla attività svolte dalla Resistenza partigiana, la rubrica Messaggi speciali che dava indicazioni operative in codice.

Prevedeva inoltre la denuncia di delatori e collaborazionisti nella rubrica Spie al muro e Istruzioni per il sabotaggio. Con l’avanzare degli Alleati il baricentro della resistenza intellettuale si sposta e Radio Bari perderà il ruolo di punta che passerà a Napoli.

Da radio Napoli la voce di Clorinda raggiungerà di nuovo gli ascoltatori il lunedì e il venerdì, dal marzo del ’44 fino alla liberazione di Roma il 6 giugno dello stesso anno.

La trasmissione si apriva con l’Inno di Garibaldi le cui note si alternavano a quelle dell’Inno di Mameli e la frase che annunciava l’inizio era:”Questa trasmissione è dedicata ai patrioti italiani che lottano contro i tedeschi.”

Clorinda si curava in particolare di far giungere la propria voce ai giovani nati e vissuti sotto il Fascismo, ne temeva l’indifferenza. Poco prima della sua liberazione si rivolge alla popolazione romana, alle telefoniste, alle dattilografe, alle stenografe richiamandole senza mezzi termini al sabotaggio:” State, dietro al vostro tavolo, come dietro una mitragliatrice.”

Spiegava che essere donna poteva risultare un vantaggio, perché poteva agire meglio in quanto meno sospettata. Le parole di Clorinda costituivano una forte sollecitazione alle donne affinché spronassero il patriottismo dei propri uomini, dando così alla complicità coniugale un significato politico oltreché amoroso.

 

Il ritorno difficile alla democrazia

Nella Roma occupata dai tedeschi che i romani considerano occupanti prepotenti di cui diffidare, Anna, la sorella di Mara ha trovato lavoro presso una sartoria in via Veneto.

La frequentano le mogli e le amanti dei gerarchi fascisti e degli ufficiali tedeschi che si possono permettere abiti e biancheria di lusso.

La città è allo stremo, tutti cercano roba da mangiare ormai è inutile cercare di andare dai contadini, le truppe che passano per le campagne fanno razzie di tutto e anche loro cominciano a soffrire la fame.

Il 16 ottobre i tedeschi hanno sgomberato il Ghetto portando via tutti gli abitanti. Mara ripensa alla famiglia Piperno, i suoi vicini, che cinque anni prima saggiamente era partita per l’Argentina subito dopo la promulgazione delle leggi razziali.

Per lei diventa difficile la situazione sul posto di lavoro, il Ministero è stato trasferito a Salò con il ministro, gran parte delle sue funzioni e dei funzionari.

Il professor Bonaiuti suo superiore non si è voluto trasferire e ha chiesto di andare in pensione. Il grande palazzo si è svuotato, Mara non sa che fare, continua a presentarsi ogni mattina ma si sente inutile.

Una domenica mattina un giovane uomo bussa alla porta, deve consegnare una lettera di Giulio a Mara. Era sottotenente in Grecia con lui nello stesso reggimento, poi è stato ferito e quindi riformato e rimpatriato. Giulio invece è vivo ma resta nascosto presso la famiglia dell’amico avvocato ad Atene.

Il racconto dell’amico di Giulio su ciò che è successo in Grecia dopo l’8 settembre è scarno ma terribile.

A Cefalonia come a Corfù e in altre isole della Grecia, il presidio italiano aveva deciso di resistere a oltranza contro i tedeschi ma le forze erano impari e gli italiani erano stati sopraffatti.

Quattromilacinquecento tra ufficiali e soldati erano stati fucilati e i loro corpi lasciati insepolti. La nave che trasportava i superstiti era incappata nelle mine, pertanto i “Caduti di Cefalonia” alla fine furono 8.500.

Mara con trepidazione si decide ad aprire la lettera, Giulio la informa che fra la prigionia e il disonore, il campo di internamento in Germania o l’obbedienza a un esercito straniero, ha scelto di rimanere nascosto e aiuta l’avvocato Stavros che lo nasconde.

La ragazza riceve anche una lunga lettera di Nadia da Venezia con una foto, è in divisa grigioverde, la bocca è seria, gli occhi chiari, generosi e prepotenti.

Nella Repubblica fascista ha svolto diversi lavori adesso fa la dattilografa ma il suo desiderio è combattere contro i “banditi”. Lei è stata arruolata fra le Ausiliarie la cui vita è come quella delle truppe, stessa divisa ordinate secondo la gerarchia militare il motto è “Onore e patria”.

Per ora svolge anche compiti di assistenza ai soldati in prima linea e parla con entusiasmo della comandante Piera Gatteschi Fondelli.

Mara è convinta che Nadia stia sbagliando, non vede con lucidità la situazione e non si rende conto degli errori commessi dal Duce di cui invece si stanno rendendo conto tutti.

Nello stesso tempo la ammira perché sta facendo ciò che ritiene giusto, ha avuto coraggio, l’audacia di sbagliare. Ha mantenuto fede a quello che avevano deciso nei discorsi da adolescenti, lei invece non ha obbedito ai suoi desideri, lo studio, la scrittura, li ha abbandonati.

Nel frattempo ogni giorno arrivano notizie di bombe e attentati. A qualche centinaia di metri dalla casa di Mara in via Rasella il 24 marzo 1944, esplode una bomba al passaggio di una colonna di soldati tedeschi, trentatré morti.

La rappresaglia é spietata, 335 persone scelte tra ebrei e antifascisti o presi per strada trucidati alle Fosse Ardeatine secondo la regola 10 italiani per ogni soldato tedesco morto.

All’improvviso la città sembra stranamente calma, non ci sono truppe tedesche in giro, non si sente il rumore cadenzato dei passi e camionette che sfrecciano via. C’è qualcosa di strano nell’aria, nell’oscurità che comincia molto prima del tramonto per il coprifuoco.

Poi si iniziano a vedere jeep, camion, soldati a piedi. Sono gli americani, è il 4 giugno 1944, hanno impiegato quasi sei mesi ma alla fine sono arrivati.

I tedeschi sono andati via alla chetichella, per fortuna non ci saranno scontri nella Città eterna, i monumenti non saranno distrutti. Ora che sono arrivati i liberatori ci sarà di nuovo da mangiare, finirà il razionamento, le file, la fame? Ci si può abbandonare alla speranza, sarà un nuovo inizio per tutti?

Tra la folla Mara si sente abbracciare, è Emma la merciaia ebrea da cui si riforniva la mamma e le sue figlie. Si credeva che fossero scomparse nel rastrellamento del ghetto di Roma il 16 ottobre 1943, invece erano state nascoste dalle suore di Piazza Esedra.

In città altre suore avevano nascosti ebrei, per citarne solo alcune, quelle di San Giuseppe in via del Casaletto avevano ospitato trenta bambini con le loro mamme travestite da religiose, le suore di Santa Susanna, le monache dei Santi Quattro.

Mara riflette con amarezza che tutta quella gente che ora applaude gli americani solo qualche anno prima inneggiava al Duce che annunciava la guerra, si, è la stessa gente ma è diversa, è cambiata.

Finalmente arriva una lettera da Giulio ma è una lettera d’addio. Si è innamorato della figlia più grande dell’avvocato che lo sta ospitando ormai da qualche anno. Racconta cosa è successo dopo l’8 settembre e che se non fosse stato nascosto dalla famiglia Anghelopulos quasi certamente sarebbe stato deportato in Germania.

Furono 600.000 i soldati e ufficiali italiani che hanno realmente resistito al nazifascismo, rifiutando di aderire alla Repubblica di Salò e di lavorare per il Terzo Reich, dopo essere stati abbandonati dai vertici politici e militari.

Una generazione di soldati e ufficiali del regio esercito catapultata nella guerra fascista e il cui contributo non è stato valutato come meriterebbe, anzi è stato rimosso.

Lentamente Roma ricomincia a vivere senza più paura e Mara lasciato il lavoro al Ministero sta andando alla città universitaria. Si è iscritta alla facoltà di Lettere per ascoltare la prima lezione del professor Giorgio Parati di Letteratura latina.

Il suo sogno si è finalmente avverato. L’aula è piena, in mezzo a tanti uomini ci sono solo due donne, lei è la terza.

Dopo la caduta della Repubblica Sociale, Mara sperava che Nadia tornasse a casa, invece arriva una lettera:” Mia cara mamma, quando riceverai questa lettera non ci sarò più. Domattina sarò giustiziata…..”

Era accaduto che Nadia insieme ad altre due donne di cui una crocerossina nel percorso da Milano verso un ospedale militare vicino Brescia fossero state catturate da un gruppo di partigiani e portate in una cascina.

Era stato loro concesso di scrivere una lettera alla famiglia, poi prima che potessero essere interrogate, per l’avvicinarsi di una pattuglia tedesca vengono uccise mentre la crocerossina si salva.

Federica de Marchi è quella crocerossina che racconta a Mara come sono andate le cose e le comunica che il corpo ritrovato nei pressi di Brescia sarà riconsegnato ai genitori.

Dalla fine della guerra dirige una associazione che recupera i corpi dei caduti, li ricompone e li consegna alle famiglie per una degna sepoltura.

Non c’è dubbio che le donne, come già accennato, che fossero dalla parte giusta o da quella sbagliata e che volevano battersi come gli uomini, non solo furono uccise, ma stuprate e messe alla gogna, un destino comune e nello stesso tempo diverso da quello degli uomini.

Alcune cifre: le donne partigiane arrestate e torturate furono 4.635; deportate in Germania 2.750; fucilate o cadute in combattimento 623, tra le Ausiliarie ne morirono 300, in gran parte uccise fra aprile e maggio 1945.

 

Il ritorno alla democrazia

Entrato in carica a dicembre, il nuovo governo organizza le elezioni, le prime in cui le donne hanno diritto di voto per l’Assemblea Costituente, incaricata di elaborare la legge fondamentale del Paese e per il referendum popolare sulla forma monarchica o repubblicana dello Stato.

Si tengono ambedue il 2 giugno 1946 e sanzionano una doppia svolta, la vittoria della Repubblica e il primato dei partiti di massa.

Il 30 gennaio 1945 un decreto a firma De Gasperi-Togliatti introducendo in Italia il suffragio universale aveva riconosciuto il diritto di voto alle donne come premio per il contributo dato alla guerra e alla Resistenza. Decisione imposta anche dalle trasformazioni sociali e da elementari motivi di decoro nazionale.

Mara, come tutte le donne italiane andrà a votare, deve scegliere, non sa cosa sia la Repubblica che si vuole costruire e non conosce gli uomini che vorrebbero governare ma non si illude che vi saranno cambiamenti rapidi e positivi per tutti.

Se c’è una cosa che ha imparato è proprio questa: non credere alle promesse. Odia la monarchia e i sovrani che hanno tradito e abbandonato il Paese lasciandolo solo, prima nelle mani dei tedeschi e poi degli Angloamericani, pertanto voterà Repubblica.

La percentuale delle partecipanti al voto fu altissima. Smentendo le previsioni più pessimiste di alcuni esponenti politici che ritenevano le donne poco interessate verso le questioni istituzionali.

Per l’Assemblea Costituente furono elette ventuno donne su cinquecentosei componenti. Grazie al contributo fondamentale di questa piccola compagine femminile, la Costituzione della Repubblica italiana entrata in vigore il 1° gennaio 1948, contiene alcuni principi fondamentali in tema di parità di diritti tra uomo e donna. In sintesi vanno citati l’art.3 comma 1 che sancisce il principio generale di uguaglianza davanti alla legge; l’art. 29 sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; l’art.31 sulla protezione della maternità; l’art. 37 sulla parità nel lavoro; l’art.48 sulla parità nella partecipazione politica; l’art.51 sulla parità nell’accesso alle cariche pubbliche.

Non c’è dubbio che se non ci fossero state le donne, le loro battaglie di emancipazione e liberazione, l’Italia sarebbe un Paese molto più arretrato.

Occorre ricordare però che i diritti delle donne sono “storici”, quindi si possono perdere. Oggi lo sguardo della battaglia delle donne è e sarà sempre più quello europeo. La crisi degli Stati nazionali indica con chiarezza che le donne devono porsi, più di altri, il tema della qualità della democrazia in Europa.

La conquista di una vera rappresentanza paritaria, si gioca a livello nazionale ma dentro un orizzonte ed uno spazio politico europeo. Perché è lì che sta il futuro di tutte noi. 

Roma, quartiere Portuense, fine anni ‘40

 

BIBLIOGRAFIA

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Bravo, A. Foa, L. Scaraffia: I nuovi fili della memoria. Vol.3°, Editori Laterza, 2003.

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Colarizi, G. Martinotti, a cura di E. Cantarella e G. Guidorizzi: La memoria e il tempo. Vol. 3° Einaudi Scuola,2006.

De Bernardi, S. Guarracino: Epoche, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Vol.3°, 2012.

Perry Willson: Italiane, Biografia del Novecento. Editori Laterza, 2012.

Valeria P. Babini: Parole armate. La tartaruga i saggi,2018.

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  1. Nubola: Fasciste di Salò. Editori Laterza,2016.

A cura della Fondazione Nilde Iotti: Le leggi della donne che hanno cambiato l’Italia. Ediesse 2013.

 

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